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Nati con la camicia: La membrana amniotica nel folklore e nella medicina
Nati con la camicia: La membrana amniotica nel folklore e nella medicina
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Nati con la camicia: La membrana amniotica nel folklore e nella medicina

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About this ebook

Nella cultura popolare di molte regioni del mondo e di diversi epoche storiche, la nascita con la “camicia”, ovvero la membrana amniotica, raffigura un destino fortunato. Chi nasce con essa può infatti diventare un individuo dotato spiritualmente: uno sciamano o un prelato di alto rango, un arcivescovo cattolico o un dalai nel mondo tibetano. Tale tipo di nascita conferisce inoltre dei poteri magici come la “seconda vista”, nei confronti di morti e di spettri, e la chiaroveggenza.
Nati con la camicia raccoglie tutte le credenze popolari e le ipotesi intorno a questo avvenimento partendo dalla tradizione storico-letteraria e proponendo anche quanto scritto nei secoli da fisiologi, embriologi e medici. Secondo tali credenze e tradizioni, la “camicia” può anche essere apparentata a una sorta di copricapo che ha molti legami con il mondo delle fate e degli gnomi, e che conferiva protezione e invisibilità a chi nasceva con essa. Nel folklore europeo, e non solo, la “camicia” ha rappresentato un attributo che poteva indirizzare i proprietari verso un destino di benandanti, maghi, streghe, lupi mannari e vampiri, ovvero figure inerenti alle profondità della psiche.
La membrana amniotica fa parte dell’unità feto-placenta-cordone ombelicale, e a tal riguardo il saggio documenta le diverse disposizioni e prescrizioni che nel corso dei secoli hanno riguardato le parti di questa unità al fine di favorirne e utilizzarne l’influsso positivo e scongiurarne quello maligno. Del resto, nel folklore sono note le proprietà terapeutiche della “camicia” e delle cellule che da essa possono essere derivate, mentre nella medicina antica, ad esempio quella cinese, erano ben conosciute le proprietà curative della placenta. Conoscenze andate poi perdute e in seguito recuperate nella medicina moderna: oggi infatti queste stesse proprietà vengono sfruttate nella cosiddetta “medicina rigenerativa”, al fine di riparare organi danneggiati, restituendo loro integrità strutturale e funzionale.
LanguageItaliano
Release dateMay 22, 2018
ISBN9788876926273
Nati con la camicia: La membrana amniotica nel folklore e nella medicina
Author

Massimo Conese

Nato a Bari nel 1961, è laureato in Medicina e Chirurgia ed è Dottore di Ricerca in Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare. Attualmente riveste il ruolo di professore associato in Patologia Generale presso l’Università di Foggia ed è autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. Ha curato le seguenti raccolte di fiabe e leggende presso le Edizioni Besa di Nardò: Fiabe e leggende norvegesi (2001) e Fiabe e leggende irlandesi (2004).

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    Book preview

    Nati con la camicia - Massimo Conese

    Presentazione

    Chi nasce con la camicia presenta sul viso, sulle spalle o su tutto il corpo, una membrana che lo avviluppa. Questa membrana è l’amnio, una parte della placenta che, raramente, rimane attaccata al nascituro. Non è una nascita patologica ma questo evento ha avuto nel tempo varie interpretazioni a livello medico, mitologico e folkloristico.

    La nascita con la camicia è, dal punto di vista della demopsicologia, sinonimo di fortuna. Ma, come si vedrà in questo saggio, non è solo questione di fortuna in quanto, declinate a varie latitudini e in diversi tempi storici, le credenze intorno a tale tipo di nascita riguardano il destino di un individuo nel senso più largo del termine. In generale e nonostante i significati particolari che vedremo in seguito, la nascita con la camicia (come anche la nascita podalica) è un segno che il neonato è un eroe nel senso mitico del termine¹. Non appare quindi strano che chi nasce con la camicia possa diventare un veggente o addirittura una figura santa del suo popolo, come un Dalai Lama o un papa. Ma anche una figura maudit, come una strega, un vampiro o un licantropo. Molte di queste credenze sono attestate in maniera privilegiata in Europa.

    Come nota Nicole Belmont, nell’Introduzione al suo saggio Les signes de la naissance (Plon, Paris 1971), i documenti su questo soggetto sono molto più numerosi nell’area indo-europea che in altre parti del mondo. Inoltre, sembra che, come riporta Ford in uno studio comparato sulla riproduzione umana, le nascite con la camicia siano raramente notate tra le popolazioni primitive, come se la mancanza d’informazione rifletta l’assenza di pericolo da esse presentato. La semplicità di togliere questa membrana dalla testa di un bambino fa sì che i primitivi sappiano risolvere questo evento con successo². Ovviamente, questa spiegazione non è soddisfacente, visto che la copiosità dei documenti europei sulla camicia dimostrerebbe che i nostri antenati non sapessero togliere la camicia dal neonato e nello stesso tempo la considerassero un pericolo terribile, cosa che, secondo la Belmont, non è (ma, come vedremo, presso molte culture, un pericolo c’è ed è veramente temibile). Quindi, sempre secondo Belmont, i documenti etnologici non hanno saputo riportare questo tipo particolare di nascita, o perché gli antropologi non sapevano porre le domande giuste o perché non erano a conoscenza di questo fenomeno. Difatti, due notevoli eccezioni extra-europee – in America del Nord presso gli Irochesi e in Oceania a Tokopia – fanno rimpiangere tale mancanza di documentazione etnologica e dimostrano allo stesso tempo che il materiale si trova se si sa dove cercare. Ci si rende conto, per esempio, dai fatti raccolti in Oceania da Firth, che la camicia è caricata di un significato diverso da quello europeo, al punto che essa non può essere più considerata come un segno della nascita.

    D’altra parte, le credenze sulla nascita con la camicia hanno beneficiato in Europa della storia di un imperatore romano (Antonino Diadumeno) raccontata da uno storico tardo latino, Elio Lampridio, e di essere state stigmatizzate come superstiziose dalla Chiesa. Gli umanisti dei secoli successivi, tra cui anche medici del XVI e XVII secolo, hanno contribuito alla diffusione di queste credenze, aggiungendovi talora dal loro sacco. I primi sei capitoli di questo saggio riportano quindi le testimonianze che riguardano la camicia come riferito dalle fonti medico-umanistiche e da quelle folkloristiche-etnologiche.

    Perché tale vastità e trasversalità di fonti? Che le nascite con la camicia avvengano è fuor di dubbio, sono un evento reale, ancorché raro, eppure hanno attratto su di sé con la loro stranezza avvenimenti che fanno parte della storia del folklore e della mitologia. Come succede con tali attrattori, non sono mancate quindi diverse interpretazioni, da quella folkloristica vera e propria (Burkhardt, Créméné) a quella psicologica (Belmont).

    Il testo che sicuramente ha fatto da guida alla presente opera – il più completo a oggi, non solo in lingua francese – è proprio quello già citato della direttrice dell’École des hautes études en sciences sociales (EHESS, Laboratoire d’Anthropologie Sociale) Nicole Belmont, Le signes de la naissance, che unisce la matrice psicologica a quella mitologica, quest’ultima servendo da supporto della prima. In estrema sintesi, la Belmont individua nella camicia un simbolo fallico che fissa intorno a una rinascita dell’individuo, desideroso di rinnovare la perduta protezione materna. Altro testo-guida è stato l’articolo di Forbes, intitolato The Social History of the Caul (in Yale Journal of Biology and Medicine, 1953), che presenta i vari autori che si sono occupati della nascita con la camicia nei secoli, a partire da Elio Lampridio, la cui esistenza non è tuttavia stata definitivamente documentata, e la sua storia sull’imperatore Antonino Diadumeno. Eppure, entrambi questi autori hanno mancato di porre l’attenzione sull’aspetto più oscuro associato a questo tipo di nascita, ovvero quello per cui si è creduto che chi nascesse in tale guisa potesse diventare un mago, uno stregone, una strega oppure un revenant e quindi un vampiro. Ho cercato di colmare questa lacuna, presentando, nel capitolo 6, le diverse figure, ambigue e comunque quasi sempre connotate di un’aura di malignità, che nei secoli sono state associate a questo tipo di nascita.

    Poiché altre credenze riguardano la vita stessa di quest’annesso fetale, e sono attestate in molte parti del mondo, mi sono soffermato nel capitolo 7 sull’unità feto-placentare. La camicia, una membrana che fa parte della placenta, rappresenta difatti per molte culture un doppio, un gemello o una gemella che, fino a quando rimane legata al nascituro, provvede alla sua salute psichica e fisica. Infine, vi è la questione relativa alle proprietà curative e terapeutiche della camicia e della placenta in toto. Mi sono imbattuto nelle credenze intorno alla camicia e alla placenta da quando, nella mia attività di ricerca, ho intrapreso uno studio delle proprietà delle cellule staminali isolate dalla membrana amniotica ai fini di quella che oggi viene chiamata medicina rigenerativa. Da quando me ne sono interessato, ho potuto verificare come tali credenze fossero così diffuse nel folklore mondiale e che riguardassero non solo molti aspetti legati propriamente alla nascita ma anche tanti argomenti e discipline, dalla magia alla psicologia alla spiritualità. Per chi, come me, si è interessato alle figure degli esseri fatati nella mitologia, nel folklore e nella medicina³, l’occasione era ghiotta per compiere un altrettanto interessante excursus sull’argomento della membrana amniotica nella storia dell’uomo, allargando man mano il discorso sugli altri annessi fetali.

    Essendo medico e ricercatore, non ho potuto esimermi dall’esporre gli aspetti più biologici e medici della camicia, ovvero della membrana amniotica che viene rappresentata appunto dalla camicia stessa. È possibile isolare da questa membrana delle cellule con caratteristiche di staminalità (ovvero praticamente di immortalità) e che si suppone possano essere utilizzate ai fini di una terapia e cura di molte malattie. Le proprietà rigenerative della membrana amniotica sono conosciute da molti secoli e prendono avvio almeno con la medicina cinese, e hanno avuto molte applicazioni in campo medico e chirurgico.

    Gran parte dell’opera è dedicata a quanto sappiamo della camicia e degli altri annessi fetali (placenta e cordone ombelicale) nel folklore e nella mitologia, con qualche incursione nella psicanalisi, ponendo l’accento proprio sull’ipotesi della dottoressa Belmont. Le credenze intorno alla camicia sono diffuse in molte parti del mondo e sono probabilmente la corruzione di sostrati molto antichi che riguardano la protezione materna e le anime dei defunti. Infatti, la camicia è un’archetipa manifestazione delle anime che possono viaggiare al di fuori del corpo per compiere gesta che hanno a che fare principalmente con la fertilità, ma anche con la morte, visto che tale tipo di nascita ha dei forti legami anche con figure legate alla caducità della vita, come lupi mannari e vampiri. Nei tempi moderni ha prevalso la parte buona della camicia (e della placenta da cui essa deriva, come anche del cordone ombelicale) e l’unità feto-placentare ha guidato gli studiosi di farmacopea e poi i medici nel rilevare le proprietà curative di tali annessi fetali. Nell’ultimo capitolo mi soffermo quindi sulle proprietà biologiche e mediche della placenta e della membrana amniotica in particolare.

    Desidero ringraziare in primo luogo il caro amico Lorenzo Gattoni, senza la cui dedizione nel rivedere le prime stesure dal punto di vista sia lessicale sia sintattico (e non solo) questo libro non sarebbe potuto essere stampato. Inoltre, un grazie sincero anche alla prof.ssa Giovanna Devincenzo per le sue traduzioni dal francese medievale e per i suoi utili suggerimenti interpretativi, e alla dott.ssa Gabriella Soldini per la sua traduzione dal tedesco dell’articolo di Dagmar Burkhardt, Vampirglaube und Vampirsage auf dem Balkan.


    1. O. Rank, allievo e collaboratore di Freud, ha studiato le diverse rappresenazioni mitologiche della nascita dell’eroe dal punto di vista psicoanalitico in Il mito della nascita dell’eroe, SugarCo, Milano 1994.

    2. C.S. Ford, A comparative study of human reproduction, Yale University Publications in Anthropology, n. 32, New Haven 1945.

    3. M. Conese, La malattia delle fate, Edizioni Studio Tesi, Roma 2012.

    Capitolo 1

    Introduzione

    «... Questo gesto [l’abdicazione] del solitario e Santo Padre [Celestino] l’attribuisca chi vuole a viltà d’animo [...] io, per me, lo ritengo più di ogni altro utile a lui stesso e al mondo. [...] Come Cristo abbia accolto un tal gesto, risulta da un miracolo che Dio operò mediante lui il giorno successivo alla sua rinunzia: miracolo che certo non sarebbe avvenuto se Dio avesse disapprovato quanto egli aveva fatto. Io considero il suo operato come quello di uno spirito altissimo e libero che non conosceva imposizioni, di uno spirito veramente divino: e penso che un uomo non avrebbe potuto agire così se non avesse giustamente valutato le cose umane, e se non si fosse posto sotto ai piedi il capo orgoglioso della fortuna...».

    Chi lo avrebbe mai detto che avrei avuto una vita così? Ed ero nato con la camicia... e si sa che chi nasce in questa condizione è fortunato o avrà una vita particolare. Già da bambino ebbi in dono la facoltà di guarire e poi avrei fatto anche dei miracoli. Il primo a essere guarito fu mio fratello maggiore, al quale, mentre stava mietendo il grano, una resta gli si conficcò nell’occhio e nessuno riusciva a trovarla, per cui il poveretto se ne andava in giro la notte e il dì urlando per il dolore. Io, che ero già chierico, dopo una preghiera di mia madre alla Beata Vergine, andai da lui e gli trovai la resta proprio nel bel mezzo dell’occhio, con una punta che sporgeva; allora la presi con sole due dita e la estrassi. La mia scelta del sacerdozio sembrava sfuggisse alla volontà degli uomini, tant’è che mia madre, consigliata forse dal diavolo, non mi levò da scuola, anche se era magari necessario per dare una mano nei campi. La mia era una famiglia contadina, e già un altro mio fratello era avviato al sacerdozio. Ma non volli farmi frate e basta, ma eremita, perché pensavo che così avrei fatto la volontà di Dio. E allora molti vennero a stare con me sulle pendici della Maiella e fondammo molti eremi che poi divennero cenobi e anche monasteri. La mia vita fu poi benedetta dallo Spirito Santo allorché volle che io diventassi la guida di tutti i cristiani, ovverossia Papa. Accettai perché pensai di poter portare quella ventata di onestà, rettitudine e di frugalità, in definitiva di spiritualità, che venivano sempre di più a mancare nella Chiesa. Mi sbagliavo però: la Chiesa non era pronta alla rinuncia dei beni mondani e sentii su di me tutto il peso di tale attitudine. Per cui rinunciai al papato e mi diressi all’eremo di sant’Onofrio dove ero vissuto prima della consacrazione. Gli emissari di Benedetto Caetani, ora Bonifacio VIII, vennero a cercarmi per condurmi dal nuovo Papa e tenermi prigioniero, così scappai verso il Gargano. Mi diressi colà, tolte le vesti papali, su di una bestia da soma, avvolto da un vilissimo mantello, col capo coperto da una cuculla, per non essere riconosciuto, ma ovunque passavo la gente accorreva a me, lasciando il lavoro, i bimbi i loro giochi, per potermi vedere e riverire, e mi chiamavano col mio nome: fra Pietro del Morrone. Neanche in Puglia, però, mi sentivo sicuro, per cui progettai di andare in Grecia, con alcuni marinai di Rodi Garganico che si erano resi disponibili, ma dovetti attendere quattro settimane perché il mare era sempre agitato. Finalmente arrivò la bonaccia e potemmo partire. Dopo appena una giornata di navigazione, un vento contrario riportò la barca sulla costa, nei pressi di Vieste, dove rimasi per altri nove giorni. Il mare non mi voleva e ci fu chi scrisse che a Dio non piaceva affatto che il regno nel quale ero nato, cresciuto e giunto fino alla vecchiaia venisse privato di un così grande tesoro, bontà sua. Il Caetani poi non volle più che fossi libero e termino i miei giorni nel castello di Fumone. Amen⁴.

    Celestino V, al secolo Pietro del Morrone, finì la sua lunga vita, durata 81 anni, il 19 maggio 1296, dopo «che fece per viltade il gran rifiuto»⁵, ovvero, come tutti sanno, abdicò al papato e depose la tiara. Egli era di umili origini, ma con una particolarità, era nato con la camicia: «Veniva ricordato un fatto singolare, accaduto nel momento della nascita del fanciullo: poiché, come la madre diceva, quando il bimbo era uscito dall’utero, era rivestito come da una specie di abito religioso»⁶. La vita di Pietro del Morrone, il santo canonizzato da Carlo di Valois, è un prodigio: compì miracoli fin da adolescente e ne compì molti altri prima della sua elevazione al soglio pontificio, durante e anche dopo la sua abdicazione, e come tutti i grandi santi che si rispettino anche dopo la morte. Nonché la sua scelta come papa fu inaspettata e circonfusa di un’aura di rinnovamento spirituale della Chiesa medievale. La sua esistenza terrena iniziò quindi con un prodigio; egli nacque ancora avvolto nel sacco amniotico. Come ricorda Golinelli «era questo un evento nemmeno tanto raro, quando le donne partorivano in casa e avevano numerose gravidanze: Pietro fu l’undicesimo dei figli nati da sua madre, e ne sarebbe seguito un altro». Fin dall’antichità a questo tipo di nascite si attribuiva un significato particolare. «Quella veste, che copriva come una camicia la parte superiore del corpo, o come una mantellina le spalle del neonato, o come una cuffia la sola testolina» – si ricordi la cuculla che copriva la testa di Pietro fuggiasco – «diventava il segno di una distinzione che troviamo associato in tutte le culture a un significato magico positivo...»⁷. Questo segno è arrivato sino a noi nel detto proverbiale di nato con la camicia: quante volte avremo sentito dire questa espressione. Eppure, la vita di Pier Celestino non finì in modo fortunato ma, come abbiamo ricordato, imprigionato nella rocca di Fumone dal suo successore, Bonifacio VIII, perché non diventasse un ostaggio nelle mani dei re francesi. «... A rifletterci su, che uomo sfortunato. Sembra, come Giobbe, l’oggetto di una sfida di Satana a Dio. Proprio quando lui s’illudeva di aver recuperato la libertà, ha perduto quel poco che ne rimaneva. Adesso non illudiamoci. Non ci sarà più libertà, non ci sarà più pace, non ci sarà più riposo per il nostro Pier Celestino»⁸. Siamo di fronte quindi a un’ambivalenza del destino di chi nasce con la camicia: fortunato ma anche sfortunato, portatore di virtù magiche buone ma anche nefaste. Ritorneremo nei prossimi capitoli su questa dicotomia, per ora rivolgiamoci alla bontà di nascere con la camicia e ai doni che se ne ricavano.

    Di solito, con l’espressione nato con la camicia, ci si riferisce, infatti, a una persona molto fortunata, baciata dagli dei si sarebbe detto in tempi più antichi. Ma da dove viene questo modo di dire? Come visto nel caso di Celestino V, la sua origine si deve far risalire al momento della nascita di un bambino con le membrane amniotiche avvolte attorno al capo nella gran parte dei casi, oppure attorno al corpo. Il bambino che nasceva avvolto in una specie di sacco, la membrana amniotica appunto, era considerato diverso dagli altri, e caro agli dei. L’evento veniva interpretato con benevolenza, anzi come segno di vita fortunata e di capacità divinatorie.

    Nell’antica Roma, le levatrici trafugavano le membrane per poi venderle agli avvocati. Questi ultimi credevano che il possesso di un amuleto del genere desse loro grande eloquenza e gli consentisse di vincere tutte le cause⁹. È probabile che, poiché la camicia conferiva il potere della seconda vista e di vincere in ogni competizione, gli avvocati, sia in tempi antichi sia moderni, comprassero la camicia con la speranza di vincere le cause grazie a essa, probabilmente pensando allo spirito presente nella camicia come un invincibile alleato della persona che lo aveva comprato¹⁰. Per capire il potere che dava questo amuleto, viene riportato che addirittura una maga vinse una causa contro un avvocato difendendosi da sola. Non a caso, ella «ha una virtù, è nata con la camicia, e quindi le cose che lei dice si avverano»¹¹. La stessa credenza apparve inoltre anche in Islanda, Danimarca, Inghilterra e altrove in Europa¹².

    Tra le altre superstizioni attribuite alla camicia, vi era quella per cui si credeva che un bambino nato con l’amnio era destinato dalla Provvidenza a entrare in un monastero o in un convento, oppure a diventare un vescovo¹³. In Austria, se un ragazzo portava l’amnio con sé tra i suoi vestiti poteva diventare arcivescovo¹⁴. La stessa tradizione era presente in Rutenia¹⁵.

    Essere nato con la camicia, come vedremo, poteva rendere immuni dalle ferite. Ecco come Paolo Giovio, medico e vescovo del XVI secolo, stigmatizzò la nascita di Alfonso d’Aragona, noto come il marchese di Pescara, valente condottiero e alquanto indemoniato guerriero:

    «Il bambino tosto che uscito dal ventre della madre ne veniva in luce, portò seco una grandissima veste d’una sottil membrana; a guisa d’una certa militar sopravesta dal seme del padre, e della madre con chiara ragione di eredità destinata a tanta aspettazione. Hebbe nella natività sua circa il cielo del Cielo Marte con dritto cor fo posto in casa sua, e acciocché più facilmente si acquistassero le vittorie, mitigato co’ raggi salutari di Giove: onde il Pontano oltre la lode dell’eloquenza peritissimo ancora della scienza delle stelle, veduta la natività sua promise vittorie, e lietissimi trionfi al fanciullo; avvisandolo ancora che diligentemente, si guardasse la faccia contra le ferite...»¹⁶.

    Eppure il marchese di Pescara fu ucciso da un colpo di balestra, cosa non inusuale per un condottiero di quei tempi¹⁷.

    In Inghilterra, invece, mettevano l’amnio o la placenta in vendita, una consuetudine che viene attestata già in epoca Tudor (1540-1603)¹⁸. Successivamente, come vedremo nel capitolo 4, vennero pubblicate numerose inserzioni sui giornali o manifesti. Tali annunci apparvero almeno fino alla prima guerra mondiale ed erano destinati a coloro che venivano chiamati in guerra; in particolare essi riguardavano i capitani di vascelli e i marinai¹⁹. Il sacco amniotico (the caul, in inglese) tolto dalla testa di un neonato fungeva infatti da protezione contro l’annegamento e avrebbe portato fortuna a chi lo teneva con sé. Inoltre, all’inizio del XX secolo, i marinai usavano il velo (come viene anche chiamata la camicia) per rivestire la Bibbia²⁰. Evidentemente, la pratica di vendere la camicia era così comune in epoca vittoriana che persino Charles Dickens ne parlò in David Copperfield. Nel famoso incipit, il protagonista ricorda questa sua nascita fortunata e racconta della vendita del suo amnio con suo grande imbarazzo visto che egli stesso era presente alla riffa. Ne riparleremo meglio nel capitolo 2.

    Queste brevi notazioni iniziali suggeriscono che la camicia avesse delle proprietà taumaturgiche e anche mediche. Come vedremo, molte sono state – e sono – infatti le applicazioni terapeutiche della membrana amniotica prima come tale e poi delle singole cellule che da essa si possono estrarre. In Italia, al momento della nascita di un bambino in questa condizione, la levatrice avvisa immediatamente il padre, il quale sceglie quale malattia suo figlio sarà capace di guarire. Egli pronuncia il nome della malattia e ne descrive i sintomi in presenza del neonato, il quale, da quel momento in poi, possiede il dono di guarirla²¹. Viene riportato che una donna nata col velo era capace di curare le verruche²².

    Eppure, come le due facce di una medaglia, il sacco amniotico è stato visto anche come un portato del demonio, o sotto forma di strega oppure di vampiro. Venne usato come talismano benefico e come componente delle pozioni delle streghe. Del resto, lo stesso termine pharmacon nella medicina antica greca, almeno fino a Galeno, era usato per indicare sia il veleno sia l’antidoto o addirittura un medicamento²³. La rottura dell’amnio al momento della nascita è stato di competenza delle levatrici (dette anche comari) per secoli. Ma già nel Medioevo, questo mestiere (che dovrebbe essere il più antico del mondo a scapito di quello della prostituta) era guardato con sospetto: si cominciò a pensare che usassero delle arti misteriose e che fossero al servizio del demonio. Le comari tenevano talvolta un’unghia lunga e affilata per pungere e rompere il sacco amniotico: quello che poi sarebbe divenuto il simbolo della stregoneria. Nel 1486 il Malleus Maleficarum dichiarava: «Nessuno danneggia la fede cattolica più delle levatrici»²⁴.

    Nascere con il velo

    I bambini che nascono vestiti hanno come una maschera che copre loro il viso e la testa al momento della nascita²⁵. La camicia (detta anche velo o velo della Madonna²⁶) non è altro che l’insieme delle membrane (amnio e corion) che si sviluppano durante la gravidanza. Più frequentemente è solo l’amnio che rimane aderente al corpicino del neonato e sembra che lo vesta. Questo aspetto può derivare dalla trasparenza dell’amnio, come riportato in un dizionario del 1828 in cui viene anche ricordata la provenienza dell’etimo: «AMNIO, AMNION, AMNIOS, Anat., da α˜μα (hama), insieme, e da ειναι (einai), essere, o da αμνός (amnos), agnello. Membrana sierosa, sottile e quasi trasparente come la pelle d’agnello, e di forma ovale, la quale racchiude immediatamente il feto che vi nuota in un fluido gialliccio, o leggermente latticinoso: è d’un odor fatuo e d’un sapor alquanto salato»²⁷.

    Questo tipo di nascita era noto fin dall’antichità, ma bisogna arrivare all’epoca moderna per una sua descrizione più accurata. La nascita con la camicia ha una tradizione sia storica sia letteraria, in quest’ultimo filone confluendo le credenze e le superstizioni riguardo a essa.

    Comunque, mentre ai tempi odierni la membrana amniotica viene rotta appena possibile, almeno fino al secolo XIX essa veniva tenuta sul bambino. Guillaume Bouchet ricorda che dopo la nascita:

    «gli lasciava loro la camicia per tenere questi bambini così incuffiati più al caldo. I bambini uscendo dal ventre della madre di solito piangono perché avvertono cose estranee e non consuete, venendo fuori da un luogo ben caldo all’aria fredda»²⁸.

    Nascere con il velo è un evento molto raro e per tale motivo il neonato sarà trattato con molto riguardo e, in alcune culture, anche temuto. Non sembra che ci sia una diversa incidenza tra i sessi, né che l’appartenenza a un certo ceto sociale o a un particolare gruppo religioso o etnico sia correlata con questo tipo di nascita. E neppure pare che sia importante la locazione geografica. Mentre la rottura prematura delle membrane accade in circa l’1% delle gravidanze, ed è la causa più importante delle nascite pretermine, la ritenzione di un sacco gestazionale intatto al momento del parto è una rara evenienza²⁹. In casi ancora più rari, il sacco amniotico può rinchiudere completamente il neonato. Si parla allora di nascita en caul, da non confondere con la nascita con la camicia. In questo caso il sacco non si rompe e il liquido amniotico non viene rilasciato fino a che il feto è fuori della madre. L’incidenza delle nascite en caul è di circa 1 su 80.000³⁰ ma non ci sono studi definitivi per quanto riguarda l’area geografica o le popolazioni in cui avviene più o meno frequentemente. La rarità della nascita con la camicia, associata al simbolismo acquoreo del fluido amniotico, potrebbe aver portato alla credenza,

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