Il maresciallo Bonanno: Un'indagine siciliana
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Book preview
Il maresciallo Bonanno - Roberto Mistretta
Nota dell’autore
Primo pomeriggio, gennaio 2011.
Il telefono squilla: Pronto, sono Carlo Frilli
.
Un mese dopo sono già in possesso del contratto.
Marco e Carlo hanno letto Il baiardo della Veronica
, nuovo romanzo del maresciallo Saverio Bonanno e mi propongono di pubblicarlo.
Da parte mia avevo concluso la mia esperienza con la casa editrice Cairo, con la quale avevo pubblicato la seconda e terza indagine del maresciallo, Il canto dell’upupa e Il diadema di pietra, ed ero ben lieto di tornare in libreria con un editore di qualità.
Sennonché, per quegli intoppi che rendono imprevedibile (e interessante) la nostra esistenza, non se ne fece nulla. In quel periodo ero totalmente immerso nella stesura di Giudici di frontiera/Interviste in terra di mafia, e finii col dimenticare la Fratelli Frilli Editori.
Passano così cinque anni. Nel frattempo pubblico altri libri su Padre Puglisi e il Giudice Livatino, ma l’amore per il noir non è mai venuto meno, così come l’interesse per la Fratelli Frilli Editori. Amore che torna a divampare nella primavera del 2016 quando leggo e recensisco Mentre Torino dorme, ultimo intrigante noir mitteleuropeo di Fabio Beccacini, autore che conosco da tempo.
Contatto Carlo su Messenger per due volte, senza ricevere risposta.
Passano altri mesi, e quando ancora una volta dimentico la Fratelli Frilli Editori e già mi dedico ad altri progetti, Carlo risponde.
Siamo a novembre scorso.
Questo libro nasce così, saldando finalmente quell’intesa troppo a lungo rimandata.
Si tratta della primissima indagine di Bonanno, romanzo misconosciuto, pubblicato da Terzo Millennio
, un piccolo editore nisseno privo di esperienza e distribuzione. Nonostante quei limiti non da poco, il romanzo si classificò nella terna dei finalisti al Premio Franco Fedeli di Bologna, accanto ad autori affermati come Marcello Fois e Valerio Varesi.
Questa sintetica ma doverosa digressione va a beneficio di quei cinque lettori che hanno letto Non crescere troppo, il romanzo che avete in mano con un nuovo titolo e una veste stilistico-letteraria ex-novo.
Giova infine puntualizzare che, seppure storie e personaggi sono verosimili, essi diventano reali soltanto nella fantasia del loro autore.
Ho fatto mio l’insegnamento di Flaubert. A chi glielo chiedeva, lo scrittore francese soleva rispondere: Madame Bovary c’est moi
.
Essendo notoriamente noi siciliani di manica ben più larga, aggiungo che ogni personaggio porta in sé una scintilla del suo autore, con l’eccezione della verace parlata partenopea di Cacici, della cui fedele traduzione sono perenne debitore al collega scrittore di Napoli, Ugo Mazzotta.
Roberto Mistretta
Mussomeli/Villabosco
Giugno 2017
I
Ritmi lenti e mulattiere impercorribili. Si somigliano tutti gli agri rurali di Sicilia.
L’autocarro dei rifiuti si inerpicava fiacco e impestato. Alla sua guida Tanino Rizzo si sbracciava lungo l’accidentata carrozzabile che da Villabosco conduceva a borgo Raffello. L’autista fischiettava un vecchio ritornello. Sempre le stesse note.
E basta con questo scassamento di marranzano!
sbottò Cola.
Tanino la notte fa festa con l’amica di Bonanotti e la mattina dobbiamo sopportarci i suoi sfoghi canterini
lo appoggiò Ciccio.
Secondo me di sfogarsi proprio non se ne parla: quando l’uccello canta vuol dire che non bagna becco e perciò...
replicò Cola.
La scoppola gli piovve tra scapola e collo. Tanino non ammetteva che si beffeggiasse la sua mascolinità.
Cola fece l’offeso e lo squadrò torvo. Ciccio gli tenne spalla nella sceneggiata. C’erano riusciti. Tanino smise di fischiare e attaccò bottone declamando le doti nascoste del fringuello acquattato nei pantaloni. Sempre meglio dell’insopportabile fischiettio.
Era un’arieggiata mattinata di maggio. Il vento soffiava da tramontana e scuoteva i mandorli carichi di frutti e titillava le spighe di frumento in una corsa senza tempo, immota come quei luoghi antichi. La Montanvalle era in fiore. Le rondini volteggiavano nell’azzurro, puntini neri a ricamare di vita i fianchi smeraldini delle colline.
La discarica si annunciò con zaffate pungenti che prendevano al gargarozzo. L’avevano realizzata a due passi dall’area archeologica di Raffello. Popoli antichi, risalendo quello che era stato un corso d’acqua, si erano insediati millenni prima sul vicino promontorio, fondando un villaggio di cui rimanevano vestigia e tombe saccheggiate. A sapere quali riguardi i discendenti avrebbero loro riservato, i primitivi visitatori avrebbero portato le ossa a biancheggiare altrove. Lontano dai tombaroli e dall’aria corrotta dalla putrefazione dei rifiuti.
Tanino, continuando ad esaltare il turgore dell’amichetto ciondolante, infaticabile compagno di intime ricognizioni negli anfratti femminili, si arrampicò col camion su per la stradina di accesso e raggiunse la fossa della discarica. Cola e Ciccio saltarono giù dalla cabina e si piazzarono ai due lati dell’autocarro, per assisterlo nella manovra. Tanino doveva procedere in retromarcia nell’accidentato perimetro. La manovra esigeva movimenti misurati, pochi centimetri di differenza e le ruote, invece che la strada sterrata, avrebbero abbracciato il vuoto, finendo nella sottostante scarpata.
Forza, Tanino, ancora un paio di metri, così, piano, vai avanti, ecco ci sei quasi, forza, fai finta di stare con Cettina, avanti facci vedere quanto mascolo sei, e dai spingi, così ecco... ohhh buttana della miseria buttana.
Cola sbiancò. Le gambe si piegarono e si ritrovò sprofondato sullo strato nauseabondo.
Che successe?
domandò Ciccio.
Tanino arrestò l’autocarro e con un balzo raggiunse i colleghi.
Cola era stravolto. Con la mano indicò un punto nella discarica: Là, là.
Poi si accasciò tra le braccia nerborute dei due.
Avvisiamo i carabinieri
suggerì Tanino.
Il maresciallo della Benemerita Arma dei carabinieri, Saverio Bonanno, stava sorbendo il terzo caffè della mattinata. Scottante e scuro come piaceva a lui. Appena assaggiato, sacramentò. Da quando aveva deciso di mettersi a dieta per smaltire i chili superflui che debordavano sui fianchi, godere il caffè non costituiva più quel momento magico che precedeva un altro rito: accendersi una sigaretta ed aspirare a pieni polmoni. Niente da fare: il caffè amarognolo non gli andava giù.
Steppani
ruggì.
Comandi, maresciallo
rispose il brigadiere capo del Nucleo Operativo.
Di chi fu la bella pensata di rifilarmi questa porcheria?
Quando uno si mette a stecchetto, il caffè si prende senza zucchero.
Da questo preciso momento nuovi ordini: questa brodaglia sa di veleno.
Come comanda, provvedo subito. Un cucchiaino le basta?
Pure uno e mezzo. Per il futuro però ci riforniamo di dolcificante, intesi?
Agli ordini, maresciallo.
Bonanno gustò il caffè zuccherato con espressione beata. I pensieri vagavano liberi per i pendii e le valli della Montanvalle. Anche in caserma ogni tanto si respirava un po’ di pace. Il ritorno precipitoso di Steppani gli mandò l’espresso per traverso. Non era cosa. L’oroscopo glielo aveva pure anticipato: Giornata tesa. Rogne nel lavoro. Mantenete la calma e attenti alla linea.
Cola riprese colore. Il verde stinto dell’incarnato cedeva al purpureo del sangue che gli montava alla craniata. Non intendeva ragioni. Bonanno lo fissò torvo. Cola resistette.
Io là sotto non ci vado, manco sparato. Accomodatevi voialtri: si distingue pure da qua. Non potete sgarrare, ché quelle due scarpe stanno ancora attaccate ai pantaloni. E a tutto il resto. Pare un cristiano. Madre mia che impressione.
Bonanno ci mise poco a lasciare scantonare la scarsa pazienza che ancora conservava dopo la corsa in auto. Dieci chilometri di curve e tornanti abbordati a rotta di collo. Quando guidava Steppani, le viscere svolazzavano in gola e non c’era verso di farle atterrare tanto presto. Al maresciallo rimaneva addosso per ore la voglia di smadonnare. E di fucilare alle spalle il subalterno.
Deciditi, oppure ti tengo tutto il giorno a disposizione dell’autorità
ruggì, accanendosi sul malcapitato netturbino.
Ce lo mostro io il morto, maresciallo
intervenne conciliante Tanino, l’autista.
Il maresciallo, tallonato da Steppani e dagli altri sottoposti del Nucleo Operativo e della Radiomobile, discese con difficoltà nella scarpata. I rifiuti si ficcavano negli stivaletti, schizzavano sulle ginocchia, impataccavano i pantaloni d’ordinanza. L’aria cascava a pezzi, ammorbata e putrida.
Il morto era semicoperto dai rifiuti. Si trattava di un uomo di 55-60 anni. Alto e corpulento.
Avvertiste il Comando?
domandò Bonanno.
Già fatto, il capitano è stato informato
rispose Steppani.
Forza allora, diamoci una mossa, avvisiamo il magistrato e rintracciatemi il medico legale. Lacomare, finisti con le fotografie?
Ancora un paio, maresciallo, giusto per avere tutte le angolazioni.
Lo metto in posa, Lacomà?
celiò il brigadiere capo.
Steppani non si smentiva. I cadaveri lo intrigavano, movimentavano la routine. Bonanno represse una smorfia. E si vendicò della furibonda corsa in auto.
Steppà, a te l’onore di perquisirlo. Controlla se ha i documenti.
Perquisire il morto? Io?
No, tuo nonno.
Capperi, a buon rendere maresciallo!
Bonanno martoriava il cellulare. Non era mai a suo agio a parlare al telefono, men che meno quando doveva informare il magistrato che coordinava l’inchiesta.
Niente, dottor Panzavecchia, nessun documento. Zero totale. Lo ripulirono. No, non lo abbiamo ancora identificato, ma non è del posto. I tre operai della nettezza urbana non lo conoscevano. E pure a me la sua faccia risulta forestiera. Sì, il medico legale arrivò, ma non vuole scendere nella discarica. Se lei ci autorizza a spostare il cadavere, tutto diventa più semplice. Pure i Vigili del fuoco arrivarono. Portarlo su non sarà una scampagnata, ma almeno ci leveremo di qua. Il fetore ci impesta. Sì, anche il capitano sta arrivando. Era fuori sede... ebbe un problema con... la macchina. Come dice? No, a parte la testa spaccata a melone, non vedo altre ferite. D’accordo dottor Panzavecchia, ci aggiorniamo. Certo, le faccio sapere.
Chiuse la comunicazione.
Forza voialtri, imbracatelo e tiratemelo fuori da questa fogna.
Pompieri e carabinieri si scambiarono un’occhiata stomacata. Bonanno girò loro le spalle e fece finta di non sentire i mugugni.
Più tardi Bonanno aggiornò il magistrato.
Ci avevo azzeccato, dottor Panzavecchia, nessuna ferita d’arma da foco né da taglio. Il medico legale, il dottore Paternò, sostiene che a causare il decesso fu la botta in testa. L’assassino deve averlo colpito con qualcosa di pesante. La botta gli arrivò con tanta forza che gli spaccò il cranio in due. Il dottore Paternò però non si vuole sbilanciare prima dell’autopsia. Il morto lo saccheggiarono: niente soldi né documenti. Forse transitava da queste parti, magari dette un passaggio a qualcheduno e poi vai a sapere che capitò... Sì certo, predisposi già dei controlli a Villabosco e in tutto il territorio e pure dei posti di blocco, ma secondo me perdiamo tempo. D’accordo, le saprò dire meglio non appena avrò novità.
Chiuse la comunicazione e lasciò che i profili delle colline rilucenti in lontananza e dei rigagnoli turchini, gli colmassero gli occhi appesantiti da tanta sozzura.
Diamoci una mossa
si disse tirando fumo e sentendo il tossico incenerirgli i polmoni.
* * *
Ricominciamo tutto da capo
si impuntò Steppani.
Tanino, Cola e Ciccio non ne potevano più. I carabinieri li avevano portati in Centrale e da due ore i netturbini ripetevano la stessa storia, ma gli sbirri non si decidevano a farli tornare a casa.
Insomma basta, e poi vi lamentate che i cittadini non collaborano. La prossima volta giriamo i tacchi e pure noialtri facciamo finta di non vedere niente, ci trattate manco fossimo delinquenti
protestò Cola.
Stia calmo, continui a collaborare e tutto si risolverà presto. Appena arriva il maresciallo, potrete andare a casa
lo rimbeccò il brigadiere.
Voglio il mio avvocato.
E finiscila, Cola
lo ammonì Ciccio.
Minchia che mala giornata
ribatté Cola.
E che fetore. Sono tutto un puzzo, devo farmi una doccia
aggiunse Tanino.
Chissà chi era quel disgraziato
si domandò Ciccio.
Vai a saperlo. E che mala morte. Non solo ammazzato, ma pure scatafasciato in mezzo alla munnizza. Che spavento mi pigliai
si lamentò Cola.
Brigadiere, che dobbiamo combinare?
si stufò Tanino.
Steppani mostrò l’occhio feroce. Il maresciallo gli aveva ordinato di raccogliere le testimonianze, allegarle agli atti ed attendere il suo ritorno. E lui, per evitare di fare infuriare Bonanno, che già di suo era fumantino, nel dubbio, aveva pensato bene di allegare agli atti non solo le testimonianze, ma anche i tre malcapitati testimoni.
II
Maresciallo, pure lei attaccò ora? Non bastò la tortura di stamattina? Si può sapere che minchia volete ancora?
esplose Cola.
Giovanotto, moderiamo i termini che qua non siamo all’osteria.
Erano le cinque di pomeriggio. A Bonanno fumavano come le maccalube di Aragona. Dopo aver concesso ai netturbini di tornare a casa per rifocillarsi, li aveva riconvocati in caserma. Per rendere l’invito tassativo, aveva inviato Steppani con l’auto di servizio. E il brigadiere, per non smentirsi, aveva attivato la sirena e s’era presentato davanti alle rispettive abitazioni dei tre, accompagnato da stridore di pneumatici e guaire di freni. Imbarcati gli operatori ecologici, Steppani era ripartito a razzo, manovrando alla sua maniera nelle strette vie di Villabosco.
Gli spazzini si pigliarono! Gli sbirri se li portarono!
Nei quartieri, la voce che avevano arrestato Cola, Ciccio e Tanino si sparse in un baleno. Che il suo sottoposto ne avesse combinato una delle sue, Bonanno lo sospettò dalla faccia sconvolta dei malcapitati. La conferma arrivò sette minuti dopo, quando dal centralino gli passarono la telefonata di Tonio, un suo amico/informatore.
Saverio, io sono, è vero che avete arrestato gli spazzini?
Linguacciuto com’era, Tonio voleva cavargli informazioni di prima mano da vendersi care al bar.
Bonanno troncò secco e si dedicò ai tre malcapitati.
Allora, Cola Turco, Tanino Rizzo e Ciccio Vullo, vediamo di non perdere tempo e rispondete a tono.
E che è, marescià, manco se l’avessimo ammazzato noialtri a quel disgraziato. A proposito, si seppe poi come trapassò?
Qualcuno che gli voleva bene gli dette un colpo in testa e buonanotte.
Minchia.
Che mala morte in mezzo alla munnizza.
E chi ce lo diceva che non avrebbe più visto levarsi il sole.
Non perdiamoci in ciance. Quante volte andate a scaricare?
disse Bonanno.
Due volte al giorno, qualche volta pure tre, ma solo quando c’è il mercato.
Di mattina o di pomeriggio?
Quasi sempre di mattina.
A che ora lo fate il primo viaggio?
Tra le nove e le dieci, poi un altro verso l’una e quando c’è il mercato, uno pure di pomeriggio.
La discarica è chiusa o la sorveglia qualcuno del Comune?
Che ci mettiamo a sorvegliare la munnizza? E chi la deve rubare?
Il maresciallo ci piglia in giro.
Bonanno si spazientì.
Sentite voi tre! A due passi dalla discarica ci stanno gli scavi archeologici e un incendio può fare più danno dei tombaroli. Nelle vicinanze ci stanno pure agri coltivati a frumento, fave e pomidori, perciò rispondete senza tanti giri di parole e vediamo di finirla.
Non la controlla nessuno.
Neppure di notte?
E manco nei festivi e nei prefestivi, marescià.
E io la faccio sequestrare.
Mizzica, non scherzasse. E chi ce lo dice ora al sindaco...
Non me ne fotte una pipa.
E noi dove scarichiamo la munnizza?
La cosa non mi riguarda.
L’ennesimo caffè trangugiato di botto fece a Bonanno l’effetto di un diuretico. E mentre scaricava, si sforzava di non pensare alla rogna piovutagli sul groppone proprio quando aveva programmato di concedersi una breve vacanza. Non era destino. E per affrontare Vanessa doveva trovare le giuste parole, ma conoscendola, sapeva già che sarebbe finita con un vivamaria. D’altronde, di lasciare il caso nelle mani del capitano non se ne parlava. Da quando era partito di testa, il capitano si vedeva in caserma come nei secoli l’araba fenice.
Niente da fare. Bonanno lo sentiva a naso: sarebbe stata una rogna tutta sua. Mise da parte le questioni personali. Si sforzò di non vedere un essere umano in quel corpo offeso e buttato come una cosa vecchia in discarica. Una creatura che aveva smesso di respirare, camminare, vedere, toccare, amare. La vita e la morte nel suo mestiere andavano a braccetto. E quando la nera signora arrivava, violenta e inattesa, toccava a loro darsi da fare, integerrimi tutori dell’ordine e servitori di uno Stato lontano e distratto. Scendevano in campo pronti a tutto. Erano cacciatori di uomini. Anche in quello sputo di Sicilia, la giustizia reclamava dai suoi guardiani un tributo di verità, qualunque essa fosse.
Allora, Bonanno, che novità ci sono?
Signor capitano, bentornato. In pensiero stavo, non credevo ce la facesse per oggi. Risolta la questione… al macchinario?
Sì, era roba da poco, un problemino alla marmitta. Ma sa come sono i... meccanici, mi hanno trattenuto più del previsto.
E già
annuì allusivo Bonanno che al posto del meccanico vide materializzarsi la focosa vedova che si avviluppava alle gambe dell’ufficiale per sistemargli marmitta e spinterogeno. Danno assai facevano le femmine di Sicilia. Il capitano se ne sarebbe accorto presto. "Fimmina chi t’abbrazza e strinci o t’ha tinciutu o cerca mi ti tinci." I proverbi raramente fallavano. Bonanno lo sapeva per esperienza diretta.
Bene, mi dica, Bonanno: a che punto sono le indagini?
Ci stiamo lavorando. La vittima fu rinvenuta stamani durante il primo viaggio in discarica. Erano le 10.10. Il giorno prima a Villabosco c’era stato il mercato settimanale e l’ultimo viaggio lo fecero alle 18, minuto più minuto meno. Poi la discarica resta incustodita. E stante la zona scognita, chiunque da quel momento poteva scaricare quello che gli pareva, pure morti ammazzati. Secondo me, però, l’assassino o gli assassini completarono il servizietto favoriti dal buio. Stamani gli spazzini al primo viaggio avvistarono il corpo e ci chiamarono.
Tracce?
Su quella trazzera? Vuole babbiare.
Chi coordina l’inchiesta?
Il dottore Panzavecchia.
Ottimo magistrato.
Il migliore.
Dell’autopsia che notizie abbiamo?
Nulla di più di quello che si presumeva. L’ammazzarono con qualcosa di pesante. Il primo colpo arrivò dietro la tempia e probabilmente lo stordì. Il secondo invece, gli aprì il cranio, gli spaccò l’osso occipitale ed il parietale, i frammenti si ficcarono nel cervello e provocarono un’emorragia. Nessun’altra ferita, a parte una vecchia cicatrice al petto. Il decesso avvenne almeno dodici ore prima del ritrovamento.
Quali sono le sue deduzioni, maresciallo?
Bonanno squadrò l’ufficiale. Nella collottola di Basilio Colombo spiccavano violacei i baci infuocati della vedova.
Ancora è presto. In ogni caso... escluderei il suicidio
concluse provocatore. Gli faceva specie che il capitano si sollazzasse con la bella vedova lasciando a lui le incombenze di una Compagnia di frontiera