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Nelle viscere di Bologna: Un'indagine di Galeazzo Trebbi
Nelle viscere di Bologna: Un'indagine di Galeazzo Trebbi
Nelle viscere di Bologna: Un'indagine di Galeazzo Trebbi
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Nelle viscere di Bologna: Un'indagine di Galeazzo Trebbi

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23 maggio 2005, San Mauro Mare, durante un appostamento Trebbi e il suo amico e collega Giorgio Vincenzi rimangono coinvolti in un conflitto a fuoco con alcuni criminali albanesi, Vincenzi muore e Trebbi rimane gravemente ferito. 23 Maggio 2017 Trebbi si reca alla Certosa per l’anniversario della morte dell’amico e incontra gli ex colleghi che non gli hanno perdonato la morte di Vincenzi ritenendolo in parte responsabile. Inizia in questo modo la nuova indagine di Trebbi fra passato e presente, rimorsi e sensi di colpa. Trebbi accoglie la richiesta di aiuto di un altro vecchio amico che gli chiede di rintracciare una donna scomparsa e come spesso accade le vicende si intrecciano. Indagando sulla scomparsa della donna Trebbi si ritroverà ad affrontare vecchi fantasmi e avrà la possibilità di fare pace per sempre con i propri demoni facendo luce finalmente sulle vere cause della morte di Giorgio Vincenzi.

Massimo Fagnoni. Classe 1959, bolognese, laureato in Filosofia, ha lavorato a lungo nei servizi sociali e psichiatrici della sua città. Dal 2002 fa parte della Polizia Municipale di Bologna. Dalla collaborazione con le forze dell’ordine è nato il desiderio di narrare storie noir.
È autore di:
«Bologna all’Inferno» 2010, Giraldi editore.
«La ragazza del fiume» 2010, 0111 edizioni.
«Belva di città» 2010 Eclissi editore, primo romanzo della serie del maresciallo Greco che nel 2011, ha vinto il primo premio al concorso letterario «Lomellina in giallo».
«Cielo d’agosto» 2012 Eclissi editore, secondo romanzo della serie del maresciallo Greco.
«Solitario bolognese» 2013. Giraldi editore
«Lupi neri su Bologna» 2013, Minerva Edizioni.
«Il silenzio della bassa» 2014, Fratelli Frilli Editori.
«Vuoti a perdere» 2015 Eclissi Editrice.
«Bologna non c’è più» 2015 Fratelli Frilli Editori, primo premio al concorso letterario
I Sapori del giallo, poliziotti che scrivono.
«Bolognesi per caso», racconti. 2016 Giraldi Editore.
«Il giallo di Caserme Rosse». 2016. Fratelli Frilli Editori
«Il ghiaccio e la memoria». 2017. Minerva Edizioni
«Il bibliotecario di via Gorki». 2017 Fratelli Frilli Editori
«La consistenza del sangue». 2018 Giraldi editore.
«Ombre cinesi su Bologna». 2018 Fratelli Frilli Editori
«Tutti giù per terra».2020 Minerva Edizioni
LanguageItaliano
Release dateSep 17, 2020
ISBN9788869434686
Nelle viscere di Bologna: Un'indagine di Galeazzo Trebbi

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    Nelle viscere di Bologna - Massimo Fagnoni

    Uno

    23 maggio 2005, nei dintorni di San Mauro Mare

    La percezione della realtà è una convenzione per non impazzire definitivamente; è la cosa più soggettiva che esista e Trebbi lo sa bene, perché solo chi è sopravvissuto a qualsiasi accadimento traumatico può cercare di ricostruire l’esatta sequenza, anche se alla fine non ci riuscirà mai compiutamente. La notte era perfetta, a una decina di metri il mare rumoreggiava e Trebbi sentiva addosso l’umidità della sera di maggio, gli bagnava i peli degli avambracci, rinfrescandogli i pensieri e l’aria sembrava più pulita, entrando e uscendo dai polmoni con quel profumo che solo al mare si respira, reti umide stese sulle barche dei pescatori, alghe stagnanti sulla riva e friggitorie di pesce aperte sul lungomare. C’è questo luogo comune in voga in diverse religioni che dopo la morte esista un’altra vita, un paradiso e un inferno per i cattolici e settantadue vergini nel paradiso islamico. Trebbi non ci crede, non ha mai capito questa cosa della fede, lui è convinto che prima sei vivo, respiri, desideri, mangi, fai sesso, poi nel momento in cui timbri il cartellino saluti la compagnia e diventi carne morta, buona per ingrassare la terra al massimo o alimentare un qualsiasi forno crematorio. Trebbi l’ha vista la morte in faccia diverse volte e ha l’insana capacità di metterla in conto, di prevederla, di anticiparla, e quella sera sapeva che la situazione era brutta e complicata, niente cavalleria di supporto, niente rete per attutire la caduta. A cinque metri da Trebbi, a coprirgli le spalle, c’era Vincenzi, stava masticando una gomma e si guardava intorno nervoso, lui non voleva quella gita, gli era subito sembrata un’idea balzana, alla Trebbi appunto, accidenti a lui e ai suoi informatori, ma l’aveva seguito perché un amico non si lascia mai solo, un partner a volte è per la vita e loro lavoravano insieme da troppi anni.

    Gli sguardi dei due uomini si incrociarono, Trebbi vide luccicare l’umidità della sera fra i baffi di Vincenzi o forse era solo sudore. La costruzione si affacciava sulla spiaggia deserta di maggio e Trebbi pensò che avrebbe sempre voluto una villetta sul mare, magari appena fuori paese come quella, isolata ma vicino ai negozi, un posto dove potere passare l’estate con Nilde e Irene.

    Scacciò l’immagine di moglie e figlia dalla testa, non c’è nulla di peggio dell’amore per un poliziotto, non è tanto la paura di morire ma la consapevolezza di chi lasceresti a piangere e arrabattarsi per il resto della vita. C’erano lui, la Beretta umida di salsedine nella mano destra e Vincenzi a coprirgli le spalle a pochi metri dietro, con i baffetti frementi e umidi e lo sguardo torvo di chi l’aveva detto che era una minchiata arrischiarsi fino al mare per seguire una pista albanese, una di quelle brutte.

    La casa era bassa, affacciata sul mare, uno di quei prefabbricati che fanno tanto fiera del fai da te, o cottage americano, ma a Trebbi sarebbe piaciuta una sistemazione anche temporanea in una villetta come quella, a pochi passi dalla riva, poco importa se il mare di San Mauro è un mare così così, sabbioso e torbido di depuratore, basso per un centinaio di metri con quegli scogli artificiali che servono a preservare la costa ma fanno tanto spiaggia di plastica, però il rumore della risacca è sempre quello, uguale in tutte le spiagge del mondo, simile l’umidità della sera, e anche la puzza delle alghe putrescenti e bavose che l’indomani qualche solerte bagnino avrebbe fatto sparire, perché era fine maggio e fra poco le spiagge sarebbero tornate a popolarsi. Trebbi pensava alla canzone di Renato Zero, spiagge, uno dei pochi brani che apprezzava del cantante romano e sorridendo mise il colpo in canna cercando di fare meno rumore possibile, sentì il clic dell’arma di Vincenzi, si voltò, gli strizzò l’occhio e Vincenzi gli sillabò muto un va a farti fottere. Trebbi si diresse, piegato, verso la finestra della villetta illuminata e in quel momento scoppiò l’inferno, un piccolo inferno in terra, la dimostrazione concreta della caducità della vita umana e per Trebbi dell’assoluta inesistenza di un qualsiasi Aldilà. Trebbi vide lampi di luce roventi provenienti da un angolo della casa e si gettò a terra rotolando oltre il camminamento illuminato che conduceva all’ingresso e sparò senza fretta, come gli avevano insegnato, due colpi, poi si girò rotolando ancora e controllando con la coda dell’occhio Vincenzi che si era spostato dietro un cassonetto della spazzatura e sparava verso le luci.

    «Polizia» urlò Trebbi «gettate le armi» la voce era potente, il tono fermo.

    «Fottiti» gli urlarono di rimando in una pausa della sparatoria tanto lenta da sembrare al rallentatore.

    Trebbi rifletté velocemente sulla sua posizione, era seminascosto dietro una siepe del giardino, protetto da un muretto di pietra, uno di quelli bassi che delimitano le aiuole, aveva circa dieci colpi nell’arma e altri due caricatori da quindici in tasca, non aveva idea di dove spostarsi o chi chiamare in tempo utile per salvarsi la pelle. Pensò a sua moglie Nilde, a sua figlia Irene, al fatto che era impensabile telefonare a casa ora, ma forse aveva senso chiedere aiuto, estrasse il cellulare e schiacciò 112, perché i carabinieri sono ovunque, i poliziotti no.

    «Carabinieri» il tono era assonnato, l’intonazione meridionale.

    «Sovrintendente Trebbi» sussurrò veloce «richiedo ausilio, ci stanno sparando addosso, albanesi, siamo a San Mauro Mare, appena fuori paese, viale dei Glicini 20, una villetta…».

    Le detonazioni ricominciarono, un proiettile colpì l’aiuola e il basso muretto, schegge di silicio gli penetrarono la guancia, ferendogli un occhio, il cellulare gli sfuggì di mano, Trebbi intuì, con l’occhio ancora illeso, un’ombra muoversi veloce a una decina di metri, si inginocchiò e sparò d’istinto come tante volte aveva fatto al poligono, sentì un urlo, vide l’ombra cadere e subito sparò verso la casa dove sentì passi veloci sul piancito in legno e vide grossi barili volargli davanti, non capì da dove arrivassero, non sentì più nemmeno i suoni come se stesse sparando con le cuffie, poi avvertì l’urto alla spalla, all’anca, alla schiena, calci di mulo, talmente forti da non fare male, gli spezzarono il fiato, piegandogli le gambe e precipitò in un pozzo nero, senza fondo, senza luce, l’inferno muto degli sbirri senza fede.

    Due

    23 maggio 2017 Bologna

    1.

    Trebbi si ridesta, bagnato di sudore, nessuno scatto, nessun movimento brusco, sveglierebbe Angela, lei ha il sonno leggero, si è abituata ai suoi risvegli angosciati e sudati, li ha messi in conto, considerandolo come il reduce di una qualsiasi guerra, non conosce tutti i segreti del suo uomo, ma si accontenta di quelli che lui decide di confessarle di tanto in tanto.

    Trebbi si siede a bordo letto, la t-shirt è bagnata di sudore anche se è una serata fresca, i rumori entrano quieti nella loro camera da letto, sono i trambusti di una Bologna notturna e sempre più aliena, sempre più straniera. Si alza e si dirige verso la cucina sfilandosi la maglietta, fa una brevissima sosta in bagno per urinare e gettare la t-shirt nella cesta della biancheria sporca, poi si lava le mani tremanti, la faccia madida, si ritrova nella sala con angolo cucina che occupa una porzione importante della loro casa, chiude la porta, sperando di non svegliare Angela, e dopo avere aperto il frigorifero riflette su cosa potrebbe bere, poi decide di improvvisare un Cuba libre, con coca zero, mezzo limone e una dose abbondante di Havana sette anni, poi si butta sul divano e accende la televisione.

    Miracolosa la televisione, c’è sempre qualcosa da guardare alle tre di mattina e oggi non ha impegni lavorativi, ma solo un anniversario, uno di quelli inevitabili.

    Oggi sono dodici anni.

    Ricorda ancora le sedute dallo psichiatra convenzionato con la polizia di Stato, come si chiamava?

    Atti, Gualtiero Atti, un tipo segaligno, forte fumatore e persona poco incline al sorriso, poco empatica nel complesso, ma fu lui a risolvergli l’enigma dei barili e gli spiegò la sua sordità nel momento dell’azione. Non arrivava a capo di quella intrusione percettiva, i barili che gli avevano attraversato il campo visivo, i barili poi scomparsi dalla scena del conflitto a fuoco.

    Lo psichiatra arrivò in poche battute a svelargli la verità, gli fece chiudere gli occhi riconducendolo attraverso una condizione quasi ipnotica a quella scena e Trebbi riuscì a leggere una sigla numerica sui barili, che allora aveva solo intuito, 9x21, una sigla che lui conosceva bene perché è incisa nel fondello dei proiettili della sua pistola. Lo psichiatra, accendendosi l’ennesima MS, guardò Trebbi da sopra gli occhialini a mezza luna e mosse il collo lungo e rugoso avanti e indietro, poi sputò il fumo.

    «Non erano barili quelli che ha visto volarle davanti, ma i bossoli della sua pistola che venivano espulsi, una semplice distorsione visiva tipica di un momento di forte stress, come la ipoacusia, sono sistemi difensivi che l’uomo attiva quando sta rischiando la vita in un conflitto a fuoco, ad esempio, in battaglia, durante un cataclisma, è come se il cervello si rifiutasse di fare passare tutta la realtà e creasse dei filtri, chiudendo l’audio ad esempio, come a volta facciamo quando in televisione passano suoni troppo disturbanti, poi esiste il classico tunnel percettivo, cioè una visione tubolare rappresentata da una riduzione del campo visivo periferico».

    «Quindi quei barili erano i bossoli della mia Beretta?» chiese Trebbi incredulo.

    «Esatto, e probabilmente li avrà anche visti volare al rallentatore, perché è un’altra delle possibili conseguenze, lei deve immaginare di essersi trovato come in un sogno, uno di quelli concitati, dove i suoni non sono necessariamente previsti, il tempo si muove con un ritmo suo, la percezione del mondo è fortemente condizionata da un’elaborazione automatica del sistema empirico che domina il sistema razionale, soprattutto perché è più facile da gestire, lei ha rischiato fortemente di morire e in qualche modo una parte del suo cervello ha elaborato tale messaggio e ha agito di conseguenza, trasformando la realtà per aiutarla a fare il grande passo, è ciò che succede a chi sta per morire in un incendio, o affogato, il nostro cervello interviene per rendere più lieve la fine».

    Trebbi ha memorizzato alcune di quelle conversazioni con lo psichiatra e ne ha fatto tesoro, ne ha trascritte altre di quelle perle di saggezza per non dimenticarle e anche se in alcuni momenti pensa siano sciocchezze, in linea di massima ci crede, perché lui li ha visti davvero quei barili volargli davanti prima di essere colpito quasi a morte. Trebbi rimase in ospedale per alcuni mesi, i primi trenta giorni in coma indotto per farlo soffrire meno e favorire la guarigione. Un proiettile aveva bucato un polmone e fu salvato dai soccorsi quasi immediati che lui era riuscito ad attivare con quell’unica telefonata ai carabinieri, un bravo medico capì subito le sue condizioni e gli praticò un drenaggio, posizionando un sondino con catetere attraverso la parete toracica, inoltre Trebbi era stato colpito alla spalla da un proiettile fuoriuscito dall’altra parte senza ledere organi interni, ma la ferita più complicata risultò quella al bacino, con conseguente frattura del femore e successivo intervento chirurgico che comportò un allungamento dei tempi di guarigione.

    Prima dell’intervento insorse la necessità di stabilizzarlo perché le diverse ferite pur non essendo mortali avevano compromesso la normale funzionalità degli organi interni a causa del dissanguamento importante. Trebbi riemerse dal buio totale solo un mese e mezzo dopo, fra coma indotto e terapia del dolore con morfina e altri antidolorifici, e il suo fu un ritorno dal paese delle ombre nel quale aveva galleggiato per tutto quel tempo in uno stato di incoscienza non ricostruibile, e ancora oggi crede di rivivere quella condizione di non vita e non morte solo attraverso i sogni e nel complesso considera quel periodo come uno dei più rilassanti della sua vita.

    Non ha memoria della presenza quotidiana di sua moglie e delle frequenti visite di sua figlia che nel 2005 aveva tredici anni ed era ancora pulita, dentro e fuori, anche se cominciava a manifestare i primi segni di insofferenza adolescenziale, lui spesso si chiede se il suo ferimento non abbia contribuito a traumatizzare moglie e figlia creando quel senso di insicurezza tipico di chi sopravvive per caso a un disastro. In televisione stanno trasmettendo uno dei film della sua giovinezza, 48 ore con Eddie Murphy e Nick Nolte. Trebbi conosce il film a memoria e ogni volta sta male mentre rivede la scena dell’albergo dove due poliziotti, colleghi di un giovane Nick Nolte, vengono freddati da due cattivi d’annata, James Remar e Sonny Landham. Sta male ma non riesce a non guardare sperando ogni volta in un diverso esito della sparatoria e consolandosi poi con l’evoluzione della trama e la simpatia di Eddie Murphy. Il film scorre con il consueto ritmo che conosce bene e Trebbi decide di fumare un Toscanello, si siede nel piccolo terrazzo a respirare aria sporca di città, è già caldo, troppo caldo per essere maggio. Trebbi pensa con una leggera apprensione al consueto tema dell’effetto serra, non ci ha mai creduto davvero, trovandolo buono per meteorologi privi di argomenti e politici ecologisti, ma ultimamente avverte il cambiamento, l’inverno è scivolato via senza una vera nevicata, ma anche senza piogge, in Emilia stanno già parlando di emergenza siccità e per quanto lui detesti la pioggia deve ammettere che progressivamente negli ultimi anni gli inverni sono stati sempre meno freddi e piovosi e si immagina vecchio e accaldato, senza fiato e senza energie in una Bologna umida come Calcutta e senza speranza. Per fortuna in strada c’è una distrazione, due nordafricani ubriachi stanno dandosele di santa ragione urlando improperi nella loro lingua gutturale. Trebbi rimane come incantato a osservare i movimenti rallentati dei due giovani che con una certa metodicità si colpiscono con pugni approssimativi al viso e al corpo, fanno movimenti larghi con le braccia e nonostante la lentezza con la quale si muovono riescono alternativamente a colpirsi, rimanendo barcollanti e sanguinanti. Animali di città, si sfogano e non osa immaginare cosa farebbero a un qualsiasi cittadino di passaggio incapace di difendersi o fuggire.

    C’è una nuova fauna in città pensa tristemente Trebbi e dopo avere spento il Toscanello decide di tornare a dormire, fra poche ore dovrà incontrare una consistente parte del suo passato anche se non ne ha nessuna voglia.

    2.

    Tante volte si è ripromesso di andarci in Certosa, a trovare l’amico, e in realtà una volta ci ha anche provato, era il giorno dei morti, la sua giornata dedicata a Nilde, come se fosse possibile ricordare una parte indispensabile della propria esistenza nello stesso giorno di tutti gli altri cristiani.

    Lui Nilde se la porta dentro sempre, con lei parla, nei momenti peggiori, nei momenti migliori si ferma da qualche parte e si fa una bella chiacchierata con l’unica donna che abbia davvero amato in tutta la vita. Trebbi pensa che la sua vita non sarà abbastanza lunga da ritenersi memorabile, non crede che arriverà a diventare tanto anziano, qualcuno magari deciderà di farlo fuori prima, negli ultimi anni ha rischiato spesso. Quel giorno dei morti nel quale aveva deciso di andare a portare alcuni girasoli sopra la tomba di Nilde, perché adesso i girasoli li puoi trovare anche in novembre, come le fragole, o le ciliegie, ecco quel giorno si era messo di impegno a trovare la nicchia dell’amico, ma non aveva la mappa, perché la Certosa è una piccola città, e lui si ricordava vagamente una scala, e due corridoi, ma dopo una mezzora persa a vagare fra corridoi ingombri di parenti più o meno dolenti intenti a cambiare fiori, in silenzio, più o meno, decise che era giunto il momento di andare da lei. La fotografia di Nilde, quella che lui ha voluto sul loculo, raffigura una Nilde felice, giovane, lui scattò quella istantanea durante una gita in Vespa verso Cattolica. I suoi capelli erano scuri, come i suoi occhi spesso sorridenti e non c’era nulla da temere, solo cose belle, solo progetti buoni, non c’era ancora Irene, ma entrambi sapevano che sarebbe arrivata, che qualcuno avrebbe completato la famiglia, rendendola un’entità per la quale sarebbe valsa la pena vivere, lavorare, fare sacrifici e tutte quelle scelte che compongono l’esistenza di una normale famiglia italiana.

    Trebbi si ritrovò di fronte a quel marmo muto e i suoi pensieri, le sue parole erano rivolte alla donna che aveva dato un senso, più del lavoro, più delle donne conosciute prima, durante, dopo, perché lei era l’unica che l’aveva fatto sentire a casa.

    Forse oggi, mentre parcheggia il Maggiolone a un centinaio di metri dalla Certosa, sente che Angela è un’opportunità, Angela lo ha accolto, ha quella qualità nello sguardo, quella tenerezza nelle carezze, che solo Nilde aveva, sono così poche le persone per le quali vale la pena vivere, sospira Trebbi e chiede perdono a Nilde di avere ancora una speranza.

    Poi li vede.

    I suoi colleghi, i suoi ex colleghi.

    I colleghi sono una razza strana per Trebbi.

    Li ricorda uno per uno, e per alcuni di loro ha anche creduto di provare affetto, con alcuni si è anche ubriacato, confidato, ha ascoltato telefonate imbarazzate con l’ex moglie di uno, l’amante di un altro, magari durante un appostamento, uno di quelli lunghi, notturni e puzzolenti di sigarette, caffè caldo di termos e aliti definitivamente cattivi.

    I colleghi sono una categoria dell’esistenza, una di quelle che non puoi evitare se sei un poliziotto, o

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