Il secondo libro del comando: o l'arte di evocare gli spiriti
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Enrico Cornelio Agrippa
Enrico Cornelio Agrippa von Nettesheim nacque a Colonia nel 1486 e visse una vita errabonda, che lo portò a girare tutta l'Europa, a causa delle continue denuncie di magia ed eresia che lo perseguitavano. Conclusi gli studi umanistici, si interessò di astrologia; recatosi alla corte di Margherita d'Austria, dovette fuggire per i potenti nemici che si era fatto per il suo carattere battagliero e la sua lingua pungente. Andò a Parigi, a Londra, a Venezia, sbarcando a fatica il lunario con l'insegnamento di teologia. Morì a Grenoble nel 1536, in estrema povertà.
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Il secondo libro del comando - Enrico Cornelio Agrippa
COPERTINA
image.pngIl Secondo Libro del comando
o l’arte di evocare gli spiriti
Enrico Cornelio Agrippa
a cura di Jorg Sabellicus
logo.pngCopyright
Il Secondo Libro del comando o l’arte di evocare gli spiriti
di Enrico Cornelio Agrippa
a cura di Jorg Sabellicus
© Copyright 2007-2015 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia 109 – 00196 Roma
ISBN 978-88-272-2631-5
Prima edizione digitale 2015
© Copyright 2015 by Edizioni Mediterranee
Via Flaminia, 109 - 00196 Roma
www.edizionimediterranee.net
Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma
droppedImage.pngIntroduzione
image-1.pngGià nei primi anni dopo la morte di Enrico Cornelio Agrippa, il grande mago rinascimentale autore del celebre trattato La Filosofia Occulta, o la Magia, cominciarono a essere pubblicate altre opere a suo nome, che ne riprendevano in qualche modo le tematiche, e in particolare i metodi per evocare gli spiriti, fare patti col diavolo, compiere sortilegi e meraviglie.
Il più famoso di questi testi è il cosiddetto Quarto Libro, così chiamato perché si presenta come un ulteriore tomo in aggiunta ai tre che compongono La Filosofia Occulta. È un manuale di magia evocatoria che traccia un metodo per chiamare di fronte al circolo magico le entità infernali del tipo di quelle descritte nel trattato maggiore, e imporre loro la propria volontà. Per questo era noto anche come Libro del comando¹.
Si tratta di un testo di notevole interesse, perché in esso le pratiche evocatorie sono spiegate e dettagliate con estrema chiarezza, come non era mai stato fatto dall’epoca dei testi attribuiti a Re Salomone, il più grande di tutti gli evocatori². A lungo si è discusso sull’autenticità di questo volume, data per certa sino tutto l’Ottocento e poi contestata. Negli anni recenti, tuttavia, molti studiosi di occultismo, come l’inglese Stephen Skinner, hanno espresso l’opinione che si tratti quanto meno di una composizione messa insieme da un discepolo di Agrippa, sulla base degli appunti lasciati dal grande mago.
In effetti, in essa si riscontrano, oltre a insegnamenti direttamente derivati dalla Filosofia Occulta, anche dottrine che appaiono tratte dalle opere di altri occultisti, in particolare dallo Heptameron attribuito a Pietro d’Abano³. Ma questo sarebbe un indizio a favore, piuttosto che contro, la sua autenticità, perché soltanto pochi e scelti studiosi avevano accesso allo Heptameron, considerato un testo estremamente pericoloso e severamente bandito dalle autorità ecclesiastiche.
Sulla scia del Quarto Libro apparve, in epoca imprecisabile, un altro singolare testo, che fu diffuso col titolo Secondo libro del comando, e che era anch’esso attribuito ad Agrippa. Il termine singolare
è forse troppo limitativo per descriverne il contenuto, che è di volta in volta sorprendente, bizzarro, ingenuo e inquietante.
Sorprendente, perché in esso sono trattate, fra le altre cose, operazioni di alchimia pratica, spagiria, estrazione ermetica di elisir e panacee, quali non ci si aspetterebbe di trovare in un testo magico tout court. Bizzarro, perché mescolate alle rivelazioni di segreti magici e alchemici vi sono vivaci narrazioni di episodi stupefacenti, irruzioni del fantastico nella realtà di ogni giorno, aneddoti e bozzetti di vita coloriti di magia, stesi con grande vivacità ed evidente senso dell’umorismo. Ingenuo, perché vi si accolgono pratiche stregonesche tratte dalla credulità popolare, che comunque sono estremamente antiche perché vicine, nello spirito e nella sostanza, a quelle raccolte in trattati risalenti all’alto Medio Evo, come la Magia Naturalis attribuita ad Alberto Magno⁴. Inquietante infine, ed è questo forse l’aspetto di maggiore interesse del libro, perché in esso, mimetizzato all’interno di tutto l’altro eterogeneo materiale, vi è un vero e proprio manuale di evocazione satanica, che insegna come stringere un patto di sangue con Lucifero, vendendogli l’anima in cambio di benefici materiali. L’autore del testo ha cercato in qualche modo di nascondere questa parte satanica
della sua opera, sia distribuendola in modo irregolare fra i diversi capitoli, sia lasciando in latino le formule di evocazione e le conversazioni con l’entità infernale con la quale scendere a patti. Ma si tratta di un latino talmente semplice ed elementare che non ci è parso neppure il caso di tradurlo, e lo abbiamo lasciato così com’è, compresi gli errori di ortografia e sintassi.
Quale può essere il valore, oggi, di un libro del genere? Innanzitutto, c’è il fatto che esso costituisce un prezioso documento non soltanto delle pratiche, ma soprattutto del modo di pensare di un mago disposto a compiere un’operazione come quella che rese tristemente famoso l’infelice dottor Faust. Testimonianza straordinaria, perché, per la sua freschezza, essa sembra una narrazione di prima mano, non mediata da interventi censori o timori da parte di successivi manipolatori del testo. C’è poi un valore storico, perché le vicende narrate e le pratiche descritte ci restituiscono con grande vivacità quella che doveva essere l’esistenza quotidiana di uno stregone di cinquecento o seicento anni fa. C’è infine un contenuto dottrinale da non sottovalutare perché, sotto il velo di bizzarre allegorie e metafore più o meno evidenti, nel testo sono sparsi insegnamenti non secondari sulle arti magiche (sia pure accanto a molto ciarpame superstizioso).
Per questo non ci è parso inutile presentarlo a chi si dedica a questo genere di studi, come già fatto con il primo Libro del comando, in edizione accuratamente riveduta, aggiornata nel linguaggio (pur cercando di non tradirne in nulla il sapore
del tutto particolare), correggendo sulla base di raffronti con gli originali le parti di testo manifestamente tratte da altri manuali di arti magiche, ed espungendo quei brani che costituivano palesi aggiunte spurie apportate da successivi copisti al testo iniziale.
Jorg Sabellicus
Enrico Cornelio Agrippa
image-2.pngEnrico Cornelio Agrippa, medico e filosofo contemporaneo e corrispondente di Erasmo da Rotterdam, fu uno degli uomini più dotti del suo tempo, tanto che fu chiamato Trismegisto, tre volte grande
. Nacque a Colonia nel 1486 e morì nel 1535, dopo una tempestosa vita, presso il ricevitore generale di Grenoble (e non già a Lione, e neppure in un ospedale, come i suoi nemici hanno scritto). Era stato in relazione con tutti i grandi uomini e tutti i principi del suo tempo, che avevano fatto a gara per averne la compagnia. Incaricato di molti affari politici e ambascerie, fu questa la causa dei suoi numerosi viaggi, che André Thevet nelle sue Vite degli uomini illustri attribuiva alla mania di far valere ovunque la sua abilità di mago.
La sua sapienza fu cagione delle sue sciagure; era forse troppo istruito per il suo tempo: fu accusato di stregoneria e, più d’una volta, dovette con la forza sottrarsi alle minacce d’una sommossa di popolaccio.
I demonologi, ovvero i magistrati che all’epoca davano la caccia alle streghe, che lo odiavano perché egli continuamente ne denunciava le nefandezze e prendeva le difese delle poverette torturate perché confessassero cose inverosimili, pretendono che si possa rappresentarlo soltanto di notte, come un barbagianni, a motivo della sua magia nera, e alcuni storici che avanzano ingiustificata pretesa di dottrina non ebbero vergogna di accusarlo di truffa, affermando che nei suoi viaggi pagava il conto agli osti porgendo in apparenza monete di giusto conio, che poi in capo ad alcuni giorni si mutavano in piccoli pezzi di corno, di conchiglia o di cuoio.
A vent’anni, si dice, s’occupò d’alchimia; però è certo che neppur egli trovò la famosa pietra filosofale. È vero del resto che fu curiosissimo delle cose strane e amante dei paradossi. Il suo trattato sulla Vanità delle Scienze, che è una delle sue opere più sagaci, ne è la prova evidente. In esso, fra l’altro, si scaglia contro la credulità nelle stregonerie e nelle superstizioni che in quegli anni mandavano al rogo decine d’innocenti.
Se dunque più d’una volta fu costretto a prender la fuga dietro la minaccia delle popolazioni aizzate dai suoi nemici, ciò fu perché sempre si mise contro l’ignoranza e la credulità su cui invece prosperavano i poteri del tempo, i magistrati locali e i preti corrotti, che sfruttavano l’ignoranza del volgo.
Ma molti potenti illuminati avevano grande stima del suo ingegno. Luisa di Savoia, madre di Francesco I, lo nominò suo medico personale, e avrebbe voluto pure che fosse suo astrologo, ma egli rifiutò. Accettò in seguito una carica alla corte di Carlo V, e con lui venne a Roma per la sua incoronazione quale imperatore. Predisse al Conestabile di Borbone, al comando delle truppe imperiali, il