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La religione dei Samurai: Filosofia e disciplina ZEN in Cina e Giappone
La religione dei Samurai: Filosofia e disciplina ZEN in Cina e Giappone
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Ebook419 pages6 hours

La religione dei Samurai: Filosofia e disciplina ZEN in Cina e Giappone

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About this ebook

Nel 1913, una dozzina di anni prima del celeberrimo tentativo di proporre il Buddhismo all’Occidente di D.T. Suzuki col suo fondamentale Saggi sul Buddhismo Zen (1927-1934), un altro importante studioso giapponese provò a fornire una lettura “nazionale” di questa religione, e dello Zen in particolar modo, che fosse tuttavia comprensibile e, nel contempo, suggestiva anche per il lettore straniero. Ecco che La religione dei samurai di Kaiten Nukariya, che qui si presenta in prima traduzione italiana e che venne molto apprezzato da Julius Evola, si attesta come un prezioso documento dal triplice valore: politico, religioso e storico. Partendo da un dettagliato resoconto sulla nascita e sulla diffusione di questa religione, l’Autore mostra come lo Zen possa essere una forma vitale per cimentarsi con l’esistenza, sia da un punto di vista strettamente spirituale, sia pratico. In appendice, è inclusa la traduzione dello stesso Nukariya del Gen nin ron (Saggio sull’origine dell’Uomo) del cinese Tsung Mih (774-841), che egli utilizza quale sostegno per le proprie tesi sul Buddhismo Mahayana e la sua corrente Zen.
In appendice L’origine dell’Uomo di Tsung Mih
LanguageItaliano
Release dateOct 21, 2016
ISBN9788827227305
La religione dei Samurai: Filosofia e disciplina ZEN in Cina e Giappone
Author

Kaiten Nukariya

Kaiten Nukariya (1867-1934), docente presso l’Università Keio Gijuku e il college buddhista So-To-Shu di Tokyo, è stato un apprezzato studioso di religioni in Giappone durante la prima parte del XX secolo.

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    La religione dei Samurai - Kaiten Nukariya

    Orizzonti dello spirito / 107

    Collana fondata da Julius Evola

    Kaiten Nukariya (1867-1934), docente presso l’Università Keio Gijuku e il Collegio buddhista So-To-Shu di Tokyo.

    In copertina:

    Stampa di Utagawa Kunisada (1786-1865), considerato uno dei più importanti pittori dello stile Ukiyo-E della scuola artistica Utagawa. Nell’immagine è raffigurato uno dei 47 Ronin tratto dell’opera Kanadehon Chushingura, nota come La vendetta dei 47 Ronin (Ronin è traducibile letteralmente come uomini onda per indicare quei samurai che hanno perso il loro signore) e appartenente all’omonima serie di dipinti realizzati nel XIX secolo rifacentisi al fatto realmente accaduto in Giappone, nel XVIII secolo, nel quale quarantasette samurai vendicarono la morte ingiusta del loro signore. Soltanto uno di loro si salvò.

    ISBN 978-88-272-2730-5

    Titolo originale dell’opera: THE RELIGION OF THE SAMURAI □ Per l’edizione italiana: © Copyright 2016 by Edizioni Mediterranee – Via Flaminia, 109 – 00196 Roma - Edizione digitale realizzata da Volume Press

    INDICE

    Presentazione all’edizione italiana di Riccardo Rosati

    LA RELIGIONE DEI SAMURAI

    Introduzione

    I. STORIA DELLO ZEN IN CINA

    1. Origine dello Zen in India

    2. Introduzione dello Zen in Cina a opera di Bodhidharma

    3. Bodhidharma e l’imperatore Wu

    4. Bodhidharma e il Secondo Patriarca, suo successore

    5. I discepoli di Bodhidharma e la Trasmissione della Legge

    6. Il Secondo e il Terzo Patriarca

    7. Il Quarto Patriarca e l’imperatore Tai Tsung (Tai-so)

    8. Il Quinto e il Sesto Patriarca

    9. La realizzazione spirituale del Sesto Patriarca

    10. La fuga del Sesto Patriarca

    11. Lo sviluppo delle Scuole Meridionale e Settentrionale dello Zen 44

    12. L’attività missionaria del Sesto Patriarca

    13. I discepoli del Sesto Patriarca

    14. I tre elementi importanti dello Zen

    15. Il declino dello Zen

    II. STORIA DELLO ZEN IN GIAPPONE

    1. La nascita della scuola Zen Rin Zai in Giappone

    2. L’introduzione della scuola Zen So To

    3. Le caratteristiche di Do-gen, fondatore della setta giapponese So To

    4. La situazione della società giapponese all’epoca dell’introduzione dello Zen da parte di Ei-sai e Do-gen

    5. Le analogie tra il monaco Zen e il samurai

    6. La povertà onesta del monaco Zen e del samurai

    7. La virilità del monaco Zen e del samurai

    8. Il coraggio e la calma mentale del monaco Zen e del samurai

    9. Lo Zen e i Reggenti del periodo Ho-Jo

    10. Lo Zen dopo la caduta della Reggenza degli Ho-Jo

    11. Lo Zen nell’Epoca Oscura

    12. Lo Zen durante lo Shogunato Tokugawa

    13. Lo Zen dopo la Restaurazione

    III. L’UNIVERSO È IL TESTO DELLO ZEN

    1. I testi non sono altro che carta straccia

    2. Lo Zen non ha alcun bisogno dell’autorità dei testi

    3. L’esegesi consueta del Canone

    4. I sutra utilizzati dai maestri Zen

    5. Un sutra grande quanto tutto il mondo

    6. I grandi uomini e la Natura

    7. L’Assoluto e la Realtà sono mere astrazioni

    8. Il Sermone dell’Inanimato

    IV. BUDDHA, LO SPIRITO UNIVERSALE

    1. L’antico pantheon buddhista

    2. Lo Zen è iconoclasta

    3. Il Buddha è innominabile

    4. Buddha, la Vita Universale

    5. Vita e cambiamento

    6. La visione pessimistica degli antichi indù

    7. L’Hinayana e la sua dottrina

    8. Il divenire secondo lo Zen

    9. Vita e cambiamento

    10. Vita, cambiamento e speranza

    11. Nello Zen tutto è vivente

    12. La forza creativa della Natura e dell’Umanità

    13. La Vita Universale è lo Spirito Universale

    14. L’intuizione poetica e lo Zen

    15. La Coscienza Illuminata

    16. Il Buddha dimora nella mente individuale

    17. La Coscienza Illuminata non è un’intuizione intellettuale

    18. La nostra concezione del Buddha non è definitiva

    19. Come venerare il Buddha

    V. LA NATURA DELL’UOMO

    1. Secondo Mencio l’uomo ha una natura buona

    2. Secondo Siun Tsz (Jun-shi) l’uomo ha una natura cattiva

    3. Secondo Yan Hiung (Yo-yu) l’uomo ha una natura buona e cattiva

    4. Secondo Su Shih (So-shoku) l’uomo ha una natura né buona né cattiva

    5. Nulla che sia mortale è puramente morale

    6. Non c’è mortale che sia non-morale o puramente immorale

    7. Dov’è quindi l’errore?

    8. L’uomo non ha una natura buona né cattiva, ma ha la natura di Buddha

    9. La parabola del ladro Kih

    10. Wang Yang Ming (O-yo-mei) e un ladro

    11. I cattivi sono i buoni nell’uovo

    12. Le grandi e le piccole persone

    13. La teoria della natura di Buddha spiega in maniera adeguata le differenti qualità etiche dell’uomo

    14. La natura di Buddha è la fonte comune dei principi morali

    15. La parabola dell’ubriaco

    16. Shakyamuni e il figliol prodigo

    17. La parabola del monaco e della donna stolta

    18. Ogni sorriso un inno, ogni parola gentile una preghiera

    19. Il mondo è in fieri

    20. Il progresso e la speranza della vita

    21. Il miglioramento della vita

    22. Il Buddha della Compassione

    VI. L’ILLUMINAZIONE

    1. L’Illuminazione è al di là delle definizioni e delle analisi

    2. L’Illuminazione implica il discernimento della natura del Sé

    3. L’irrazionalità della fede nell’immortalità

    4. L’esame del concetto di Sé

    5. La Natura è la madre di tutte le cose

    6. Il Vero Sé

    7. Il risveglio della Saggezza intima

    8. Lo Zen non è nichilista

    9. Zen e idealismo

    10. L’idealismo è una potente medicina per le malattie mentali create da se stessi

    11. Lo scetticismo idealistico concernente la Realtà oggettiva

    12. Lo scetticismo idealistico concernente la religione e la moralità

    13. Un’illusione dell’apparenza e della realtà

    14. Dove sta la radice dell’illusione?

    15. La cosa in se stessa significa l’assenza di relazione tra la cosa e il soggetto conoscente

    16. Le Quattro Alternative e le Cinque Categorie

    17. Il personalismo di B.P. Bowne

    18. Tutti i mondi nelle dieci direzioni sono la Terra Pura del Buddha

    VII. LA VITA

    1. L’epicureismo e la vita

    2. Gli errori dei pessimisti filosofici e degli ottimisti religiosi

    3. La legge di equilibrio

    4. La vita è conflitto

    5. Il mistero della vita

    6. La Natura non favorisce nulla in particolare

    7. La legge di equilibrio nella vita

    8. L’applicazione della legge di causalità ai principi morali

    9. La retribuzione nella vita passata, nella presente e nella futura

    10. La vita eterna secondo l’insegnamento del professor Münsterberg

    11. La vita in concreto

    12. Le difficoltà non hanno presa sull’ottimista

    13. Fa’ del tuo meglio e lascia il resto alla Provvidenza

    VIII. L’ADDESTRAMENTO MENTALE E LA PRATICA DELLA MEDITAZIONE

    1. Il metodo d’istruzione adottato dai maestri Zen

    2. Il primo gradino dell’addestramento mentale

    3. Il secondo gradino dell’addestramento mentale

    4. Il terzo gradino dell’addestramento mentale

    5. Zazen, o meditazione seduta

    6. L’esercizio di respirazione dello yogi

    7. La calma mentale

    8. Lo Zazen e l’oblio di se stessi

    9. Lo Zen e i poteri sovrannaturali

    10. L’autentico dhyana

    11. Lasciate passare i pensieri futili

    12. I Cinque Ranghi del Merito

    13. Le Dieci Icone del Bufalo

    14. Zen e Nirvana

    15. La Natura e il suo insegnamento

    16. La beatitudine dello Zen

    APPENDICE

    L’ORIGINE DELL’UOMO (GEN-NIN-RON)

    Prefazione

    Introduzione

    I. CONFUTAZIONE DELLA (DOTTRINA) ILLUSORIA E PRECONCETTA

    II. CONFUTAZIONE DELLA (DOTTRINA) INCOMPLETA E SUPERFICIALE

    1. La Dottrina degli Uomini e dei Deva

    2. La dottrina Hinayana

    3. La dottrina Mahayana del Dharma-lakshana

    4. La dottrina Mahayana dei nichilisti

    III. ESPOSIZIONE DIRETTA DELL’ORIGINE REALE

    1. La dottrina Ekayana che insegna la Realtà Suprema

    IV. CONCILIAZIONE DELLA DOTTRINA TEMPORANEA CON QUELLA REALE

    PRESENTAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA

    "La religione del samurai riprende essenzialmente questa attitudine. Non vuol saperne di speculazioni, di scritture, di testi. Ostenta perfino una iconoclastia. Vuole essere essenzialmente un sistema di realizzazione spirituale. Non disserta su verità trascendenti, ma indica le vie per sperimentarle direttamente"¹. Così Julius Evola, nel suo articolo La religione del samurai (Augustea, 1 marzo 1942), sintetizza perfettamente quelli che sono i concetti cardine espressi da Kaiten Nukariya (1867-1934), docente presso l’Università Keio Gijuku e il Collegio buddhista So-To-Shu di Tokyo, nonché apprezzato studioso di religioni in Giappone, nel presente testo che esce ora nella sua prima versione italiana. Ovvero, un’analisi del Buddhismo, atta a dimostrare come i valori etico-morali dello Zen si sposino armoniosamente con quelli della dottrina samuraica, grazie a due elementi che, per lo studioso nipponico, ne fanno la più riuscita tra le cosiddette sette² buddhiste: l’azione e la vitalità.

    Come molti sanno, il Buddhismo nasce in India tra il VI e V secolo a.C. Intorno al VI secolo d.C. questa religione si era ormai nettamente diversificata in tre grandi scuole: Mahayana (Grande Veicolo , giapponese: Daijo), Hinayana (Piccolo Veicolo , giapponese: Shojo) e Vajrayana (Veicolo del Diamante , giapponese: Mikkyo). La prima, quella di cui parla Nukariya, si diffuse all’inizio in Cina e successivamente in Giappone. La seconda attecchì in gran parte nel Sud-Est asiatico e in Sri Lanka. La terza, infine, divenne una religione consolidata in Tibet verso il X secolo circa. Malgrado il non totale apprezzamento da parte di Nukariya, che aveva per fine la esaltazione dello Zen, il quale fa parte della corrente del Mahayana, è giusto ricordare come il cosiddetto Piccolo Veicolo sia da considerarsi per certi versi una visione più pura delle altre due, poiché prevede un esercizio maggiormente scrupoloso delle regole buddhiste originarie e dove – qui sta la grande differenza col Mahayana – la salvezza è affidata alla pratica del singolo credente e non beneficia dell’aiuto di interventi esterni, cioè i Bodhisattva. In breve, non è errato affermare che fra i tre rami principali di questa complessa religione, quello hinayanico richieda maggiore impegno e osservanza delle regole. Ciò fa sì che l’Hinayana sia meno accessibile e facile del Mahayana e, va da sé, dello stesso Zen.

    Questa premessa era non solo doverosa per sintetizzare la storia del Buddhismo al lettore che non sia pienamente informato su di essa, ma specialmente, come vedremo, utile per evidenziare una certa tendenza da parte di Nukariya nell’elevare lo Zen al di sopra di tutte le altre correnti del Buddhismo. Va detto subito, comunque, che tale aspetto è il naturale risultato della politica nipponica dell’epoca, sempre più nazionalista e intenta a sacralizzare il popolo dell’Arcipelago. Per questo motivo, il testo di Nukariya non rappresenta soltanto una pietra miliare nella diffusione dello Zen, ma anche una preziosissima fonte che rivela moltissimo della visione culturale ufficiale nel Giappone di inizio Novecento. Del resto, trapela in diverse pagine una certa simpatia di Nukariya per il Confucianesimo: quella filosofia morale che dalla Cina venne rielaborata in Giappone e che fu alla base della cultura samuraica della società feudale del Sol Levante fino, e in alcuni casi anche dopo, alla celeberrima Restaurazione Meiji del 1868. Motivo per cui, La religione dei samurai dovrebbe sempre essere letto tenendone bene a mente la doppia valenza: da un lato, il suo essere un fondamentale tentativo di traduzione del Buddhismo Zen per gli occidentali; dall’altro, un veicolo di propaganda sulla validità della visione politico-religiosa del moderno Giappone del Periodo Taisho ( , Taisho Jidai, 1912-1926), il quale era sì moderno, ma pur sempre ancorato a una concezione gerarchica della società, tipica proprio del Confucianesimo.

    Pur nel pieno rispetto di tutte le correnti che nei secoli sono nate nel Buddhismo, non possiamo non segnalare nel ragionamento dell’autore una certa volontà di distinguere, ovvero di evidenziare certamente una natura unica di questa non semplice religione, ma nel contempo diversificata. Non per nulla egli comincia il suo discorso proprio attraverso una distinzione geografica tra Sud (Hinayana) e Nord (Mahayana). Stranamente Nukariya riteneva che all’epoca fosse il Buddhismo hinayanico quello più diffuso in Occidente, malgrado la sua impronta fortemente ascetica e, a tratti, pauperistica. Questo spiega anche il suo desiderio di dimostrare quanto lo Zen, che fa parte delle scuole del Nord, rappresentasse non solo quella religione dei samurai a lui così cara, ma alla fine l’unica Via che potesse essere universale, utile per l’essere umano, occidentale o orientale.

    Non è stato davvero un caso che questo saggio abbia anni or sono catturato l’attenzione proprio di Julius Evola. In esso, infatti, Nukariya propone sovente una interpretazione della religione in perfetta sintonia con alcune qualità evoliane dell’uomo differenziato: È un metodo per l’Illuminazione poiché scaccia l’illusione e il dubbio, e allo stesso tempo vince l’egoismo, distrugge i desideri meschini, dà vita all’ideale morale e rivela la saggezza innata, evidenziando un punto assai caro al filosofo italiano, la non passività della spiritualità: Il terzo è l’Attività Zen, ovvero la modalità di espressione dello Zen in azione, che è del tutto assente in ogni altra fede.

    Come detto, il testo di Nukariya ha anche una sua valenza politica, frutto del montante nazionalismo nel Giappone di quegli anni, e l’esaltazione dello Zen in lui va di pari passo con quella della modernità del suo Paese: È lo Zen che il Giappone moderno, specialmente dopo la guerra russo-giapponese, ha riconosciuto come la dottrina ideale per le sue nuove generazioni. Sia ben chiaro, però, che egli non fu il solo intellettuale a essere sedotto da una nuova forma, per l’Arcipelago, di patriottismo. Difatti, vari scrittori ed eruditi nipponici, dopo la vittoriosa battaglia di Port Arthur³ – puntualmente esaltata da Nukariya una decina d’anni dopo – credettero che il Giappone potesse finalmente diventare la prima vera potenza moderna dell’Asia, in virtù del primo successo bellico di un popolo asiatico su di uno dalla pelle bianca; vittoria che contribuì ad alimentare l’idea di una superiorità razziale del popolo nipponico sugli altri orientali. Si potrebbe persino pensare, seguendo questa esile, ma persistente, sottotraccia politica nel ragionamento di Nukariya, che se il Buddhismo, nella sua essenza passiva, aveva ridotto gli asiatici a semplici vassalli degli occidentali, il giovane Giappone imperiale, grazie alla forza vitale dello Zen, sarebbe stato finalmente capace di liberare il continente dal giogo straniero:

    […] con la guerra russo-giapponese, però, esso conobbe una rinascita. Ora la dottrina dello Zen è considerata l’ideale sia per una nazione colma di speranze e di energia, sia per l’individuo che deve farsi strada nelle difficoltà della vita. Il Bushido, o codice cavalleresco, dev’essere osservato non solo dal soldato sul campo di battaglia, ma da ogni cittadino nella lotta dell’esistenza quotidiana. Per essere un uomo, e non un animale, l’individuo dev’essere coraggioso come un samurai, generoso, retto, fedele e virile, pieno di rispetto e fiducia verso se stesso, e allo stesso tempo colmo dello spirito di sacrificio. Possiamo trovare un’incarnazione dei principi del Bushido nel generale Nogi, l’eroe di Port Arthur, che dopo il sacrificio dei due figli per la patria nella guerra russo-giapponese, ha dato la sua vita e quella della moglie in onore dell’imperatore deceduto.

    È ferma in Nukariya l’idea di accostare la figura del monaco Zen a quella di un bushi⁵, nell’individuarne in sostanza una matrice comune, così da consolidare una visione etico-militare-religiosa della società giapponese di allora: Nello Zen, invece, riuscirono a trovare qualcosa che era loro congeniale, qualcosa che faceva vibrare le corde del loro cuore, poiché, in un certo senso, lo Zen era la dottrina della cavalleria. Da queste parole è possibile chiaramente comprendere come per Nukariya la disciplina di un monaco Zen differisca in poco o nulla da quella di un militare, segnatamente per quanto concerne privazioni e sacrifici: […] la cosiddetta povertà onesta è una caratteristica sia del monaco Zen che del samurai.

    È bene chiarire che il nazionalismo presente nell’opera dello studioso non ne inficia minimamente la valenza intellettuale, tantomeno l’acuta riflessione sulla natura intrinseca del Buddhismo. Invero, ciò non è soltanto dimostrato dalla lunghissima disamina effettuata da Nukariya sulla storia di tale religione, ma principalmente nel riconoscimento da parte sua del primato cinese⁶ sullo Zen: L’Attività Zen, quindi, ebbe un’origine puramente cinese, e fu sviluppata dopo il Sesto Patriarca.

    Un altro aspetto importante de La religione dei samurai lo si ritrova nella immancabile unione tra lo Zen e l’arte. La diffusione e curiosità sviluppatesi in Occidente verso questa interpretazione del Buddhismo sono grandemente dovute proprio a questo suo prolungamento in ambiti non prettamente religiosi, e Nukariya lo sottolinea apertamente: In questo modo lo Zen e il suo gusto particolare si aprirono la strada nelle attività pacifiche della letteratura, delle belle arti, della cerimonia del tè, della cucina, del giardinaggio, dell’architettura, fino a permeare ogni fibra della vita giapponese. Va a tal proposito ricordato come durante lo Shogunato Tokugawa (1603-1868), con il graduale imborghesimento della classe guerriera, lo Zen passa dall’essere la filosofia dei samurai a quella dell’estetica e intellettualità nipponica tout court e questo durerà in buona sostanza sino all’imposizione dello Shintoismo di Stato (Kokka Shinto, ), specialmente negli anni Trenta e Quaranta del Novecento.

    A nostro parere, l’aspetto più interessante di quest’opera risiede però nella volontà di esaltare la vitalità dello Zen – come pensava anche Julius Evola, dunque di una religione lontana dalla passività della forma scritta – e, nel contempo, celebrare il popolo del Sol Levante, in quanto riconosciuto l’unico a essere stato capace di mutuarne la grandezza spirituale: "Nella sua forma più pura di fede vivente lo Zen è oggi presente solo tra i buddhisti giapponesi. Non è presente nel cosiddetto Vangelo di Buddha più di quanto non sia possibile trovare l’Unitarianismo nel Pentateuco, né è presente in Cina o in India più di quanto non sia possibile trovare la vita nei fossili delle ere più remote. Ciò non dovrebbe sorprendere, visto che l’autore non fa mistero che, a suo giudizio, l’indebolimento della primigenia versione cinese dello Zen fosse giunto a causa della mancanza di concentrazione su di una dottrina attiva, specialmente in virtù dell’amalgamarsi" con l’Amidismo⁷.

    Diverso è invece il suo atteggiamento verso il Confucianesimo, che ha innervato il Giappone feudale e che è perciò giudicato positivamente nel suo mischiarsi con lo Zen, generando una corruzione positiva: "Chi potrebbe negare che la filosofia di Wang⁸ è lo Zen espresso in termini confuciani?". A questo fa da contraltare la sostanziale non positiva valutazione del Taoismo esoterico, che invece aveva catturato l’attenzione di Evola⁹. Per gli orientalisti più accorti questa non rappresenta affatto una sorpresa, in quanto il Confucianesimo è incentrato sull’idea di uno stato morale ed è in sostanza una visione quasi laica della vita e, dunque, non una vera e propria religione; mentre il Taoismo è l’esatto opposto, rifiutando la ricerca del Potere, in favore di una elevazione interiore dell’uomo, la quale non porta a un paradiso, nel senso occidentale, bensì alla immortalità in terra.

    Per Nukariya, ciò che differenzia maggiormente lo Zen dalle altre interpretazioni del Buddhismo è il suo non fossilizzarsi sulla pura lettura dei testi, arrivando addirittura a rifiutare la scrittura, persino quella sacra:

    Tutte le definizioni del Buddhismo, con l’unica eccezione dello Zen, si basano sull’autorità di alcuni particolari testi sacri. […] Il testo scritto non è altro che il dito che punta verso la luna della Buddhità. Nel momento in cui riconosciamo la luna e godiamo della sua benevola bellezza, il dito non ha più alcuna utilità. Così come il dito non ha una sua luminosità, anche il testo scritto non possiede una santità intrinseca.

    Quest’arditissima interpretazione sull’eccessiva importanza data dal Buddhismo alla forma scritta riecheggia, in alcuni passaggi del testo, l’identica forza guerriera che lo stesso Evola riprese nei suoi articoli sullo Zen. È quasi sorprendente notare come le seguenti parole di Nukariya ricordino non poco quelle del grande pensatore della Tradizione: Coloro che trascorrono gran parte della loro vita nello studio delle Scritture, argomentando e spiegando con ragionamenti minuziosi, senza mai attingere un piano superiore di spiritualità, sono mosche religiose buone solo a ronzare intorno ai loro tecnicismi privi di senso.

    Diversi anni dopo il filosofo italiano, anche una grande figura nel panorama intellettuale giapponese come Yukio Mishima (1925-1970) giungerà praticamente alle stesse identiche conclusioni nel suo saggio autobiografico Sole e acciaio¹⁰ (1968). In esso, lo scrittore giapponese posiziona la fisicità al centro della sua filosofia dell’azione¹¹, decretando la superiorità del corpo sulla mente; del gesto sulle parole, giudicate corrosive e, a tratti, persino immorali. Nukariya prima, Evola e Mishima poi, tutti e tre sono accomunati da una visione a-dogmatica della spiritualità, ed è proprio nello Zen che essi ritrovano l’assenza di una sottomissione dottrinale, tipica della maggior parte delle religioni, così descritta dall’autore di questo testo: Lo Zen è completamente libero dalle catene dei vecchi dogmi, dalle decrepite professioni di fede e dalle convenzioni di un passato stereotipato, che condizionano lo sviluppo di una fede religiosa e impediscono la scoperta di una nuova verità. Da un certo punto di vista, Nukariya anticipa di molto Mishima, stigmatizzando l’inutilità della scrittura: Il testo sacro che i maestri Zen apprezzano non è fatto di pergamena o di foglie di palma, né è in bianco e nero, ma è quello scritto nel cuore e nella mente. Difatti, riflessioni come questa: Gli eruditi spesso sono enciclopedie in carne e ossa, ma gli uomini di genio leggono tra le righe delle pagine della vita fanno sorgere il dubbio che il suo testo fosse tutt’altro che sconosciuto allo scrittore, il quale divenne nell’ultima parte della sua vita un fulgido esempio dell’armonico binomio azione/conoscenza, culminato nel suo celebre suicidio del 25 novembre 1970.

    Un ultimo aspetto che è fondamentale evidenziare nella analisi di Nukariya lo si individua nella sua reiterata affermazione di una ingannevole distinzione da parte di molti studiosi e praticanti tra mondo illusorio e vero: È una grossolana illusione concepire la realtà come trascendente rispetto alle apparenze. La realtà esiste in qualità di apparenze, e le apparenze sono la realtà nota agli esseri umani. Non è possibile separare le apparenze dalla realtà, e presentare quest’ultima come l’oggetto di ogni aspirazione a scapito delle prime. La vita e il mondo, per l’intellettuale nipponico, si devono affrontare, non bisogna fuggirli. In Nukariya si palesa inoltre il primato del fare sul predicare, nel segno della non staticità dello Zen, aspetto che differenzia tale Via dalle altre sette buddhiste: Questo breve episodio dimostra che lo Zen non è una dottrina fissa incorporata in un sutra o in uno shastra, ma un riconoscimento o una realizzazione dentro di noi. […] Lo Zen, pertanto, non considera suo Canone i testi scritti nero su bianco, poiché le sue pagine ispirate sono gli oggi e i domani della vita vera. Fu del resto proprio ciò che entusiasmò Evola, il quale vedeva in questa forma di pratica non solamente la perfetta realizzazione del pensiero del Buddha, ma anche alcuni rimandi a quella dominazione del Sé, tipica del suo periodo filosofico caratterizzato dalla ricerca di un Individuo Assoluto. Lo studioso giapponese nelle pagine del suo testo non dimentica poi di segnalare l’importanza dello yoga; un altro elemento che lo lega al pensiero evoliano¹². Azione e vitalità nella spiritualità, aspetti che sia per Nukariya che per Evola rendevano una religione attuativa per l’Uomo. Alle spalle di ciò vi è in Nukariya una sorprendente accettazione del darwinismo. Una contraddizione? È possibile, ma va pur detto che l’autore cerca in più occasioni di non privare il proprio ragionamento di una validità anche scientifica, probabilmente per non passare agli occhi dei suoi lettori occidentali per una specie di guru orientale, bensì per un serio studioso delle religioni, informato sugli sviluppi della filosofia europea e americana.

    Ciò che colpisce nell’elaborazione dello Zen da parte dell’autore è l’ottimismo di fondo del suo pensiero, la sua fiducia nella vita e, di conseguenza, nei mezzi di ogni singolo individuo, il quale è inconsciamente un potenziale Buddha e che per accorgersene deve percorrere uno specifico cammino: il Kensho , affinato poi nel Satori ¹³. Quello che invece quasi indispettisce Nukariya sono la paura e, ancora di più, il rifiuto delle difficoltà; debolezze che si manifestano inesorabilmente in una fuga dalla vita: L’avversità è il sale della nostra esistenza, poiché la preserva dalla corruzione, indipendentemente da quanto possa essere amaro il suo sapore. È il migliore stimolo per il corpo e la mente, poiché attiva l’energia latente che altrimenti resterebbe solo potenziale. Quanto sono lontane tali parole dal mondo di oggi. Musica, cibo, calcio; la cosiddetta società civilizzata ha totalmente dimenticato il senso stesso della lotta, che è quel sale dell’esistenza di cui parla l’autore.

    Per molti studiosi contemporanei, le riflessioni di Nukariya potrebbero apparire datate, nonché inclini a glorificare eccessivamente il Giappone attraverso lo Zen. Noi, per converso, le consideriamo ancora valide e necessarie per opporsi alla corruzione dell’uomo occidentale, del suo essere ormai un nichilista isolato. Vi è un totale rigetto in Nukariya di quell’intellettualismo tipico del mondo di oggi, dove si parla e pensa troppo; nel quale si conferisce qualità a un pensiero esclusivamente quando è complesso, meglio se incomprensibile. Egli fa ciò citando uno dei padri dello Zen: "Come precisa Dogen¹⁴: […] ‘Non c’è nulla di misterioso nel Buddhismo’. Questo punto va adeguatamente sottolineato, dato che il testo in questione si contrappone nettamente a una visione buonista" dello Zen e del Buddhismo in generale, caratterizzata talvolta da incomprensibili sofismi, tanto in voga in Occidente; come del resto fece Evola nel suo celebre La dottrina del risveglio¹⁵. In entrambi gli studiosi vi è infatti una visione pratica dello Zen, lontana da uno sterile ascetismo, e non poteva essere differentemente, considerando che sia Evola che Nukariya conferiscono a questa pratica religiosa uno spirito marziale.

    Nukariya si rivolge prevalentemente agli studiosi del Buddhismo, perciò il suo è un testo divulgativo dal taglio alto e il suo ragionamento arriva quasi sotto forma di monito nel non mischiarsi con interpretazioni di questa religione che favoriscono una devianza da una completa realizzazione dell’individuo: Ahimè! O studiosi istruiti a metà che aderite a dottrine imperfette, ciascuna in conflitto con le altre! Voi che cercate la verità, se foste capaci di ottenere la Buddhità capireste con chiarezza (quale forma di idea illusoria) è sottile e quale è grossolana, quale è generante e quale generata. Per Nukariya, l’unica Via spirituale attuabile rimasta era costituita dallo Zen, poiché le altre pratiche buddhiste si erano via via indebolite o corrotte nel corso dei secoli.

    Concludendo, l’ottimismo e la fiducia nell’uomo rappresentano quella matrice innovativa nel testo di Nukariya che lo differenzia da tutte le altre interpretazioni del Buddhismo. Vero, egli palesa in alcuni punti una certa attitudine a predicare, ma lo fa con un sincero intento esplicativo, volendo trasmettere i concetti base dello Zen al pubblico mondiale, segnatamente a quello non-asiatico. Verso la fine, lo studioso nipponico diventa infatti più occidentale, ovvero talvolta incline al concetto, mutuando un linguaggio vicino a quello canonico della nostra filosofia, specialmente quando illustra la inutile opposizione tra apparenza e realtà.

    Grazie a uno stile lineare e comprensibile, La religione dei samurai è un’opera che incita vigorosamente ad andare oltre il dualismo Bene-Male, per ricondurlo a

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