Destini in fumo: Ventimiglia, la seconda indagine del capitano Martielli
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dedicate al lavoro condiviso con i carabinieri del nucleo investigativo. Per ricostruire un’incredibile verità, uno scenario che vede coinvolto pure una nuova ramificazione criminale nell’entroterra di Cuneo, agli ordini del carrozziere don Cecé Romeo.
Nelle indagini riemerge pure una vecchia conoscenza: quella di Diego Mura, il gestore factotum della cooperativa Batropa, scappato all’estero per sfuggire all’arresto, alle prese con uno strano traffico di olii esausti in Marocco. Martielli dovrà infine intervenire in soccorso di Viviana, che finirà in pericolo di vita. Una nuova tappa della battaglia contro le mafie e la criminalità organizzata nel territorio ligure.
Achille Maccapani (Rho, 1964) ha pubblicato saggi di storia locale, manuali di diritto della pubblica amministrazione e i romanzi Taci, e suona la chitarra – Milano rock Ottanta (Fratelli Frilli Editori, 2005 - XXII Premio Città di Cava de’ Tirreni), Delitto all’Aquila nera (Zona, 2007), Confessioni di un evirato cantore (Fratelli Frilli Editori, 2009 – fiorino d’argento del Premio Firenze) e Bacchetta in levare (Marco Valerio, 2010). Con il romanzo Il venditore di bibite (Fratelli Frilli Editori, 2018) ha dato inizio al ciclo seriale dedicato alle indagini dell’ufficiale dei carabinieri Roberto Martielli e del magistrato Viviana Croce. Partecipa all’antologia Attesa frammenti di pensiero - Homo Scrivens con il racconto breve Bella a metà. (2018)
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Destini in fumo - Achille Maccapani
1
Qualche anno prima
Alle cinque del pomeriggio, tre uomini aspettano di essere ricevuti nello studio del notaio Silvia Nucera, nel cuore del centro di Ventimiglia. Le carte dell’atto sono già pronte.
Nella sala d’attesa, il patriarca della cava, seduto sull’ampia poltrona, sfoglia un giornale di gossip lasciato nel vicino basso tavolino. Al suo fianco, il socio esterno della Val Bormida scruta dalla parete finestrata l’ampia piazza del comune.
Chi invece non riesce a frenare il suo entusiasmo è Andrea Bettoni, il giovane e rampante esponente della famiglia bresciana proprietaria della cava di Casigliano. Cammina avanti e indietro, finalmente avrà la sua prima operazione imprenditoriale e si sfrega le mani. Poco più che trentenne, fresco di laurea in geologia a Pavia, non vede l’ora di cominciare con la nuova società. E non lo nasconde a suo padre Dario.
«Adesso possiamo diversificare le nostre attività e non limitarci alla sola estrazione del marmo. Prima o poi» dice a suo padre Dario e si rivolge anche al nuovo socio Maurizio Dogliotti «quella montagna sarà bell’e piallata.»
«Ma piantala! Sei sempre irruente e sicuro di te stesso. D’accordo che dobbiamo fare un passo in avanti, ma la cava ci ha dato sicurezza economica senza particolari grane. E guarda che con la regione possiamo andare avanti ancora a lungo.»
Basta una proroga della concessione per un altro trentennio, e si può andare avanti a macinare pietre e utili. Senza rischiare di finire tra le grinfie della magistratura.
«Questo lo dici tu» replica sorridendo Andrea. «Dimentichi che, con l’avvento di questo futuro sindaco, di questo calabrotto in giacca e cravatta, di quel venditore di bibite…»
«Bibite?» domanda Maurizio.
«Ma sì!» esclama Andrea. «Lavora nel campo delle acque minerali e delle bibite gassate. Lui mette le bollicine dappertutto e ci farà vedere i sorci verdi se diventa sindaco. Tanto vale pensare al futuro.»
Il giovanotto ha paura, teme un intervento di Beppe Minasi contro di loro. La famiglia bresciana è schierata con la coalizione avversaria. Tra poco più di sei mesi ci saranno le elezioni in comune. E in caso di vittoria, c’è rischio di vendetta.
«Mah, se lo dici tu» gli risponde perplesso Dario. «Intanto le decisioni sul futuro della cava le prenderà la regione e non il comune.»
«Ma anche per questo impianto non deciderà nulla il comune» controbatte Andrea.
«Non è proprio così» precisa Dogliotti «perché un passaggio in consiglio comunale ci sarà comunque. Ma l’autorizzazione è della provincia.»
Entra nella sala la segretaria e interrompe la chiacchierata, informando i signori che il notaio è pronto a riceverli.
Silvia Nucera, elegantissima e inappuntabile, legge con voce cadenzata l’atto notarile di costituzione della nuova società.
Soci fondatori di BioLiguriaPonente sono le due società Cava bresciana, rappresentata dal presidente del consiglio di amministrazione Dario Bettoni e dall’amministratore delegato Andrea Bettoni, e Bormida ambiente ecosostenibile, di Maurizio Dogliotti.
Con un amministratore unico: il dottor Andrea Bettoni.
Di cosa si occuperà BioLiguriaPonente? Progettazione, costruzione e gestione integrale di un nuovo impianto a biomasse per il recupero del legname e la produzione di energia elettrica alternativa. L’impianto sorgerà nelle aree di entroterra, tra le frazioni di San Maurizio e Casigliano.
Il tempo scorre, una pagina dopo l’altra. Mezz’ora dopo tutti firmano.
«Bene. E adesso» domanda il notaio «cosa vi rimane da fare?»
Dario spiega che il progetto dell’impianto sarà di proprietà della nuova società. Grazie ai patti parasociali, si divideranno in parti uguali i costi di progettazione e di realizzazione delle opere. L’impresa dovrebbe decollare tra un anno e mezzo. Ma c’è l’incognita degli eventuali boicottaggi dal palazzo civico.
«Stai tranquillo papà» dice Andrea. «Vedrai che anche stavolta ce la faremo.»
Andrea e Maurizio osservano i primi rendering del progetto. L’architetto Gianluigi Orengo mostra le sezioni e il quadro d’insieme.
Vedono la fabbrica immersa tra le montagne e la verde foresta, vicina alla strada diretta verso la frazione Casigliano.
«Vedete» spiega l’architetto «i progetti devono comunicare benessere e favorire la presenza di queste fabbriche senza dare fastidio alla gente che vi abita intorno. Sono nato in questo territorio, e so bene che i liguri, quando vedono un paio di case in più sulla collina, storcono il naso, dicono che non è più come una volta, fanno storie. Ma questo è un intervento importantissimo, farà parte del territorio, darà una svolta ambientale alle frazioni vicine. Così sarà più presentabile agli occhi dei politici, e soprattutto dei cittadini.»
«È proprio quello che vogliamo noi e per questa ragione ci siamo rivolti a te, Gigi» ribatte Andrea.
Dopo le prime anticipazioni sui quotidiani locali, i Bettoni sentono il fiato sul collo. Lamentele, paura di disastri ambientali, danni all’ecosistema della frazione e della vallata. Devono reagire per recuperare consensi, attraverso una campagna di comunicazione e adeguati interventi di lobbying politica.
«Direi che, al massimo tra una settimana, tutti gli elaborati del progetto potrebbero essere presentati in comune, in provincia e in regione. Siete pronti per partire con la raffica degli incontri?» chiede Orengo.
Nell’autorizzazione finale i tecnici della provincia dovranno recepire i pareri del comune e della regione. Occorrerà quindi prevenire e risolvere con tempi rapidi tutti i dubbi e i rilievi.
«Un po’ di contatti in regione li ho» dice Dogliotti «ma occorrerà lavorare di fino sul comune. In quel palazzaccio potremmo avere più di un problema.»
«Che ne dici? Ci prendiamo un aperitivo da Nadia?» chiede Andrea a Maurizio.
Sulla strada, nelle vicinanze del palazzo del parco di Bordighera, il socio cammina con passo lento, riflette. Ha lo sguardo triste.
«No, riparto per Cairo Montenotte. Devo sbrigarmi, perché tra un’ora devo incontrarmi con alcuni imprenditori: nel giro di un anno e mezzo dovremo disporre di un’adeguata scorta di materiale. Per mantenere stabile il livello di produzione, dobbiamo avere un ricambio continuo. Altrimenti non riusciamo ad ammortizzare i costi. Hai letto il piano finanziario?»
Per far funzionare l’impianto, serve la materia prima: tanto, tantissimo legname. E non si trova dietro l’angolo. Occorre cercarlo, concordare con i fornitori, come i mobilifici, le proprietà di boschi privati. E spuntare condizioni vantaggiose.
«Sì, ma ho pensato che dobbiamo affrontare un minimo di rodaggio. Non possiamo mica partire così, speedy, col carico pieno, come se avessimo già alle spalle che so, quattro, cinque anni di lavoro» dice Andrea.
«Guarda che i lavori saranno finanziati dall’esposizione con le banche. Sono gli istituti di credito a coprire la realizzazione dell’opera. Quando avremo finito l’impianto dobbiamo farlo lavorare per restituire le rate.»
«Ma non è mica un mutuo, questo, è un leasing.»
«Che c’entra? Il contratto di leasing rende proprietaria la banca. Noi dobbiamo pagare le rate per diventare proprietari dell’impianto, un pezzo per volta. Per questo stasera proverò a trovare un po’ di clienti.»
Qualche mese dopo il progetto approda nell’aula del consiglio comunale di Ventimiglia. Ma non viene accolto bene. Al primo colpo la pratica è ritirata: troppi dissidi nella maggioranza. Dietro le quinte, a mettere tutto in discussione sono Beppe Minasi e Rino Chiappalone. Che si fanno sentire durante la riunione dei capigruppo.
«Ma siete matti?» urla Minasi. «Vi rendete conto che ci beccheremo le proteste di abitanti, ambientalisti, comitati? Questa è una porcheria! Giovanni, lascia perdere.»
Il sindaco Giovanni Ferrari cerca di ignorarlo. Poi interviene:
«Veramente ci viene chiesto solo un assenso di massima, poi sarà la conferenza dei servizi a sciogliere tutte le riserve. In ogni caso se il progetto dovesse andare in porto, l’autorizzazione sarebbe firmata dalla provincia, non da noi. Tranquillo.»
Minasi scuote la testa.
«Guarda che non mi prendi per il culo, Giovanni. Questo progetto puzza lontano un miglio, ne sono convinto. Solo perché ci sono di mezzo quegli affaristi dei Bettoni. Sanno che tra un pugno di anni dovranno smettere di utilizzare la cava e allora si preparano una via di fuga. Pensi che non lo abbiamo capito? Ci vuole poco per intuire a che cosa mirano quei bresciani: a rovinare la nostra terra!»
«Sì, vabbè» esclama ridendo il vicesindaco Gino Amalberti «parli come se San Maurizio e Casigliano fossero il tuo collegio elettorale.»
«Perché no? Guarda, Gino, che io i voti li prendo ovunque. Vero, Rino?»
Poi Beppe Minasi si volta verso Rino Chiappalone.
Ma Rino non risponde, è distratto.
Ferrari ne approfitta subito.
«Ascoltatemi bene. La pratica è già stata approvata in commissione consiliare, quindi può essere iscritta all’ordine del giorno della prossima seduta del consiglio comunale. Poco fa ho saputo dai consiglieri di minoranza che se la rimandiamo alla prossima volta sono pronti a dividersi tra approvazione e astensionismo. Non ci sono rischi di bocciature. Ma se succede qualche casino per causa vostra, dovrete vedervela col direttivo provinciale del partito.»
Due ore dopo, Ferrari aggiorna Dario Bettoni. Il sindaco giunge in auto presso la villa della famiglia, nelle vicinanze della cava. Niente telefonate: ha una paura fottuta delle intercettazioni, meglio vedersi di persona.
«Sentimi bene, Giovanni. Quattro anni fa, quando sei stato eletto e sei passato subito al primo turno, c’eravamo anche noi ad appoggiarti. Soprattutto perché avevi promesso che ti saresti sbarazzato di Minasi.»
«Ho fatto il possibile, Dario². Ma questo sfugge da tutte le parti. E poi c’è sempre, dietro le quinte, quel marpione dell’avvocato Tripodi che lo consiglia per benino.»
«Ho capito. Ma non credere che io, e con me tutta la famiglia Bettoni – e quando parlo di famiglia la estendo ai nostri dipendenti, e sono tanti, eh? – voti per quell’istrione di Minasi. Toglietevelo dalla testa, tu e il tuo partito. Hai capito?»
Da sempre la dinastia dei bresciani di Ventimiglia vota per quella fazione politica. Però Minasi non è la scelta ideale. E non è solo una questione di pelle. Quel venditore di bibite proprio non lo riescono a sopportare: troppo populista, maneggione, il classico marpione acchiappa consensi.
«Guarda, nulla è perduto. Per l’anno prossimo stiamo lavorando su altri candidati. Amalberti è giovane, ma potrebbe essere l’uomo ideale per noi.»
«Stammi bene a sentire. A me importa che quel progetto venga approvato presto. Se la pratica è a posto, non potete rimandarla a chissà quando. Abbiamo degli investimenti da fronteggiare, dobbiamo procedere.»
«Stai tranquillo» gli risponde Giovanni. «Giovedì prossimo la pratica verrà approvata. Poi dovrete sollecitare voi la conferenza dei servizi in regione.»
«Su quel fronte» dice Dario Bettoni «non abbiamo problemi. Abbiamo i nostri canali.»
Per il sindaco è facile ottenere le informazioni di prima mano dai consiglieri regionali dello stesso partito, o di quello avversario. L’importante è che non si tratti di persone della cerchia di Minasi: quelle proprio no.
Giovedì sera, la discussione dedicata al progetto viene portata a termine nel giro di un’ora scarsa. Pochi presenti tra il pubblico, nessun cenno di dissenso. Qualche minuto prima della votazione Minasi e Chiappalone se ne vanno.
In fondo alla sala del consiglio comunale, Andrea Bettoni segue tutto lo sviluppo fino al voto conclusivo che si rivela unanime. Scruta i due consiglieri in completo gessato che se ne vanno fingendo indifferenza. È soddisfatto per l’esito. Ma non basta.
2
Qualche anno dopo
Il maresciallo Ruggeri della finanza, distaccato presso la procura della repubblica di Sanremo, beve un caffè al banco del bar del tribunale. Il secondo della mattina.
Poi affronta la fila di scale per raggiungere l’ufficio del sostituto procuratore Carlo Demarchi.
Qualche minuto dopo, nota il magistrato seduto alla scrivania, intento a rileggere le relazioni di servizio sull’incendio. Carlo, sentendosi osservato, alza lo sguardo verso il maresciallo, poi:
«Che ne dici? Lo chiamiamo questo Perrotta e vediamo cosa ci dice?»
«Dottore, lo ha sentito informalmente stanotte.»
«Informalmente è l’avverbio giusto, Guido.»
«Ma crede che sia già pronto per ricostruire i fatti?»
«Non credo proprio. Per ora conduciamo noi le indagini, ma è probabile che altri si aggiungano o ci sostituiscano. Tutto da verificare, ovviamente.»
«Altri chi?»
«Un’altra procura della repubblica.»
È possibile che intervenga la Direzione distrettuale antimafia della procura della repubblica di Genova, se quell’attentato fosse riconducibile alle locali di ’ndrangheta.
«Perché?»
«Entra in ufficio e ti spiego tutto.»
Mezz’ora dopo, il maresciallo Ruggeri è in auto per raggiungere Tullio Perrotta nella sua villa di Vallecrosia.
Demarchi consulta sul pc l’archivio della camera di commercio. Non gli interessa rileggere la visura camerale di AgriLiguria: lì di certo non è scritta la soluzione. La composizione societaria si limita al solo Tullio Perrotta e alla moglie Angela Giusti.
Prova a riflettere.
Guarda l’orologio sulla parete.
Si alza dalla poltrona. Prende una cialda dal vicino scaffale e si prepara un caffè. Poi inizia a fare alcune telefonate.
Sull’auto guidata da Ruggeri, Perrotta ripensa ai fatti della notte scorsa. Cerca di riordinare le idee. Le pochissime ore di sonno non aiutano la sua lucidità: deve calmarsi per potersi concentrare e affrontare l’incontro col dottor Demarchi.
Il maresciallo gli ha detto che si tratta di un colloquio preliminare come persona informata sui fatti. Non è prevista l’assistenza dell’avvocato, non ci saranno iscrizioni nel registro degli indagati.
Le indagini sono ancora alla fase iniziale, non deve temere un bel niente. Eppure non convince nemmeno se stesso ripetendo quelle frasi fra sé e sé.
La notte scorsa ha discusso parecchio con sua moglie a proposito di quel maledetto incendio. Lei gliene ha dette di cotte e di crude.
«Dimmi come stanno le cose!» urlava in camera da letto. «Lo so benissimo, con quei maledetti accordi con i piemontesi, con tutto quel casino in cui sei andato a cacciarti. Lo sapevo che andavi a impelagarti con quei doppiogiochisti.»
«Cercavo solo di ottenere buoni affari.»
«Sì, con gente capace di prenderti per il bavero, di ottenere tutto, anche le percentuali. Cosa hai combinato? È vero che siamo nei guai fino al collo?»
La compagna ricorda bene tutti quei viaggi a Vernante, i pagamenti in nero, gli accordi sotterranei. Adesso tutti i nodi vengono al pettine.
L’auto si ferma davanti all’ingresso principale della procura della repubblica.
Carlo Demarchi è solo nel suo ufficio.
Ha le mani sulla tastiera del pc, pronto a scrivere le dichiarazioni di Perrotta.
Tullio sale le scale con il cuore pesante e si immobilizza davanti alla porta del dottor Demarchi. Bussa e attende un cenno di assenso per entrare.
Il colloquio inizia.
I primi cinque minuti scorrono nei soliti convenevoli necessari per distendere e mettere a suo agio l’imprenditore dei rifiuti vegetali: dopotutto in una notte, con quell’incendio, ha perso un patrimonio considerevole. Poi il flusso delle richieste si fa incalzante.
Perrotta mantiene calma e freddezza. Misura le parole con equilibrio, non si mostra reticente.
Racconta la sua versione dei fatti. E si sofferma sull’allarme non collegato.
«Con la telecamera? E il collegamento con una stazione dei carabinieri? No, mi scusi dottore. Ma non voglio essere di disturbo» gli dice l’imprenditore.
«Ma il recupero del verde vegetale per contribuire alla raccolta differenziata non è un prodotto superficiale, ha pur sempre un valore di mercato.»
«Questo è vero. Ma non vendo chissà cosa.»
«Però lei dispone di parecchi canali di vendita e acquisto.»
«Le solite operazioni di business. Ancora non comprendo le ragioni dell’incendio di stanotte.»
Demarchi lo scruta. Poi gli punta lo sguardo dritto negli occhi. Ed estrae da una cartellina sulla scrivania alcuni fogli porgendoli a Perrotta.
«Cosa mi dice di questi rapporti commerciali? E di questa società creata un anno fa?»
Tullio legge la traduzione di un certificato del Centre régional d’investissement di Rabat.
«Abbiamo ricevuto questo certificato direttamente dal Marocco. Perché non me ne ha parlato, Perrotta? Mi vuole spiegare come si inserisce questo suo rapporto societario in Marocco con AgriLi-guria?»
3
Qualche anno prima
Preferisce raggiungere Vernante servendosi della strada più lunga, l’autostrada per Torino. Era più facile salire lungo il percorso italo-francese della Vallée du Roya, ma sceglie di arrivare direttamente da Cairo Montenotte.
Il luogo dell’incontro è una carrozzeria all’uscita dal centro urbano. Parcheggia l’auto vicino a un villaggio condominiale: sui muri nota le riproduzioni di alcuni disegni di Pinocchio col gatto e la volpe, e con il buon Geppetto.
Da lontano scorge l’insegna della carrozzeria. Vede un giovane in tuta poco più che ventenne, magro e scattante, con lo sguardo sveglio.
«Buongiorno. È lei il signor Dogliotti?»
«Sì, sono io.»
«Bene, venga con me. La stanno aspettando.»
Maurizio segue il giovane carrozziere. In fondo al locale c’è una piccola porta che dà su una scala a chiocciola.
«Ecco, questo è il percorso. In fondo al corridoio, mi raccomando.»
Maurizio affronta la scala. Compie il gesto senza pensarci e in pochi istanti è di fronte alla porta che, una volta varcata, cambierà la sua vita per sempre.
«Così, con questo nuovo impianto potete triturare tutta la legna degli alberi e trasformarla in energia. Giusto?» gli domanda Nello Condoluci, proprietario della carrozzeria, punto di riferimento di una rete di imprenditori del basso Piemonte e capo di una locale di ’ndrangheta a Carasco, vicino a Cuneo.
Indossa la tuta della carrozzeria che non riesce a nascondere il suo fisico corpulento, a furia di concedersi i piatti più succulenti della cucina calabrese. Unico vezzo, la tinta scura ai capelli per illudersi di essere un po’ più giovane rispetto ai cinquant’anni appena compiuti.
«Non solo il legname dei boschi, con quello mica riusciremmo a sopravvivere» dice Dogliotti.
«Quindi avete bisogno di tanta legna.»
«Va benissimo anche il legname dei mobili di scarto. È vero, c’è la vernice sulla superficie, ma tanto non se ne accorge nessuno. Con i parametri validi attualmente, possiamo far bruciare tutti i tipi di legno. Quelli del ministero non si fanno scrupoli. Basta che sia legno e che produca energia, così che possiamo rivenderla.»
«Ecco. È questo che mi interessa. Voi siete pronti a prendere il legname, a lavorarlo e a ricavarne energia elettrica, che poi rivendete alla solita società pubblica.»
«Non solo a loro. Ci sono tante imprese sul mercato. Siamo pronti a piazzare il prodotto a chi fa i prezzi migliori.»
«Questo è un bel vantaggio anche per loro.»
«Proprio per questo si ottengono i certificati verdi. Le compagnie elettriche italiane sono stimolate, con incentivi dello Stato, ad acquistare quote percentuali di energia prodotta da fonti alternative. Gli impianti a biomasse sono la fonte alternativa per eccellenza.»
Un’occasione utile per creare nuovi affari. Il carrozziere già prefigura la possibilità di ottenere un canale preferenziale per