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Omicidio in darsena
Omicidio in darsena
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Omicidio in darsena

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About this ebook

La notte prima di Ferragosto, a Savona, è molto movimentata. Si è nel pieno della stagione balneare, la gente balla e si diverte e in mare galleggiano migliaia di “lumetti” messi in acqua uno ad uno dai bagnanti e portati al largo dalle correnti. Ma il magistrato Ludovica Sperinelli non può godersi il giorno di festa perché il ritrovamento del cadavere di un annegato, un rocambolesco incidente d’auto e la scoperta di uno sconosciuto assassinato a colpi di pistola sconvolgono la “movida” che anima la zona portuale della città. Omicidio in Darsena è il quarto noir che vede all’opera il collaudato pool di investigatori, già protagonisti di Delitto alla Cappella Sistina, Morte al Chiabrera e La sala nera. Con loro una miriade di personaggi dalle caratteristiche contrastanti: spacciatori senza scrupoli, un magistrato pasticcione, una bionda con un abito leopardato, un professore con l’hobby del disegno, una madre preoccupata. Tra Savona e la Costa Azzurra, il Sostituto Procuratore Sperinelli e i suoi collaboratori dovranno dipanare la complessa matassa di indizi e trovare i responsabili dei tremendi delitti.
LanguageItaliano
Release dateJan 14, 2016
ISBN9788869431128
Omicidio in darsena

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    Omicidio in darsena - Fiorenza Giorgi

    CAPITOLO 1

    Il cadavere galleggiava in mare, nell’acqua nera che sembrava velluto, tanto era tranquilla e invitante. Era prono, con il volto affondato in giù, braccia e gambe leggermente divaricate. Non dava un’impressione troppo macabra, sembrava fosse qualcuno che si rilassava, lasciandosi trasportare dai movimenti quasi impercettibili della corrente e godendosi la pace profonda di quell’ora notturna.

    Un esperto avrebbe potuto spiegare che, con ogni probabilità, non era morto per annegamento, proprio perché galleggiava: l’epiglottide si era occlusa naturalmente e l’acqua non aveva potuto entrare nei polmoni. La poca aria rimasta garantiva al corpo quella posizione ambigua, a metà tra cielo e mare. Gli annegati, invece, finivano a fondo, gravati dal peso dell’acqua, e li si ritrovava chissà quando e chissà dove, portati a caso dalle correnti, seguendo il capriccio dei venti marini.

    L’oasi di calma e silenzio che circondava il corpo faceva sembrare grottesca l’atmosfera elettrizzante che pervadeva Savona nella notte bianca di Ferragosto.

    Illuminata a festa, la città, resa vivace e cosmopolita da amministratori lungimiranti, viveva in quelle ore il culmine dell’animazione estiva. La gente si accalcava nelle strade dove erano stati organizzati molti tipi di intrattenimento, dal mercatino africano ai concerti, dal body painting agli spettacoli di illusionismo. I parcheggi sotterranei erano strapieni e centinaia di persone si erano riversate nei luoghi più cool, in particolare la darsena, rimodernata e rilanciata, ormai diventata il fulcro di ogni evento. Poco distante anche la sagoma massiccia del Priamar era costellata di luci, mentre la rampa di accesso quasi non riusciva a contenere l’andirivieni di gente che saliva e scendeva. Una parte della fortezza, il Palazzo della Sibilla, era stata attrezzata per ospitare una sfilata di moda, mentre dall’altro lato, nel piazzale del Maschio, stava per andare in scena un’opera lirica, L’elisir d’amore di Donizetti.

    Il giorno, in agosto, è lunghissimo e alle dieci di sera c’è ancora qualche traccia di luce. Per questo i bagni della zona avevano concordato di aspettare il più possibile, fin quasi alle undici, prima di dare il via a quello che per loro era il vero evento della sera di Ferragosto: la festa dei lumini, tradizione antichissima ora diventata modaiola e di cui si erano ormai smarrite le origini.

    Una volta fattosi completamente buio, la gente posava in acqua centinaia di barchette di carta, ognuna delle quali conteneva un lumino acceso. La corrente portava via i fragili navigli e li disperdeva per tutto il golfo, illuminando il mare con uno spettacolo da togliere il fiato.

    Anni prima i lumini erano di carta bianca e contenevano piccoli cilindri di cera, ma qualcuno aveva sostenuto che, disperdendosi per ogni dove, avrebbero creato danni all’ecosistema marino, soffocando i fondali. Gli organizzatori avevano cercato una soluzione alternativa e, dopo una fase di stallo in cui la festa aveva rischiato di essere cancellata, avevano trovato una fabbrica polacca che produceva lumi di soia, completamente biodegradabili e ciò aveva permesso ai savonesi di mantenere la bella tradizione.

    Si trattava di un evento che stava a cuore a molti, anche a quelli che, invece di parteciparvi direttamente, dopo il tramonto guadagnavano le alture che circondavano la città per godersi lo spettacolo nella sua interezza e magari tentare qualche foto artistica del mare invaso di luci.

    La spiaggia era gremita di gente. Gli stabilimenti balneari avevano organizzato momenti di animazione e i bagni Wendy, sul lungomare di corso Colombo, poco distanti dal Prolungamento a mare, non facevano eccezione: per attirare gli ospiti avevano allestito un ricco rinfresco dopocena a base di frutta, gelati e bibite. Molti tra i partecipanti erano clienti abituali, come ad esempio Elisa Piombo, la giovane segretaria della Procura, che frequentava la struttura sin dall’infanzia, e che quella sera aveva voluto partecipare con il fidanzato.

    – Vedrai, ti divertirai – gli aveva detto.

    Lui si era arreso subito. Si sarebbero sposati di lì a poco, dopo una lunga storia complicata e una dolorosa separazione, e non voleva scontentarla.

    I due si erano preparati un cestino con la cena ed erano andati a mangiare vicino alla risacca, guardando il sole tramontare e chiacchierando di tutto e niente, fin quando si era fatto buio e il giovane, un africano dalla pelle nerissima, aveva iniziato a confondersi con l’oscurità.

    – Ormai si vedono solo gli occhi e il sorriso! – aveva scherzato Elisa.

    – Quando saremo sposati, di notte camminerò per casa con una luce sulla testa, caso mai ti capitasse di spaventarti – la tranquillizzò lui.

    Lei gli si strinse contro. Stava per sposare l’uomo che considerava il migliore del mondo e ne era felice.

    – È quasi ora ormai, vedrai che tra poco s’inizia – gli disse, sorridendo.

    I bagni Wendy erano in trambusto. All’ingresso Lello Costiglione, titolare dell’esercizio, controllava attentamente chi entrava nello stabilimento. Erano ammessi anche ospiti occasionali, purché fossero presentati da qualcuno che garantiva per loro. Voleva evitare arrivassero dei balordi che avrebbero potuto guastare la serata ai bambini. Eh sì, perché la serata dei lumini era dedicata a loro, e fin da quando muovevano i primi passi li si portava volentieri, anche se sulla spiaggia male illuminata s’inciampava continuamente.

    Finalmente l’anziano gestore lasciò di guardia un addetto e scese verso la riva. Era venuto il momento. I ragazzini lo videro arrivare e, elettrizzati, gli si accalcarono intorno, perché era da sempre lui e solo lui a dar fuoco al primo lumino, consentendo così agli altri di fare altrettanto.

    Nell’improvviso silenzio, carico di attesa, l’uomo afferrò una piccola torcia preparata per l’occasione. Guardò le facce ansiose, aggrottando le sopracciglia, poi sul volto gli si disegnò un sorriso.

    – Accendiamo i lumini! – esclamò con voce allegra.

    La luce della torcia balenò nell’aria e subito alcuni si avvicinarono. Le prime fiammelle si stagliarono nel buio e immediatamente molte ne seguirono. Le mamme deponevano con cura gli involucri di carta nelle mani dei bambini i quali, a rapidi passetti, mantenendo il più possibile l’equilibrio, si avventuravano sulla battigia per appoggiare sulla superficie del mare il prezioso carico, consegnandolo alla corrente prima che si spegnesse.

    Quasi nello stesso momento in tutti gli stabilimenti balneari della zona si svolgevano analoghe operazioni. Già l’acqua si riempiva di mille minuscole scintille fiammeggianti, che lentamente guadagnavano il mare aperto, disponendosi ad anse in spettacolari autostrade di luce.

    Intanto sul bagnasciuga c’era una gran calca. Alcune madri, ben vigili, con i piedi in acqua e le braccia conserte, tenevano d’occhio i più piccini, per evitare che il mare li portasse via. Era, in effetti, una situazione non priva di pericoli, specialmente a causa dei ragazzi più grandicelli, che con grandi risate ed esibizioni di bravura rischiavano di vanificare i timidi sforzi dei più piccoli.

    In poco meno di mezz’ora tutti i lumini furono consegnati al mare.

    Tra la folla c’era una famigliola di Cairo, composta da genitori e due bimbetti vispi, venuti a Savona assieme a un gruppo di amici. I figli, entusiasti della novità, dopo aver posato sull’acqua un buon numero di lucine, vollero provare a mettere l’ultimo lumino ancora più in là, dove neppure i ragazzi più grandi riuscivano ad arrivare.

    – Come si fa, Alessio? – chiese il padre, desolato, al primogenito che insisteva. – Non possiamo volare!

    – Mi prendi tu sulle spalle – rispose convinto il ragazzino, cui evidentemente non faceva difetto il coraggio.

    – Ma sì, papà – insistette il minore, Lorenzo, che però mai avrebbe osato andarci lui – prendi Alessio in groppa, vai fin dove quasi non tocchi, poi lo tieni lontano lontano e lui posa la lucetta dove non è arrivato nessuno.

    La moglie non era d’accordo.

    – È pericoloso, Giacomo – disse al marito – con questo buio, non si vede niente…

    – Ma dai, stai tranquilla. È l’ultimo, lo mettiamo proprio là in fondo come vogliono loro, poi andiamo ad asciugarci e a bere qualcosa.

    Mentre parlava, l’uomo si tolse rapidamente camicia e pantaloni, rimanendo in costume, e in breve si ritrovò con Alessio ben saldo con le gambette attorno al collo. Pian piano, con prudenza, passò in mezzo alla gente e s’immerse camminando con precauzione sul fondo marino, fin quando l’acqua gli sfiorò il petto. A quel punto delicatamente sollevò il figlio, che teneva in mano un lumino acceso, e lo allungò verso il mare aperto.

    Il piccolo si ritrasse di scatto, con un’esclamazione soffocata.

    – Papà, cos’è questo? – la voce del bimbo tremava di paura.

    – Non so, non vedo, c’è buio… l’hai posato? – domandò l’uomo.

    – Sì ma… usciamo subito! C’è uno squalo!

    Giacomo rise tra sé, pensando che quando era a riva, al sicuro, il piccolo aveva dimostrato ben altra determinazione.

    – Va bene, tieniti stretto a me, rientriamo.

    In un attimo furono di nuovo all’asciutto. Alessio tremava da capo a piedi e la madre lo avvolse in un asciugamano.

    – C’era qualcosa in mare… – insistette lui, con lo sguardo fisso sulle onde. – Galleggiava vicino a me, forse l’ho anche toccato…

    Lorenzo, il fratellino, si strinse alle gambe della mamma.

    – Un mostro! Ho paura!

    – Su, state tranquilli. Non c’è nulla…

    – Ti dico di sì! – affermò ancora una volta Alessio.

    Il genitore sospirò. A volte il suo primogenito era esasperante. Rivolse lo sguardo al mare, dove i lumini correvano verso il largo, formando sciarpe di luce; aguzzando la vista, gli sembrò che effettivamente ci fosse una massa scura che galleggiava a pochi metri dalla riva, vicinissimo a dove era stato alcuni minuti prima con il figlio sulle spalle.

    Giacomo non aveva troppa voglia di bagnarsi ancora, ma che diamine, poteva ben accontentare il ragazzino, che gli costava in fondo? Non aveva paura dell’acqua, giacché era un esperto nuotatore e in gioventù gli era capitato spesso di fare il bagno di mezzanotte con gli amici.

    – Va bene – disse ad Alessio, cercando di rassicurarlo. – Ora torno là e guardo se c’è qualcosa, d’accordo? Magari con tutta questa confusione a qualcuno è scappato di mano un salvagente…

    – Sì, ma stai attento, che il mostro ti può mangiare – sussurrò preoccupato Lorenzo. – Portati questa, lo puoi colpire… – continuò serio, consegnandogli la paletta di plastica gialla con cui durante il giorno appena trascorso aveva scavato buche per tutta la spiaggia.

    Giacomo gli sorrise per tranquillizzarlo, accettò solennemente l’innocuo attrezzo, impugnandolo come fosse un’arma, poi tornò a immergersi nel tratto di mare dove era stato poco prima. Si mosse a suo agio nell’acqua d’inchiostro e in breve fu accanto alla misteriosa macchia scura.

    Proprio in quel momento la luna, rimasta fino allora nascosta dalla foschia che ingombrava l’orizzonte, fece capolino nel cielo e il cadavere gli si mostrò in tutto il suo orrore.

    CAPITOLO 2

    Era notte. I lumini correvano per il mare, di fronte alla città di Savona.

    Il gestore dei bagni Wendy poteva considerarsi soddisfatto: la gente si divertiva e lui si sentiva come un re. Era là tranquillo, a qualche passo dalla riva, vestito con una maglietta rossa da bagnino e un paio di bermuda scuri, a guardare quelli che si affollavano su e giù per la battigia portando tra le mani il prezioso carico. Lui, ormai, non era più incantato da quella ricorrenza, cui aveva partecipato così tante volte da perdere il conto.

    – Lasciate stare i più piccoli o vi sistemo io! – rimproverava burbero, ma con il sorriso, alcuni adolescenti che si divertivano a far spegnere le lucine dei bambini.

    Quelli ridevano, ma si guardavano bene dal riprovarci e così tutti, ma proprio tutti, avevano la possibilità di partecipare a quella sorta di rituale, che forse in tempi lontani era stato inventato per propiziare ai naviganti le forze degli abissi.

    A un certo punto il signor Costiglione fu avvicinato da un giovane. Sembrava spaventato e il suo viso pallidissimo contrastava stranamente con il corpo abbronzato e il costume in stile hawaiano.

    – Venga con me! – gli sussurrò concitato.

    – Che succede?

    – Presto! – insistette l’altro, afferrandolo per un braccio.

    Nel buio il signor Lello non vedeva bene il volto dello sconosciuto, ma la lunga esperienza in fatto di uomini fece sì che captasse, con singolare intuito, che era accaduto qualcosa di serio. Una rapida occhiata intorno, poi seguì il cliente, che quasi lo trascinava verso il mare.

    – C’è un tizio morto in acqua, a pochi metri dalla riva – fece quello, sempre a bassa voce.

    Lui si fermò un momento a guardarlo da sotto in su.

    – Oh porca miseria!

    – Ecco, qui davanti – aggiunse l’altro, indicando nel buio la direzione.

    – Ne è sicuro? – chiese perentoriamente il gestore, guardandolo fisso.

    – Sì, certo.

    Poco prima, trovato il cadavere, Giacomo aveva aspettato un po’, giusto il tempo necessario per riuscire a dominare la nausea che l’aveva assalito. Poi lentamente era uscito dall’acqua ed era tornato dalla moglie.

    – Non c’è nulla, fifoni… – aveva dichiarato a voce stranamente alta.

    – Ma certo – gli aveva fatto eco la donna. – Avete troppa fantasia…

    Il figlio maggiore non sembrava convinto, ma lui si era finto tutto allegro e aveva preso ad asciugarsi i capelli strofinando forte con l’asciugamano, perché nessuno potesse leggergli in faccia il disagio che provava.

    – Ora andiamo tutti a prendere un bel gelato! – aveva esclamato.

    – Il gelato, a quest’ora? Non fa bene ai bambini…

    Lui aveva ignorato le proteste della moglie mentre Lorenzo e Alessio, come previsto, correvano felici verso il bar, consentendogli finalmente di dirle la verità.

    – Sabrina, c’è un uomo in mare, direi che è morto. Vado a chiamare il gestore dei bagni.

    Lei aveva deglutito, impietrita.

    – Ma cosa dici? Un morto? Vado a vedere…

    – Per carità! Pensa ai piccoli, Santo Cielo!

    – Non siamo mica in un film di James Bond! Come fai a essere sicuro?

    – Lo sono, e basta! – insistette Giacomo con voce soffocata. – Non è il momento di fare domande, vai!

    Pur se perplessa e anche un tantino irritata, la donna aveva lasciato perdere e aveva raggiunto i figli che già si erano impossessati di enormi coni gelato. Rimasto solo, l’uomo era subito corso da Costiglione.

    Ed eccoli, i due, che fissavano assorti il bagnasciuga.

    – Che facciamo? – chiese allora il più giovane.

    – Nulla. Aspettiamo – rispose l’altro.

    – Aspettiamo cosa?

    – Che se ne vadano quelli – rispose sottovoce l’anziano, indicando un gruppo di ragazzi che si attardava a giocare con le onde, mentre la maggior parte della gente si era ormai allontanata. – Finché sono qui, preferisco non fare nulla. Intanto però vado a chiamare qualcuno per farci aiutare. – proseguì – Lei monti di guardia e faccia in modo che nessuno si avvicini.

    Giacomo annuì e l’altro scomparve nel buio, per tornare di lì a poco in compagnia di Micky, suo genero, e di Renato, uno dei bagnini, che portava in mano un piccolo arpione, chiamato mezzo marinaio.

    – Lo tiriamo fuori, poi se è come dici, chiamiamo i Carabinieri, vedranno loro… magari per sicurezza facciamo defluire la gente sulla strada. Adesso, andiamo – aggiunse poi, entrando in mare.

    Gli altri due lo seguirono e il cliente rimase lì, cominciando ad avvertire il freddo della notte.

    Dal gruppetto in acqua giungevano esclamazioni soffocate e l’uomo si stava chiedendo se non si fosse trattato di un tragico equivoco, quando quelli arrivarono effettivamente con un corpo inanimato. In poco tempo lo trascinarono a riva e lo adagiarono sul bagnasciuga.

    Alla luce incerta di una torcia, il cadavere si rivelò in tutta la sua triste condizione. Dimostrava circa quarant’anni, era bruno, di corporatura robusta e vestito di tutto punto.

    – Qualcuno – o qualcosa – gli ha sfondato la testa – borbottò Costiglione, impietosito. – Aveva visto giusto! Per fortuna non l’hanno scoperto i bambini.

    Quello si sentì mancare, pensando che per poco Alessio non si era trovato faccia a faccia con quello spettacolo raccapricciante.

    Il gestore scambiò alcune frasi concitate con i due collaboratori, che si allontanarono per eseguire quanto concordato; poi si rivolse a Giacomo.

    – Ora, se riusciamo, facciamo uscire la gente dallo stabilimento – continuò. – Mia figlia sta chiamando i Carabinieri, ci diranno loro cosa dobbiamo fare.

    – Sì, certo… – mormorò il giovane, stordito, guardando il cadavere steso ai suoi piedi.

    – Torni pure dai suoi – gli disse sbrigativo il signor Lello. – È meglio che sistemi la famiglia in qualche modo, poi si asciughi, si metta qualcosa addosso e torni qui. Le faranno delle domande, non si faccia venire in mente di tagliare la corda, eh!

    Giacomo non ci pensava neppure; annuì e si mosse per raggiungere la sua famiglia. Era stupito e ammirato dalla presenza di spirito di quell’uomo che aveva reagito prontamente all’emergenza e in un baleno era stato anche capace di consigliare a lui come comportarsi.

    In quel momento una telefonata raggiungeva il centralino del 113. L’addetto pose le domande di rito e informò immediatamente la pattuglia di servizio più vicina.

    L’auto si trovava parcheggiata poco distante dalla Darsena, dove la vita notturna proseguiva indisturbata. Quella notte erano di turno Pugliaro e Lussetti,

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