La strategia del coniglio: La nuova indagine tra Torino e Asti di Meucci e Vivaldi
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About this ebook
Maurizio Blini è nato a Torino nel 1959. Presente con i suoi racconti in numerose antologie, ha pubblicato: Giulia e altre storie (Ennepilibri Editore, 2007); Il creativo (Ennepilibri Editore, 2008); L’uomo delle lucertole (A&B Editrice, 2009); Il purificatore (A&B editrice, 2011); Unico indizio un anello di giada (Ciesse Edizioni, 2012); R.I.P. Riposa in pace (Ciesse Edizioni, 2013); Fotogrammi di un massacro (Ciesse Edizioni, 2014); Figli di Vanni (con Gianni Fontana, Golem Edizioni, 2015); Rabbia senza volto (Golem Edizioni, 2016); La ragazza di Lucento (Fratelli Frilli Editori 2018). È cofondatore dell’associazione di giallastri subalpini Torinoir (www.torinoir.it).
Il suo sito è www.maurizioblini.it
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La strategia del coniglio - Maurizio Blini
1
«Ciao!»
«Ciao!»
«Chi sei?»
«Non ti ricordi di me?»
«Dovrei?»
«Pensaci bene…»
«Non so…»
«Sono Ginetta.»
«Ginetta?»
«Sì.»
«Ginetta, la coniglietta bianca come la neve…»
«Esatto.»
«Quanto tempo è passato… ma, scusami, dove siamo ora?»
«In un posto magico.»
«È buio.»
«Il buio è parte di noi, dolce Mara.»
«Ho paura.»
«Non devi avere paura, stellina. Qui nessuno può farti del male.»
«Qui dove? Siamo forse in un sogno?»
«I sogni son desideri.»
«Come nelle fiabe?»
«Sì, dolce Mara.»
«Oh, Ginetta, Ginetta, come sei bella.»
2
Tigliole d’Asti
Mercoledì 13 settembre 2017
Pacchi, pacchi e ancora pacchi. Mi guardo attorno isterico. Sono sfinito. Ma quanti volumi ho accumulato in tutti questi anni?
Mi siedo sul divano e osservo la mia vecchia libreria spoglia, ora simile a uno scheletro triste e rinsecchito. Mi scappa un sorriso fugace pensando a quanti soldi avrò speso nel tempo. I libri, quanto li amo? Ma questa è la fine che fanno quando se ne acquistano più di quanti umanamente se ne possono leggere. Ai posteri l’ardua sentenza.
Mi alzo veloce. Non devo perdere altro tempo altrimenti non finirò mai. Torno in cucina e controllo tutti i pensili, poi salgo al primo piano e ispeziono i locali. Sembra tutto a posto. Mi affaccio sul terrazzo e guardo le colline e il meraviglioso panorama astigiano. Mi mancherà, ne sono certo. Ma la scelta è fatta. Torno a vivere a Torino. Le svolte spesso hanno bisogno di misure drastiche e di rotture con il passato. Già, altrimenti che svolte sarebbero?
Guardo il cielo azzurro. Una bellissima giornata di settembre. Il 13 settembre per l’esattezza. Sospiro con una sorta di groppo alla gola. Malinconia e ricordi. Meglio sbrigarsi e pensare ad altro. Ormai il dado è tratto. Il passato è alle spalle e indietro non si torna.
Scendo e apro il cancello in attesa della ditta dei traslochi e invece, con mio stupore, mi ritrovo davanti la vecchia Punto del Comune seguita da una non meno giovane Stilo dei Carabinieri.
Mi avvicino curioso.
Dalla prima auto scendono due persone, una la conosco di vista, l’altra no. Si presentano. Quello più alto e secco afferma di essere un assessore del Comune con una serie di deleghe, tra cui l’urbanistica e la pianificazione del territorio, l’altro, invece, quello piccolo e grassottello che vedo a volte alle feste organizzate dalla Pro Loco, si definisce un burocrate e la chiude subito lì. Stringo le mani a entrambi mentre sopraggiungono, dietro di loro, i carabinieri.
Nuove strette di mano. L’autista lo saluto cordialmente, si chiama Rocco, è un appuntato e lo conosco da anni, il maresciallo invece è un volto nuovo. E infatti si presenta proprio come tale. Moreno Guiotto, il nuovo comandante della stazione Carabinieri di Baldichieri.
«Bene… a cosa devo questo piacere?» esclamo.
L’assessore filiforme scruta di sottecchi il maresciallo come se dovesse rivelarmi la ricetta segreta della Coca-Cola, poi, dopo essersi guardato intorno, mi chiede di poter entrare in casa. La comunicazione è piuttosto riservata.
Resto per qualche istante stupito da questo suo atteggiamento e mi chiedo se all’interno delle mura mi sarà forse rivelato anche l’ultimo segreto di Fatima.
Invito tutti a entrare mettendoli in guardia che sono in una fase di trasloco e, pertanto, si dovranno accontentare.
Il maresciallo mi osserva con uno strano sorriso che non riesco a interpretare. Ma a prendere la parola è l’assessore filiforme. È decisamente lui l’anima di questo convivio. Apre una cartellina ma si guarda bene dal mostrarmi i fogli che sta spulciando. Io continuo ad aspettare con le braccia conserte, poi, all’improvviso, con la solita circospezione e un tono di voce tendente al baritono, decide di esprimersi.
«Dottor Vivaldi, ci siamo permessi di disturbarla per una sorta di consulenza.»
«Consulenza?» replico perplesso. «Beh, meglio informarvi subito che non sono più un poliziotto da anni e che anche l’agenzia di investigazioni private aperta successivamente è chiusa da tempo. Una serie di vicissitudini piuttosto complesse. Non penso di potervi essere d’aiuto…»
«Non si preoccupi dottor Vivaldi. Noi sappiamo tutto di lei» esclama il maresciallo sorridendomi complice.
Lo osservo attento cercando di comprendere cosa si nasconda dietro a quel viso pulito e serio.
«Beh, a maggior ragione, se sapete tutto di me, mi corre l’obbligo chiedermi il perché della vostra presenza qui.»
«Lei conosce per caso un certo Antonio Fregapane?» mi infilza l’assessore con fare sibillino.
Lo guardo interdetto per qualche istante. Quel nome sinceramente non l’ho mai sentito.
«Un nome così particolare me lo ricorderei sicuramente. No, mai sentito nemmeno nominare. All’onor del vero, devo però dirvi che io conosco pochissima gente del luogo. Per motivi vari. Un tempo venivo qui e, nemmeno sempre, solo per dormire, negli anni passati ho vissuto in questa casa maggiormente ma ero pur sempre impegnato al lavoro a Torino e poi… e poi, come saprete, sono stato lontano per oltre un anno.»
«Antonio Fregapane è un contadino» risponde semplicemente il maresciallo.
Io lo interrogo con lo sguardo e lui continua.
«Abita qui in una cascina piuttosto isolata. Coltiva mais, cura delle vigne e dei noccioleti. Ha sessantacinque anni. La sua famiglia si trasferì qui dalla Basilicata negli anni Sessanta. Persone oneste a quanto pare, lavoratori. Nulla sul loro conto. Un tempo avevano anche delle vacche e qualche maiale. Ma sono sempre stati isolati dal contesto del paese. Non voglio dire che non si siano integrati, ma, comunque, non hanno mai aderito ad alcuna iniziativa della comunità. Venivano solo alla Santa Messa la domenica mattina finché la madre ce l’ha fatta. Poi, nemmeno più quello.»
Osservo i miei ospiti cercando di capire dove vogliano andare a parare, ma inutilmente.
Il maresciallo riprende la parola aiutandosi con un tablet. Deve aver fatto i compiti per bene il signorino. Appena arrivato e già conosce dinamiche di paese a me sconosciute.
«Il padre morì in un brutto incidente molti anni fa. Rimase schiacciato sotto il trattore, mentre la madre è deceduta quattro anni fa, proprio nel mese di settembre.»
«Fratelli, sorelle? È sposato? E poi, cosa ha fatto, scusate» chiedo curioso.
«Due fratelli più vecchi di lui, Luigi di anni settantacinque e Giuseppe di anni settantasette. Entrambi vivono a Sidney, in Australia, dove emigrarono una cinquantina di anni fa. Lui risulta celibe. Vive solo.»
«Bene. Quindi?»
«Quindi abbiamo fatto degli accertamenti con i vecchi del paese che hanno avuto rapporti con lui o che li hanno per motivi di lavoro. Nessuno di loro è mai entrato nella sua cascina. Pare sia un personaggio schivo, burbero, che custodisce gelosamente la sua proprietà. Persino il postino lascia la corrispondenza all’inizio della stradina sterrata privata che porta alla cascina, pertanto almeno a duecento metri dall’abitazione.»
«Scusate, ma continuo a non capire cosa ci sia di strano in tutto questo…» esclamo perplesso.
Il maresciallo si gratta nervosamente il mento mentre mi osserva serio. Poi replica.
«È qui che arriviamo al punto, mio caro dottor Vivaldi. Con lei volevamo discutere proprio di questo. Con tutta la sua esperienza non potrà che darci buoni consigli. Or dunque, risponda onestamente alla mia domanda. Se Antonio vive solo e isolato nella sua cascina, diciamo come un eremita, se non ha rapporti sociali con nessuno tranne che per motivi di lavoro, se è una sorta di misantropo con una serie di manie bizzarre, tant’è che anche la spesa va a farla addirittura a Torino con il suo furgone… Cosa ci facevano quattro ragazzine nel suo cortile invalicabile come un castello, il dodici luglio scorso alle dieci e trenta del mattino?»
3
Cara mamma. Ciao.
Come ogni giorno ti scrivo queste poche righe, sperando un giorno tu possa leggerle.
Ho iniziato il mio terzo quaderno e sinceramente ho perso la nozione del tempo. Riconosco però la stagione. Siamo in settembre e ancora fa caldo.
I cibi, le atmosfere, i profumi e la natura aiutano a confermare la mia ipotesi.
Nonostante tutto, sto abbastanza bene. Nel tempo, sono riuscita ad adattarmi alla situazione pur di sopravvivere. In fondo non è poi così difficile se mantieni la speranza.
Zio Antonio sempre più spesso si comporta in modo strano, alternando momenti di lucidità con altri di confusione. Penso sia malato. Parecchio malato. A volte, in modo bizzarro, urla, parla da solo o con sua madre che però, so per certo, è morta da anni. Altre volte invece, si richiude in se stesso in un mutismo ostinato come un bimbo con il broncio e tu pensa, sono spesso proprio io a tirarlo su di morale.
Credo che in fondo anche lui sia una vittima. Non so di cosa, ma sicuramente non è felice e mi auguro che un giorno capirà che tutto questo squallido teatrino non sarà servito a nulla. E magari deciderà di liberarci.
Cara mamma, se ci penso mi metto a piangere. Non sai quanto vorrei abbracciarti, baciarti, stringerti per sempre a me.
Ormai, noi quattro povere prigioniere, siamo diventate come sorelle. Poteva andare diversamente?
Oggi Cecilia, poverina, non sta molto bene. È la più piccola e in qualche modo cerchiamo di sostenerla. Spesso piagnucola e si rannicchia in un angolo. Come la capisco. Anche io i primi tempi ero nella sua stessa situazione.
Quanto tempo è passato mamma? Tre anni se non sbaglio. Era estate, proprio come ora. Immagino mi abbiate cercato ovunque. Già… chissà dove sono. In campagna, sicuramente, come ti ho già scritto mille volte, ma dove?
Spero tu non ti arrenda mai, così come farò io.
La speranza è forte, vedrai. Un giorno ci riabbracceremo.
Non ti scordare mai della tua bambina. Mara.
4
Vorrei bere del caffè ma non è possibile. Inoltre, proprio in questo momento sento arrivare gli addetti al trasloco.
«Possiamo vederci più tardi?» sibilo mentre osservo dalla finestra.
Mi rispondono di sì. Guardo l’ora. Sono le undici meno un quarto.
«E se mangiassimo un boccone tutti insieme da Mariuccia?» propone il cicciottello burocrate.
«Per me va bene, ma non prima delle quattordici» rispondo.
«Perfetto. Alle quattordici va bene anche a me» replica lui con un ghigno stampato sul volto.
Ci stringiamo le mani e rimandiamo il resto del discorso a più tardi.
Prima di allontanarsi, il maresciallo si volta e, sorridendomi, esclama.
«Benvenuto a bordo dottor Vivaldi!»
Mentre si dileguano penso a quella frase. Benvenuto a bordo. A bordo di che? Cosa intendeva dire con quella battuta per me enigmatica? E poi, io che c’entro con tutta questa storia?
Indico il materiale da caricare a un paio di facchini e poi salgo al piano superiore. Mi rifugio in bagno e penso ancora a quello strano incontro tra sconosciuti. Sono venuti a colpo sicuro da me, affermano di sapere tutto della mia vita e mi parlano di un tale che dovrebbe essere single ma che invece ha delle ragazze nel suo cortile. E chi se ne frega! Saranno figlie di parenti, che so. Insomma, dov’è l’inganno? E soprattutto, dov’è il reato?
Mi affaccio dal terrazzo e guardo pezzi della mia vita allontanarsi lentamente a bordo di un camion.
Mi gratto la testa.
E poi che cazzo vogliono da me, quel beccamorto di un Assessore, il burocrate della Pro Loco e il maresciallo tutto fighetto? Consigli? Consulenze?
Il cellulare squilla. È Alessandro Meucci. Rispondo.
«Mauri…» esclama a voce alta.
«Ciao Ale, come stai?»
«Io discretamente bene.»
«Senti, sto venendo a trovarti. Mi sono preso qualche giorno di ferie e, sai com’è.»
«Ale, io sono in pieno trasloco. Sei rimbambito?»
«Cribbio, Mauri, me ne ero completamente scordato. Ma questa sera dormi già a Torino?»
«Sì. Anche se per qualche giorno sarò accampato.»
«E se mangiassimo un boccone insieme?»
«Ale, fai quello che vuoi, porca puttana. Vieni. Che ti devo dire. No, anzi, non venire perché a pranzo sono occupato.»
«Occupato? Con chi? Una donna forse?»
«No, no. Con il nuovo maresciallo dei Carabinieri e un paio di persone del Comune. Mi devono parlare. Facciamo una cosa, ci vediamo per cena a Torino. Trattoria di via Bologna per le venti, ok?»
«Va bene. Ci vediamo questa sera allora… Ma che vogliono da te, Mauri?»
Sorrido perché conosco la curiosità di Meucci. È più forte di lui. In fondo non è altro che uno sbirro alla vecchia maniera e questo è il suo modo di intendere le cose. Lui è fatto così, punto e basta, e non mi dispiace affatto. Poi questo suo aspetto protettivo nei miei confronti mi inorgoglisce.
«Non lo so. Hanno bisogno di qualche consiglio, penso di aver capito.»
«Mi nascondi qualcosa?»
«Ma certo che no, Ale. Stai tranquillo e sereno. Ci vediamo questa sera. Ora ti devo proprio salutare. Ciao.»
Me lo immagino il buon Meucci. In ferie. Già si sta annoiando. Non ha proprio un cazzo da fare. Incredibile. Nessun hobby, amici pochi come i suoi capelli, donne neanche a parlarne. Non oso pensare a quando andrà in pensione.
Povero Ale. Un’intera vita dedicata alla polizia, spesa in modo religioso, proprio come un sacerdote devoto che non si lascia corrompere da nulla. Sempre a cavallo tra il bene e il male. Già…
Un meccanismo perverso da cui ero riuscito a fuggire molto tempo prima, quando, con determinazione, mi ero congedato dalla polizia per aprire un’agenzia di investigazioni private. Un vecchio sogno.
Poi però erano seguiti guai, lutti e persino la galera. Una brutta storia.
Mi gratto la testa cercando di allontanare quei pensieri bui che riaffiorano prepotenti