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Vincere lo stress
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Vincere lo stress

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Una guida pratica, veloce, diretta e intelligente per migliorare la propria crescita personale. Un libro per tutti!
Una guida pratica, veloce, diretta e intelligente per migliorare la propria crescita personale. Un libro per tutti!
LanguageItaliano
PublisherIlSole24Ore
Release dateSep 1, 2011
ISBN9788863453515
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    Vincere lo stress - Gian Maria Zapelli

    1. Stress e vita organizzativa

    Il futuro smarrito

    È questa l’epoca dello smarrimento. La realtà della nostra vita nel lavoro e nelle organizzazioni ci propone oggi di affrontare un cambiamento che non ha uguali nella storia dell’umanità. La nostra rivoluzione epocale dell’economia e della cultura del web non investe solo le strutture produttive, i modi del lavoro, ma più a fondo lo stesso tessuto delle relazioni culturali e psicologiche tra le persone. L’immateriale costituisce sempre più la sostanza di cui sono fatte le relazioni e le produzioni. La nostra realtà è diventata quella del trasporto, del movimento, del nomadismo che non mette radici, in una memoria, in un luogo, oppure in oggetti e prodotti.

    Lo smarrimento è tale da investire molti aspetti del nostro benessere psicologico, sociale e professionale. Ciò che fondamentalmente è andato smarrito è il futuro. Certo, il tempo nella sua dimensione oggettiva e biologica è ancora fatto di passato, presente e anche di futuro; il tempo mutato è quello psicologico e sociale. Nell’animo umano vi è una necessità fondamentale: di poterci sentire autori di quel che viviamo; poter vivere un sentimento di controllo della propria vita e di quel che vi accade; poter vedere il passato, sentire il presente e anche immaginare il futuro. Invece, ciò che rende il presente di oggi irriducibilmente differente da ieri è il non consentirci di immaginare, progettare e prefigurare il domani. Emozionalmente, abbiamo necessità di vivere la rassicurazione di quel che potrà accaderci domani; poter disegnare un arco che dal passato giunge come destino a un futuro, nel quale proiettare lo sguardo e riconoscersi. Poter raccontare ai figli quel che accadrà loro, magari persino il loro lavoro; poter credere di possedere oggi le conoscenze che ci saranno utili anche per domani; poter immaginare un ritmo della propria vita, nel quale gli oggetti e le cose rimangono stabili, come trama di abitudini che forniscono e confermano identità. Questo è il futuro a cui sino a ieri eravamo abituati. Invece, il domani è diventato nebulosa opaca, da affrontare colmi di ignoto e incertezza.

    Questo smarrimento discende, lo sappiamo, dall’espansione illimitata dei legami, delle connessioni e delle interconnessioni che uniscono tutti gli attori e tutti gli atti del pianeta. È avvenuta una soluzione di continuità con il passato, proiettandoci in un’epoca instabile perché la proliferazione illimitata delle connessioni e dei legami produce:

    ♦ più sensibilità delle aziende alle trasformazioni dell’ambiente economico e sociale in cui sono immerse;

    ♦ più instabilità, come conseguenza, nella configurazione delle organizzazioni e della loro struttura di funzioni e processi;

    ♦ più affollamento decisionale nei processi organizzativi in termini di frequenza, di quantità e di attori coinvolti;

    ♦ più velocità nell’aggiornamento e nel cambiamento del know-how;

    ♦ più velocità nella catena degli scambi e nella sequenza degli effetti;

    ♦ più interferenze non previste che costringono a modificare standard, routine e pianificazione dei comportamenti e delle scelte;

    ♦ più dimenticanza e oblio della memoria e del passato, perché ciò che viene richiesto oggi è spesso diverso da ciò che era richiesto ieri e reclama di rigenerare punti di riferimento, orizzonti e direzioni.

    Anche nel modo di lavorare e nel rapporto tra le persone e l’organizzazione si colgono peculiarità di questa epoca, tutte sotto il segno di un incremento della mobilità e dell’instabilità:

    ♦ sono maggiori la mobilità e il nomadismo delle persone, nel modo di appartenere ed essere legate a un’azienda (l’essere dentro e l’essere fuori l’azienda è molto più impreciso e mutevole);

    ♦ sono maggiori l’incostanza e la non continuità delle responsabilità, con un cambiamento più veloce e incessante delle responsabilità assegnate alle persone, spesso senza un processo di pianificazione, senza una proiezione nel tempo di un percorso di evoluzione del proprio ruolo Stress e vita organizzativa (so ciò di cui sono responsabile oggi, non immagino ciò di cui potrò essere responsabile domani);

    ♦ sono maggiori la mobilità e la variabilità delle competenze richieste alle persone, indirizzate verso cambiamenti che necessitano di forti capacità di adattamento (so quello che so fare oggi, non so se sarà così anche domani);

    ♦ infine, è cresciuta la mobilità dei legami relazionali tra colleghi, che costringono con più frequenza a mutare il proprio universo di scambi sociali e a ricostruirlo; instabilità che rende più fragile la formazione all’interno dell’azienda di un mondo sociale di rapporti solidi e stabili con i colleghi, basati sulla continuità nel tempo, che favorisce sicurezza, tranquillità e senso di appartenenza; aumentando invece i processi di mobilità questi legami diventano meno duraturi nel tempo, generando incertezza, smarrimento, necessità di ricostruire con più frequenza equilibri di comunicazione e scambio, prassi relazionali e sociali (i miei colleghi di oggi molto probabilmente non saranno quelli di domani).

    Osservando, dunque, quel che accade nelle organizzazioni possiamo quotidianamente imbatterci in fenomeni di malessere. La superficie di questo malessere è fatta di tanti colori e ha tante versioni, ma se proviamo ad andare a fondo, cercandone le ragioni che sono all’origine, anche meno consapevoli, troviamo l’ansia di una relazione con la realtà nella quale viviamo un sentimento di perdita di controllo. Elliot Jacques ci ricorda che appartenere a un’organizzazione non solo è funzionale alla necessità di avere una retribuzione e svolgere un compito, ma consente di soddisfare un altro bisogno fondamentale: il controllo delle nostre ansie (Jacques, 1996). Nei legami che si intrecciano con altre donne e uomini, attraverso la vita in un’azienda, si tesse l’identità di una persona, fatta della possibilità di ottenere risposte al proprio bisogno di essere, risposte a domande che abbiamo dentro di noi, anche inconsapevolmente, che rivendicano un responso: chi sono io? dove sto andando? quali sono le mie abilità e le mie capacità? cosa sono in grado di realizzare? che legami so costruire? È nella vita del lavoro, uniti ad altre persone da regole e modi di agire, che sperimentiamo concretamente le nostre risposte e costruiamo l’idea che abbiamo di noi stessi.

    Quando le aziende erano immerse in un contesto stabile e prevedibile, le organizzazioni erano regolate da continuità e controllo, fondate sulla ripetizione meccanica e costante di routine, procedure e regole. Oggi, nell’era della stress economy, senza la possibilità di poter avere certezza di futuro, le organizzazioni sono travagliate dal cambiamento e dalla metamorfosi, e quel che si vive nel lavoro sempre più diffusamente è un cambiamento:

    ♦ imprevedibile,

    ♦ frenetico,

    ♦ radicale.

    Imprevedibilità

    Gli impegni presi nelle nostre agende sono instabili, poiché sono tali e tanti legami che abbiamo con altri colleghi e con altre componenti dell’organizzazione, che da qualunque parte potrebbe arrivare una telefonata o un’e-mail che ci obbliga a modificare la nostra agenda.

    L’organigramma di oggi della nostra azienda, sempre che ve ne sia uno, che durata avrà? sino a quando non cambierà nuovamente? perché un nuovo dirigente sarà arrivato, perché un concorrente avrà modificato strategia, perché il mercato sarà mutato inaspettatamente, perché un nuovo prodotto o servizio verrà pensato, o altro ancora.

    Sempre l’uomo è riuscito a immaginarsi il futuro proiettandosi nel tempo della sua esperienza organizzativa. Non solo le economie legate alla terra (contadini e allevatori), ma anche quelle delle imprese e delle burocrazie, consentivano di pensarsi nel tempo, tanto da poter immaginare il momento in cui sarebbe avvenuta, con il pensionamento, la conclusione del proprio percorso nel mondo del lavoro.

    Chi oggi, lavorando in un’impresa che si cimenta con il cambiamento, è in grado di sapere a distanza di cinque anni (molti nemmeno a distanza di due anni):

    ♦ quale ruolo occuperà,

    ♦ con che colleghi collaborerà,

    ♦ chi sarà il suo capo,

    ♦ che responsabilità dovrà affrontare,

    ♦ con quali prodotti e servizi si dovrà cimentare,

    ♦ quali conoscenze dovrà possedere per essere adeguato?

    L’identità organizzativa si dibatte tra conservare un passato che rimane nella resistenza delle persone a cambiare, e afferrare un futuro che richiede di mutare in modo imprevedibile.

    Frenesia

    Vi è una grande differenza tra frenesia e velocità. La velocità è un modo di agire in stretta connessione con la possibilità di raggiungere un obiettivo. Senza velocità non vinco un gran premio di formula uno. Senza velocità non finisco in tempo un compito che mi è stato richiesto di consegnarlo entro questa sera.

    La frenesia è invece quel comportamento che utilizza la velocità sempre, indipendentemente dalla necessità imposta dall’obiettivo. Nella frenesia vi è una coazione a ripetere che applica la velocità come standard, come modello diventato automatico e meccanico di agire. La frenesia è la velocità che si è trasformata da mezzo a condizione, da funzione a modalità d’essere.

    Il cambiamento avviene in modo frenetico, come un automatismo a cui non sembra non ci si possa sottrarre. Esistono una frenesia visibile e una frenesia invisibile, più sotterranea e fatale, per l’equilibrio e il benessere delle persone.

    La frenesia visibile la notiamo quando siamo in auto e si altera di pochi istanti il tempo che avevamo previsto di impiegare. È visibile la frenesia che osserviamo nelle persone che non sanno più concedersi spazi di pausa, di ozio, di stasi, ma sono animate da un costante moto decisionale e operativo. La frenesia invisibile, che accade in noi senza consapevolezza, ma che produce perdite è quella:

    ♦ dell’ascolto di se stessi, rendendoci meno capaci di dedicarci tempi per comprendere ciò che viviamo e come lo viviamo;

    ♦ dell’ascolto degli altri, rendendoci meno capaci di imporre una pausa ai nostri pensieri mentre qualcuno ci parla.

    Il cambiamento della e nella vita organizzativa è dunque oggi diventato frenetico perché assoggettato a una velocità che non ha pause, che non rallenta, ma costringe incessantemente a modificarsi, a volte senza chiedersene le ragioni.

    Radicalità

    Un terzo aspetto che contraddistingue la natura del cambiamento in atto nella vita organizzativa è quello della radicalità, ovvero la sua drasticità. Accanto a cambiamenti che, come nel passato, avvengono per gradualità e progressione, nelle organizzazioni si osservano fenomeni di cambiamento che invece sono risolutivi, che abbandonano il passato, la storia, l’esperienza. Cambi di attività che richiedono un mutamento delle professionalità necessarie; cambi di proprietà che determinano distacchi da storie, modelli e stili di comportamento; cambi di strategie che riposizionano persone e interrompono legami ed expertise. Si è detto che questa è l’epoca dell’e-forgetting, perché nella rete che collega tutto avviene anche che tutto si dimentica più facilmente.

    Se il futuro è venuto meno nella possibilità di essere previsto, risulta alterato un modello primario attraverso il quale funziona il comportamento delle persone: l’uso delle predisposizioni. L’esperienza, qualunque esperienza, piccola o rilevante – la strada che prendo per andare al lavoro la prima volta, il modo con cui ho affrontato una decisione su un tema per la prima volta, l’incontro per la prima volta con un certo problema – si trasforma in pregiudizio, preconcetto e presentimenti. L’esperienza funziona precedendo i comportamenti delle persone, perché il passato viene utilizzato, spesso inconsapevolmente, per predire il futuro, per guidare il futuro. Oggi questo meccanismo non si rivela più tanto efficace. Fa cilecca. La validità dell’esperienza è meno efficace, perché variano con più frequenza le caratteristiche e le dinamiche dei contesti in cui ci si muove e la natura delle valutazioni e delle decisioni che dobbiamo prendere.

    Nell’impresa taylorista, basata sulla meccanicità della ripetizione, l’esperienza che riproduceva il passato ne era un pilastro portante, tanto da avere nell’alienazione e nell’eccesso di prescrizione il suo fattore di criticità e di tensione. Oggi l’impresa della stress economy è fatta di incertezza, di incontro-scontro con un mondo che richiede spesso di partire da zero, di affrontare il lutto dell’abbandono di pezzi della propria identità. Così, non c’è strategia che appaia sufficientemente chiara sul futuro, non c’è direzione che potrebbe essere data dall’azienda che si dimostri suffi-Stress e vita organizzativa cientemente completa, poiché tutto è avvolto da instabilità, precarietà delle scelte e delle direzioni.

    Si tratta di una metamorfosi difficile, perché non tocca solo la funzione cognitiva e intellettuale delle persone (non si tratta solo di comprendere), tocca più a fondo aspetti che implicano le dimensioni inconsce ed emozionali, che non funzionano con il buon senso, ma dirottano il cuore lungo le strade dei timori, delle paure e delle ansie.

    2. Stress e benessere

    La dimensione tragica della vita organizzativa

    Sofocle, mettendo alla luce la figura di Edipo e la sua tragica esperienza, ha interpretato un’importante transizione che stava affrontando la cultura greca a lui contemporanea: il passaggio verso la responsabilità individuale del soggetto, responsabilità tragica.

    Nel pensiero mitologico precedente l’avvento della figura di Edipo, l’uomo era rappresentato totalmente alla mercé delle volontà e delle iniziative, spesso bizzose, degli dei. Senza identità e autonomia personale, gli individui subivano la vita come conseguenza di scelte e disposizioni di un mondo divino totalmente immerso nella vita quotidiana. Il divino entrava ovunque, si palesava in ogni cosa, senza lasciare spazio all’autonomia della persona.

    Edipo porta sulla scena l’evidenza di un cambiamento, per esempio, rispetto alle figure di Ulisse o di Ettore. Edipo commette una serie drammatica di atti inaccettabili (uccide il padre e sposa la madre), la cui responsabilità, secondo un pensiero mitologico, sarebbe stata assegnata totalmente al gioco nefasto e crudele degli dei. Invece Edipo compie una rivoluzione, sa del gioco degli dei, ma afferma e si assegna la responsabilità. Sceglie e decide di assumersene la colpa, al punto da accecarsi.

    Si tratta di una svolta tragica, perché l’uomo si erge a responsabile di ogni propria azione, innalza il proprio io, ma al contempo si assume la responsabilità di qualcosa che non è veramente ed esclusivamente nelle possibilità delle sue risorse e delle sue capacità. Edipo è tragico perché sceglie di essere al centro di ciò che vive, ma allo stesso tempo vive qualcosa che è stato prodotto dal gioco degli dei. La tragicità è questo affrancamento del sentimento di responsabilità e del proprio io dalla dipendenza degli dei, portando con sé la fatica e l’impotenza di essere comunque vittima di una realtà che non si ha in proprio potere (Zapelli, 2000 e 2001).

    La storia di Edipo ci propone una metafora, congeniale per descrivere come oggi vivono le donne e gli uomini l’esperienza del lavoro nelle organizzazioni. Analizzando la vicenda di Edipo troviamo dei parallelismi con la realtà di oggi delle organizzazioni.

    La vita nelle organizzazioni è diventata per molti versi tragica, perché, come per Edipo, l’individuo è nelle condizioni di poter affermare la propria responsabilità, la propria unicità; trova spazi e modi per interpretare capacità, abilità e conoscenze che possiede.

    Allo stesso tempo questa dimensione di soggettività possibile incontra, e spesso deve fronteggiare, una realtà organizzativa che dirige e indirizza

    Nella vicenda di Edipo, narrata da Sofocle, si possono trovare molti spunti che consentono di costruire un’analogia con la realtà che viviamo oggi nelle organizzazioni.

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