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Vimala commenta la Bhagavadgita
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Vimala commenta la Bhagavadgita

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CAPITOLI 1-12
La Bhagavadgita, Il Canto del Signore, è un testo antico ispirato, ancora oggi molto amato dal popolo indiano e da innumerevoli studiosi di tutto il mondo. Fa parte del poema epico Mahabharata ed è basato sul dialogo tra Arjuna e Shri Krishna. Il primo è un guerriero che, al momento di affrontare una terrificante battaglia, colto da sconcerto e pentimenti, cede l'arco e le frecce e si affida all'insegnamento salvifico di Krishna. Questi rappresenta la coscienza pura e illuminante cui si può appellare colui che cade nel dubbio.
La Bhagavadgita è un poema epico in chiave allegorica. Il dialogo tra i due protagonisti si svolge sul carro, nel campo di battaglia che, allegoricamente, rappresenta il teatro della vita; il carro è il corpo umano, i cavalli sono i sensi, l'auriga, cioè Krishna, è il pensiero-guida, le redini sono il raffrenamento e l'austerità, mentre Arjuna è l'essere umano comune smarrito e confuso di fronte ad un'imminente catastrofe, peraltro da lui stesso programmata e organizzata.
Nel testo non vi è un'esposizione sistematica delle pratiche yoga, ma queste vengono costantemente ricordate ed elogiate dal Maestro Supremo che incita l'amico-discepolo ad agire nel più totale abbandono all'assoluto, dimentico del proprio ego e dei risultati delle sue azioni.
Nel corso dei secoli i commentatori della Bhagavadgita sono stati molti, ma Vimala Thakar, grande Maestra vivente, interpreta, forse per la prima volta, in un modo completamente nuovo, sia lo sgomento di Arjuna sia gli insegnamenti di Krishna. Il suo approccio abbraccia, in senso universale, la vita e le problematiche di ciascuno al di là della razza, del credo religioso, della posizione sociale e così via.
Ognuno di noi può riscontrare, nelle parole di Vimala, riferimenti, suggestioni e soluzioni alle sfide che tutti i giorni deve affrontare. Vimala esprime amore, comprensione e compassione per ogni essere umano; le sue parole rassicurano e incoraggiano il ricercatore spirituale, arricchendo la sua esistenza e guidandolo verso i più alti livelli di coscienza.
LanguageItaliano
Release dateOct 28, 2015
ISBN9788827226421
Vimala commenta la Bhagavadgita
Author

Vimala Thakar

Nata in India nel 1923, si è laureata in filosofia orientale e occidentale all’Università di Nagpur. Grande sperimentatrice della vita nella sua complessità, ha aderito, in giovane età, al Movimento di ispirazione gandhiana di Vinoba Bhave per la distribuzione delle terre ai contadini. Al seguito di questo movimento, Vimala ha viaggiato attraverso tutta l’India. Alla fine degli anni Cinquanta incontra Sri Krishnamurti, il quale la incoraggia a condividere con altri le sue visioni della vita. Vimala, quindi, viaggerà in molti paesi del mondo per dialogare sulla ricerca spirituale e sulla meditazione intesa come silenzio interiore. Dagli anni Novanta si è stabilita a Mount Abu nel Rajasthan, dove è passata a miglior vita nel marzo 2009. Le Edizioni Mediterranee hanno pubblicato il suo commento alla Baghavad Gita.

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    Vimala commenta la Bhagavadgita - Vimala Thakar

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    VIMALA COMMENTA LA BHAGAVADGITA

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    Capitoli 1-12

    VIMALA THAKAR

    Edizione italiana e traduzione

    a cura di Rosanna Rishi Priya e Elena Baldini

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    Copyright

    VIMALA COMMENTA LA BHAGAVADGITA - Capitoli 1-12

    Vimala Thakar

    Edizione italiana e traduzione

    a cura di Rosanna Rishi Priya e Elena Baldini

    © Copyright 2008-2015 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia 109 – 00196 Roma

    ISBN 978-88-272-2642-1

    Prima edizione digitale 2015

    © Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee

    Via Flaminia, 109 - 00196 Roma

    www.edizionimediterranee.net

    Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma

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    e-mail: ordinipr@ediz-mediterranee.com

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    www.edizionimediterranee.

    Dedica

    Dedico questo lavoro di traduzione, composizione e aggiunta

    di alcuni shloka (versi) della Bhagavadgita con relative interpretazioni,

    agli studenti di yoga che intendono procedere sul cammino seguendo

    sempre più le linee guida e i preziosi insegnamenti di Vimala.

    Di fronte alla grandezza di Vimala

    mi inchino con immensa gratitudine e devozione.

    Rosanna Rishi Priya

    Prefazione

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    Il grande fascino di questa opera è l’aspetto colloquiale e diretto con cui Vimala, attraverso i suoi discorsi, da me registrati e tradotti dall’inglese, ha commentato i primi dodici capitoli della Bhagavadgita.

    Molti sono stati i commentatori di questo testo antico, considerato a tutt’oggi la colonna portante di tutti gli insegnamenti degli antichi saggi indiani, ma credo che pochi abbiano in sé quel sapore, quella freschezza, quella schiettezza, così come li ritroviamo nelle comunicazioni di Vimala.

    Nel contempo vorrei subito rivolgermi al lettore di queste pagine per esprimere i sentimenti di amore e devozione che nutro per Vimala, sentimenti che mi hanno spinto a prendermi cura della traduzione e della messa in opera degli insegnamenti che Vimala mi ha trasmesso negli anni in cui, con lei, intraprendevo lo studio dei testi sacri della tradizione più antica. Quando iniziai a tradurre dall’inglese i nastri registrati, non soltanto della Gita, ma anche delle Upanishad quali la Ishavasya, la Chandogya, la Kena oltre agli Yoga Sutra di Patanjali (già pubblicato da Ubaldini Astrolabio), non avrei mai immaginato che potessero concretizzarsi in un libro. Infatti, il mio intento era quello di trasmettere ai miei allievi di yoga gli insegnamenti straordinari di questa grande maestra e poter, insieme, dare inizio a un percorso per mantenere sempre vive le sue parole.

    Gli insegnamenti che Sri Krishna impartisce ad Arjuna, vengono riproposti da Vimala anche alla luce di nuove dinamiche e diverse prospettive che si sono sviluppate e modificate via via attraverso i secoli. Eppure Vimala ribadisce che l’uomo di per sé non è mutato: i suoi sentimenti, i dubbi, le paure, le incertezze, i condizionamenti, le emozioni e così via, dimorano oggi nell’animo umano così come erano presenti negli uomini di 5000 anni fa.

    Arjuna rappresenta l’uomo che, improvvisamente, acquista quella squisita consapevolezza che lo fa cadere nel dubbio e che lo spinge verso la ricerca spirituale. Devo o non devo combattere?, questo è il grande quesito. Sri Krishna gli fa da guida cercando di dissipare i suoi dubbi e le sue angosce ma, allo stesso tempo, gli fa comprendere che la decisione spetta unicamente a lui. Egli soltanto può intraprendere il cammino evolutivo che la vita gli chiede di percorrere. Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità: se sono un guerriero, devo combattere; se sono una madre devo occuparmi dei figli e della famiglia. In sintesi, ogni essere umano ha in sé la sua legge divina, il suo dharma, dalla quale non può fuggire, né distaccarsi volontariamente.

    La Bhagavadgita è un poema epico che, in chiave puramente allegorica, propone l’incontro di due uomini, Arjuna, il guerriero, e Krishna, l’auriga che lo accompagna con il carro sul campo di battaglia.

    Ma chi è veramente Arjuna, se non l’uomo comune che cade nel dubbio, nella paura e nell’angoscia nel momento in cui la sua stessa esistenza gli impone di affrontare le sfide della vita? E chi è Krishna se non la guida interiore, la coscienza incarnata, colui che tiene nelle sue proprie mani il destino del mondo? Egli è colui che accende il fuoco della ricerca spirituale e delle soluzioni sagge nell’inevitabile divenire dell’uomo. Il campo di battaglia è la vita stessa, colma sì di insidie eppure altresì ricca di inesprimibile bellezza.

    I discorsi di Vimala sulla Bhagavadgita sono iniziati nell’aprile del 1992 e si sono protratti fino al giugno del ’93 con lunghe soste nelle sue due case di residenza, una a Mount Abu, nel Rajasthan, e l’altra a Dalhousie, nell’Himachal Pradesh, un piccolo villaggio immerso nei boschi di magnifici cedri e contornato dalle cime innevate della catena himalayana. Non potrò mai dimenticare quei giorni felici in cui la mia devozione per Vimala si accresceva sempre di più. Non si trattava di una forma di devozione fanatica o formale, né di un rapporto distaccato come da maestro a discepolo. Vimala mi accoglieva come un’amica, con grande semplicità, chiedendo a me e al gruppo che seguiva le lezioni se in questi lontani villaggi indiani avevamo trovato un minimo di comfort per sopravvivere alle molte difficoltà che si verificano in simili circostanze. Gli incontri avvenivano due volte al giorno, mattina e pomeriggio, mentre il sabato e la domenica eravamo liberi di assorbire gli insegnamenti, meditare, avventurarci in qualche escursione, fare delle passeggiate nei boschi e goderci i magnifici tramonti.

    Iniziavamo con il canto del gayatrimantra e poi c’era una mezz’ora di silenzio, così come Vimala definisce la meditazione. Era con grande trepidazione che, terminata la meditazione, vedevo Vimala aprire i suoi grandi occhi lucenti, aggiustarsi il lembo del sari che le cadeva dalla spalla e, dopo qualche attimo, iniziare a parlare. Il suo sguardo si perdeva lontano, come se cercasse l’ispirazione e attingesse la conoscenza da luoghi infiniti, per noi imperscrutabili. Vimala non teneva in mano alcun libro, né appunti, né altro. Conosceva tutti i testi a memoria e, con grande precisione, citava ora un verso e ora l’altro dai vari capitoli, talvolta le strofe venivano da lei cantate nel sanscrito originale. E poi le sue parole si dispiegavano con grande chiarezza, lasciando tracce indelebili nel profondo del mio animo. Vimala, il più delle volte, non ama parlare in prima persona, ma preferisce usare il proprio nome.

    Vimala ora vive unicamente a Mount Abu perché il villaggio himalayano è a un’altitudine che potrebbe compromettere la sua salute. In tutti i modi, devo dire che il soggiorno a Mount Abu è sempre risultato molto gradevole. La cittadina ha indubbiamente perso il suo aspetto originario, in quanto, nei tempi più antichi e fino a forse mezzo secolo fa, i suoi monti boscosi e le sue grotte erano dimora di yogin e saggi che vivevano in isolamento nella costante contemplazione della natura circostante in tutta la sua magnificenza, con la sola suprema aspirazione di scoprire l’ultima Realtà dell’esistenza. Vimala, con rammarico, racconta che Mount Abu ha perso gran parte del suo fascino, buona parte delle foreste sono state abbattute per lasciare spazio ai grandi alberghi, ristoranti, bar, uffici, banche e quant’altro. Eppure si sono conservati alcuni palazzi dei Maharaja, di straordinaria bellezza e uno dei templi Giain più belli e rinomati in tutta l’India.

    Ma ora vorrei dire ancora qualche parola su di lei, altrimenti questa prefazione risulterebbe arida, priva di reale contenuto e, per far questo, mi rivolgo alla segretaria personale di Vimala, Kaiser Irani, che l’ha seguita in ogni dove per venticinque anni della sua vita. Così, prendo in mano il libro, curato e pubblicato in India da Kaiser stessa, che si riferisce al lungo peregrinare di Vimala da un paese all’altro del mondo intero. Kaiser racconta: "Vimala stessa si chiede a gran voce: Come una semplice ragazza brahmina proveniente da una famiglia di ceto medio, la cui educazione non era neppure avvenuta in lingua inglese, come e quale divina cospirazione l’aveva portata a viaggiare nel mondo per trenta anni, visitando ventidue paesi, tenendo discorsi e guidando campi di meditazione! Tutto ciò avveniva non per iniziativa di Vimala, ma come risposta ai molti inviti. Infatti, la cosa più straordinaria è che questo pellegrinaggio nel mondo avvenne senza una struttura organizzata, né un ufficio con personale retribuito, né alcuna propaganda di alcun genere".

    Fu così, infatti, che incontrai Vimala per la prima volta proprio qui, a casa mia e nel mio centro di yoga. In un giorno del lontano 1986, qualcuno mi telefonò: Viene in Italia una grande maestra indiana, la vuoi per tenere dei discorsi nel tuo centro?. Senza sapere nulla di lei, dissi di sì. Così Vimala e la sua segretaria furono mie ospiti per dieci giorni. Credo che questa sia stata la vera grande benedizione della mia vita.

    Nel 1987, in occasione di un seminario tenuto da Vimala a Villa Era, in Piemonte, mi avvicinai a Lei e le chiesi che cosa dovevo fare per essere una brava insegnante di yoga – all’epoca insegnavo già da alcuni anni – e la risposta fu: "È necessario studiare almeno i più importanti testi antichi quali le Upanishad, la Bhagavadgita e gli Yoga Sutra di Patanjali". Mi venne spontaneo di chiederle di diventare lei stessa la mia insegnante e lei propose che andassi in India dove avrei potuto approfondire e studiare le antiche scritture. Fu così che coinvolsi alcuni insegnanti di yoga che erano interessati a intraprendere tale studio e furono presi i primi accordi di raggiungere Vimala a Mount Abu dove sarebbe iniziato il corso.

    Naturalmente l’emozione era davvero grande e fu con autentica trepidazione che mi trovai seduta nella sala di meditazione di Vimala pronta ad assorbire e assaporare le sue preziose parole. La Upanishad prescelta fu la Ishavasya e, qui di seguito, riferisco le parole pronunciate da Vimala all’inizio del suo primo discorso che avvenne nel marzo del 1989: "Amici, ci troviamo qui interamente grazie a Rosanna. Infatti ero in Italia nel mese di agosto scorso, quando Rosanna era presidente della Federazione Italiana Yoga: ella invitò alcuni insegnanti di yoga della Federazione, forse otto o dieci di loro, che da molti anni insegnavano ed erano desiderosi di oltrepassare la soglia dello hatha yoga per intraprendere lo studio di yajnavalkya yoga (lo studio delle antiche scritture), perciò dissi loro che per abbracciare tale studio era necessario riferirsi alle Upanishad, la cui essenza si trova in una breve Upanishad, chiamata Ishavasya. Così Rosanna chiese:‘Ci potresti iniziare agli insegnamenti delle Upanishad?’; la mia risposta fu: ‘Non qui, forse in India’, e lei insieme al gruppo accettò di venire a Mount Abu, nel Rajasthan".

    Vimala proseguì: "Non tutti sono stati in grado di arrivare questa mattina per il nostro primo incontro, pertanto la lezione vera e propria avrà luogo nel pomeriggio. In tutti i modi sono molto felice che Rosanna sia potuta venire. (…). In Italia Rosanna traduceva i miei discorsi in italiano. Ero sua ospite per alcuni giorni in una bellissima casa fuori Roma, in un luogo molto tranquillo. Perciò, grazie a lei, staremo insieme per una settimana, fino alla vostra partenza".

    Ma, facendo un passo indietro, vorrei ancora dire che Vimala, dopo aver terminato i suoi studi all’Università di Nagpur, laureandosi in filosofia indiana e occidentale, aveva partecipato attivamente al Bhudan Yajna, il movimento di ispirazione ghandiana fondato da Vinobha Bhave, il cui scopo era l’equa distribuzione della terra tra i contadini.

    Da giovane Vimala si interessa attivamente all’emancipazione della donna: abbiamo mai preso nelle nostre mani un chicco di riso e ci siamo interrogati su quanto lavoro e quanta fatica quel chicco di riso rappresenti? Vimala non si accontenta di sapere intellettualmente della fatica che sta dietro a quel chicco di riso e si affianca alle donne che hanno il compito di raccogliere il riso nelle risaie immerse nell’acqua sotto il sole cocente, per rendere viva e vitale l’esperienza di quelle donne che giornalmente e arduamente svolgono un compito così oneroso. Vimala intende trasferire nella vita reale ciò di cui si occupa sul piano mentale e verbale, e questo è uno dei suoi grandi insegnamenti. Vimala inoltre si occupa, tra le altre mille attività, perfino di pannelli solari per il risparmio dell’energia elettrica. Una donna davvero straordinaria che dona se stessa al mondo con la speranza nel cuore e la viva convinzione di poter portare messaggi di amore e di pace, auspicando la possibilità di creare un modo alternativo di vivere che porti tutti gli esseri umani alla condivisione delle risorse del pianeta in un’unica grande famiglia globale.

    Vorrei riprendere ancora le parole di Kaiser Irani, dalla Biography of Vimala Thakar, pubblicata in India nel 2004: Per comprendere la vita di Vimala, dovremmo partire dall’eredità della sua famiglia biologica. Un ricercatore spirituale potrebbe chiedersi se gli esseri illuminati siano avvantaggiati rispetto ad altri ricercatori a causa della loro eredità spirituale. Nella vita di Vimala, benché ella ebbe una ricca eredità e imparò molto sia dal nonno che dal padre, dovette affrontare molte sfide nel mettere in atto ciò che aveva compreso. Ebbe ad affrontare le aspettative della sua famiglia di vivere e comportarsi come vivono e si comportano tutti gli altri, secondo i dettami della società. Ma Vimala, malgrado tutte le difficoltà, si mantenne in piedi da sola e affrontò i molteplici ostacoli che comportavano le sue convinzioni. La sua vita non è mai stata facile, eppure Vimala non ha accettato compromessi di alcun genere. Ella ha lottato come ogni altro ricercatore spirituale mantenendosi salda nella sua fede nel divino, ferma nella convinzione che la divinità dimora in ogni essere umano.

    Vimala racconta che suo nonno era un uomo molto semplice, mangiava dei pasti frugali e se qualche ospite portava dei dolci ne assaggiava appena. "Mia madre si lamentava dicendo: Malgrado tutta la nostra ricchezza, questo uomo non mangia quasi nulla’. Il quarto piano del suo palazzo era riservato agli uomini santi che venivano a visitare il nonno. Allora, avrò avuto cinque o sei anni, mi sedevo in grembo a uno di loro e ascoltavo le storie che raccontavano; ogni settimana ne veniva un gruppo per porgere omaggio al nonno e condividere con lui le sue esperienze. Il palazzo del nonno era molto grande, e cinquanta erano i servitori che ci lavoravano. Adiacente al palazzo c’era il quartiere dove abitavano i servitori con le famiglie.

    Il nonno aveva un contatto molto profondo con i santi della sua epoca. Infatti frequentava Swami Vivekananda, era devoto di Sherdi Sai Baba, che incontrava occasionalmente: durante l’estate si recava a Deviali, così poteva incontrare il suo maestro. Era amico del cieco santo Gulabrao Maharaj e coltivava rapporti con altri santi uomini e saggi.

    Quando avevo dodici anni, mio nonno lasciò il corpo. Sei mesi prima, egli venne ad Akola e parlò con mio padre, che egli chiamava Bapu e lo informò che Ramji gli aveva fatto capire che era giunto il suo momento per la dipartita finale e che ciò sarebbe accaduto il giorno di Ramnavmi (il giorno delle celebrazioni del dio Rama cui il nonno era devoto). Aveva portato con sé un testo di Jnaneswari, il suo bicchiere d’argento e un mala (rosario), dicendo che erano doni per Vimala".

    Vimala racconta ancora: "Ogni anno il nonno celebrava Ramnavmi – la nascita del Signore Rama – e il compleanno sia di mio nonno che mio, nella sua casa di Raipur. Le celebrazioni avevano inizio con caitra Shuddha pratipa, rituali di purificazione, e la gente veniva da ogni parte dell’India. Senza interruzione venivano cantati dei kirtan e veniva eseguita la recitazione del Ramayana".

    Correva l’anno del dodicesimo compleanno di Vimala, e suo nonno invitò ancora più gente per i festeggiamenti. Era il giorno di Ramnavmi e, nel pomeriggio, dopo aver dato le offerte nel tempio, egli incominciò a servire tutti gli ospiti dando una noce di cocco per ciascuno e 11 rupie. Così facendo ebbe modo di incontrare tutti i presenti, dopodiché andò al tempio e prese del prasada (cibo consacrato) dal vassoio che veniva offerto al Signore. Mangiò il prasada, si lavò le mani, si sedette in padmasana (posizione del loto) e lasciò il corpo. "Mia nonna, quando egli le aveva detto che sarebbe morto il giorno di Ramnavmi, non gli aveva creduto, ma quando vide che il marito non rientrava a casa presentì che le sue parole fossero state veritiere e inviò il figlio per appurare l’accaduto.

    Non riuscivo a capire perché tutti dicevano che il nonno ci aveva lasciato e mi chiedevo: ma dove sarà andato? Che cosa mai sarà successo? Qualcuno mi disse che era morto. Allora mi recai al tempio e potei constatare quanto era bello, compostamente seduto nell’asana, e dissi: ma è questa la morte? È così che accade? Anch’io morirò in questo modo.

    Mio padre ebbe un’infanzia molto infelice, i suoi genitori morirono durante un’epidemia a Puna quando lui aveva appena dodici mesi; quindi fu affidato allo zio a Indore, dove viveva. Alla zia risultò scomodo dover inserire il piccolo nella sua famiglia e, quando il bimbo aveva meno di cinque anni, gli faceva fare i lavori di casa, le pulizie, lavare i piatti, aiutare in cucina, eccetera. Malgrado tutto andava a scuola diventando uno scolaro eccellente".

    Egli raccontava a Vimala che durante tutti quegli anni non ricevette mai un atto di amore o una parola gentile. Appena terminati gli studi di scuola superiore, venne a sapere che sua zia lo voleva far sposare alla figlia cieca di sua sorella, perciò fuggì ad Ajmer, nel Rajasthan e si rifugiò in un orfanotrofio. "Mio padre era sicuramente uno studente brillante, continuò gli studi conseguendo una laurea in legge, divenendo padrone di sanscrito, hindi, urdu e inglese. Inoltre approfondì lo studio delle Upanishad, dell’induismo, del buddhismo, del giainismo, dell’islam e delle religioni cristiane, approfondendo inoltre la filosofia di Charvad e i libri di Swami Ram Tirth.

    Dopo aver completato i suoi studi si recò in Uttar Kashi, nella regione himalayana e visse costì per due anni con l’intenzione di studiare tutte le religioni di quella terra. Il suo sentimento era di riprendere lo studio dell’induismo, del giainismo, del buddhismo e del cristianesimo, in modo da potere – una volta diventato padre – spiegare ai propri figli l’essenza di tutte le religioni.

    Uno strano destino lo portò a incontrare la sua futura sposa vincendo una causa contro un famoso avvocato di nome Yadavrao Bhagdikar di Raipur, venuto apposta a Nagpur per difendere il caso. Yadavrao Bhagdikar fu talmente colpito dall’abilità del giovane avvocato di appena 24 anni – ed era al suo primo processo – che gli diede in sposa la figlia.

    Mia madre Chandrika era dotata di un’intelligenza intuitiva e, benché non avesse un’educazione scolastica superiore, spesso era più acuta e perspicace di mio padre. Ella possedeva un giusto approccio riguardo ai modi della società del suo tempo e sapeva comportarsi secondo le norme e i costumi. Era estremamente generosa, non avanzava mai delle pretese nei confronti di mio padre. Godeva la vita al suo massimo, aveva il senso dell’estetica, amava la musica, amava cucinare del cibo gustoso. Inoltre amava la gente e spesso apostrofava mio padre:‘Cos’è questo sedersi per tuo conto senza profferire parola con alcuno?!’. Se qualcuno veniva a casa, mio padre, scambiate poche parole, si ritirava nella sua camera. Mio padre non era un uomo socievole e, mentre lui amava la solitudine, mia madre amava la compagnia.

    Il lato debole di mia madre era il senso molto spiccato dell’ospitalità e, ogniqualvolta qualcuno veniva a casa, era sempre pronta a offrire cibo, anche se fosse stata mezzanotte. Le piaceva nutrire le persone con le sue offerte. Amava fare le offerte al fuoco durante la puja (rituale in cui si offre alla propria divinità latte, ghee o burro chiarificato, ghirlande di fiori o altro).

    L’intero vicinato dipendeva da mia madre. Se qualcuno si ammalava o se una donna stava per partorire, la mandavano a chiamare. Conosceva molte medicine. Era priva di paura e non aveva alcun falso manierismo. Aveva un carattere amabile e forte. Sicuramente l’influenza di mio nonno su mia madre aveva lasciato un’impronta".

    Vimala ritorna a parlare del nonno: "Mio nonno mi voleva molto bene e mi chiamava Durga. E molte volte, la mattina presto, lo vedevo o in meditazione, o praticando puja. Mi sedevo accanto a lui e lo osservavo. Nella sua camera vi era una grande statua del Signore Rama, ma la mia attenzione era tutta per nanaji (nonno) e ascoltavo i suoi bellissimi canti. Conosceva a memoria Vinay Patrika, Tulsi Ramayana e Rama Charit Manas.

    Mi è rimasto un dolce ricordo della vita di mio nonno e la sua immagine rimase impressa nella mia coscienza in maniera indelebile. Sia dal nonno sia da mio padre ricevetti un’importante eredità spirituale. I principi fondamentali di mio padre si basavano sulla sincerità e sulla non violenza.

    L’essenza della sua vita era la verità. Non udii mai mio padre mentire, né accettare, da avvocato, di difendere delle cause criminali. Egli conduceva una vita molto semplice. Così, potete vedere che, se esiste in me il senso della devozione, questo fa parte della mia eredità. Sono stata iniziata alla verità e al duro lavoro da mio padre e alla devozione per il Signore da mio nonno".

    Riferendosi ai suoi genitori, così dice Vimala: "Da mia madre ho imparato come vivere in famiglia adattandomi a ciascun membro. Ella ci insegnava l’arte di vivere con la gente, sia nell’ambito di un matrimonio, sia rimanendo nubili, oppure nel difficile mondo della società. Mio padre ci insegnava a vedere le cose nella loro completezza, nel loro insieme, e a catturare l’essenza della completezza nel particolare. Questo era il suo modo di affrontare gli eventi. Ci veniva inoltre insegnato che i valori acquisiti sarebbero stati il nostro vero sostegno, stabile e forte quanto le catene himalayane".

    Nella sua biografia Vimala, molto spesso, esprime gratitudine nei confronti dei genitori per averle insegnato una libertà incondizionata, priva di identificazione con qualsiasi autorità, ivi compresa l’autorità degli stessi genitori. Così si esprime Vimala: "Il privilegio di crescere in tale libertà incondizionata è stata una vera benedizione nella mia vita".

    La vita di Vimala è stata rivoluzionaria su tutti i fronti, inclusa la sfera della spiritualità. Ella ha dimostrato come si possa camminare da soli su qualsiasi sentiero, compreso quello spinoso della spiritualità. Ha ribadito come poter andare oltre la mente attraverso una mutazione della coscienza, e contribuendo inoltre allo sviluppo dell’umanità con lo scopo di spingere l’umana evoluzione un passo avanti.

    Malgrado Vimala avesse promesso a suo padre di non affidarsi ad alcun guru, aveva spesso l’occasione di essere in compagnia di uomini saggi che frequentavano la sua famiglia. Tra questi Tukroji Maharaj: "In quei giorni praticavo la meditazione facendo tratak (la fissazione su un solo oggetto) di fronte all’immagine del Signore Rama¹.

    Tukroji venne da me e disse: ‘Vimala, che tipo di meditazione stai facendo?’. ‘Sul Signore Rama’, rispondevo. E lui: ‘Mostramelo’. Lo condussi di fronte all’immagine ed egli disse: ‘Questo è un pezzo di carta su cui è stampata una foto, fatta da qualcuno. Perché mediti su questo, perché? Dio non è stato fatto dall’uomo’. Arrotolai l’immagine e incominciai tratak sul Sole e sulla Luna.

    Tukroji tornò dopo qualche giorno e mi fece la stessa domanda e io risposi: ‘Su ciò che non è stato fatto da mani umane, sul Sole e sulla Luna’. Egli disse: ‘Ciò che viene visto dalla vista esterna, non è meditazione. Guardati dentro’. ‘E come?’, chiesi. ‘Sperimenta e lo scoprirai’".

    Vimala parla ancora della sua infanzia: "La mia ricerca, da piccola, era di scoprire l’essenza dietro alle parole e alle forme, eppure non avevo la visione del mondo come un’illusione. Il rapporto e l’interesse che avevo per gli oggetti materiali, per il cibo, gli abiti, la musica, il teatro, la letteratura, erano in un continuo crescendo. Sentivo che Dio ci aveva benedetto fornendoci i sensi attraverso cui possiamo cogliere l’essenza di tutte le cose. Il sentimento che il mondo fisico fosse illusorio e impermanente, non ha mai sfiorato la mia mente, così come accade nei cuori dei vedantini². Non intendevo far passare la mia vita in maniera poco interessante, anche se la meta era la vetta della spiritualità. Fin da bambina dicevo che se Dio è l’essenza di tutta la gioia, la vita dovrebbe altresì essere totalmente imbevuta di quello stato di gioia".

    La vita di Vimala fu ricca di esperienze, la sua ricerca spirituale l’ha sempre portata a offrire se stessa per aiutare i suoi allievi, i suoi ascoltatori, i suoi partecipanti ai campi di meditazione tenuti in ogni parte del mondo; il suo intendimento è sempre stato quello di far comprendere alla gente quanto sia fondamentale mettere in pratica gli insegnamenti delle sacre scritture, sapersi rapportare agli altri in maniera non violenta, sviluppare la tolleranza, l’umiltà, saper riconoscere i limiti degli altri senza sviluppare arroganza e senso di superiorità. Soltanto così, ella ribadisce, potrà crearsi una nuova società, un mondo migliore, un cammino di luce lasciandosi alle spalle le temibili ombre. Ascoltare i discorsi di Vimala, i suoi insegnamenti, le sue parole, addolcisce l’anima e porta l’aspirante spirituale ad abbracciare il vero senso dell’esistenza, ovvero la libertà interiore e il costante contatto con il divino che dimora nei nostri cuori.

    Secondo la mia umile esperienza, lo studio, la ricerca e l’attenzione dovrebbero essere rivolti verso l’unicità e la fusione di tutti gli aspetti cosmici. In Occidente è difficile distaccarsi dall’idea che viviamo sul pianeta Terra e dimentichiamo che questo fa parte del cosmo intero, sicché dovremmo, distogliendoci da abitudini e ristrettezze mentali, sentirci abitanti del cosmo, solo così potremmo sviluppare una coscienza universale. Forse questo concetto è difficile da afferrare, eppure i nostri astronauti hanno viaggiato nel cosmo e gli astronomi di tutti i tempi si sono impegnati nell’esplorazione del mistero dell’universo. Credo che Vimala, attraverso i suoi discorsi su vari argomenti, abbia saputo trasmettere ai suoi ascoltatori il concetto della vastità della vita e come ogni essere umano abbia racchiuso in sé il seme e l’aspirazione ad allargare sempre di più la sua visione dell’esistenza.

    Vimala si sofferma molto sulla meditazione che lei definisce silenzio. In questa nuova dimensione della coscienza, siamo, infatti, in grado di sperimentare il vuoto: non vi è più la sensazione del corpo, non ne conosciamo i confini, né ricerchiamo una identificazione con il nostro ego. Potrei avanzare l’ipotesi che l’ego è come una noce di cocco chiusa dai suoi propri limiti, ma quando il senso dell’io (ahamkara) svanisce, abbiamo la percezione dell’espansione della coscienza, l’ego si annulla, il vuoto diventa pienezza e la coscienza raggiunge la dimensione dell’infinito. Vimala, con le sue parole, attiva in noi un’autentica risonanza che vibra fin nel profondo del cuore, risvegliando le potenzialità intuitive e percettive di chi l’ascolta.

    Vimala dice: "Meditazione è trascendere la coscienza dell’ego e fondersi nella coscienza cosmica. Liberati dalle motivazioni egoiche, maturiamo elegantemente, maestosamente, nell’amore, nella benedizione, in perfetta pace e compassione. Attraverso la meditazione potrete vivere in rapporto con l’infinito, l’eterno, l’incommensurabile; e l’Intelligenza cosmica, che è un principio di vita non condizionato dalla mente umana, si muove e opera, portando sensibilità, creatività in qualsiasi azione. Una tremenda forza intelligente inizia a operare. La persona che vive in meditazione diventa una cellula vivente di una nuova vita, di un nuovo approccio al vivere insieme in pace, di un modo innovativo di risolvere i problemi così intensi con cui l’umanità deve fare i conti. La meditazione è rilevante nella vita di coloro che desiderano ardentemente vivere. È rilevante nella vita di chi avverte che l’essere vivi è una benedizione".

    Prima di chiudere, vorrei porgere i miei più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che mi hanno aiutato alla realizzazione di questa opera: Costanza Iannicelli che, già da vecchie dispense battute a macchina da Mara Di Nicola, digita con pazienza, amore e dedizione il testo da me in parte riveduto e corretto sul computer, riportandolo in preziosi dischetti. Vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che hanno seguito le particolari lezioni in cui avveniva la lettura delle dispense, aprendo così un dialogo, tra noi, di grande stimolo per proseguire quel magico cammino nello studio dei testi antichi.

    In particolare ringrazio con tutto il cuore la mia allieva e insegnante di yoga Elena Baldini, con la quale, in stretta collaborazione, sto facendo un lavoro di accurata revisione, in modo che la traduzione in italiano sia il più inerente possibile all’inglese di Vimala, nel pieno rispetto dei suoi concetti, le sue parole, le sue espressioni, le sue dinamiche. Ci tengo a precisare che senza l’aiuto di Elena, questo lavoro non avrebbe preso la sua forma attuale e non ne sarebbe venuto fuori un libro.

    Ringrazio inoltre Giancarlo Silva che ha dato un ultimo sguardo per piccole correzioni e limature a completamento dell’opera.

    Con grande umiltà e devozione, dedico la mia fatica a Vimala, grande ispiratrice della mia vita.

    Rosanna Rishi Priya

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    Avvertenza

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    Per agevolare il lettore e rendere questo lavoro più completo, ho aggiunto, laddove non vi fosse la traduzione di Vimala, la versione di vari commentatori quali Sri Aurobindo, Raphael, Mahatma Gandhi, Sarvepalli Radhakrisnan e Raniero Gnoli.

    Inoltre vorrei mettere in evidenza che Vimala molto spesso, come già detto in questa prefazione, cita la Ishavasya Upanishad, il primo testo che avevamo già studiato insieme negli anni precedenti. Così ho pensato che potesse essere gradito al lettore trovare il testo per intero, tanto più che, come ribadisce Vimala, tutti gli insegnamenti della Isha vengono riscontrati nel testo che è, in questo contesto, l’oggetto del nostro studio.

    Attraverso i tanti anni che ho dedicato allo studio della Bhagavadgita, una delle cose che più mi ha colpito e affascinato è l’aspetto simbolico che ogni personaggio rappresenta, perciò ho pensato bene di aggiungere a questo lavoro una lista dei personaggi con le relative delucidazioni simboliche:

    Vyasa, autore della Gita, rappresenta l’anima originaria.

    Samjaya, il narratore, dotato di una vista divina, racconta gli avvenimenti al re cieco.

    Dritarashtra, il re cieco, rappresenta la mente e le sue perturbazioni.

    Pandu, il re saggio, rappresenta la discriminazione, indice di saggezza.

    Kurukshetra, il campo d’azione o campo di battaglia, ovvero il corpo.

    Dharmakshetra, il campo del dharma, ovvero della legge divina, dell’ordine universale.

    Yudhishthira, fratello maggiore di Arjuna, colui che è calmo nelle battaglie psicologiche.

    Bhima, secondo fratello, rappresenta il potere della vitalità.

    Arjuna, il protagonista, terzo fratello, rappresenta il potere dell’autocontrollo, colui che è invincibile, inattaccabile.

    Nakula, quarto fratello, il potere di obbedire alle giuste regole.

    Sahadeva, quinto fratello, rappresenta il potere di stare lontano dal male.

    Duryodhana, il figlio maggiore del re, usurpatore del trono, rappresenta le cento inclinazioni dei sensi nati dalla mente agitata.

    Krishna, rappresenta la coscienza pura, la forza dell’anima, la saggezza incarnata.

    I Kaurava, il clan dei Kuru, i malvagi, nemici di Arjuna; rappresentano le forze del male.

    I Pandava, i cinque fratelli il cui capo è Arjuna, le forze del bene.

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    Ishavasya Upanishad

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    Nel cuore di questo mondo fenomenico

    dentro a tutte le forme mutevoli

    dimora il Signore immutevole

    perciò vai oltre il mutevole

    e, godendo del tuo interno

    cessa di prendere per te stesso

    ciò che per gli altri è ricchezza

    continuando a operare nel mondo

    si può aspirare a vivere cent’anni

    così e così soltanto, un uomo può

    affrancarsi dall’influenza imprigionante

    dell’azione.

    Immersi nelle tenebre sono quei mondi

    obnubilati dall’oscurità cieca

    dell’ignoranza nei quali vanno coloro

    che uccidono il proprio sé

    statico immobile, unico, più veloce del pensiero

    costui non è raggiungibile neppure dagli dei

    i sensi non possono raggiungerlo, Egli è

    al di là di ogni possibile presa

    nella sua immobilità Egli oltrepassa

    ogni dinamismo

    eppure in esso giace il respiro di tutto

    ciò che si muove

    esso si muove, eppure è fermo,

    è lontano eppure è vicino

    permea tutte le cose

    eppure ne è al di fuori

    colui che non scorge altro che il Sé

    in ogni essere e ogni essere imbevuto nel Sé

    costui non si ritrae

    per l’illuminato tutto il creato

    altro non è che il Sé

    perciò come può essere toccato

    da afflizioni e illusioni colui

    che conosce l’unicità di tutta l’esistenza?

    Colui che tutto pervade è radioso

    incorporeo, libero, invulnerabile e puro.

    Egli è il conoscitore, è Mente unica

    onnipresente e autoesistente

    Egli ha armonizzato il molteplice

    attraverso il tempo eterno.

    Cadono nelle tenebre cieche coloro

    che si dedicano esclusivamente all’agire,

    ma sprofondano ancor più nell’oscurità

    coloro che adorano la conoscenza

    poiché di ben altro si tratta

    né l’azione, né la conoscenza

    (conducono alla meta)

    così abbiamo udito dai saggi

    la conoscenza e l’azione

    per colui che entrambe conosce

    attraverso l’azione si libera dalla morte

    e attraverso la conoscenza

    guadagna l’immortalità

    vanno nelle tenebre cieche coloro

    che idolatrano l’Assoluto

    in tenebre ancora più oscure cadono

    coloro che si compiacciono esclusivamente

    del mondo relativo

    poiché il Sé è altro che relativo

    è altro che l’Assoluto

    così abbiamo udito dai saggi

    colui che contemporaneamente

    abbraccia le due vie insieme

    attraverso il relativo si libera dalla morte

    e attraverso l’Assoluto guadagna l’immortalità

    la soglia della Realtà è ricoperta

    da un disco d’oro

    rimuovilo o Signore poiché

    conoscere il vero è la mia legge divina.

    O Signore della luce, tu che tutto conosci,

    o guardiano d’oro, o dispensatore di vita

    effondi i tuoi raggi, raccogli tutto il tuo splendore

    così che possa percepire la più sottile

    e splendente natura, quello spirito cosmico

    che nel mio cuore dimora,

    poiché io sono Quello!

    Lascia che il mio fiato si unifichi

    al fiato cosmico,

    fa che il mio corpo si risolva in cenere

    ricordati ciò che è stato adempiuto

    ricordati o Mente universale ciò che

    è stato compiuto.

    O Agni mostraci il giusto cammino

    guidaci verso la libertà eterna

    tu che sei il conoscitore di tutto

    fai che non siamo deviati

    dalla nostra meta

    a te ci inchiniamo con devozione

    Traduzione dall’inglese di Rosanna Rishi Priya

    Bibliografia: The Upanishad, Wildwood House

    Traduzione dal sanscrito di Alistair Shearer e Peter Russel

    I Discorso

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    Introduzione e I capitolo (Lo sgomento di Arjuna)

    prathamo’dhyayah

    Il mondo intero sta attraversando un periodo di grande tumulto e, pur vivendo in questo mondo turbolento, un piccolo gruppo di noi sente la necessità di scoprire la natura dell’ultima Realtà per imparare a vivere nella consapevolezza di questa Realtà mentre siamo impegnati ad affrontare le apparenze dei nomi e delle forme, delle qualità, delle loro interazioni e così via.

    Lo studio della Bhagavadgita richiederà un impegno costante: l’ascoltare è un lavoro rigoroso, non sulle parole, ma sul significato palpitante in esse contenuto. Ed è soltanto quando si avverte il palpito della vita, che può avvenire il dialogo tra chi parla e chi ascolta.

    Questo corso è indirizzato in maniera particolare agli insegnanti di yoga che vengono da diversi paesi europei e che hanno studiato con noi negli ultimi anni. Abbiamo studiato insieme la Ishavasya Upanishad e per un paio di anni la Chandogya. Abbiamo inoltre studiato una parte dello yoga di Patanjali durante un corso intensivo di due settimane. Ora la Bhagavadgita. Ovviamente, per coloro che non avessero dimestichezza con la scienza dello yoga, sarà difficile trovare un punto di incontro con l’interlocutrice, poiché il corso attuale è basato sullo studio degli anni passati.

    Questa mattina, con la vostra collaborazione, affronteremo la Gita per quanto riguarda il retroterra, la struttura e l’essenza del suo messaggio rispetto alla nostra vita di tutti i giorni. Vi chiedo di essere pazienti se andremo alquanto lentamente, un passo alla volta, per poi immergerci nei segreti della Bhagavadgita.

    Mi chiedo se siete consapevoli che gli antichi saggi che vivevano nell’emisfero orientale del pianeta erano profondamente interessati al mistero della vita, all’atto del vivere, alla relazione con le innumerevoli espressioni della vita da cui erano circondati; alla relazione del dramma interiore che avveniva in se stessi a livello fisico e psicologico durante i tre stati di veglia, di sogno e di sonno profondo.

    Essi erano affascinati dalla vita stessa e ora siamo portati a chiederci se, alla fine del XX secolo, l’era della tecnologia, della rivoluzione industriale, dei grandi mezzi di trasporto e comunicazione e tutto ciò che oggi sostiene l’interesse della gente, offra ancora all’uomo del XX secolo la possibilità di lasciarsi affascinare dalla vita cosmica e di sentirsi attratto o ansioso di scoprirne il significato e di indirizzare il proprio interesse a come mettersi in relazione con il movimento dell’esistenza, con il mistero della vita da cui è circondato. Eppure, passeremo due settimane insieme agli antichi saggi e sentiremo ciò che hanno da dirci sulla vita, sul mondo delle apparenze, sulla Realtà e come discriminarle e condividerle.

    Non vi è nulla nella vita che possa essere scartato, non vi è nulla da rifiutare, e nulla da acquisire. La vita deve essere vissuta, compresa e goduta. Ed è proprio dal desiderio di scoprire la Realtà che nascono i Veda e le Upanishad.

    I Veda sembrano esclamazioni di beatitudine, la beatitudine che nasce dalla percezione della Realtà, non attraverso un qualcosa di astratto, bensì dalla percezione diretta della Realtà a livello sensuale. Dunque, per quanto riguarda chi vi sta parlando, essi sono esclamazioni verbali. Si tratta di poemi sublimi e non di pensiero sistematizzato.

    Le Upanishad per contro sono dialoghi tra maestro e discepolo. Un modo magnifico di trasmettere la consapevolezza della percezione della Realtà attraverso parole che possano risvegliare la coscienza del discepolo e forse compenetrare completamente il suo intero essere.

    Le Upanishad non forniscono informazioni, esse non danno alcuna conoscenza circa la Realtà. La conoscenza è pensiero organizzato. Dunque esse sono dialoghi tra maestro e allievo al fine di trasmettere quel tanto che basta per risvegliare l’interesse della ricerca. Non si tratta di racconti né di asserzioni. Il maestro risponde alle indagini del discepolo, e ci siamo compiaciuti insieme, gli scorsi anni, della bellezza di alcuni dialoghi della Ishavasya Upanishad e della Chandogya.

    Le Upanishad, che erano circa cinquecento in numero, sono rimaste centootto e sono conosciute in diversi paesi del mondo. Da qui nacquero i sei sistemi di filosofia indiana: da esclamazioni a trasmissioni verbali, e da queste veniamo alla conoscenza codificata.

    I sei sistemi sono samkhya, yoga, nyaya, vaishesika, mimamsa e vedanta. E poi la Bhagavadgita in cui avviene un dialogo, ma di una natura un po’ diversa. Il maestro e il discepolo non sono seduti uno accanto all’altro nella foresta, in un luogo tranquillo, in una grotta, o sulla riva di un fiume. Il contesto del dialogo è il campo di battaglia della vita, che è il luogo in cui la religione deve essere vissuta, in cui la spiritualità respira. La spiritualità non può respirare nel gelo abissale dell’astrazione, non può respirare se isolata dalla vita.

    Dunque, la Bhagavadgita è un dialogo tra due individui, Arjuna e Krishna, che ebbe luogo qualcosa come 5000 anni fa a Dharmakshetra e Kurukshetra. Essendo il messaggio della Gita universale, non è necessario collocarlo nel luogo fisico di Kurukshetra, in India. Kshetra significa regione e kuru una parola che deriva dalla radice kr-kryate, ovvero fare, agire; pertanto Kurukshetra va interpretato come il campo d’azione. Dharmakshetra: dharma, religione con la lettera maiuscola, poiché non si tratta di istituzioni religiose formali, organizzate e strutturate che esistono in varie parti del globo. Qui la parola dharma ha lo stesso significato di abhyatma, spiritualità.

    Si tratta dunque di un dialogo che

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