L'esercito errante: Il bagliore delle tenebre
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2500 anni prima della nascita di Cristo, durante l’Età del bronzo, un terrificante mistero si spostava tra deserti e praterie, sempre in agguanto, in attesa costante del momento giusto per rivelarsi.
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Book preview
L'esercito errante - Johnn A. Escobar
A mia madre. Senza il suo appoggio non sarei mai riuscito a diventare scrittore.
––––––––
Sarà immortale per sempre e non conoscerà vecchiaia.
PAUSANIA
I
Il sopravvissuto
Attorno al 2500 a.C., molti villaggi distribuiti nell’area che oggi racchiude Europa, Asia e Africa furono l’epicentro di situazioni anomale, in quanto finirono tutti per essere consumati da fuoco e zolfo.
C’era un aspetto comune, e cioè che tutti i villaggi erano piccoli e abitati da umili lavoratori specializzati nella realizzazione di attrezzi, armature e armi in bronzo destinate al commercio. A parte questo, non c’erano altre somiglianze, considerata la diversità di etnie e zone. Persino la lingua che parlavano gli abitanti era diversa. Inoltre, aspetto da non sottovalutare, nessuno di tali villaggi veniva attaccato con regolarità. A volte, in una settimana ne venivano assaltati molti, dopodiché potevano passare mesi o persino anni prima che un fatto simile si ripetesse.
Col passare del tempo, la storia dei villaggi consumati dal fuoco e dallo zolfo entrò a far parte delle leggende che venivano narrate come forma d’intrattenimento, ma sempre con rispetto e timore, visto che nessuno sapeva con certezza se, quando e dove l’assalto si sarebbe ripetuto.
Si narrava che, indipendentemente dal momento della giornata, quando un villaggio veniva attaccato, all’orizzonte si scorgeva un bagliore verdastro più potente del sole. Quella visione era estremamente sinistra, spettrale e ipnotica. Poteva trovarsi a una distanza incalcolabile, ma quando diventava visibile, il bagliore si dirigeva verso il villaggio prescelto a una velocità fuori dal comune. Si diceva che man mano che la distanza diminuiva, gli abitanti percepivano il rumore prodotto da cavalli che galoppavano a una velocità che nessun animale potrebbe mai raggiungere.
Siccome il potere irradiato dal bagliore verdastro era ipnotico, convinceva la maggior parte degli abitanti - già di per sé restii ad abbandonare le proprie case - a restare lì. Gli adulti, sia uomini sia donne, decidevano di rimanere al villaggio e difendersi da chiunque avesse osato attaccarli, confidando nel vantaggio numerico. Gli anziani e i bambini non condividevano quel pensiero, ma l’incapacità di farsi valere li spingeva a ubbidire e quasi sempre si nascondevano in casa, mentre gli adulti recuperavano le proprie armi.
Solo un numero limitato di uomini e donne, che si poteva contare sulle dita di una mano, decideva di abbandonare il villaggio, in preda a una colossale paura. Partivano con quello che avevano addosso e se possibile condividevano con gli altri la propria opinione, secondo la quale, chiunque fosse stato in grado di spostarsi con cavalli così veloci, portando con sé ciò che provocava il bagliore verdastro, non poteva essere una persona normale. Affermavano che le armi in loro possesso non sarebbero state sufficienti a difenderli, che non potevano far altro che fuggire da quei cavalieri che avevano ribattezzato l’Esercito Errante, sebbene non li avessero mai visti e non sapessero il loro numero. A giudicare dal rumore, non sembravano molti, ma il loro aspetto e la loro bravura restavano un mistero. In ogni caso, nulla di tutto ciò importava. L’unica soluzione era fuggire. Solo che non riuscivano a convincere gli altri, che – spinti da un coraggio equiparabile solo alla propria ostinazione – decidevano sempre di rimanere.
Coloro che fuggivano, saggiamente, frustravano i cavalli affinché aumentassero la velocità. Mentre si allontanavano, molti di loro si voltavano indietro e notavano con orrore che il bagliore verdastro aveva ricoperto l’intero villaggio. Da quel momento in poi, tenevano lo sguardo fisso davanti a sé. Spesso, durante questo genere di fuga, i malcapitati cavalcavano giorno e notte senza mai fermarsi, finché raggiungevano un villaggio vicino, ma abbastanza distante da farli sentire al sicuro. Raggiunta la loro destinazione, raccontavano l’accaduto agli abitanti del villaggio che li avrebbe ospitati. I sopravvissuti venivano trattati con rispetto e mai considerati codardi. Anzi, la tipica risposta che ricevevano era: «Avete fatto bene! Perché il bagliore verdastro non perdona!»
In una di tali occasioni, cinque giorni dopo la fuga, un gruppo di esploratori armati guidato dagli abitanti fuggiti dal villaggio aggredito partì in cerca di altri sopravvissuti. Non fu affatto facile convincerli, perché nessuno di loro voleva tornare nel luogo da cui era fuggito. Raggiunto il villaggio, gli esploratori capirono subito che coloro che erano rimasti nella speranza di poter lottare - uomini, donne, anziani, bambini o neonati che fossero - non avrebbero mai potuto difendersi. Erano stati tutti bruciati, e nemmeno gli animali avevano potuto evitare quel tragico destino. Davanti a quella macabra scena, molti degli esploratori finirono per vomitare, alcuni svennero, mentre altri persero il senno. Nel frattempo, i più coriacei continuarono a guardarsi attorno per cercare qualsiasi cosa fosse rimasta. Purtroppo, scoprirono che tutto era stato saccheggiato. Non c’era traccia di cibo, acqua o liquidi, attrezzi, decorazioni, armi o armature. Doveva essere stato tutto rubato, non c’era altra spiegazione.
Nessuno era rimasto in vita e non c’erano nemmeno segni di resistenza. Era come se – nonostante gli abitanti del villaggio fossero convinti di poter lottare – al momento opportuno non avessero avuto la forza o forse l’opportunità per farlo. Probabilmente, l’attacco era stato talmente rapido e improvviso che erano stati colti di sorpresa nella posizione in cui si trovavano.
Come si sapeva già, prima di allora nessuno era sopravvissuto a uno di questi attacchi. Normalmente, solo coloro che si erano dimostrati abbastanza intelligenti da fuggire prima dell’arrivo dell’Esercito Errante erano riusciti a salvarsi. Tuttavia, in quel caso gli esploratori trovarono un sopravvissuto: un bambino di nove anni, i cui genitori avevano preferito non nasconderlo insieme agli altri bambini del villaggio. Invece, gli avevano chiesto di restare immobile e in silenzio all’interno del condotto di collegamento con una fossa, poi l’avevano coperto con una porta di legno affinché non potesse uscire, mentre il padre e la madre cercavano di affrontare gli invasori, andando però incontro alla morte.
Quando fu trovato, il bambino era affamato ma non aveva sofferto la sete perché la madre aveva infilato nel condotto un barile pieno d’acqua. Ovviamente, ormai era imputridita, ma il bambino la beveva lo stesso. All’inizio non voleva parlare. Era molto debole e impaurito, essendo rimasto solo tra tutti quei morti. Gli esploratori lo presero con sé e tornarono al loro villaggio.
Lì, il piccolo fu curato e una famiglia di maniscalchi decise di adottarlo. La coppia gli fornì attenzioni e appoggio, ma ci volle più di un anno prima che recuperasse la facoltà di parola. La prima cosa che disse fu che sua madre e suo padre, avendo sentito spesso parlare delle disgrazie che accadevano ai villaggi scelti dall’Esercito Errante, avevano deciso di costruire la fossa in cui gli esploratori l’avevano trovato, portandoci l’acqua per poter sopravvivere segretamente. Così, le deduzioni fatte dai suoi salvatori trovarono conferma. Detto ciò, rimase nuovamente in silenzio. I genitori adottivi seppero essere pazienti con lui, offrendogli il loro appoggio senza importunarlo con altre domande.