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Psicologia e buddismo: CONFRONTO TRA IL PENSIERO ADLERIANO E IL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN
Psicologia e buddismo: CONFRONTO TRA IL PENSIERO ADLERIANO E IL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN
Psicologia e buddismo: CONFRONTO TRA IL PENSIERO ADLERIANO E IL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN
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Psicologia e buddismo: CONFRONTO TRA IL PENSIERO ADLERIANO E IL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN

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Cosa hanno in comune la filosofia buddista e gli studi occidentali sulla psicologia?
“Psicologia e buddismo” è un viaggio che ripercorre i capisaldi di entrambe le correnti di pensiero cercando una risposta a questa domanda. In esso è frequente trovare delle analogie tra le due discipline, al di là delle diverse terminologie usate e dei diversi ambiti di cui si occupano, la psicoterapia e la spiritualità, soprattutto se si tiene conto che a separare le due filosofie di pensiero vi sono migliaia di anni trascorsi e matrici culturali molto diverse.
Nel libro vi è una sintesi storica della nascita ed evoluzione del buddismo, attraverso le sue trasformazioni, fino a concentrarsi sul pensiero contenuto nel Sutra del Loto, insegnamento cardine del budda Shakyamuni tramandato dal monaco Nichiren Daishonin.
La parte riguardante la psicologia poggia, invece, in particolar modo sulle teorie di un allievo di Freud, Adler, ma con cenni a diversi modelli teorici.
LanguageItaliano
PublisherLIBRINMENTE
Release dateJul 21, 2022
ISBN9791259610447
Psicologia e buddismo: CONFRONTO TRA IL PENSIERO ADLERIANO E IL BUDDISMO DI NICHIREN DAISHONIN

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    Psicologia e buddismo - Massimiliano Irenze

    Copyright

    Copyright © 2022 Librinmente

    Design copertina © 2022 Librinmente

    Tutti i diritti riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per l’utilizzo

    della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono

    essere inviate a:

    Librinmente

    Viale Giacomo Matteotti, 19

    00053 Civitavecchia (Roma)

    Telefono 0766.23598

    Telefax 0766.23598

    ISBN-13: 979 – 12 – 5961 – 044 - 7

    Stampato in Italia - Prima edizione

    http://www.prospettivaeditrice.it

    INTRODUZIONE

    Quando ho cominciato il tirocinio post lauream presso l’istituto A.Adler, avevo iniziato a praticare da poco il buddismo. Prima di allora, erano anni che non avevo interessi religiosi. Con mia grande sorpresa, la tutor che stava regalando a ciascuno di noi un libro diverso, tutti appartenenti all’istituto, mi ha messo in mano: Psicoterapia e religione, scritto dal professor L.G. Grandi.

    In esso, ho potuto subito conoscere lo spirito di apertura che Adler aveva nel far entrare nella stanza terapeutica i contenuti religiosi dei suoi pazienti, senza bollarli come nevrosi, come invece faceva Freud. Tali contenuti, anzi, erano rispettati e considerati molto preziosi ai fini della terapia, poiché in essi vi erano condensate le credenze e gli atteggiamenti che l’individuo aveva verso il mondo.

    Pochi giorni prima, avevo discusso la tesi di laurea magistrale, perciò la conoscenza universitaria in materia di psicologia era stata acquisita.

    Man mano che imparavo nozioni relative alla filosofia di questo buddismo, un po’ tramite i libri e un po’ tramite i meeting settimanali di discussione con gli altri praticanti, percepivo una sensazione di familiarità. Quest’ultima, riferita spesso dai novelli buddisti, era in parte dovuta ad una impressione profonda di aver trovato fuori da me qualcosa che avevo sempre avuto dentro; in parte, però, era legata al fatto che concetti molto simili io li avevo già sentiti altrove, anche se con terminologie differenti. Mi sono presto reso conto, infatti, che la filosofia buddista e la psicologia avevano molto più che delle affinità casuali, ma una vera e propria somiglianza concettuale.

    Quando poi, all’istituto A. Adler, ho approfondito gli insegnamenti dell’omonimo autore, mi sono reso conto che tra i vari teorici della psicologia conosciuti, questo era sicuramente quello che io trovavo più affine con il pensiero buddista.

    Dopo il seminario incentrato sulla teoria adleriana, ho quindi esternato queste mie riflessioni riguardo al parallelismo che avevo osservato tra le due filosofie. A seguito di tali osservazioni, in accordo con la tutor, ho scelto di scrivere il presente lavoro per mostrare come, già 2500 anni fa circa, l’uomo fosse intento a cogliere quelle stesse dinamiche profonde che la psicologia in generale e Alfred Adler, nella fattispecie, hanno riproposto in maniera più attualizzata e occidentale; nel fare ciò, il mio intento è rendere credibili ed evidenti, per i lettori, le stesse somiglianze che io vi ho colto, consapevole che tali accostamenti rispondono anche ad un desiderio personale, nonché una necessità, di integrare in un quadro coerente ed armonico due ambiti presenti nella mia vita: la psicologia adleriana e la religione buddista.

    PSICOLOGIA E BUDDISMO

    Già millenni fa, il buddismo proponeva uno schema per definire la personalità, anche se in chiave spirituale. Esso consisteva in una struttura che comprendeva nove coscienze e che andava da un livello più superficiale di contatto con la realtà fino ad un livello più profondo di esistenza. Le prime cinque coscienze equivalgono ai cinque sensi. La sesta integra gli stimoli percepiti dalle prime cinque in un’unica percezione complessa e ci rende consapevoli della realtà immediata, intorno a noi. La settima coscienza è chiamata in modo dispregiativo: piccolo ego, perché è la coscienza in cui hanno sede i nostri desideri egoistici e gli attaccamenti per i quali saremmo disponibili a passare sopra alla felicità altrui. È ritenuta spesso causa della nostra sofferenza poiché è da essa che partono le azioni attraverso cui poniamo cattive cause ed è ad essa che ne tornano i cattivi effetti perpetuando la sofferenza, che genera a sua volta altre cattive azioni. E qui arriviamo all’ottava coscienza, alaya, detta il magazzino del karma, poiché gli effetti latenti generati in noi da ogni azione, buona o cattiva, si depositano in essa e restano lì, in stato potenziale, finché una causa esterna non li farà manifestare. La nona coscienza, detta amala, che significa pura, immacolata, è la dimensione in cui tra noi e l’universo non c’è confine e da cui possiamo attingere inesauribilmente energia vitale. Questa immagine richiama in parte il concetto di inconscio collettivo di cui parlava Jung. Essa è, per i buddisti, la sede della buddità, ossia dello stato illuminato attraverso cui percepire la realtà; tale livello di coscienza equivale al NamMyoHoRengeKyo che essi invocano nella preghiera. Tra questa coscienza e i sensi, però, ci sono il karma e l’ego a fare da filtro e perciò molta di questa energia viene deviata e si disperde nel tragitto. Per quello, secondo il buddismo, il contatto con tale coscienza va ricercato instancabilmente, ogni giorno. Man mano che si invoca tale energia, al suo passaggio essa trasforma il karma e l’ego facilitando i rapporti con l’ambiente circostante, inteso come società, regno animale, vegetale e ambiente fisico in genere. Secondo il buddismo, quando moriamo, le prime sette coscienze si disintegrano eliminando per sempre la nostra identità provvisoria, mentre rimangono integri il magazzino del karma e la nona coscienza. Il karma, dopo la morte, rimane in stato latente, come energia universale che ha una certa valenza, positiva o negativa, a seconda della qualità del karma stesso. Non appena in qualche parte dell’universo si sviluppano le condizioni esterne adatte a manifestare quel tipo di

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