Via del Campo c'è un cantautore: con illustrazioni di Elisa Gandelli
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About this ebook
Il ricordo dolce e crudele di ciò che fu: luoghi e persone custoditi in fondo al cuore. Come quel paesino di montagna, fonte di racconti tra il serio e il faceto. Come quei volti: pensandoli, scrivendone, sempre più presenti, in lui. Come giocare al pampano: lanciando sassolini nel futuro, saltando tra le caselle del passato.
Danilo Belluccini è nato a Genova il quattordici novembre del millenovecentocinquantuno. Questo è il suo secondo libro, dopo Viene sera a casa di tutti del duemilasei edito da Fratelli Frilli Editori.
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Via del Campo c'è un cantautore - Danilo Belluccini
1
LE CANZONI E LA POESIA
(COME UN APPAGANTE INGANNO DELLA MENTE)
***
Il collegio
È più facile per Lui amare i cantapoeti, Paoli, Tenco, che apprezzare Dante o Manzoni.
Così Lui, adolescente, cresce con quella musica nell’anima, ma soprattutto con quelle parole nel cuore. Però, così, va male a scuola e viene bocciato: un anno, due anni... troppo per suo padre.
Preferisce ascoltare Francesco Guccini o Fabrizio De André a equazioni e logaritmi. Legge le poesie di Prèvert ma snobba Carducci e Pascoli. Purtroppo, Jacques Prévert non è materia scolastica.
Pertanto il padre decide per il collegio dove passerà tre lunghi anni.
A cosa siano serviti questi anni, difficile dire.
Vedere i genitori, la sorella, il fratello solamente a Natale e a Pasqua, beh, qualcosa ti manca.
Ti manca casa tua, i tuoi amici, ti mancano le tue abitudini, i tuoi piccoli vizi.
In cambio una vita dettata da regole e studi.
Le regole non poteva evitarle, andavano comunque rispettate e poi la trasgressione non faceva parte del suo carattere, tendenzialmente remissivo. In questo senso, il collegio gli è servito nel diventare caparbiamente docile, se già non lo fosse stato.
Pensandoci bene, onestamente, qualcosa deve a quegli anni in istituto.
Deve qualche vago approfondimento sui filosofi, in special modo la filosofia antica dei Socrate, Platone, Aristotele.
Qualche nozione di storia, specialmente quella più recente, l’Ottocento, il Novecento. Qualche brandello di poesia, ma esclusivamente ciò che lo intrigava come Quasimodo, Campana, Gozzano e pochi altri.
Il resto lo ricorda, anzi non lo ricorda perché noia, totale.
In collegio passava ore e ore... a pensare.
Pensare, non riflettere.
Immaginava, sognava, fantasticava; cosa ben diversa dal ragionare, arguire, dedurre.
Se avesse ragionato, anche solo un poco, avrebbe aperto qualche libro, quelli con le pagine lasciate scrupolosamente attaccate.
Ma il traguardo agognato dell’esistenza umana, è raggiungere la felicità?
E, se la felicità esiste, consiste nel fare esclusivamente ciò da cui traiamo piacere?
Non vogliono essere domande, sono assiomi.
Quindi, come si possono staccare quelle pagine?
Non ha mai cercato un tagliacarte.
E perché rinunciare al fascino di un libro, che ancora nasconde dentro di se parole mai lette?
Comunque ha imparato, questo sì, a convivere con i suoi pensieri, a renderli parte integrante delle sue giornate, compagni fedeli di un viaggio immaginario, che dura ancora oggi.
Ha imparato a trasformare i suoi pensieri in poesia.
Felicità, su quale treno della notte viaggerai. lo so che passerai, ma come sempre in fretta. Non ti fermi mai. (1)
——
I cerchi dell’albero, vita, sopravvivenza. Certamente può essere tutto plasmato come la nave da cui dipendi. L’infinito scivola impropriamente perché riesci, non riuscire
ed è la certezza della volontà superiore, così, semplicemente, senza ricorrere agli Infiniti.
Questa poesia l’ha scritta quando aveva diciott’anni, a suo parere la più bella cosa, o più modestamente la meno brutta, che abbia mai scritto.
Si intitola Riuscire a vivere.
I cerchi dell’albero sono la metafora della vita e del tempo che la consuma.
La vita è quella vissuta, la sopravvivenza è la vita subita.
La nave è il mondo, la società, gli uomini e le cose, tutto quello dove puoi incidere ed esserne attore.
L’infinito inteso come modo verbale.
La certezza della volontà superiore: è la convinzione di qualcosa di oltre
Senza ricorrere agli Infiniti: in questo caso, in contrapposizione a prima, Infiniti intesi come esseri superiori.
Divini?
Ma forse non l’ha scritta a diciott’anni, può darsi a cinquanta in occasione della stesura del suo romanzetto Viene sera a casa di tutti.
È strano come non riesca a darle una collocazione temporale esatta. Comunque, da giovane scriveva poesie, questo è certo.
Quasi tutte cestinate, buttate, perse, dimenticate.
Qualcuna, però, la ricorda ancora perfettamente ed è in grado di recitarla a memoria.
A proposito di ciò, ricorda il collegio Calasanzio dei padri Scolopi, dove ha frequentato tre anni di studi liceali.
Al pomeriggio si facevano i compiti in uno stanzone accanto al locale adibito a dormitorio.
Un giovane studente universitario, seduto in cattedra, controllava il tranquillo e proficuo andamento dei loro doveri. Lo stesso giovane aveva una stanzetta, separata dal dormitorio da un grande tendone, e lì dormiva. Aveva, quindi, anche la funzione di soprintendente notturno.
Il letto di Lui era sistemato in penultima fila, molto vicino alla stanzetta del sorvegliante.
Una notte, le luci già spente da svariati minuti, ordinata la buonanotte.
Incomincia ad assopirsi e nel dormiveglia sente uno strano stridulo gracchiare. Apre gli occhi, tende le orecchie ed ora distingue la voce di Nicolò Carosio uscire da una radiolina, al di là del tendone. Anche se a basso volume, nell’assoluto silenzio della camerata, si potevano percepire nitidamente le parole del radio cronista e i mugolii del sorvegliante a seguito delle azioni di gioco; il suo mormorare, il suo borbottare.
Parata di Sarti. Sarti allunga a Picchi che serve Facchetti discesa sulla fascia sinistra cross al centro aggancia di sinistro Mariolino Corso che passa a Mazzola tiro di Mazzola deviazione... corner per l’Internazionale.
Il giorno seguente, è sempre nell’ambiente preposto all’adempimento dei compiti. Dopo una affaticante mattinata di due ore di latino e compito in classe di matematica, sarebbe bene rilassarsi.
L’uso dei transistor è vietato. E poi in camerata, e poi di notte, e poi da parte di chi deve dare il buon esempio.
«Scusi governante... – alzandosi dal suo banco si avvicina timidamente alla cattedra – … è giusta la traduzione Cicero diutissime de Catilinae coniuratione disseruit
in Cicerone a lungo sostenne la congiura di Catilina
?... bella partita dell’Inter, Coppa Campioni meritatissima.»
Dopo poco tempo è stato spostato, su sua richiesta, in un banco defilato, quasi invisibile, dietro una grossa colonna. Così poteva passare i pomeriggi a leggere Addio alle armi, La luna è tramontata oppure Pavese o Calvino, o, ancora meglio, a scrivere improbabili poesie.
Pensava e sognava... guardo gli abeti attraverso il vetro della finestra bagnato dalla pioggia, l’immagine è come sfuocata, appannata dall’umidità e dal ricordo. Sono seduto al mio solito banco, in fondo all’aula la finestra: fuori la città, le case, i tetti... guardo gli abeti attraverso il vetro bagnato dalla pioggia… guardo, vedo ma non percepisco altro che buio.
Scrive d’istinto:
Miriadi di antenne si innalzano verso il cielo, massa di ferraglia arrugginita, distintivo di una civiltà oramai in grado di decomposizione.
Un giorno era particolarmente disturbato dall’atteggiamento del governo italiano nei confronti della guerra in Vietnam. Guai criticare o, peggio, condannare l’operato di Lyndon Johnson.
Essendo pomeriggio si trovava, come di solito, nel locale degli impegni pomeridiani e curiosamente queste sette righe le scrisse mentre studiava Dante.
La sua immaginazione dilatò la figura del Conte Ugolino, che si sovrapponeva alla visione degli elicotteri Huey, che mitragliavano vecchi, donne, bambini.
Sterminandoli.
Anche questa la ricorda bene a memoria:
Crani senza materia, un giorno rossi di schifoso sangue raggrumato, spolpati dal tempo levigati dal vento sbiancati dalla pioggia, chiedono vendetta.
I vermi e le serpi escono dalle orbite, dal setto nasale nudo privo del decomponibile.
Le grida strazianti riempiono di terrore l’aria, rimbalzano nel vuoto, cercano un approdo che non trovano, si ripercuotono come una eco e tornano alla ripugnante massa di rifiuti ossei.
E voi che sputate sopra questi crani maledetti che vi perseguitano, non sapete che questo emblema di morte siete voi, voi ricoperti di vermi viscidi che vi divorano le cervella senza che ve ne accorgiate.
——
Il professore consegna il compito in classe di latino, girando tra i banchi te lo poggia lì, davanti a te.
Il voto in bella vista, scritto in rosso, in alto a destra. Altri segni rossi sono le correzioni che evidentemente meno sono meglio è, anche se rendono il protocollo meno opprimente, più allegro. Perlomeno così lo vede Lui, forse per trovare un qualcosa di positivo in una miriade di rettifiche. L’insegnante si avvicina, si china e, senza farsi sentire dal resto della classe, accostandosi all’orecchio, gli bisbiglia: «Chi prende cinque, o sei, è un mediocre, chi prende sette o otto è bravo, chi prende due, come nel tuo caso, potrebbe essere bravissimo. Intelligenti pauca».
Intanto non sa cosa vogliono dire quelle due parole in latino, e poi quel potrebbe, è chiaro, che sottintenda uno sforzo sovrumano.
Uscito da scuola, prima di tornare in camerata, passa dalla libreria del collegio.
Sfoglia distrattamente qualche libro, poi vede un libretto, copertina bianca, righe rosse: lo incuriosisce.
Poesie e canzoni di Bertolt Brecht.
Lo sfoglia, prima sbadatamente poi sempre più attentamente. Decide di prenderlo in prestito. Segna, come d’obbligo, nell’apposito registro: giorno, ora, titolo e autore del libro, infine il suo nome e cognome.
Il due in latino è decisamente preoccupante, dovrebbe incominciare a prendere in considerazione la possibilità di aprire