Bagnati dallo stesso mare
Di Gino Caruso
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Info su questo ebook
Gino Caruso è nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, nel 1953. Dopo la laurea in Scienze politiche, si trasferisce a Roma dove lavorerà per diversi anni, fino a quando deciderà di tornare a vivere in Sicilia, dove inizia a scrivere romanzi storici, coniugando la sua passione per la storia con quella per la sua terra. Ha già pubblicato: Mosè il ricco (1999, Koinè Nuove Edizioni), nel quale ripercorre la storia della cacciata degli ebrei dalla Sicilia nel 1492; Trilogia Siciliana – l’ebreo, l’arabo e fra’ Antonio da Mistretta (2012, Pungitopo), storia di tre personaggi vissuti in Sicilia rispettivamente nel Duecento, nel Cinquecento e nel Seicento.
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Anteprima del libro
Bagnati dallo stesso mare - Gino Caruso
Gino Caruso
Bagnati dallo stesso mare
© 2022 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-2186-6
I edizione aprile 2022
Finito di stampare nel mese di aprile 2022
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Bagnati dallo stesso mare
A Santino, Ele, Aldo, Tonino, Bruno,
Michela, Rosaria, Giovanni e Giuseppe
Prologo
«Cu siti?»¹
«Chi faciti, tutta sta genti?»²
«Veniamo da lontano e stiamo scappando per paura e perché non vogliamo diventare musulmani» rispose Demetrio al vecchio che chiedeva ragione di quella strana e colorita moltitudine umana che attraversava le polverose strade della cittadina di Solunto, in Sicilia.
«Scantu di chi?»³ chiese la moglie del vecchio fattasi anche lei intraprendente.
«Paura dei turchi musulmani» rispose una donna che procedeva dietro il quadro di Maria Santissima Odigitria, Colei che conduce mostrando la via⁴, cioè suo Figlio Gesù, ma i fuggitivi preferivano pensare che mostrasse loro la via per la Sicilia.
Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e la repentina invasione della penisola balcanica, l’Albania fu minacciata nei propri territori e nella propria religione: tentavano di costruire una nazione albanese ed invece si trovarono alle porte gli ottomani che li volevano distruggere e sottomettere.
La seconda città sacra per la cristianità era ormai sotto il dominio dei turchi ottomani guidati dal ventunenne sultano Maometto II. Dopo Gerusalemme, da tre secoli in mano alla jihad islamica, ora anche la città fondata dall’imperatore romano Costantino, che da un millennio aveva abbracciato il cristianesimo come unica religione dell’Impero Romano d’Oriente, era caduta in mano all’islam che ne aveva fatto la capitale dell’Impero turco-ottomano cambiandone subito il nome in Istanbul.
A Costantinopoli, la sera stessa della sconfitta, il vertice religioso dei greci ortodossi aveva trovato un accordo con i conquistatori musulmani ricevendo, in cambio di obbedienza e sottomissione al giovane sultano, garanzie di libertà di culto e mantenimento delle cariche religiose.
Prima la disfatta dell’Impero bizantino, poi la morte dell’eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg che aveva combattuto quasi quarant’anni per la libertà e l’indipendenza del proprio popolo senza mai essere sconfitto dai musulmani, infine la caduta della capitale Croia nel 1478 e della città simbolo Scutari nel 1479, spinsero una buona parte della popolazione a cercare rifugio nell’Italia meridionale e in Sicilia in particolare.
Per l’Impero ottomano l’Albania era strategicamente importante: rappresentava la strada per entrare nel Mediterraneo e il tentativo di conquistare il mondo cristiano e questo costituirà una minaccia costante per l’Europa, specialmente nella sua parte orientale, nei duecento anni a venire.
La resistenza degli albanesi fu lunga ed eroica nella città di Scutari, l’ultima a cadere; sopravvissero allo scontro soltanto 450 uomini e 150 donne che, cosa rarissima presso gli ottomani, furono graziati quale riconoscimento e ammirazione del valore e coraggio dimostrati. I superstiti lasciarono la città sfilando in mezzo all’esercito nemico schierato in segno di rispetto.
Grazie all’aiuto della Repubblica di Venezia, consanguinei di Castriota e nobili della più elevata aristocrazia albanese sbarcarono in Sicilia e, stabilitisi nei feudi Nicolao-Daydingoli, fondarono la cittadina di Piana degli Albanesi il cui territorio, non lontano da Palermo e Monreale, era fertile e ricco d’acqua, ottenendo di conservare il rito religioso bizantino, la propria lingua e le tradizioni.
Giorgio Castriota, figlio di un nobile albanese, proclamato da Venezia il 2 maggio 1444 guida d’Albania, entrò nella storia per essere stato l’unico condottiero ad aver sconfitto i turchi nel loro momento di massima espansione e di massima forza.
Un bellissimo canto popolare albanese immagina che Scanderbeg in punto di morte chiami il figlio e gli ordini di fuggire al di là del mare. Per i turchi, continua il canto, "basterà sentire il tintinnio della sua spada per non inseguire il popolo albanese in fuga ed aver paura. Giungendo alla spiaggia troverai un cipresso, profumato e funesto, a quel cipresso lega il mio cavallo, al vento del mare spiega la mia bandiera e alla bandiera lega la spada. Quando soffierà la tramontana il cavallo nitrirà, la bandiera sventolerà e la spada tintinnerà: il Turco sentirà e ricordando la morte che dorme sulla mia spada non vi seguirà".
Con in testa il cavallo bianco e la spada di Castriota a far da battistrada all’immagine sacra della Madonna di Odigitria, si misero in cammino con destinazione Sicilia: l’isola incantata in mezzo ad uno splendido mare azzurro tra vulcani e limoni.
Condotti da Giovanni Castriota, figlio di Giorgio, intonando inni e canti alla Madonna, gli arbereshe, come da ora in poi verranno chiamati, s’incamminarono verso un destino ignoto ma pieno di speranza, scappavano per salvarsi da una vita di sottomissione e violenza e cercavano libertà, dignità e prosperità; la loro fuga diventava anche una fuga da se stessi e da ciò che erano prima. Nella mente dei profughi restava vivo il ricordo dei turchi insieme alle atrocità e le indicibili violenze che essi lasciavano dietro il loro passaggio.
In gran parte erano Coronei, provenienti da Corone nel Peloponneso, nella regione di Morea e Modone dove regnava un despota. Attratti dalla possibilità di una radicata presenza e dalla benevolenza del nuovo arcivescovo di Monreale, Giovanni Borgia, nipote di papa Alessandro VI, vennero accolti in Sicilia intorno al 1488.
I primi fuggitivi, tra cui alcuni militari, si erano stabiliti nei territori della casata Cardona-Peralta vicino agli antichi casali di Contessa Entellina, nella proprietà dei canonici di S. Giovanni degli Eremiti a Mezzojuso e nel monastero di Fossanova a Palazzo Adriano.
1 Chi siete?
2 Cosa fate qui, tutte queste persone?
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