L' Opera alchemica in Frate Elia
By Anna Maria Partini and Paolo Galiano
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Dai codici riportati fedelmente dalla Partini – il Vade Mecum e il De Secretis Naturae – risulta il duplice aspetto di Frate Elia, mistico e pratico, propenso a conciliare gli opposti insiti nella propria natura e desideroso di unire l’Impero e il Papato, la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa.
Il presente testo si articola in due parti: nella prima, dopo aver presentato alcuni cenni biografici su Frate Elia, l’Autrice tratta brevemente dell’alchimia attraverso la sua storia e le sue applicazioni.
Successivamente, entrando nel merito degli scritti attribuiti a Frate Elia, a cominciare dal famoso sonetto Solve et Coagula, la Partini si sofferma sulla tavola III di un manoscritto splendidamente miniato, l’Harley 3469 (1582), conservato nella Biblioteca del British Museum di Londra, che contiene lo Splendor Solis di Salomon Trismosin. Sullo scudo su cui il “guerriero ermetico” poggia la mano, è inciso a caratteri d’oro su fondo rosso, il sonetto di Frate Elia per intero, in latino: una chiara testimonianza dell’interesse suscitato attraverso i secoli da tale componimento.
Nella seconda parte, invece, viene analizzata la figura di Elia attraverso la lettura dei suoi manoscritti originali.
Anna Maria Partini
Si dedica a ricerche storiche sull’ermetismo, soprattutto del Seicento. Ha portato alla luce e commentato gli scritti ermetici del Marchese di Palombara (La bugia), di F.M. Santinelli (Sonetti alchemici), della regina Cristina di Svezia (Introduzione a Lo specchio della Verità); inoltre, ha tradotto e curato Il Toson d’Oro di Salomon Trismosin, Athanasius Kircher e l’Alchimia, La porta di Rivodutri e pubblicato Il sogno e il suo mistero, corredato da alcune miniature su porcellana. In collaborazione con Vincenzo Nestler, è autrice di uno studio sulla Magia astrologica (Edizioni Mediterranee); con l’egittologo Boris de Rachewiltz è autrice del volume Roma Egizia (Edizioni Mediterranee). Ha pubblicato numerosi articoli su riviste specializzate. È vicepresidente e istoriografa dell’Accademia Tiberina di Roma. Ha promosso e collaborato al restauro della “Porta magica” di piazza Vittorio Emanuele II in Roma.
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L' Opera alchemica in Frate Elia - Anna Maria Partini
Prefazione
La figura di frate Elia da Cortona, generale dei francescani, successore di Francesco e protagonista della storia del suo secolo, sia per i rapporti con Federico II che per le sue dispute
col papato, sta suscitando, in questi ultimi anni, un rinnovato interesse e una ricerca metodica dei manoscritti originali o apocrifi a lui attribuiti e dispersi nelle biblioteche di mezzo mondo. In realtà tali manoscritti, anche se quasi dimenticati per molti secoli, si stanno rivelando in una quantità maggiore del previsto e la loro capillare diffusione conferma la grande fama del nostro frate e la sua riconosciuta credibilità nell’ambito delle istituzioni, sia laiche che religiose, durante tutto il primo secolo dopo la scomparsa del fondatore dell’Ordine.
Anzi, sotto un certo aspetto, il rapporto strettissimo di Elia con Francesco restituisce di diritto allo stesso santo di Assisi una potenza culturale e filosofica, a nostro avviso un po’ mortificata da una propensione dei critici e degli esegeti in ambito religioso a esaltare quasi esclusivamente l’aspetto mistico
e pauperistico
del santo, a scapito della matrice sapienziale e filosofica della sua vita e delle sue opere.
Da questo testo di Anna Maria Partini, risorge la figura di questo frate alchimista, studioso appassionato, dedito con lo stesso entusiasmo alla preghiera e alla devozione sconfinata per il suo Maestro, come allo studio della scienza in tutte le sue forme (alchimia inclusa). A nostro avviso ciò comporta una pacata rivisitazione della immensa confraternita francescana, sia nelle sue controverse vicende fra spirituali e conventuali, come nella profonda sete di amore e sapienza, niente affatto distinti, che coinvolgono ogni istante della vita del monaco rivolto all’incontro con il Sacro e perciò col Mistero sublime della trasmutazione.
Insomma bisogna accettare il fatto che lo studio delle dottrine ermetiche (e alchemiche in particolare) è sempre stato una caratteristica d’ambito conventuale e, se a volte alcuni personaggi (vedi Bruno, Jacopone e tanti altri) si sono cruentemente scontrati con l’autorità della Chiesa, ciò non è stato tanto per le dottrine ermetiche su cui operavano le loro ricerche (basti pensare a figure colossali di Cardinali e Papi-alchimisti fioriti soprattutto nel Cinquecento e nel Seicento come Paolo III o il Gambara, o il Montalto ecc.) quanto per ques tioni di conflitto con il potere temporale.
Per cui non è affatto azzardato affermare, a nostro avviso, che l’alchimia in ambito occidentale è soprattutto alchimia cristiana
, anzi cattolica, nel senso che buona parte delle centinaia di studiosi, ricercatori, e operatori
in ambito alchemico provengono dai conventi cristiani o da personaggi decisamente cattolici (tre fra tutti, anche se in epoche diverse: Cristina di Svezia, Lullo, Paolo III) che inseriscono perfettamente le loro opere in un alveo religioso e niente affatto estraneo alla dottrina della fede.
Ovviamente come ben sappiamo, in tutto l’alveo ermetico europeo l’osmosi fra l’alchimia prettamente sufi, quella ebraico-cabalistica così come le infinite contaminazioni orientali, rendono assai problematico (e a nostro avviso poco utile) stabilire una fonte univoca di una dottrina alchemica. I transiti di confraternite islamiche ed ebraiche (soprattutto attraverso il marasma delle crociate) che hanno interessato la Spagna e la Francia e gli innumerevoli incontri fra sapienze
eterogenee promosse in Italia da saggi illuminati come Federico II, hanno creato quello scambio dottrinale che ha finito per rendere il linguaggio alchemico abbastanza omogeneo, nonostante le provenienze da tradizioni exoteriche differenti.
Tale evidenza, anche se non esplicitamente dichiarata, emerge bene dal libro di Anna Maria Partini, ed è uno degli aspetti del testo che ci ha maggiormente colpito, al di là della consueta e appassionata ricerca filologica dei manoscritti alchemici, che contrassegna tutta la vita di questa particolare studiosa italiana e il supporto che a tale lavoro ha dato il dott. Paolo Galliano.
Proprio per questo, la breve storia dell’alchimia
che contrassegna il secondo capitolo, aiuta il lettore meno esperto a orientarsi nella smisurata messe di testi e degli autori ermetici esistenti, e soprattutto illustra, con semplicità e chiarezza, le fonti a cui fare riferimento a partire dalle prime tracce storiche
consolidate nel nostro Occidente. Ovviamente non vengono citati i riferimenti arcaici o quelli metastorici
(sumerici, babilonesi, egiziani ecc.) dai quali è tuttavia riscontrabile la presenza di una costante ricerca del processo di trasmutazione
della materia, al fine di conseguire la Pietra Filosofale. Le fonti storiche riportate da A.M. Partini sono quelle usuali, in cui il termine alchimia
trova una diffusione documentabile in Europa, a partire da Zosimo e dal presunto Ermete
. Tuttavia, nel terzo capitolo vengono illustrati con ordine i significati elementari delle fasi dell’opera
mettendo in relazione quella che è la teoria di base del quaternario e del ternario alchemici, con la operatività pratica, ovviamente cum grano salis ma entrando in alcuni dettagli e confronti soprattutto sul significato della imaginatio
, da Kircher a Jung.
Il sonetto Solve et coagula che compare al centro del testo di A.M. Partini, pur impegnando poche righe, è, a nostro avviso, il cardine di questo piccolo libro. Lo ritroviamo citato abbondantemente da altri autori, in parte o compiutamente, cambiandone a volte le parole. Il confronto a distanza fra il Geber e il Bracesco a cui A.M. Partini dà evidenza, pone nuova luce su tale formidabile sonetto e l’illustrazione scelta dalla Partini, tratta dallo Splendor Solis del Trismosino, ci mostra alcune frasi riportate proprio sullo scudo del glorioso combattente ermetico
così come le stesse sono richiamate nel frontespizio del Rosarium Philosophorum.
Insomma il nostro frate Elia ha lasciato molte tracce di se stesso nelle opere degli autori più famosi.
Est in Mercurio quidquid quaerunt Sapientes. Sembra incredibile ma trovare un capitolo appositamente dedicato al Mercurio, in un testo che si occupa di alchimia, è tuttaltro che frequente. Anna Maria Partini, invece, inizia proprio da un sonetto attribuito a Elia dove la ricerca e l’uso di tale metallo ermetico vengono descritti con dovizia di particolari, usando ovviamente il linguaggio proprio dell’Arte.
La evoluzione del Mercurio
attraverso l’influenza delle varie fasi dell’opera viene commentata alla luce dei versi di vari alchimisti, a partire dal Santinelli, approfonditamente studiato in altre opere della stessa autrice (vedi, ad esempio, F.M. Santinelli Sonetti alchemici e altri scritti inediti, a cura di A.M. Partini, Edizioni Mediterranee, Roma, 1985) e può forse condensarsi in questa frase del Santinelli stesso: "Se tu o lettore conosci rettamente la natura di questi quattro Mercuri è aperto a te il sacrario della Natura".
Passando attraverso tali sonetti, A.M. Partini parla della natura
del Mercurio e della influenza degli altri metalli e pianeti, fornendo sicuramente molti spunti di riflessione.
Il testo si chiude con due temi importantissimi e assai cari alla nostra autrice: quello della rugiada celeste e quello del servo fuggitivo.
Credo che in questi due capitoli esista una condensazione di suggestioni
d’ordine ermetico. Qui l’autrice ha realmente trasferito alla coscienza del lettore, con una vena che non esito a definire poetica
, quelle che sono le funzioni filosofiche
delle sostanze sottili che rendono possibile il completamento dell’Opera, ovvero del Tesoro dei Tesori.
Per quanto riguarda la rugiada
A.M. Partini mette in evidenza il fatto che frate Elia doveva essere sicuramente al corrente del senso ermetico di tale sostanza e ricorda come l’episodio di Gedeone, nella Bibbia, richiami proprio il metodo operativo
attraverso il quale ne viene suggerita la raccolta, e cioè attraverso il vello
di lana disposto sulla terra durante la notte.
In tale paragrafo viene messo in evidenza come la realtà mite
con cui Dio entra in contatto con l’uomo è proprio la rugiada che rivela la sua luce nelle piccole perle d’acqua durante il mattino.
Riguardo al servo fuggitivo si ricorda come frate Elia riporti il versetto di Giovanni quando Gesù ricorda agli Apostoli "voi mi cercherete e non mi troverete e dove io sono voi non potrete venire".
Prosegue poi Elia con queste parole:
"Sono padre di tutti i metalli e sappi che quando sono vivo faccio solo operazioni mirabili… giustamente sono chiamato servo fuggitivo o servo rubicondo".
Da questa natura
si giunge alla necessità di fissare
il volatile servo fuggitivo, cioè il Mercurio che viene richiamato con parole simili a partire dall’alchimista alessandrino Archelao di cui vengono ricordati alcuni versi. "Perché la pratica è la base della teoria / così come l’anima senza la forma del suo corpo / è senza potere e affatto priva di forza... Congiungendo l’anima al corpo in un vincolo / attraverso la perfetta combinazione dei due / l’Arte sacra li fa vivere entrambi, come una sola cosa / quando lo spirito viene per terzo a incoronare il tutto.... E quando poi Elia nel ms. di Poppi fa parlare direttamente il Mercurio di se stesso, dichiara:
E sono il servo rubicondo come dimostra il filosofo Archelao dicendo: il servo rubicondo prese una moglie nera e posti in una fossa furono condotti all’inferno e partorirono un figlio biondo".
La fissazione di tale elemento fuggitivo viene riportata in moltissimi altri codici e, a nostro avviso, dal confronto fra gli stessi fedelmente riportati, emerge una straordinaria serie di definizioni, tutte leggermente diverse fra loro, ma complementari ed utili per definire la chiave dell’Opera.
Claudio Lanzi
Premessa
In questo nuovo lavoro, che esce a poco più di un anno dal precedente libro su Frate Elia (Edizioni Mediterranee, Roma, 2016), si è tentato di approfondire gli scritti del frate francescano, con uno sguardo agli argomenti ermetici e contemporaneamente spirituali sfiorati.
Rispetto alla pubblicazione precedente, il rinvenimento di altri manoscritti nelle biblioteche d’Europa e degli Stati Uniti, tra cui il ms. 104 della Biblioteca Universitaria di Bologna (che non si riusciva a reperire perché citato da altri autori con la vecchia numerazione), ha portato alla nostra conoscenza una quantità e varietà maggiore di scritti attribuiti al frate alchimista, a noi caro anche per l’amore che lo legò a san Francesco. Un amore, che andò oltre la morte e si concretizzò nella costruzione della Basilica di Assisi, che ancora oggi accoglie fedeli da tutto il mondo e rappresenta quella sintesi di spirito e materia propria della personalità di Elia.
Chi si accosta ai manoscritti e li ascolta parlare, resta stupito e pieno di meraviglia: c’è un messaggio che viene da lontano, attraverso la storia, ancora viva o rimasta smarrita. Nel silenzio delle carte, vergate a mano secoli fa, si avverte come un’eco di ripetuta vita, che va oltre il tempo e giunge fino a noi.
Anche dai codici qui da noi riportati, il Vademecum e il De Secretis Naturae, emerge il duplice carattere di Frate Elia, mistico e pratico: dall’aspirazione a voler conciliare gli opposti insiti nella propria natura, al cercare di unire l’Impero e il Papato, la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. In tale occasione si recò personalmente a Costantinopoli nel 133 dall’Imperatore greco Vatacio, che gli donò la preziosa reliquia della Santa Croce ora conservata nella chiesa di San Francesco a Cortona.
Nella prima parte del libro, presentiamo un capitolo dedicato all’alchimia e alla sua tradizione, cui ne segue un altro sull’Opus Alchimiae, allo scopo di fornire un contesto adeguato alla trattazione della figura di frate Elia nei suoi rapporti con la Tradizione ermetica. Appassionandoci alla ricerca sui manoscritti a lui attribuiti, soprattutto del XV e del XVI secolo, ci hanno colpito alcuni versi anonimi e inediti sulla rugiada celeste
e sul detto rimasto famoso nel corso dei secoli: Est in Mercurio quidquid quaerunt Sapientes
; due temi essenziali nello studio dell’alchimia che è stato interessante trovare in manoscritti di secoli antecedenti a quelli già conosciuti (v. Santinelli e Palombara); ugualmente sorprendente è stata l’attribuzione a Elia dei versi su Mercurio. Questi incontri ci hanno suggerito di soffermarci su questi temi come immediata transizione della seconda parte del libro.
Segue una breve biografia di frate Elia, i suoi rapporti con san Francesco, con Federico II e Papa Gregorio IX, e i suoi tentativi per conciliare il Papato e l’Impero. Durante il suo generalato si ebbe una grande espansione del francescanesimo anche all’estero. Subì la scomunica, da cui fu poi assolto, per contrasti e malintesi sorti per i suoi rapporti con Federico II e per l’invidia da parte di confraternite straniere.
Poi ci soffermiamo sulla tavola III di un manoscritto splendidamente miniato, vedi immnagine di copertina, l’Harley 3469 (1582), conservato nella Biblioteca del British Museum di Londra, che contiene lo Splendor Solis di Salomon Trismosin. Sullo scudo su cui il guerriero ermetico
poggia la mano, è inciso in caratteri d’oro, su fondo rosso, il sonetto alchemico attribuito a frate Elia per intero, in latino, cosa che documenta l’interesse suscitato attraverso i secoli da questi versi. Questo interesse è confermato anche dal Bracesco che nella sua opera La Espositione di Geber Filosofo, riporta alcuni versi del Solve et coagula confrontandoli con alcune pagine del famoso alchimista arabo Geber.
Prendiamo infine in esame da alcuni codici del Vademecum l’allegoria di Archelao con particolare riferimento al Servo fuggitivo; nell’ultimo capitolo De Secretis Naturae, si svolge un dialogo tra maestro e allievo, dove frate Elia dà consigli e ammonimenti per chi vuole introdursi sulla via ermetica. Nel medesimo manoscritto è il disegno di un diagramma attribuito allo stesso frate francescano. Infine conclude il testo l’interessante ricerca dei manoscritti attribuiti a frate Elia, raccolti e vagliati dal dottor Paolo Galiano con le sue interessanti osservazioni.
Ringrazio il dottor Paolo Vian, direttore del dipartimento dei manoscritti e la Biblioteca Apostolica Vaticana, la dottoressa Flora Parisi della Biblioteca Nazionale di Roma, la dottoressa Enrica Schettini già dell’Accademia dei Lincei, la dottoressa Maria Fiammetta Jovine, il professor Alberto Bartola, e la signora Vincenzina Mitidieri del Centro Nazionale dello studio dei Manoscritti
, e altre biblioteche, per la loro preziosa collaborazione in questa ricerca.
1. Cenni storici sull’alchimia
La filosofia ermetica o ermetismo si fa risalire a Ermete Trismegisto, tre volte grande
, spesso identificato con il dio egiziano Thot, inventore dei geroglifici e di tutte le scienze. È quindi una dottrina sacra rivelata ai soli iniziati.
Al mitico Ermete si attribuisce una vasta letteratura in lingua greca che, pur contenendo elementi dell’antica religione egiziana, risale al II-III sec. d.C., cioè all’epoca alessandrina.
Questi testi si possono dividere in due gruppi: uno di tipo mistico-filosofico, tra cui il Pimandro e l’Asclepio scritti in forma di dialogo – Corpus Hermeticum – l’altro di tipo pratico e popolare in cui si parla delle virtù delle pietre, delle piante, degli animali, delle stelle.
Tutto ciò che nasce sulla terra è messo in corrispondenza con il linguaggio degli astri, delle costellazioni e dei pianeti.
Nell’ermetismo filosofico Trismegisto assume la figura di mediatore
fra l’Assoluto e l’Uomo, rivelatore di una dottrina che conduce alla salvezza e signore delle scienze che possono aiutare in questo iter perché legate ai misteri della Natura.
L’influenza della mitica e simbolica figura di Ermete Trismegisto perdurò oltre i limiti della civiltà ellenistica, come attestato dalla presenza di una tradizione ermetica nella filosofia italiana congiunta al filone pitagorico.
Il più antico filosofo ermetico occidentale, secondo Plinio, fu Democrito di Abdera (460 a.C.-370 a.C.) che ne ricevette l’insegnamento dal persiano Ostane; delle sue opere restano solo pochi frammenti e quanto ne scrive Sinesio, una delle personalità più importanti del sec. IV, eletto Vescovo di Cirene nel 410 d.C. Egli racconta che, poiché Democrito non aveva potuto terminare l’iniziazione a lui datagli da Ostane in seguito alla sua morte improvvisa, il filosofo greco insieme ad altri adepti provò a evocarlo dall’Ade. Ma non ebbe altra risposta che: Cercate tra i libri del tempio
. Sebbene cercassero dappertutto però, non trovarono nulla¹.
Passato del tempo mentre erano nel santuario durante un banchetto, si staccò dal muro una pietra su cui era scritto: La Natura gode della Natura, la Natura vince la Natura, la Natura domina la Natura
. Il detto, rimasto famoso nei testi ermetici, citato da Alberto Magno e da altri grandi ermetisti, porta l’attenzione sull’importanza che ha nella pratica alchemica la conoscenza della Natura e delle sue operazioni.
Come scrive Sendivogio (il Cosmopolita) nella prefazione del suo Secondo Trattato sullo Zolfo: Se tu considerassi con giudizio maturo in che modo opera la Natura, non avresti più bisogno dei volumi di tanti Filosofi, perché a mio giudizio è meglio imparare proprio dalla maestra Natura piuttosto che dai discepoli
².
Un altro alchimista bizantino fu Zosimo di Panepoli, noto per le sue visioni oniriche e autore di numerose opere (28), tra cui un trattato sull’Evaporazione dell’acqua