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Zen in the city: L’arte di fermarsi in un mondo che corre
Zen in the city: L’arte di fermarsi in un mondo che corre
Zen in the city: L’arte di fermarsi in un mondo che corre
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Zen in the city: L’arte di fermarsi in un mondo che corre

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About this ebook

Una storia zen racconta di un uomo su un cavallo: l'animale galoppa veloce e pare che l'uomo debba andare in qualche posto importante. Un tale, lungo la strada, gli grida: "Dove stai andando?". E il cavaliere risponde: "Non lo so! Chiedilo al cavallo!". La condizione dell'uomo contemporaneo è la stessa: la forza dell'abitudine e le tecnologie digitali ci stanno trascinando a velocità folle, ma non sappiamo minimamente verso dove. Abbiamo perso prima il contatto col nostro corpo e le nostre emozioni, poi con le persone vicine a cui vogliamo più bene. Fermarci ogni tanto è forse l'unico antidoto possibile. Prendendo spunto dall'insegnamento dei più importanti maestri zen, a partire da Thich Nhat Hanh, il libro affronta il tema della consapevolezza ai tempi di internet, raccontando della meditazione a Google, introducendo temi come il "karma digitale" e proponendo un'ampia scelta di esercizi ad hoc per chi vive in città — dalla meditazione al semaforo a quelle in metropolitana, in ufficio (gabinetto compreso) o al parco pubblico — ma anche per chi passa molto tempo con computer, tablet o smartphone: dalla meditazione con l'iPhone agli esercizi di consapevolezza con Facebook.
LanguageItaliano
Release dateMar 23, 2015
ISBN9788827225936
Zen in the city: L’arte di fermarsi in un mondo che corre
Author

Paolo Subioli

Giornalista digitale ed esperto di comunicazione online, ha fatto della propria vita un manifesto di come sia possibile coniugare la pratica zen con il lavoro nell'economia digitale in una caotica città metropolitana.

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    Zen in the city - Paolo Subioli

    COPERTINA

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    ZEN IN THE CITY

    l’arte di fermarsi in un mondo che corre

    paolo subioli

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    Copyright

    ZEN IN THE CITY - l’arte di fermarsi in un mondo che corre

    di Paolo Subioli

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia 109 – 00196 Roma

    ISBN 978-88-272-2593-6

    Prima edizione digitale 2014

    © Copyright 2014 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

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    Non dico che gli uomini del deserto o i monaci conoscano per forza più gioia degli uomini di città, dico soltanto che le privazioni in cui vivono offrono loro minori occasioni di sbagliarsi sulla natura della loro gioia (Antoine De Saint-Exupéry).

    Ringraziamenti

    Un ringraziamento speciale alla mia amica Cristiana, che con gentilezza amorevole ha dato un contributo fondamentale alla qualità di questo libro.

    Grazie anche a Walter e a Loredana per il loro consigli.

    Un senso di gratitudine invisibile ma intenso, nei confronti di Daniela, percorre tutto questo libro. È lei la parte saggia di me.

    Pratiche per stare meglio

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    Per iniziare: meditare camminando sui binari

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    Questo libro parla di meditazione, una pratica che non ha a che fare col pensare, ma col suo contrario. Meditare significa concentrarsi al punto di non pensare proprio a niente. Semplicemente osservare. Ma chi prova a farlo, in genere, incontra un sacco di difficoltà, specie le prime volte. E allora possono essere di grande aiuto le frasi guida – o gatha – che si usano in certe tradizioni. Le gatha sono come dei binari, che indirizzano l’attenzione verso qualcosa, aiutando a rimanere in contatto col momento presente.

    Ecco dunque per iniziare una semplice meditazione basata sui gatha, proposta da Thich Nhat Hanh, un famoso maestro zen vietnamita, poeta e scrittore, che attualmente vive in Francia e che nel passato si è distinto per il suo impegno a favore della pace nel suo paese, tanto da meritarsi la nomination per il premio Nobel da parte di Martin Luther King. In questo libro, citeremo spesso Thich Nhat Hanh, un grande maestro, che ha saputo parlare sia all’Occidente sia all’Oriente, tramutando in linguaggio poetico la tradizione dello zen.

    Esercizio 1. Pratica per ogni momento della giornata

    Ogni coppia di frasi è associata a un ciclo di respirazione: la prima delle due frasi va ripetuta mentalmente mentre si inspira, la seconda mentre si espira.

    Inspirando, calmo il mio corpo.

    Espirando, sorrido.

    Inspirando, dimoro nel momento presente.

    Espirando, so che è un momento meraviglioso¹.

    È un esercizio che, per la sua brevità e semplicità, può essere svolto ovunque e in qualsiasi momento. Persino camminando per strada in città, o in un parco, su una spiaggia, seduti alla scrivania dell’ufficio.

    La breve meditazione ci mette subito in contatto con due elementi centrali di questa pratica:

    • l’unione di corpo e mente (i quali normalmente viaggiano del tutto separati), grazie al respiro e al suo potere calmante;

    • la presa di contatto col momento presente, il qui e ora, che rappresenta la sola autentica realtà e che ci aiuta a capire, ad esempio, chi siamo e come stiamo veramente.

    Essere presente nel qui e ora è l’unico modo per entrare in contatto con l’essenza del tuo essere, con la tua vera persona. Per trovare rifugio in te stesso/a, l’unica persona disposta a prendersi cura di te senza condizioni e su cui puoi fare affidamento sempre e comunque, anche nei momenti di maggiore difficoltà.

    Prova a prenderti subito qualche minuto, imparando a memoria quelle quattro frasi e richiudendo il libro per un po’. Le tante cose che oggi hai da fare, se ci pensi bene, non sono così decisive per la tua vita.

    Non pensare

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    Per essere presenti nel qui e ora non bisogna pensare e per non pensare è necessario concentrarsi al massimo. Ma tutto nella vita contemporanea trama contro la concentrazione. Già il telefono ci aveva abituato, nel ventesimo secolo, alla necessità di interrompere una qualsiasi attività in corso, per soddisfare una richiesta di conversazione da parte di qualcuno lontano, inconsapevole del nostro stato. Poi sono arrivate le email, ancora dopo gli sms, infine i numerosi servizi che, tramite i nostri dispositivi elettronici, ci inviano notifiche su qualsiasi cosa possa riguardarci, anche molto lontanamente: da quello che dicono o fanno i nostri conoscenti, fino agli aggiornamenti meteo o del traffico. E in questi casi, l’interruzione è richiesta non da persone, ma da sistemi informatici, padroni delle nostre vite al punto da non consentirci mai di mantenere un’attività mentale del tutto autonoma.

    E tutto trama anche contro la leggerezza della mente. Stare senza pensare è un’attività molto naturale – lo fa ogni bambino finché la sua mente non è condizionata – ma ormai possibile solo a condizioni molto speciali. Camminando per la città, la quantità di stimoli e messaggi visivi è soverchiante. I marchi si mettono in mostra ovunque, persino nel vestiario dei nostri interlocutori quotidiani. Tutto è messaggio e tutto si trasforma in attrazione. La pubblicità non ha confini, perché occupa ogni spazio che possa essere oggetto dell’attenzione di un essere umano. La TV già ci aveva educato a essere intrattenuti gratuitamente, in cambio della pubblicità, e poi internet ha amplificato di parecchio questa tendenza, saturando di messaggi ogni area di contenuto percepibile dai sensi.

    Gli stimoli sonori sono anche molto forti. Partendo da un rumore di fondo già assai alto, quello del traffico urbano, si cerca incessantemente di inserire una colonna sonora sotto ogni attività. Nel 1979, la Sony portò una rivoluzione, nelle nostre vite: grazie al Walkman, il riproduttore portatile di audiocassette, potevamo portarci appresso ovunque la nostra musica, eliminando così potenzialmente ogni pausa sonora, ogni possibilità di silenzio. Oggi le cuffie stereo costituiscono un settore industriale a sé e ce ne sono parecchi modelli in grado di filtrare selettivamente i rumori esterni, proprio perché non esistono più aree di silenzio – isolandoci completamente. Nei locali pubblici, il sottofondo musicale è d’obbligo, ma spesso è irriconoscibile, essendo già alto il livello sonoro dell’ambiente.

    Agli stimoli visivi e sonori si aggiunge l’intensità delle nostre attività. Il benessere ha portato un’accelerazione enorme nei ritmi di vita, consentendoci di svolgere molte attività ludiche e spingendoci a consumare sempre di più. Oggi tutti si lamentano di avere troppe cose da fare, compresi bambini e pensionati. La nostra agenda mentale è sempre fitta di scadenze e di cose da ricordare. E anche se ricorriamo ad ausili elettronici, non cambia il dato di fondo: è sempre più difficile lasciarsi andare, dimorare con tranquillità nel momento presente, senza sentirsi in dovere di lasciare un angolo della mente impegnato a prepararsi per l’impegno successivo, la prossima scadenza, le cose da ricordarsi di comprare o le persone a cui telefonare.

    L’attività di meditazione è una forma di resistenza, rispetto a tutti questi fattori. Nel momento in cui decidiamo di stare seduti, senza pensare a niente, per dieci, trenta o sessanta minuti, ci opponiamo a qualsiasi tentativo di essere stimolati visivamente o acusticamente. Ci ribelliamo, molto pacificamente e compassionevolmente, alla dittatura dell’agenda mentale. Siamo scandalosamente offline, non disponibili per la ricezione di alcun messaggio o notifica, pur sapendo che qualcuno si spazientirà – qualcuno umano, in questo caso – trovandoci irreperibili, in quello che è pur sempre un arco temporale assai breve.

    Ma la stessa meditazione, proprio perché consiste nello svuotare la mente dai pensieri e dalle percezioni, è messa a sua volta in difficoltà da cervelli come i nostri, assuefatti all’iper-stimolazione.

    Meditare senza pensieri

    Tutti coloro che si siedono col proposito di meditare fanno esperienza del fatto che i pensieri prima o poi arrivano, e ci distolgono dalla pratica di consapevolezza, perché ci allontanano dall’attenzione per il qui e ora. Il vagare da un pensiero all’altro è tipico della mente umana, non è solo un limite del principiante che tenta di concentrarsi sul respiro, magari con poco successo. In fin dei conti, basta assumere un atteggiamento equanime, nei confronti dei propri pensieri, per imparare a riconoscerli e in qualche modo gestirli, senza giudicarli.

    Capita dunque che l’attenzione costante sul presente sia interrotta da pensieri di varia natura (divagazioni, fantasie, preoccupazioni, ricordi, progetti), riguardanti il passato o il futuro. Tale interruzione può prolungarsi per molto, fino a saturare buona parte del tempo che abbiamo a disposizione. Da qui possono nascere diversi stati d’animo: frustrazione (non riesco a concentrarmi); rimpianto (ho perso un’occasione); auto-commiserazione (non sono capace); senso di colpa (ho avuto un’opportunità che non ho saputo mettere a frutto); confronto con gli altri (mentre gli altri sono tutti concentrati, io mi distraggo continuamente!).

    Qui propongo diversi stratagemmi, per affrontare pragmaticamente quello che si tende a percepire come il principale problema rispetto alla meditazione, e accogliere come normale e persino accettabile la continua distrazione, il vagare della mente da un pensiero all’altro.

    Esercizio 2. Congedarsi dai propri pensieri

    Con un po’ di esperienza, è possibile imparare a riconoscere i meccanismi con cui si sviluppa il pensiero. Come tutti i fenomeni del mondo, ha un inizio, una durata e una fine. L’innesco può essere originato da tanti spunti diversi. Poi si sviluppa, per evolvere in qualcosa di più articolato: un ragionamento, una fantasia, una discussione immaginaria. Se lo si intercetta presto, nel suo stadio iniziale, è più facile lasciarlo andare.

    Quando incrociamo un amico, camminando per strada, prima lo vediamo, poi lo riconosciamo e infine, in qualche modo, lo lasciamo andare, e lo facciamo con gentilezza. Possiamo fare lo stesso col pensiero che insorge:

    "Ciao, amico mio, ti ho riconosciuto; ma ora scusami, ti devo lasciare, perché vorrei tornare al respiro!".

    Oppure, più semplicemente, appena ci accorgiamo che un pensiero si è manifestato nella nostra mente, possiamo dirgli:

    "Non ora, per favore!".

    La gentilezza è molto importante, in questo caso. È gentilezza verso noi stessi, è amore compassionevole. Infatti può succedere che pensare la frase non ora, per favore! ci strappi un piccolo sorriso, il sorriso di chi, nei confronti delle proprie debolezze, vere o presunte, ha un atteggiamento equanime e comprensivo. Non rifiutiamo il pensiero – si è manifestato nella nostra mente, non da qualche altra parte – ma lo rimandiamo a un altro momento. Se quel pensiero è utile, probabilmente si manifesterà di nuovo.

    Esercizio 3. Etichettatura

    Un’altra tecnica per riportare l’attenzione al respiro è quella dell’etichettatura, proposta da Pema Chödrön. Ogni volta che ci accorgiamo di essere distratti, ne prendiamo nota mentalmente, dicendoci solo attività mentale, per poi riportare gentilmente l’attenzione al respiro.

    Mentre meditiamo è importante avere un atteggiamento gentile e cercare di fare amicizia con noi stessi, invece di rinsaldare la rigidità e l’autocritica. Per questo cerchiamo di etichettare con una mente benevola e non critica. Mi piace paragonare i pensieri a bolle di sapone: allora etichettarli è come toccare una bolla con una piuma. È un approccio molto diverso dall’andare all’attacco dei pensieri come se fossero piattelli da abbattere².

    Esercizio 4. Adottare la mente della nonna

    Uno stratagemma escogitato in ambito zen è quello di adottare la mente della nonna³. Per una nonna amorevole, il proprio nipote è sempre bellissimo e perfetto. Qualsiasi cosa tu faccia, tua nonna è sempre pronta a perdonartela, perché ti adora, così come sei. E se si accorge che ti stai facendo del male, interviene per impedirlo, anche se sei tu stesso/a la causa di quel male. La pratica consiste dunque nell’esercitarsi a guardare se stessi con gli occhi della nonna. È una pratica di gentilezza amorevole, che può diventare fonte di grande conforto e di benessere.

    Tornare al respiro

    Tutte le volte che ci accorgiamo di essere distratti da un pensiero, torniamo al respiro, in un modo o nell’altro, utilizzando o meno le tecniche che qui descriviamo. Questo tornare al respiro è l’essenza stessa della meditazione, come ha messo in evidenza un’altra maestra zen, Joko Beck:

    Il miglior modo di lasciare andare è di notare i pensieri appena arrivano e riconoscerli. Oh, sì, lo sto facendo ancora – e senza giudizio ritornare alla chiara esperienza del momento presente. Dobbiamo solo essere pazienti. Potremmo doverlo fare diecimila volte, ma il valore della nostra pratica è il costante ritorno della mente al presente, ancora e ancora e ancora⁴.

    In parole povere, a forza di fare così, impariamo a tornare alla consapevolezza in ogni azione della nostra vita quotidiana, nelle relazioni con gli altri e nelle attività che svolgiamo. A capire cosa succede nella nostra mente e nel nostro corpo, in ogni circostanza. Quindi ben venga il pensiero: se non ci fosse, non avremmo quest’opportunità di affinare la consapevolezza.

    Mantenendoci sempre su un atteggiamento equanime, possiamo ricavare un ulteriore spunto. Se dovessi considerare cosa ho fatto nel tempo appena trascorso, specie dal punto di vista di un cittadino urbanizzato, sarebbe una specie di disastro: tempo della mia vita sprecato a non fare niente di utile. Ma quello ormai è il passato! Ora sono tornato al momento presente, sono di nuovo in uno stato di calma ed equanime concentrazione. Ciò che conta è cosa sta avvenendo ora. Me lo posso godere, questo respiro tranquillo, finalmente!

    Gesù forse intendeva dire qualcosa di simile, quando ha raccontato la parabola dei lavoratori della vigna, nella quale anche la persona che ha lavorato solo nell’ultima ora della giornata prende la stessa paga di chi si è presentato di primo mattino.

    Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

    Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi⁵.

    Indagare la propria mente

    Non tutti i mali vengono per nuocere. Se insorgono pensieri continuamente, c’è un ulteriore vantaggio: possiamo vedere di quali pensieri si tratta. Che cosa tiene occupata la nostra mente in questo momento? Qualcosa che ci preoccupa, programmi per il futuro, recriminazioni sul passato, ricordi. Magari solo le immagini di un film visto ieri sera. È utile anche questo. A volte quelli che insorgono sono pensieri emotivi, ovvero formazioni della mente che sono in grado di suscitare in noi emozioni (ad esempio, mi torna alla mente l’atteggiamento di quella certa persona, che mi fa arrabbiare). Diane Eshin Rizzetto ci ricorda che "quello che conta non è quanti pensieri abbiamo o di che tipo sono, ma cosa facciamo di

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