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Racconti da incubo
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Racconti da incubo

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Il libro Racconti da Incubo di Helena Petrovna Blavatsky è un ottimo esempio di letteratura horror. La Blavatsky, nota come occultista e leader storica della teosofia moderna co-fondatrice, insieme al colonnello Olcott, della Società Teosofica, pubblicò questa opera nel 1892. Si tratta di cinque racconti accattivanti e misteriosi – pubblicati inizialmente su riviste – ricchi di particolari ed insegnamenti esoterici che solo la mano di un'occultista avrebbe potuto aggiungere attingendo alla propria esperienza. L’uscita di questo testo venne annunciata sul numero del 15 maggio 1892 del Lucifer. Nell’articolo, venne riprodotta la copertina del volume, opera di R. Machell, amico dell'Autrice e membro della Teosofica Società. Questa raccolta di racconti ci mostra una madame Blavatsky intensa scrittrice realistica, dotata di stile narrativo e brillante immaginazione, ma anche capace di rimandare al lettore il mondo dell'occulto con tratti sapienti.
I racconti vennero riscritti negli ultimi mesi della dolorosa vita dell’Autrice quando, affaticata dalla stesura del Glossario Teosofico, non potendo restare inattiva, tornò alla sua opera, trovandovi distrazione e distensione. Il racconto Una Vita da Strega venne pubblicato per la prima volta sul Theosophist, tra l’agosto e il settembre 1885, in una versione più breve, non ancora divisa in capitoli. Nella sua forma definitiva apparve sul Lucifer, in tre parti, dal dicembre 1891 al febbraio 1892. La versione definitava del racconto La Caverna degli Echi comparve sul Theosophist, nell’aprile 1883. Scrive l’Autrice che la storia è realmente accaduta e confermata dai registri di polizia della città di P. Dalle Terre Polari è invece un breve ma intenso racconto da brivido ambientato in Finlandia durante le feste di Natale. Il Violino umano è una riscrittura “occulta” de Il violino a corde umane di Antonio Ghislanzoni ad opera di Hillarion Smerdis, membro cipriota della società teosofica. Verrà poi riscritto e ampliato da madame Blavatsky, e pubblicato in due puntate sul Lucifer, tra il marzo e l’aprile 1892.
LanguageItaliano
Release dateApr 15, 2020
ISBN9788876926358
Racconti da incubo
Author

Helena Petrovna Blavatsky

Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), co-fondatrice della Società Teosofica, di nobile famiglia russa, dotata di poteri psichici straordinari, giovanissima si spinse da sola in regioni impervie e lontane (India, Tibet e montagne del l’Himalaya), dove venne in contatto con uomini evoluti dai quali ricevette l’insegnamento iniziatico che ella successivamente codificò nei principi di base della teosofia, primi fra tutti, i concetti di fratellanza universale, reincarnazione, karma, evoluzione attraverso le esperienze di vita. Il suo grande merito è stato quello di aver fatto conoscere in Occidente la grande tradizione filosofico-religiosa indiana.

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    Book preview

    Racconti da incubo - Helena Petrovna Blavatsky

    Prefazione

    Helena P. Blavatsky è nota in tutto il mondo soprattutto per la sua conoscenza enciclopedica, per i suoi occulti poteri, per il suo incomparabile valore. Questo libretto, fatto di storie buttate giù nei momenti di leggerezza, ce la mostra ora come una intensa scrittrice realistica, dotata di una brillante immaginazione. I bagliori della realtà vi si scorgeranno sotto lo stile fantastico, e gli studiosi noteranno come soltanto la mano di un’occultista abbia potuto aggiungere alle scene certi tocchi particolari.

    Questi racconti sono stati riscritti negli ultimi mesi della dolorosa vita dell’autrice: quando, affaticata dalla stesura del Glossario teosofico, lei, che non poteva restare inattiva, tornò alla sua opera più leggera, trovandovi distrazione e distensione. Gli innumerevoli amici, in ogni parte del mondo, apprezzeranno senz’altro questo piccolo dono che, troppo raro, s’incasella tra le fatiche di un più severo lavoro¹.

    Annie Besant


    ¹ L’uscita dei racconti venne annunciata sul numero del 15 maggio 1892 del Lucifer. Nel breve articolo, venne riprodotta la copertina del volume, opera di R. Machell, amico della Blavatsky, membro della Società Teosofica e autore anche di "un’illustrazione – che rappresenta H.P.B. mentre ascolta la storia di ‘Una vita stregata – come mi fu narrata da una penna d’oca’, e di alcuni ottimi fregi con mostri giapponesi straordinariamente intrecciati. Le cinque storie comprese in questo volumetto assicureranno all’autrice un posto di rilievo tra gli scrittori di racconti. C’è grande abbondanza di storiacce da quattro soldi [‘shilling dreadfuls’ nel testo, formato popolare di narrativa breve, di genere violento e sensazionale, diffuso nella tarda età vittoriana, dal costo d’uno scellino – lo stesso prezzo al quale vennero venduti i Nightmare Tales], dalle trame poco elaborate e malamente svolte; ma non è facile imbattersi in una scrittrice che disponga di una conoscenza diretta di quel bizzarro mondo dove scorrazzano elementali d’ogni tipo, e che sia capace di sollevare, per i suoi lettori, un lembo del velo che cela tale mondo ai loro occhi". (N.d.T.)

    Una vita stregata

    (come mi fu narrata da una penna d’oca)¹


    ¹ Il racconto venne pubblicato per la prima volta sul Theosophist, tra l’agosto e il settembre 1885, in una versione più breve, non ancora divisa in capitoli. Nella sua forma definitiva apparve sul Lucifer, in tre parti, dal dicembre 1891 al febbraio 1892. (N.d.T.)

    Introduzione

    Era una buia, fredda notte del settembre 1884. Una spessa oscurità era calata sulle strade di A., una piccola città sul Reno², e incombeva come una luttuosa coltre funerea sul borgo operaio inanimato. Già da qualche ora, la maggior parte dei suoi abitanti, affaticati dal lungo giorno di lavoro, si era ritirata per distendere le membra, e poggiare la testa indolenzita sopra i cuscini. Ogni cosa era quieta nella grande casa; ogni cosa era quieta nelle strade deserte.

    Anch’io giacevo nel mio letto; ahimè, non in un letto di riposo, ma di dolore e di malattia, sul quale ero confinata da alcuni giorni. Ogni cosa nella casa era così immobile che, per usare le parole di Longfellow, l’immobilità era quasi udibile³. Potevo sentire chiaramente il mormorio del mio sangue, mentre scorreva nel mio corpo dolente, quel canto monotono, così familiare a chi presta attenzione al silenzio. Io l’avevo ascoltato fino a che, nella mia immaginazione sovraeccitata, non era divenuto il rumore di un diluvio lontano, una colossale caduta d’acque… quando, all’improvviso, mutando carattere, quel canto che continuava a crescere confluì in altri e ben più graditi suoni. Fu allora il grave, e da principio scarsamente udibile, sussurro di una voce umana. Si avvicinò e, intensificandosi a poco a poco, sembrò parlarmi direttamente nell’orecchio. Ecco allora che si udì una voce, come parlasse dalle profondità di un calmo lago azzurro, in una di quelle gole meravigliosamente risuonanti delle montagne innevate, là dove l’aria è così pura che una parola pronunciata a mezzo miglio di distanza sembra quasi a un palmo di naso. Sì; era la voce di una persona degna del più alto rispetto, la voce della più cara e santa persona, verso la quale ero in debito per molte misteriose intuizioni; una voce familiare per lunghi anni, e sempre gradita nelle ore di sofferenza, mentale e fisica, perché sempre recante con sé un raggio di speranza e di consolazione.

    Coraggio, sussurrò in un tono morbido e gentile. "Ripensa ai giorni trascorsi in dolce compagnia⁴; alle grandi lezioni ricevute sulle verità della Natura; ai molti errori degli uomini riguardo a queste verità; e prova ad aggiungervi l’esperienza di una notte in questa città. Lascia che il racconto di una vita sconosciuta (avrà senz’altro, per te, un interesse) ti aiuti ad accorciare le ore di sofferenza… Fai attenzione. Guarda laggiù, di fronte a te!".

    Laggiù significava le chiare, larghe finestre di un edificio abbandonato, posto sull’altro lato della stretta strada di quel paese tedesco. Mi stavano di fronte, quasi in linea retta di là dalla strada; il mio letto era proprio di faccia alle finestre della mia camera. Seguendo il suggerimento, rivolsi lo sguardo dove mi era stato indicato, e quel che vidi mi fece, per un certo tempo, dimenticare l’agonia del dolore che tormentava le mie braccia gonfie e il mio corpo artritico.

    Attraverso le finestre strisciava una nebbia, una fitta, pesante, sinuosa, biancastra bruma che appariva come l’enorme ombra di un boa gigante che si andasse lentamente svolgendo. A poco a poco svanì, lasciando una luce splendente, tenera e argentea, come se le vetrate riflettessero migliaia di raggi di luna, un cielo tropicale illuminato di stelle – prima da fuori, poi dall’interno delle stanze deserte. Vidi poi la nebbia allungarsi e gettare, per dir così, un ponte fatato di là dalla strada, che andava da quelle finestre stregate al mio balcone, anzi, fino al mio stesso letto. Mentre osservavo tutto questo, la parete, le finestre e la stessa casa di fronte a me improvvisamente svanirono. Lo spazio, prima occupato dalle stanze deserte, si trasformò nell’interno di un’altra stanza più piccola, di quello che io sapevo essere uno chalet svizzero – in uno studio, le cui vecchie, scure pareti erano coperte, da terra sino al soffitto, da scaffali pieni di volumi, tra i quali vi erano molti antichi in folio, così come opere di più recente data. Al centro stava un grande tavolo vecchio stile, pieno di manoscritti e materiali per la scrittura, davanti al quale, in mano una penna d’oca, sedeva un vecchio scheletrico, un personaggio arcigno, con un volto sì smagrito, sì pallido, giallo ed emaciato, che la luce dell’unica, piccola lampada⁵ si rifletteva in due lucenti chiazze sulle ossa sporgenti degli zigomi, quasi fossero stati intagliati nell’avorio.

    Quando cercai di guardarlo meglio, sollevandomi lentamente sul cuscino, l’intera visione, lo chalet e lo studio, il tavolo, i libri e lo scriba sembrarono tremolare e muoversi anch’essi. E una volta smossi, si avvicinarono sempre di più, fino a che, scivolando senza alcun rumore lungo il fioccoso ponte di nuvole attraverso la strada, fluttuarono dalle finestre chiuse sin dentro la mia stanza, e alla fine sembrarono sistemarsi accanto al mio letto.

    Ascolta ciò che pensa e che si accinge a scrivere, disse in tono suadente la stessa voce familiare, così lontana, eppur così vicina. Il racconto che ascolterai ti potrà aiutare ad accorciare le lunghe ore insonni, e a farti dimenticare per un momento il tuo dolore… Prova!, aggiunse, utilizzando la ben nota formula rosacruciana e cabalistica.

    Provai, facendo come mi era stato ordinato. Concentrai tutta la mia attenzione sulla solitaria, laboriosa figura che vedevo davanti a me, ma che non mi vedeva. Sul principio, il rumore della penna d’oca, con la quale il vecchio scriveva, non mi suggerì se non un mormorio grave e sussurrato di natura indefinibile. Poi, a poco a poco, le mie orecchie incontrarono le parole indistinte di una debole voce lontana, e io pensai che la figura che mi stava dinnanzi, china sul manoscritto, al posto di scrivere stesse leggendo a voce alta la sua storia. Ma presto mi accorsi dell’inganno. Gettando lo sguardo sulla faccia del vecchio scriba, vidi subito che le sue labbra erano chiuse e immobili, e mi resi conto che quella voce era troppo debole e acuta per appartenergli. Ancora più strano, a ogni parola tracciata da quella fragile, anziana mano, notavo un lampo di luce da sotto la penna; un’intensa, accesa favilla che diveniva all’istante un suono, o – che è poi la stessa cosa – sembrava diventarlo dentro di me. Era infatti la piccola voce della penna d’oca che io udivo, sebbene lo scriba e la sua penna fossero in quel momento forse lontani centinaia di chilometri dalla Germania. Questo genere di cose accade, di tanto in tanto, soprattutto durante la notte, sotto la cui ombra stellata, così come ci dice Byron, l’uomo apprende

    …l’alta e muta favella d’un altro mondo…⁶.

    Comunque, le parole pronunciate dalla penna d’oca restarono nella mia memoria per giorni. Non ebbi nessuna difficoltà nel ricordarle. Sedendo al tavolo per annotare questa storia, le trovai, così, indelebilmente impresse sulle tavolette astrali, davanti al mio occhio interno.

    Non dovetti allora far altro che trascriverle, e riportarle come le avevo ricevute. Non riuscii a intendere il nome dell’ignoto scrittore notturno. Tuttavia, sebbene il lettore possa preferire considerare l’intera storia come inventata per l’occasione, forse anche un sogno, spero che i fatti ivi narrati non si dimostreranno, per questo, meno interessanti.


    ² Elberfeld è il nome della città, nella prima versione del racconto pubblicata sul Theosophist. La Blavatsky soggiornò a Elberfeld appunto nel 1884, presso la famiglia Gebhard. Vi rimase alcuni mesi, costretta a letto, e lavorò alla Dottrina segreta. La signora Gebhard faceva parte della Società Teosofica; studiosa d’occultismo, era stata discepola di Eliphas Lévi. Ecco, allora, la dolce compagnia di cui più sotto. (N.d.T.)

    ³ Il riferimento è a Kavanagh, a tale di Henry Wadsworth Longfellow, Boston, 1849: How absolute, he exclaimed, how absolute and omnipotent is the silence of the night! And yet the stillness seems almost audible!. (N.d.T.)

    ⁴ Nella versione pubblicata sul Theosophist è scritto: "Think of the days at Elberfeld", pensa ai giorni di Elberfeld. (N.d.T.)

    ⁵ Il testo dice "student’s lamp", lampade tipiche dell’età vittoriana. Potevano essere a due o più bracci, con cappello, e una caratteristica riserva d’olio. (N.d.T.)

    ⁶ Lord Byron, Manfred, atto III, scena IV, Londra, 1817. (N.d.T.)

    I

    La storia dello sconosciuto

    Sono nato in un piccolo villaggio della montagna svizzera, un gruppo di cottage rintanati in un recesso soleggiato, tra due rovinosi ghiacciai e una vetta coperta dalle nevi perenni. Vi feci ritorno trentasette anni fa, invalido mentalmente e fisicamente, con l’intenzione di morirci, se solo la morte mi avesse voluto. Ma l’aria pura e tonificante del mio luogo natio decise altrimenti. Sono ancora vivo, forse per dare testimonianza dei fatti che ho tenuto scrupolosamente segreti a tutti – una storia d’orrore, che avrei preferito continuare a nascondere, piuttosto che rivelare. La ragione di questa mia riluttanza è dovuta alla mia prima educazione, e agli eventi successivi che hanno poi smentito le mie più profonde convinzioni. Alcuni potranno essere portati a giudicare i fatti come provvidenziali: per parte mia, comunque, non credo nella Provvidenza, e nello stesso tempo non riesco ad attribuirli al puro caso. Li associo all’incessante evoluzione degli effetti, generati da certe cause dirette, attraverso una causa prima e fondamentale, dalla quale derivò tutto ciò che seguì. Se pure ormai sono un vecchio, la debolezza fisica non ha alterato in alcun modo le mie facoltà mentali. Ricordo ogni minimo dettaglio della terribile causa che diede luogo a sì fatali risultati. E sono proprio questi dettagli a fornirmi una prova ulteriore della reale esistenza di colui che vorrei con piacere considerare – oh, se solo potessi farlo! – come una creatura nata dalla mia immaginazione, il prodotto evanescente di un orribile sogno febbricitante! Quale Essere terribile, gentile e misericordioso! Quanto santo e rispettabile! Un modello di virtù, che avvelenò la mia vita. Fu lui che, spingendomi a forza

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