I messaggi della speranza: Un ponte tra genitori e figli: un dialogo d'amore tra "aldiqua" e "aldilà"
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Paola Giovetti
Nata a Firenze, risiede a Modena. È laureata in lettere ed ha svolto attività di insegnamento coltivando al tempo stesso l'interesse per le tematiche di confine. Da alcuni anni si dedica esclusivamente alla ricerca spirituale e alla divulgazione in questo campo. È redattrice di "Luce e Ombra", la più antica rivista italiana di parapsicologia, e svolge anche su riviste a larga diffusione la sua attività giornalistica. Ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi e a numerosi congressi, sia in Italia che all'estero.
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I messaggi della speranza - Paola Giovetti
COPERTINA
image.pngI MESSAGGI DELLA SPERANZA
image-1.pngUn ponte tra genitori e figli: un dialogo d'amore tra «aldiqua» e «aldilà»
Paola Giovetti
logo.pngCopyright
I MESSAGGI DELLA SPERANZA - Un ponte tra genitori e figli: un dialogo d'amore tra «aldiqua» e «aldilà»
di Paola Giovetti
Prima Edizione: Ottobre 1987
Seconda Edizione: Gennaio 1988
Terza Edizione: Aprile 1988
Quarta Edizione: Aprile 1991
Quinta Edizione: Aprile 1992
Sesta Edizione: Luglio 1993
Settima Edizione: Ottobre 1994
Ottava Edizione: Febbraio 1997
Nona Edizione: Maggio 2000
Decima Edizione: Giugno 2002
© Copyright 1987-2014 by Edizioni Mediterranee, Via Flaminia 109 – 00196 Roma
ISBN 978-88-272-2524-0
Prima edizione digitale 2014
© Copyright 2014 by Edizioni Mediterranee
Via Flaminia, 109 - 00196 Roma
www.edizionimediterranee.net
Versione digitale realizzata da Volume Edizioni srl - Roma
droppedImage.pngPremessa
image-2.pngQuesto è un libro un po' particolare. Un libro che ho cercato di scrivere con mano lieve e che vorrei fosse letto con animo aperto ma soprattutto con rispetto, perché racconta storie delicate e personali. Storie che mi sono state affidate da mamme e papà che hanno perduto i loro figli e per vie misteriose li hanno ritrovati, storie fatte di piccole vicende, di « segni» percepibili col cuore e udibili con l'amore, di contatti che sembravano impossibili e invece sono stati stabiliti, di speranze ritrovate, di inaspettati «ritorni ».
Ho esitato molto prima di cominciare a scrivere, perché avevo quasi paura di profanare -raccontandole -vicende tanto intime; e se mi sono decisa a farlo è stato per l'affettuosa solidarietà dei genitori che hanno avuto sufficiente fiducia in me da affidarmi le loro esperienze, consentendomi di pubblicare quanto avevano di più caro.
Le storie che figurano in questo libro, sovente mirabilmente legate e intrecciate tra loro, potrebbero a prima vista sembrare soltanto tragiche: perdere un figlio è l'esperienza più atroce che possa capitare a una persona. Sono invece, in ultima analisi, storie piene di speranza, perché i figli sono ritornati, hanno sollevato i loro genitori dalla disperazione, li hanno confortati e rassicurati, hanno fatto loro capire che se erano morti in così giovane età, c'era stato un motivo, hanno parlato della loro attuale felice condizione, soprattutto hanno spiegato e dimostrato che il legame d'amore non si è interrotto, ma è più saldo e forte che mai e che tra la dimensione terrena e quella ultraterrena non c'è separazione vera: c'è un diaframma sottile che può essere superato purché si abbia la volontà di farlo e tanta fede da tentare l'impresa.
I contatti che si sono stabiliti tra i genitori e i loro figli non sono dovuti in genere a grandi, straordinarie medianità; in qualche caso -è vero -c'è stato, e c'è, il contributo determinante di un medium che ha fatto da tramite. Però nella maggioranza dei casi sono stati i genitori stessi, specie le mamme, a sviluppare la sensibilità necessaria a sentire l'inudibile e a vedere l'invisibile. «È il dolore che apre le porte », mi ha detto una mamma. E certamente è così.
La moderna ricerca parapsicologica ipotizza che le doti paranormali siano, anche se in misura minima, appannaggio di ognuno di noi e possano anche essere sviluppate, Così come si può sviluppare una latente dote artistica. Le vicende narrate in questo libro dimostrano che questa ipotesi è vera. Soprattutto però dimostrano che la vita, in fondo, è una, che non esiste separazione tra chi sembra essersene andato per sempre e chi è rimasto, e che questa nostra esistenza terrena è solo un'esperienza necessaria ad acquisire certe conoscenze: la vita vera è altrove. I genitori che sono protagonisti delle esperienze raccontate in questo libro se ne sono resi conto al punto che non esitano a dire: «Abbiamo ricominciato a vivere. Prima era un sopravvivere male. Ora abbiamo ritrovato la serenità ».
Questo -è bene dirlo subito -è anche il motivo che li ha indotti a fare partecipe me, e attraverso me i lettori, delle loro storie così intime, tenere e personali: far sapere che la possibilità del contatto esiste e aiutare così anche altri a ritrovare serenità e fiducia.
Ci si chiederà quale sia il valore probante delle vicende qui narrate, se esse cioè possano costituire prove nel senso che abitualmente si attribuisce a questo termine. :g giusto dire che i segni, i fenomeni, i messaggi di cui si parlerà, non essendo ripetibili e controllabili a piacimento, non rappresentano prove come le intende la scienza. Hanno però, a mio giudizio, una forza dimostrativa forse maggiore, perché parlano al cuore e si fanno Così riconoscere come autentici e veri. Non si chiede a una poesia di costituire un documento scientifico: le si chiede di farsi sentire «dentro », di parlare un linguaggio diretto che ognuno possa intendere. 10 stesso si può dire del contenuto di questo libro. Le voci lievi ma sicure di Frangi, Francesco, Samuela, Elena e di tutti gli altri ragazzi di cui qui si parIa sono riuscite a penetrare nei cuori dei loro genitori aprendoli alla speranza. Riusciranno, ne sono certa, a farsi sentire anche al cuore di tutti coloro che avranno la disponibilità e la volontà di mettersi in ascolto.
P.G.
Introduzione
image-3.pngUn giorno di sei anni fa mi arrivò per posta un libro dal titolo Tu sei tornato¹, sulla cui copertina azzurra si stagliava il profilo di un ragazzo: Frangi. Il libro, curato dalla mamma del ragazzo, signora Agnese Moneta di Genova, e pubblicato in proprio, raccontava una storia di dolore e di speranza che mi toccò e mi commosse profondamente. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Sono mamma anch'io, non potevo non immedesimarmi, non sentirmi coinvolta. Frangi, un ragazzo meraviglioso prossimo alla laurea, era morto dopo una lunga malattia, e la separazione era stata lacerante. Poi da una dimensione lontana era tornato per consolare, confortare, rasserenare la mamma, il papà, il fratello, dando prove tali da vincere le loro resistenze e convincerli della sua identità. In più aveva donato stupendi messaggi, assicurato della sua costante vicinanza e del suo immutato amore, e con parole commoventi aveva promesso che li avrebbe aspettati: « .. Dovete sempre sentirmi vicino ... Attendo mamma, attendo papà, attendo Gianni, perché l'attesa è un soffio che si colora di eternità. Ciò che per voi· sono lunghi anni di vita terrena, per noi, che di eternità siamo vestiti, non è che un battito di ciglia lieve e veloce... ».
Frangi aveva poi sollecitato la mamma a non tenere per sé i messaggi che giungevano attraverso una medium di Genova -una mamma anche lei -ma l'aveva invitata a pubblicarli per farli conoscere anche ad altri che avrebbero potuto trarne consolazione. Era nato così Tu sei tornato, « il libro », dice Agnese Moneta, «di tutte le mamme che hanno perso un figlio... il conforto che ogni figlio vuol dare ai suoi cari per mutare la loro disperazione in una calma e serena attesa ».
In seguito, in occasione di un convegno, incontrai Agnese e Umberto Moneta e parlammo a lungo; potei rendermi conto fino in fondo che la disperazione di quella mamma e di quel papà si era trasformata veramente in accettazione e dolcezza, perché Frangi aveva dato prove che avevano fatto svanire ogni dubbio. Negli occhi della dolce e coraggiosa mamma Agnese e in quelli di papà Umberto non c'erano più lacrime: vi si leggeva invece la certezza che il loro ragazzo non li aveva abbandonati per sempre, ma era semplicemente andato oltre il sipario, da dove però poteva ancora raggiungerli e far loro sentire la sua presenza. « Siamo di nuovo in quattro », mi disse sorridendo mamma Agnese. «Noi due e i nostri figli Gianni e Frangi ».
Scrissi su quell'incontro un articolo che fu pubblicato poco tempo dopo su La Domenica del Corriere e che evidentemente, a giudicare dalle lettere e dalle telefonate che arrivarono sia ai signori Moneta che a me e alla redazione, raggiunse molte persone: alcune avevano subito perdite dolorose, altre si erano semplicemente sentite toccate dalla vicenda e desideravano approfondirla. Furono tante le richieste che per esaudirle il libro dalla copertina azzurra dovette essere ristampato.
Come conseguenza di tutto questo si è verificato nel tempo un fatto particolare e imprevisto: mamma Agnese è divenuta gradualmente il centro e il cuore di una comunità di genitori che hanno perso i figli e che grazie a lei, ai suoi suggerimenti, ai suoi consigli, alle sue indicazioni, li hanno ritrovati: Agnese Moneta ha insegnato loro a farsi attenti, a vedere, ad ascoltare, a leggere i « segni ».
Allo stesso modo, nell'altra dimensione, Frangi -stando a quanto dicono i tanti messaggi giunti attraverso fonti molto varie -riunisce intorno a sé giovani che hanno prematuramente lasciato la terra: li accoglie, li orienta, li indirizza, li aiuta a stabilire un contatto coi loro genitori sulla terra. Due missioni molto simili, una da una parte del velo, una dall'altra.
In questi pochi anni sono successe tante cose: messaggi, incontri, prove, testimonianze, medianità inaspettate, apporti, fenomeni all'apparenza incredibili, un mosaico al quale ogni giorno aggiunge un tassello e che col tempo assume una sempre più precisa configurazione, un significato sempre più chiaro ed evidente, che -di fondo -è questo: aldiqua e aldilà non sono separati, la comunità umana e quella spirituale sono una cosa sola.
Si è arrivati anche a una seconda pubblicazione, stampata ancora una volta in proprio, e curata e coordinata da Agnese Moneta, dal titolo Noi, Figli di Luce², che contiene il prosieguo della storia di Frangi e nove storie straordinarie raccontate da nove mamme che hanno perduto e ritrovato i figli: fili tessuti da mani invisibili ma sicure, trame che si intrecciano in maniera provvidenziale. In questo secondo libro fui direttamente coinvolta in quanto mi fu chiesto di scriverne la premessa: richiesta che ho considerato un gesto di grande amicizia.
Ho conosciuto personalmente molti dei genitori, ci siamo parlati, rivisti in più occasioni. C'è stato anche un secondo articolo, pubblicato sempre su La Domenica del Corriere, che a quattro anni di distanza dal primo ha ugualmente suscitato un largo interesse e dimostrato quanto, in fondo, sia utile parlare di queste cose, informare di queste possibilità.
Gradualmente, quasi da sola, è nata l'idea di una pubblicazione che raggiunga un pubblico più vasto e racconti da un punto di vista esterno queste storie così delicate e commoventi. Oltre a quelle che mi sono state raccontate dai coniugi Moneta e dai genitori che ruotano intorno a loro, ne ho presentate altre, altrettanto coinvolgenti, di cui sono venuta a conoscenza in questi anni e che completano mirabilmente il quadro. Ho posto in conclusione due interviste: una ad Agnese Moneta, che da anni instancabilmente si prodiga per aiutare e confortare, e una a Padre Eugenio Ferrarotti di Genova, un sacerdote profondamente umano e aperto, che ha seguito fin dall'inizio molte di queste vicende e mi è parso quindi la persona più adatta ad esprimere il significato autentico di quanto viene qui presentato.
Sono grata a tutti i genitori di avermi fatto partecipe delle loro esperienze e di aver avuto nei miei confronti tanta amicizia e fiducia da affidarmele. Le ho raccontate come meglio ho saputo: non voglio porre ipoteche sui risultati, ma posso assicurare di averle raccontate con partecipazione, rispetto e amore. Soprattutto con amore.
1. Frangi t il figlio di luce
image-4.pngNel suo libro dalla copertina azzurra, Agnese Moneta inizia così il racconto della tragedia che sconvolse la sua vita e quella della sua famiglia:
«Cominciò con un sogno: vidi mia madre muta e imo mobile che mi fissava. Da tempo non la sognavo e non avevo pensato a lei più intensamente del solito. Il giorno seguente seppi che Frangi doveva essere operato d'urgenza...»
Questo sogno precognitivo, il cui significato -come spesso avviene -risultò evidente soltanto in un secondo momento, fu seguito da un'altra visione tutta diversa: la notte dopo quell'operazione tanto terribile quanto inutile, Agnese Moneta rivide la madre, ma questa volta la visione la pervase, contro ogni logica, di un'infinita dolcezza.
In questi due episodi, uno triste e uno lieto, è racchiusa tutta la storia di Frangi, che mi appresto a raccontare: il dolore della sua morte e la gioia del suo «ritorno ».
Prima di quel tragico fatto, la famiglia Moneta di Genova era unita e serena: mamma, papà, Francesco detto Frangi e Gianni, più giovane di sette anni. Frangi, a parere unanime di tutti quanti l'hanno conosciuto, era un ragazzo eccezionale: buono, coraggioso, leale e intelligente, aveva anche il dono della bellezza. Alto, atletico, sportivo e simpatico, sempre circondato da amici, era l'idolo delle ragazze. Gentile d'animo, era capace di risolvere serenamente ogni dissidio e sapeva sbrigarsela in ogni occasione: qualunque incarico gli venisse affidato, lui riusciva a venirne a capo bene e in breve tempo. Frequentava con successo l'università e sembrava avviato a un destino felice, quando improvvisamente avvenne la tragedia: uno di quei mali che non perdonano. Ci fu un'operazione e poi cure estenuanti, ma tutto fu inutile. Frangi, che non era preparato al dolore, ebbe un calvario di ben sedici mesi, che accettò con una forza, una dignità, un distacco che ancora oggi, a distanza di anni, lasciano stupiti i genitori e quanti lo seguirono.
Del suo stato era consapevole: aveva 24 anni, non poteva ignorare il significato delle cure al cobalto cui si sottoponeva. Sapeva benissimo come sarebbero andate a finire le cose. Alla mamma però diceva sempre: «lo sono forte, mamma, vedrai che ce la faccio, non aver paura! ». Non ebbe mai una parola di sconforto e ribellione.
Ricorda Agnese, la mamma: «Come ragazzo, Frangi era come tanti altri, era spensierato, gli piaceva vivere. Però in quei sedici mesi di malattia è stato grande: non si è mai lamentato. Andò a sostenere l'ultimo esame di giurisprudenza con la febbre a quaranta, e quando già soffriva tanto si chiudeva nella stanza per scrivere la tesi di laurea. Fino agli ultimi giorni, anche se non poteva quasi più mangiare, è venuto a tavola con noi, perché non voleva che lo servissi a letto. Quando, negli ultimissimi giorni, lo dovemmo ricoverare in ospedale, era lui che faceva coraggio a noi. E quando ormai non poteva pio parlare, a gesti mi faceva capire che sarebbe guarito ... Il giorno prima di morire, sempre con i gesti, mi disse che voleva un televisore a colori perché ai due vecchietti che dividevano la stanza con lui avrebbe fatto piacere. Era un sabato sera, e io corsi a comprarglielo. La mattina dopo spirò ».
Agnese rimase sconvolta, annientata e incredula: fino all'ultimo aveva continuato a sperare che suo figlio ce la facesse, tanta fiducia aveva nella sua capacità di venire a capo di ogni cosa. Si sentiva abbandonata da Dio, non capiva quale grande peccato avesse commesso per meritarsi una disgrazia così enorme.
« Nonostante il dolore che mi impietriva », ricorda, « ero tuttavia convinta che lui in un modo o nell'altro mi avrebbe raggiunta; sapevo che ci saremmo ritrovati, anche se non potevo immaginare come. Durante la sua malattia, Frangi aveva fatto diversi viaggetti e dovunque andasse mi telefonava per farmi stare tranquilla e diceva: Pronto ma', sono Frangi, sto bene ...
. Anche dopo la sua morte ho continuato inconsapevolmente ad aspettare una di quelle sue telefonate e mi stupivo quasi che non arrivasse ».
In fondo al cuore, Agnese sentiva che Frangi avrebbe trovato il modo di darle notizie: non era forse vero che sapeva cavarsela in ogni circostanza e riusciva a portare a termine compiti che i pio avrebbero ritenuto impossibili?
Passarono i mesi: Frangi era morto nell'autunno del 1976 e i suoi si trascinarono fino all'anno successivo, il papà Umberto immerso nel lavoro, Gianni nello studio, la mamma a casa; ognuno chiuso nel proprio dolore, quasi ostili l'uno all'altro, incapaci di capirsi e di aiutarsi. Capita infatti spesso che le disgrazie, invece di unire, separino.
Poi, durante l'estate, un'amica fece leggere a mamma Agnese alcuni articoli di para psicologia, e lei cominciò a desiderare di saperne di pio, di addentrarsi in quella dimensione sconosciuta. Soprattutto la sbalordiva il sistema del registratore usato