La piccola guerra
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1940 al 1945/46 era solita dire che le guerre non le fanno solo i soldati al fronte ma anche la gente comune, ogni giorno.
Era una piccola guerra, quella dei civili rimasti a casa. Niente battaglie, anche se avevano le loro brave rappresaglie e sparatorie e bombardamenti e mitragliate. Ma erano fuori dalla mischia, dai campi di battaglia. Eppure la loro guerra non era da meno.
Combattevano ogni giorno, ogni ora, combattevano per poter mangiare, per potersi vestire, per andare a lavorare, per tornare a casa alla sera. Combattevano per restare vivi.
Ed è pensando a quel periodo, di cui mi parlavano i nonni, gli zii, i genitori, che mi sono decisa a scrivere questo libro, a memoria ed onore di tutti quelli che hanno combattuto una PICCOLA GUERRA, senza medaglie e senza onori, senza fanfare e riconoscimenti. Semplicemente cercando di sopravvivere e di arrivare alla fine...che nessuno sapeva quando sarebbe stata.
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Book preview
La piccola guerra - Lucia Guazzoni
Lucia Guazzoni
decorationLa piccola guerra
Lucia Guazzoni
LA PICCOLA GUERRA
Curatrice editoriale: Paola Quinzani
Immagine di copertina e impaginazione: PINKGUINO
edizione Giugno 2022
Santi Editore
Baciami Editore
Il Pinguino Editore
Cremona
guido@santieditore.it
UUID: a6709ae2-1173-4c67-82a7-f09350ea3e77
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
https://writeapp.io
L'AUTRICE
Lucia Guazzoni, scrittrice ormai da moltissimi anni, con questo libro inizia una nuova collana, quella dei LIBRI DEI RICORDI.
C’è un momento nella vita di ognuno in cui si comincia a guardare al passato, più che al futuro e si cerca di preservare quel passato per le generazioni future, perché non si debba dimenticare quello che è stato.
Lucia Guazzoni è passata dagli articoli di Terza Pagina ai romanzi rosa, dai romanzi storici ai manuali, dai libri di cucina ai libri sui fiori e ha cercato di sviscerare aspetti della vita quotidiana in ogni modo.
Con questo libro vuole fermare nel tempo e nella memoria attimi e persone che sono accaduti e sono vissuti, semplicemente, senza eroismi e fanfare, ma da uomini e donne di spessore.
LA PICCOLA GUERRA
Mia zia Clara, che era una persona pacata e di grande spessore, in quel periodo di guerra, dal
1940 al 1945/46 era solita dire che le guerre non le fanno solo i soldati al fronte ma anche la gente comune, ogni giorno.
Era una piccola guerra, quella dei civili rimasti a casa. Niente battaglie, anche se avevano le loro brave rappresaglie e sparatorie e bombardamenti e mitragliate. Ma erano fuori dalla mischia, dai campi di battaglia. Eppure la loro guerra non era da meno.
Combattevano ogni giorno, ogni ora, combattevano per poter mangiare, per potersi vestire, per andare a lavorare, per tornare a casa alla sera. Combattevano per restare vivi.
Ed è pensando a quel periodo, di cui mi parlavano i nonni, gli zii, i genitori, che mi sono decisa a scrivere questo libro, a memoria ed onore di tutti quelli che hanno combattuto una PICCOLA GUERRA, senza medaglie e senza onori, senza fanfare e riconoscimenti. Semplicemente cercando di sopravvivere e di arrivare alla fine...che nessuno sapeva quando sarebbe stata.
PADOVA
Sono nata a Padova ma nessuno dei miei era padovano
Mia mamma era nata a Mestre e i suoi erano veneti e friulani, mio padre era di Milano, i suoi si erano trasferiti a Padova per aprire una Legatoria e lì erano rimasti.
Mia madre e mia zia si erano innamorate dei due fratelli maggiori Guazzoni, Gaspare detto Rino e Edgardo e se li erano sposati prima della guerra.
Mia zia da subito aveva convissuto con i suoceri ma mia mamma era rimasta a Mestre a casa dei suoi genitori, mia nonna Rosa e mio nonno Guido.
Quando scoppiò la guerra e mio padre fu richiamato ad imbarcarsi, era di Marina, e partì per Brindisi, nonna Rosa impose alla figlia di andare a vivere con i suoceri.
E’ gente diversa da noi, hanno idee diverse...non voglio che possano fare chiacchiere su di te e quindi vai ad abitare con loro, così ti avranno sotto gli occhi e non ci saranno problemi.
Perchè mia nonna e mio nonno erano aperti e comprensivi, mia nonna era sarta di fino e aveva girato per tutte le case dei nobili del Veneto fin da quando aveva tredici anni e mio nonno era stato un volontario ed un eroe della Grande Guerra e anche lui aveva girato il mondo facendo l’autista al Conte Volpi e quindi mia mamma era abituata a lavorare negli uffici, a trattare con la gente, ad essere se stessa senza problemi.
Ma i nonni di Milano erano un po’ all’antica… una donna deve stare in casa, non andare a lavorare in un ufficio, non trattare gli uomini alla pari ecc ecc ecc….
Così mia mamma si trasferì, poco contenta, a Padova.
La casa era grande, la ricordo perché io lì ci sono nata e poi ci ho vissuto qualche anno e ricordo perfettamente le stanze enormi, buie, i soffitti alti, le finestre con gli scuri, il pavimento di parquet che scricchiolava e l’umidità, il freddo…
Mio padre sparì a Brindisi e nei seguenti tre anni non diede più notizie. L’Italia era stata invasa e divisa a metà, al nord i tedeschi, al sud il re e quindi le comunicazioni erano difficili se non impossibili.
Gaspare fu richiamato e finì in Africa dove fu ferito e rientrò dopo poco, nascondendosi e lavorando nella legatoria del padre. Cesare, il terzo figlio, anche lui in Marina, fu ferito e tornò a casa e anche lui si nascose, nessuno dei due voleva tornare a combattere e morire.
Mia zia, filosofa per natura, diceva che se era finita anche la guerra dei trent’anni, sarebbe finita anche quella
ma in realtà nessuno lo sapeva di preciso se e quando ci sarebbe stata una fine, anche se era iniziata come una guerra veloce, questione di settimane, mesi e poi via, tutti a casa. Ma invece le settimane erano diventate mesi e i mesi anni e non si vedeva una fine.
La vita era scandita da sirene di allarme, da fughe nei rifugi, dalla ricerca spasmodica di cibo, di qualsiasi genere. La legatoria fu requisita dai tedeschi, un Colonnello si installò in casa con una pseudo moglie polacca che passava le giornate a guardare e provare gioielli che teneva in una scatola da scarpe, tanti gioielli, di ogni genere, non si sapeva ancor niente degli ebrei ma mia zia diceva che di sicuro erano frutto di razzie.
Alla sera rientrava il Colonnello e voleva mangiare in cucina, con tutti gli altri, per dimostrare che erano amici e non padroni. Ma di portare cibo non se ne parlava. Lui a volte portava una bottiglia di champagne, ma non era utile a nulla.
Il problema era che sopra alla cucina c’era una grande soffitta e che lì dentro mio nonno ci aveva messo un ragazzo ebreo che era sfuggito ad una retata in Corte dei Miracoli, il cortile interno del palazzo di fianco dove vivevano delle donne facili
con bambini a volontà e cani e gatti. Il ragazzo si era innamorato di una di loro, l’aveva messa incinta e poi si era trasferito definitivamente a vivere con loro ma poi erano