Iniziazione alla Voceterapia: la voce educa la mente e il corpo canta
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About this ebook
Francesca Romano
Diplomata in canto presso il Conservatorio di S. Cecilia di Roma. Ha cantato sia come solista che in gruppi da camera e ha lavorato come attrice in teatro e alla televisione. Ha seguito, inoltre, studi universitari di psicologia e sociologia e ha conseguito il master in Arti-terapie alla Lumsa di Roma. Didatta della voce e del canto, con particolare attenzione ai processi pedagogici e trasformativi, collabora con diverse università e con centri di riabilitazione psico-motoria e del linguaggio. Ha all’attivo numerosi articoli sulla voce e il canto pubblicati su riviste specializzate e su siti web.
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Iniziazione alla Voceterapia - Francesca Romano
COPERTINA
iniz_voceterapia.pngIniziazione alla Voceterapia
image.pngla voce educa la mente
Francesca Romano
droppedImage.pngI n i z i a z i o n e
Collana diretta da Osvaldo Sponzilli
logo.pngCopyright
IINIZIAZIONE ALLA VOCETERAPIA - la voce educa la mente
di Francesca Romano
ISBN 978-88-272-2408-3
I edizione digitale
© Copyright 2013 by Edizioni Mediterranee
Via Flaminia, 109 - 00196 Roma
www.edizionimediterranee.net
Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma
droppedImage-1.pngDedica
A mio padre e a mia madre,
che non ci sono più,
per l’arte e la passione.
Ringraziamenti
Questo libro molto probabilmente non sarebbe arrivato a voi se il mio amico Arturo M. non mi avesse illuminato
tante volte per poter riuscire a trasferire il mio pensiero in modo chiaro e fluido a tutti.
Certo mi ha anche bacchettato
e si è sorbito i miei rimbrotti
insomma ci siamo fatti da specchio per usare termini cari al libro e ciò ha solo consolidato l’affetto e l’amicizia!
Sono contenta che queste parole di gratitudine a lui, resteranno per sempre su questo libro perché il suo essere schivo e discreto non mi ha permesso di manifestargli il valore che ha avuto per me il sostegno che mi ha donato.
Un altro Grazie! va a tutti i miei allievi, tutti, quelli che vanno e quelli che restano, tutti loro hanno rappresentato un continuo sprone per i miei inquieti abbattimenti e una costante fonte di ricerca. Naturalmente un grazie particolare va agli allievi che hanno testimoniato il loro percorso: la loro voce
resterà impressa dentro di me anche per la fiducia mai vacillata nei miei confronti.
E un altro grazie a Claudio che con paziente costanza mi ha insegnato a usare il computer nonostante i miei scalpitii per il rifiuto della tecnologia che mi ha spinto a scrivere prima a mano!
Grazie anche a Carlo B. per la precisa e accorta cura con cui si è occupato dei disegni del libro.
Non ultimo Grazie a Vezio R. per le impareggiabili pause di riflessione su me stessa che mi ha regalato con indimenticabile stima e affetto.
Il viaggio nella mia voce continua ma nel frattempo mi ha permesso di diventare chi sono davvero o meglio colei che avevo dimenticato di essere.
Prefazione
Questo originalissimo lavoro di Francesca Romano si pone a cavallo fra riflessione scientifica e esperienza del canto. Il tema centrale in realtà è il rapporto fra libertà espressiva e controllo.
Compito dello psicofisiologo clinico è quello di individuare i complessi meccanismi psicofisiologici che determinano i comportamenti umani e, nel caso del canto, i comportamenti espressivi di alta rilevanza estetica.
Ma i costrutti teorico-sperimentali sarebbero poca cosa e abbastanza aridi e quindi relativamente inadeguati se non si nutrissero della vitalità dell’esperienza concreta.
Il dialogo che fra me e l’autrice di questo libro che ha trovato un punto d’incontro nella condivisione del ruolo che la dimensione immaginativa ha nel generare organizzare e articolare forme di esperienze.
È sicuramente di grande interesse, a questo proposito, il fatto che Francesca Romano faccia partire la sua didattica da una particolare modalità di sentire e rappresentarsi il proprio corpo nell’esperienza del canto come una presenza forte che cerca forme espressive. In tal modo si scavalca tutto l’armamentario concettuale di tipo strettamente meccanicistico (diaframma, respiro ecc) che caratterizzano il bagaglio del cantante tradizionale.
L’intervento di Francesca potrebbe sembrare, a tutta prima, poco fisiologico o se si vuole poco scientifico se non fosse che proprio alla luce della riflessione scientifica più recente si comprende esattamente come l’immaginario sia un organizzatore concreto dell’esperienza.
Ed ecco che finalmente il corpo comincia a percorrere, a partire da una condivisione assolutamente fisica e basale, la via che lo porta verso progressive differenziazioni e articolazioni di funzioni che daranno vita all’esperienza canora. Finalmente chi canta non è una macchina, o un individuo che utilizza parti di una macchina (voce, aria, risuonatori ecc.), ma una persona che guida per consapevoli percorsi la propria fisicità legata alla ricchezza psicologica verso performance di arte.
Questo è un percorso didattico che può presentare ampi gradi di libertà e di incertezze temporanee di percorso, ma che sicuramente ha una precisa certezza carica di significato perché costruisce la consapevolezza della presenza psico-corporea.
Il cantante non è più soltanto una voce perché la voce è diventata, attraverso il corpo, persona.
Si nasconde nel corpo e la sua ricerca dà spazio al corpo nel momento in cui il corpo consente alla voce di esprimersi in un dialogo continuo e serrato.
La difficoltà del mondo pedagogico, spesso non risolto dalla riflessione sistematica, è di non capire cosa vuol dire introdurre elementi tecnici rispetto alla libertà dell’espressione sonora. L’elemento tecnico ha una funzione fortemente strutturante e ineludibile per molti aspetti: l’organizzazione di una postura, dell’appoggio, delle cavità risonanti, non possono essere messi da parte, tuttavia spesso hanno un ruolo di tipo interferente, inibitorio con la libertà espressiva perché implicano un esercizio di controllo. Se allora Francesca Romano riscopre il nucleo fondamentale di libertà che il cantare produce, l’esperienza di libertà profonda, ecco che l’eccesso di strutturazione controllante messo in atto dalla pedagogia risulta indicare un percorso assolutamente opposto a quello da lei suggerito. E questo è un primo punto interessante per una riflessione pedagogica più generale: … come… quando… allora è chiaro che l’insegnamento dell’educazione musicale o la guida dell’esperienza canora deve trovare questo equilibrio difficile tra il suggerimento di esperienze strutturanti e controllanti… canta di qua… canta di là… canta così…, e la libertà che deriva dall’esperienza in cui si sospende l’eccesso di controllo che è un effetto di inibizione.
Questo il tema centrale del suo lavoro. Il modo assolutamente nuovo e interessante che noi condividiamo è che il legame tra la libertà e il controllo si può trovare nell’esperienza del piacere soggettivo di vivere l’esperienza musicale stessa. E questo rappresenta una novità. Nelle nostre ultime ricerche il piacere soggettivo chiamato piacere narcisistico non è un elemento aggiuntivo rispetto alla fisiologia di base ma costituisce un nodo significativo che dà unità esperienziale all’attività corporea fisiologica che può risultare fredda o concettuale o meccanicisticamente articolata ma che non genera un’esperienza unificata. Il piacere nasce proprio nel momento in cui l’esperienza corporea si unifica e i segnali provenienti dall’attività corporea si unificano anch’essi a creare un’integrazione che noi abbiamo chiamato narcisismo. In cui si ripropone un diverso concetto di libido rispetto alla tematica tradizionale freudiana. Per la cultura psicoanalitica il narcisismo era piacere di tipo sessuale rivolto sul sé. Non è questo che noi pensiamo essere, è quel piacere che deriva dal mettere insieme e dare unità a tutte le attività fisiologiche che ti suggerisce che ti fa percepire il piacere di essere al mondo. Allora la voce diventa una sorta di Virgilio che guida il cantante nel suo percorso psicofisiologico proprio in questo progetto di integrazione delle parti corporee e distrettuali. E questo rappresenta un elemento di assoluta originalità. È chiaro che trattandosi di percorsi una valutazione assolutamente scientifica dei passaggi non è sempre prevedibile perché si riferisce essenzialmente al modo assolutamente individuale con cui il percorso deve essere seguito. Non esistono step che possono essere standardizzati proprio perché si parte dalla concezione del corpo come sostanza viva che può prendere forma in rapporto ai loro punti di partenza essenziali. E quindi l’originalità è quella di non aver voluto imporre una sorta di percorso rigido ma di aver spiegato all’eventuale didatta, o lettore didatta, con questa ottica particolare, come la semplificazione di un percorso possibile può aver forme o sfumature molto diverse le una dalle altre. È questa l’apertura mentale che lo rende particolare e assolutamente unico rispetto alla tradizione didattica.
Mai ci fu maggiore precisione tecnica in questa apparente mancanza di strutturale tecnicismo iniziale!
prof. Vezio Ruggieri
Psicofisiologo clinico
Università La Sapienza - Roma
1. È lei. Sono io
Mi dico: No. No. Non devi educarla. Non cercare di cambiare la sua natura. Smettila di manipolarla, di indurla al tuo volere. Sì, l’hai forgiata come volevi, la domini pienamente, obbedisce ai tuoi ordini. Le dici: Fai piano. Non questo tono. Più dolce, poi quando avverti il crescendo urla
. E lei diligente, attua e finanche previene ogni tuo volere.
Certo, riesco a ottenere esiti appaganti dalla mia creatura. Ma non un vero piacere. Non godo. Il piacere che assaporo non è intimo, è esterno, viene dagli apprezzamenti degli altri: Toh! Guarda come l’ha ben educata, com’è obbediente ai suoi comandi, e quant’è disciplinata!
. Del resto cosa mi aspetto da una passione servile: asservimento totale. E dunque il solo piacere del possesso, del dominio.
Ora basta. Lascerò che sia lei a guidare me. Obbedirò io a lei. Le concedo l’iniziativa. Mi abbandonerò e la lascerò fare. Mi estasierò di lei e non dei risultati del mio potere. Può darsi che provi finalmente un vero piacere, intimo, mio, non esteriore. Magari lei conosce maniere, tecniche a me ignote. Ignote a me che le ho insegnato tutto? Può darsi: tentar non nuoce. Benissimo, d’accordo! Lo faccio.
Dunque, niente sforzo di volontà, niente più imposizioni o concentrazione. Accettarla così com’è. Bene, la lascio libera. Ora eccola, è a briglie sciolte…
Delusione! Non sembra la solita. Mi pare incolta. Più precisamente è un suono sporco, incerto, non ben definito. È ovvio: non ho impostato la laringe, né ho controllato la gola, la lingua, la postura della testa, il diaframma. Non tengo assolutamente conto dei metodi e delle tecniche usati per anni. Emetto un suono e lo ascolto. Così come viene.
Comunque è lei. Sì, proprio lei: la mia voce.
Oltre che indeciso il suono non è ben articolato. Mi pare un misto di A, di E e di O, o meglio, suoni modulati su frequenze diverse che vanno gradualmente articolando varie vocali. Possono essere definiti rantoli modulati. Infatti, non articolo parole, ma canto suoni. Sì, canto. E mi soffermo su ciascuna nota: prima sulle asperità di quelle acute, poi, scivolando in maniera incontrollata verso la O, sulle piacevoli vibrazioni della tonalità bassa, cavernosa. Ma non è la limpidezza, la precisione, la purezza della nota che mi interessa ora.
Le vibrazioni. Ecco cosa mi attrae. Come spiegarlo? Avverto dentro di me un flusso quasi di materia indirizzato in più punti, composto come di microscopiche biglie soffici che si fiondano verso una superficie, percuotendola e creando come dei rintocchi. Le superfici percosse lasciano rimbalzare il flusso di biglie in tutte le direzioni delle cavità corporee. Proprio come nella meccanica delle vibrazioni, il corpo oscillante assorbe l’energia che riceve dalla sorgente, senza ostacolarla, e la amplifica, la espande.
droppedImage-2.pngIn questo momento, ecco: è il palato a essere percosso, e avverto le vibrazioni che da lì si espandono nel naso e verso la parte bassa del mio corpo. Alla nota più alta del fiato successivo mi pare invece che le onde/biglie siano riuscite a perforare la barriera del palato e delle cavità nasali, raggiungendo la calotta interna del cranio. Da non credere! Da quel punto poi le sento ripartire facendo vibrare tutt’intorno ossa cave, tessuti molli, pelle, cartilagini, e giù fino alle braccia.
Contemporaneamente, in quei pochi secondi, la stessa nota sorta dalla laringe ha inviato onde/biglie in direzione orizzontale, scuotendo il collo e finanche le punte delle orecchie, invadendo il torace verso il basso per rimbalzare, mi pare, sul diaframma, e investendo infine la colonna fino alla sua base.
Insomma, questa diversa attenzione all’ascolto ha creato in me sensazioni tutte nuove. Davvero da non credere! Eppure la meccanica e le componenti che hanno innescato il suono sono le stesse di sempre: fiato, laringe, corde, vibrazioni.
La novità è soltanto la modalità di percepire la voce da parte mia. Il punto di ascolto è cambiato. Come se in un teatro fossi ora sul palcoscenico mentre prima ero tra il pubblico in platea. L’emissione della voce è identica, non è cambiata. Mi rendo conto però che probabilmente è improprio utilizzare il termine emissione
, giacché non ho prodotto il suono per emetterlo. Non l’ho messo fuori
di me perché altri lo ascoltino. Ho semplicemente risuonato
. Io, tutto io. Ecco, sì: io ho risuonato, il mio corpo ha risuonato. Per me, a mio esclusivo beneficio.
Come esemplificare una simile sensazione? Forse prendendo in prestito gli effetti della stessa azione in uno strumento musicale. Se ascolto il suono di una chitarra, dico e so che le sue corde oscillando hanno emesso quelle determinate vibrazioni sonore che riconosco come suono di chitarra. Perché io che ascolto mi trovo all’esterno dello strumento!
Ma se appoggio l’orecchio alla chitarra, o se addirittura mi trovassi all’interno della sua cassa armonica, non riconoscerei quello stesso suono, perché sarebbe accompagnato da altri echi, rimbombi, frastuoni, alcuni ovattati dal legno, altri chissà più metallici… Insomma, potrei solo dire che la chitarra risuona
, ma non che odo un suono di chitarra.
Alla stessa maniera, se mi pongo in ascolto di ciò che combina la voce dentro di me, mi accorgo che il mio corpo risuona
. Scopro che il corpo, tutt’intero, è una cassa armonica. Il mio orecchio, infatti, e tutto l’apparato del mio udito sono appoggiati alla cassa armonica, al corpo.
Ho voluto bearmi di tale nuova sensazione, e della consapevolezza di essere uno strumento sonoro, ripetendo più e più volte vocalizzi, scale di note, suoni limpidi, altri raglianti, per godere degli echi che provocano nel mio corpo e del nuovo suono attentamente udito.
A proposito del nuovo suono. In quegli stessi attimi ho compreso perché non riconosciamo e non accettiamo la nostra voce, quella conosciuta all’esterno dagli altri, quando la ascoltiamo riprodotta la prima volta da un registratore. E non soltanto la prima volta, direi; sempre, ogni volta che ci ascoltiamo in registrazione ci viene da dire: ma è questa la mia voce? Proprio così: riconosciamo come nostra solo la voce del corpo che risuona, non quella emessa.
Mi sono posta la domanda: vi sarà una ragione per cui le orecchie sono attaccate alla cassa armonica del corpo in maniera da percepire i suoni risuonati e non quelli emessi? Sarà