Comunicazione storica: Tecnologie, linguaggi, culture
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La Comunicazione storica è un insieme di tecniche e discipline correlate alla comunicazione e alla storia, utili a promuovere iniziative pubbliche nel campo culturale. La comunicazione storica opera sullo scenario mediatico e insegna a costruire i contenuti in rapporto alle caratteristiche di ciascun medium. Il passaggio da un testo scientifico alla sua fruibilità didattica e l’analisi delle tecniche narrative si inseriscono dentro uno scenario di progettazione culturale che si costruisce rispetto ai diversi pubblici ai quali ci si vuole riferire. Le tecniche della comunicazione storica si applicano ai prodotti audiovisivi, alla televisione, ai musei, alla promozione turistica e, più in generale, alle politiche culturali. Il testo si propone come guida per gli studenti e per chi opera nei settori della cultura.
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Comunicazione storica - Valentina Albanese
Una guida all’utilizzo delle tecnologie e dei linguaggi da adottare per rendere fruibile al pubblico la ricerca storica.
La Comunicazione storica è un insieme di tecniche e discipline correlate alla comunicazione e alla storia, utili a promuovere iniziative pubbliche nel campo culturale. La comunicazione storica opera sullo scenario mediatico e insegna a costruire i contenuti in rapporto alle caratteristiche di ciascun medium. Il passaggio da un testo scientifico alla sua fruibilità didattica e l’analisi delle tecniche narrative si inseriscono dentro uno scenario di progettazione culturale che si costruisce rispetto ai diversi pubblici ai quali ci si vuole riferire. Le tecniche della comunicazione storica si applicano ai prodotti audiovisivi, alla televisione, ai musei, alla promozione turistica e, più in generale, alle politiche culturali. Il testo si propone come guida per gli studenti e per chi opera nei settori della cultura.
Mirco Dondi insegna Storia contemporanea e Storia e analisi delle comunicazioni di Massa. Ha ideato e dirige il master di Comunicazione storica all’Università di Bologna. Si è occupato del rapporto tra terrorismo e informazione con L’Eco del boato. Storia della strategia della tensione 1965-1974, e con 12 Dicembre 1969. La strage di Piazza Fontana. Ha cosceneggiato il documentario Paura non abbiamo.
Simona Salustri insegna History of Mass Communication all’Università di Bologna e Storia dei mezzi di comunicazione al master di Comunicazione storica. Si è occupata delle politiche pubbliche su fascismo, antisemitismo e Resistenza.
images_17_Copy17.jpgTutti i saggi sono stati sottoposti a doppio referaggio anonimo.
Copyright © 2021, Biblioteca Clueb
ISBN 978-88-491-4002-6
Fotografia di copertina di Matt Artz, Unsplash
Biblioteca Clueb
via Marsala, 31 – 40126 Bologna
info@bibliotecaclueb.it – www.bibliotecaclueb.it
Comunicazione storica
Tecnologie, linguaggi e culture
a cura di
Mirco Dondi e Simona Salustri
Biblioteca-CLUEB_logoSN8_CMYK.pngPremessa
La comunicazione e la storia sono due discipline che vivono di tempi dissimili nella produzione e nella ricezione. La comunicazione, per sua natura, giunge immediatamente al pubblico. Viceversa, la conoscenza storica scaturisce da un percorso di formazione.
Come conciliare uno strumento rapido con un contenuto che richiede informazioni pregresse? Ma, soprattutto, come si realizza un contenuto o un’iniziativa culturale destinata a un pubblico di non esperti?
Partendo da queste sollecitazioni, proponiamo una raccolta di saggi sulla comunicazione storica che muovono da una riflessione degli autori sugli strumenti del comunicare storia. Una riflessione maturata anche grazie a dieci anni di lavoro e confronto tra studiosi provenienti da diverse discipline che si sono incontrati nel Master di II livello in Comunicazione storica dell’Università di Bologna. Una riflessione aggiornata all’epoca digitale degli strumenti del comunicare, per usare un linguaggio che fa riferimento all’approccio di Marshall McLuhan, non estraneo alla formazione teorica di questo gruppo di studiosi.
Lungi dal volere presentare la comunicazione storica come una disciplina, i lavori presenti in questa pubblicazione si configurano come una proposta di metodo per chi studia la storia e per chi opera nell’industria culturale, laddove le proposte tematiche si abbinano alle tecniche di promozione delle iniziative.
La sfida è fare i conti con le complesse leggi di mercato, sfruttando anche le possibilità di lavoro offerte, senza dovere inficiare la correttezza e il valore delle proposte culturali. Puntiamo dunque a offrire una risposta di metodo che sia in grado di contrastare le forme aperte o sotterranee di svalutazione della cultura e strumentalizzazione del sapere storico. Lo facciamo attraverso questo libro, perfettamente consci del fatto che i testi sono strumenti statici e la realtà è in continuo movimento. Spetterà ai lettori e agli operatori culturali essere i valori aggiunti di questa attività.
i curatori
Mirco Dondi
La comunicazione storica tra politiche culturali e forme museali
Comunicazione storica, la scelta di un indirizzo
¹
Che cos’è la Comunicazione storica? Un insieme di tecniche e discipline correlate alla comunicazione e alla storia, utili a promuovere iniziative pubbliche. La comunicazione storica si costruisce su tre fasi: ideazione, realizzazione del prodotto culturale e sua diffusione. Il campo di azione è la mediatizzazione dei contenuti storici.
L’abbinamento tra comunicazione e storia impone una buona conoscenza delle due discipline, al fine di evitare gli effetti distorsivi nella rappresentazione del passato o la predisposizione di forme inefficaci di comunicazione.
Ricreare un contesto è tanto una forma storica quanto un aspetto comunicativo.
Nel 2009 è iniziata la prima edizione del Master di Comunicazione storica dell’Università di Bologna e i contributi che sono presenti in questo testo sono in larga misura frutto di un’esperienza teorica e sul campo legata a dieci anni di insegnamento, a progetti costruiti fra docenti, studenti ed enti legati al Master.
Avviando le procedure di costituzione del Master, avremmo potuto scegliere anche la denominazione di Public History, disciplina già presente con un importante profilo internazionale, per quanto assente nel panorama formativo delle università italiane².
Si scelse di puntare sul termine Comunicazione storica per addentrarsi nei linguaggi di programmazione e pratica d’uso dei singoli medium permettendo al comunicatore storico di controllare l’intera filiera di lavorazione dal progetto al prodotto finito. Il contenitore entra in rapporto con il contenuto.
Quando è nata la Public History negli anni Settanta i punti focali erano: portare la storia fuori dagli ambienti specializzati, valorizzare i contenuti di archivi e musei, dare risalto alla storia proveniente dal basso attraverso le pratiche di storia orale. Nel tempo la Public History ha allargato i suoi scenari con il richiamo ad analisi imperniate sulla lunga durata, sul ruolo crescente delle pratiche di globalizzazione, sulle emergenze ambientali dentro a un quadro di rispetto della verità storica sollecitando la cultura accademica a essere meno chiusa e settoriale³. Sono intenti aggiornati alle nuove trasformazioni, con un’interessante attenzione ai problemi metodologici posti dai Big data⁴. Tutti questi contributi sono offerti al pubblico previa costruzione del linguaggio divulgativo più adatto. Tanto il comunicatore storico quanto il public historian non si limitano a portare la storia al pubblico, ma propongono anche nuove ricerche.
Con il XXI secolo cambia anche lo scenario della storia dal basso che nei decenni precedenti era stimolata dal ricercatore e aveva come oggetto le classi popolari con una particolare attenzione per i lavoratori manuali. Con l’avvento dei nuovi media l’idea di basso si è modificata allargandosi all’orizzonte sociale molto ampio di chi scrive, documenta, esprime opinioni, produce filmati, delinea dei canoni⁵.
La globalizzazione, dove media e tecnologia fungono da catalizzatori, non ha solo investito la storia, ma le scienze umanistiche nel loro insieme. Con gli anni Zero si è assistito alla moltiplicazione dei corsi universitari sulla comunicazione, con un rilevante accesso dei Communication studies all’interno delle discipline umanistiche, al punto da ridefinirne in parte lo statuto. I testi si stavano aprendo alla medialità mentre i media si segnalavano come dispositivi che attivavano il cambiamento della società. Dentro a questa virata prendevano corpo nuovi approcci interdisciplinari come la Visual culture⁶.
In particolare era rilevabile quanto i nuovi media si stessero imponendo come meta tecnologie modificando le pratiche sociali e con esse la cultura e le sue forme di diffusione⁷. Oltre ai nuovi media, l’avvento del digitale ha trasformato anche i mezzi di comunicazione preesistenti arricchendone il potenziale e imponendo in prospettiva una diversa organizzazione dei contenuti.
La pervasività dei media permetteva per la prima volta, con un nuovo processo formativo, di unificare in una sola figura lo storico e il comunicatore⁸. Si tratta di un fenomeno più generale che investe tutte le discipline: semplifica i processi, ma richiede l’assunzione di competenze informatiche.
Parallelamente, a partire dagli anni Novanta e con grande intensità dagli anni Zero, si è andata affermando una ricca stagione di studi sul World and Cultural Heritage ponendo territori, musei e beni culturali al centro dei processi comunicativi⁹. In parallelo si è registrato un allargamento del concetto di patrimonio culturale sia nella sua estensione fisica – includendo il paesaggio e l’archeologia industriale –, sia nella sua dimensione immateriale (la lingua, le tradizioni) fino a giungere ai depositi digitali di sapere e di risorse¹⁰. Al centro si pone il tema della trasmissione dei beni culturali, radice del Cultural Heritage, dove la trasmissione è intesa sia per i coevi sia come lascito per le generazioni future. Legati a forme di patrimonializzazione, tra cultura e marketing, si sono mossi anche enti pubblici e aziende private delineando propri scenari di policy.
L’approccio comunicativo adottato nei corsi del Master di Comunicazione storica si è ispirato a un sistema integrato di comunicazione sia in termini di trans medialità, sul modello della cultura convergente elaborato da Henry Jenkins, sia in termini di ambiente di comunicazione secondo l’approccio della Media ecology association¹¹. Un aspetto della convergenza si riflette nella reciproca influenza sui contenuti e sulle forme tra media diversi, anche per l’adattabilità del digitale ai differenti supporti. La definizione di ambiente immette in uno scenario di interrelazione non facilmente delimitabile. I media non sono un punto ontologicamente fermo, non sono solo semplici strumenti né servono solo per comunicare¹².
Per sua natura la comunicazione è uno strumento intermediale che investe il dialogo fra le discipline, ponendosi come sfondo di un comune denominatore. Inevitabile, nell’ambito dell’intitolazione di un Master con finalità professionalizzanti, indirizzarsi sul termine Comunicazione storica come tecnica di costruzione e diffusione e del lavoro culturale¹³.
Un’operazione di comunicazione storica, come ogni processo di comunicazione, non è un semplice trasferimento di informazione, ma si prefigge di raggiungere nel modo più efficace il pubblico di riferimento. Al di là degli aspetti tecnologici, i contenuti sono filtrati in un percorso di mediazione comunicativa instaurando un collegamento tra la formazione superiore scolastica e la ricerca universitaria. La scelta del linguaggio (scritto o multimediale) è volta a favorire l’apprendimento e la memorizzazione.
Anche sulla scena pubblica il comunicatore storico, come il public historian, si pongono come professionisti dei linguaggi pubblici in grado di fornire equilibrate rappresentazioni su temi controversi¹⁴.
La formazione fornita al comunicatore storico si muove su uno sfondo etico in riferimento alla correttezza dei contenuti e all’alto valore di promozione della cultura, coerentemente con la finalità dell’articolo 9 della Costituzione: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Le politiche culturali
Accanto allo studio degli strumenti di comunicazione applicati in ambito storico, il Master di Comunicazione storica si è proposto di valutare le iniziative culturali misurate sui territori, considerando che il tema investe i rapporti tra Stato, regioni, sovrintendenze, in un intreccio tra istituzioni pubbliche e imprese private e tra istituzioni e cittadini.
Dalla fine degli anni Novanta si è avviata una tendenza europea volta a valorizzare i territori attraverso la cultura. È lo specchio di un’internazionalizzazione spinta da due fenomeni tra loro connessi: il processo di globalizzazione e la progressiva deindustrializzazione di vaste aree. Di conseguenza, la dimensione pubblica della cultura ha ricevuto un’accelerazione ponendosi come una ricerca di significato di fronte al corso delle mutazioni. Un feedback locale – glocal – in risposta alla spinta economica e comunicativa globale che non porta necessariamente a contenuti localistici.
Per politica culturale si intende la promozione di un’azione sociale – in primis da parte delle istituzioni – che solleciti il bisogno di cultura inserendo questo settore nel pacchetto di servizi offerto ai cittadini. La politica culturale va posta all’interno di un’architettura di servizi che mira al coinvolgimento attivo della popolazione nelle tre fasi legate a un evento: preparazione, partecipazione, feedback. Il service design misura l’impatto dell’operazione nei termini di qualità del prodotto offerto e della sua fruizione. La dimensione partecipativa alla preparazione dell’evento è occasione per l’ente promotore non solo di instillare la necessità di operazioni culturali, ma anche per intercettare bisogni e desideri presenti e valutare con procedure di testing il work in progress dell’operazione. Nel caso di design partecipativo attorno a un’iniziativa, l’istituzione promotrice non può pretendere di sviluppare il suo progetto nell’identica formula con la quale era stato inizialmente stabilito¹⁵. La sottolineatura dei criteri di partecipazione non risponde soltanto a un’idea di costruzione dal basso, ma appartiene al modello di interazione dei social media che sono collettori della partecipazione sociale livellando, in linea di principio, le gerarchie degli emittenti rendendo così meno proponibile il modello di comunicazione verticale da uno a molti.
Legato a un’ottica di Comunicazione storica, ciascun contenuto culturale prodotto ambisce a diventare un piccolo fatto sociale. Si possono proporre due iniziative che abbinando nuove interpretazioni corredate da rilevanze scientifiche, unitamente a efficaci percorsi espositivi, hanno valicato l’eco locale investendo il dibattito nazionale. Nel 1994, a Bologna, la mostra La menzogna della razza, patrocinata dall’Istituto dei Beni Culturali, pone al centro dell’agenda pubblica il tema dell’antisemitismo cambiandone la percezione e inserendo il fenomeno in un’ottica di lungo periodo. Accanto alla mostra sono proposti anche dei percorsi didattici¹⁶.
Nel 1995 l’Hamburger Institut für Sozialforschung promuove la mostra sui crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht (Vernichtungskrieg. Verbrechen der Wehrmacht 1941 bis 1944) che sradica dal senso comune storiografico tedesco l’immagine di un esercito estraneo alle politiche di annientamento. L’esposizione raccoglie 1.200.000 visitatori e desta una risonanza mondiale¹⁷.
Un insieme di contenuti culturali, proposti a cadenza periodica, possono determinare una presenza sociale dell’ente o del soggetto che ne sono i divulgatori. La presenza sociale è un combinato di riconoscibilità e prestigio¹⁸. Una presenza sociale prolungata nel tempo, a sua volta, permette che il consumo culturale divenga pratica sociale. Le politiche culturali di successo sono figlie di meccanismi relazionali che mirano a porre in una situazione di contatto stabile le persone, in uno schema di rapporto tra istituzione e individui e tra gli stessi individui.
Vanno attivati meccanismi di reciproca influenza fra le persone, con un livello di interazione che possa agire sul riconosciuto prestigio sociale delle iniziative. Nello schema binario della comunicazione il centro è duplice: l’iniziativa in oggetto, il feedback dei visitatori e il loro coinvolgimento nell’iniziativa.
Le attività nel corso del tempo hanno spesso elementi ricorrenti che non si proiettano soltanto sui cittadini, ma incidono sull’identità del luogo, lo rappresentano all’interno come all’esterno. Da questo punto di vista, le politiche culturali più lungimiranti non si limitano all’estemporaneità, ma sono coerentemente costruite su una prospettiva temporale. La programmazione del futuro va scientemente a recuperare il passato raccogliendo su più temi le memorie dei testimoni e riattivando i contenuti degli archivi, non soltanto a beneficio degli studiosi, ma con percorsi mirati rivolti a una più ampia fascia di pubblico.
Le operazioni di comunicazione storica possono essere legate a edifici, complessi monumentali, opere d’arte, parchi archeologici, parchi a tema, ecomusei, dismesse archeologie industriali, paesaggi naturali, archivi e biblioteche¹⁹.
Attivare o riattivare il patrimonio culturale significa mettere in relazione i cittadini con i beni pubblici, individuando le più compatibili forme di fruibilità e formando contemporaneamente le competenze degli operatori. In alcuni casi il passaggio preliminare per l’accesso a un bene, passa da iter più complessi che prevedono interventi di restauro, riqualificazione e messe in sicurezza. Laddove possibile, la valorizzazione dei beni deve essere preferibile a una tutela finalizzata solo alla conservazione, che esclude la relazione del bene culturale con il pubblico²⁰.
Il bene culturale è una testimonianza del suo tempo, una traccia che aiuta i contemporanei alla comprensione di eventi e mentalità del passato. Oltre a essere testimonianza, il bene culturale può racchiudere proprietà artistiche che ne arricchiscono significato e valore²¹.
Appartengono al patrimonio culturale anche le tradizioni popolari, le feste religiose, un complesso di aspetti che le politiche culturali devono tenere vive.
A partire dal nuovo millennio, in maniera più evidente, si è assistito al proliferare di numerose iniziative di natura culturale che hanno trovato continuità temporale creando solide relazioni nelle rispettive comunità dove il call to action ha portato alla partecipazione di numerosi volontari che ne hanno favorito il successo.
Per quanto riguarda l’ambito storico, si segnala La festa internazionale della storia di Bologna nata nel 2004 e sostenuta da un nutrito pool di sponsor pubblici e privati. Una delle principali finalità dell’iniziativa mira al coinvolgimento delle giovani generazioni nella preparazione e nella partecipazione agli eventi, senza tralasciare il ruolo delle associazioni presenti sul territorio. Un’iniziativa imitata anche in Francia (Cahors) e in Spagna (Jaén, Siviglia) alla quale si sono affiliati i comuni del comprensorio bolognese e nel 2019 con uno spin off a Civitavecchia²². Riprendere da un’altra realtà un progetto culturale di successo rientra in una pratica di trasmissione delle best practices, con l’avvertenza che la storia di un territorio non è universalmente sovrapponibile a tutte le altre. Le iniziative virtuose provenienti dall’esterno funzionano da stimolo, ponendosi come un’architettura modulabile alla vocazione della località che l’adotta.
Gli aspetti sociali dei progetti di Comunicazione storica intercettano le pratiche di Public History nel coinvolgimento dei cittadini. Nei paesi anglosassoni è diffusa anche la pratica di chiedere alla popolazione oggetti d’uso per l’allestimento di period rooms nei musei²³. Public History e Comunicazione storica si incrociano anche in tutte le policy implementation che su scala mondiale interessano i diritti di cittadinanza, le questioni razziali, la parità di genere, la difesa dell’ambiente²⁴.
La comunicazione storica propone modelli di pianificazione strategica per le politiche culturali, una procedura nota in ambito internazionale con il nome di Cultural planning nella quale le attività culturali sono inserite nella visione complessiva di un territorio: un’autorappresentazione programmata e un punto di partenza sulla quale costruire predilezioni tematiche negli sviluppi futuri²⁵.
Le iniziative che hanno ottenuto il favore del pubblico si sono poste in sinergie con altre: prevale la formula del contenitore che racchiude numerosi eventi: così è per la Festa internazionale della Storia e in modo ancora più articolato per il Festival internazionale della Letteratura di Mantova attivo dal 1997²⁶. La formula del contenitore è stata adottata dal quotidiano «La Repubblica» per la manifestazione di approfondimento – finalizzata alla promozione della testata – «La Repubblica delle idee», dove gli esiti valutativi numerabili (le presenze, l’attivazione di economie esterne con aumento dei flussi turistici, la vendita di beni legati a una determinata iniziativa come il catalogo di una mostra) devono confrontarsi con una dimensione immateriale. Il criterio di riscontro discende da una valutazione olistica dove l’insieme costituisce un’entità maggiore rispetto alla semplice somma delle singole iniziative. Se sarà questa la percezione del risultato, se nel tempo si crea un pubblico nella ripetizione delle manifestazioni, la valutazione sarà positiva.
Le politiche culturali fungono da compensazione allo scollamento sociale lasciato dalla dispersione della civiltà industriale del Novecento, ricreano un senso di comunità dinanzi al continuo fluire di una società liquida che tutto trascina con sé nell’adorazione del proprio istante.
Aspetti strutturali legati alle politiche culturali
In termini più ampi, la valorizzazione del patrimonio locale diventa un investimento per intercettare i flussi turistici, soprattutto per le aree più periferiche.
Con il turismo si esprime al meglio la definizione allargata di beni culturali che oltre alle opere d’arte include le attività artigianali locali, i negozi, le feste storiche, i prodotti gastronomici, l’enoturismo o turismo del vino, le culture musicali (festival legati a musicisti del luogo) o altre forme artistiche come la danza e gli spettacoli di strada²⁷.
Una politica culturale coerente e con ambizioni formative verso i visitatori deve rispettare la morfologia del luogo nelle sue vocazioni e nelle sue relazioni con il passato.
La messa a disposizione del pubblico (di un’area, di un edificio o di un complesso di opere) richiede che sia accompagnata da un sistema di lettura informatizzato che ne consenta la più completa e semplice fruizione (i touchpoint ad esempio). L’architettura informativa va organizzata per facilitare l’arrivo sul luogo dell’iniziativa a partire dalla realizzazione di un sito web che contenga il promo dell’evento, raccolga una parte del lavoro dell’ufficio stampa, informi su un eventuale adeguamento dei trasporti, fornisca QR code per scaricare le guide e saltare le file.
È importante che il bene non sia fruito come oggetto in sé, ma presentato nella sua passata relazione storica di sistema con il territorio (l’articolazione urbana o il paesaggio rurale). Delineare un contorno di influenze è un’operazione storica alla quale si affianca la nuova vita del bene nel presente.
La dimensione legata all’attualità pone questioni di rilevanza urbanistica «sull’hardware comunicativo» oltre che sul software, come la predisposizione di spazi contigui o una variazione del sistema dei trasporti in rapporto agli afflussi. È un’operazione allo stesso modo culturale inserire il bene all’interno di un contesto di sostenibilità²⁸. L’attività dello specialista in Comunicazione storica termina dinanzi al contorno allargato delle attività esterne. La valorizzazione delle politiche culturali e la conseguente attrazione turistica passano dal livello strutturale dell’indotto. Oltre ai trasporti è investito il sistema di ricezione locale, l’alloggiamento, la ristorazione e tutte le attività complementari al turismo culturale²⁹.
Questi aspetti materiali vanno a fondersi con le iniziative culturali. Se tutto funzionerà, quel comune, quel territorio riusciranno a costruire attorno alla loro comunità un plusvalore simbolico che lo farà uscire dall’anonimato, lo distinguerà da altri luoghi. La sua fabbricata particolarità diventerà un elemento di attrazione. Gli spazi saranno anche immagini mentali. Una monumentalizzazione del territorio definita non sui reperti artistici ma su una praticabile offerta culturale.
I musei: comunicazione interna e comunicazione esterna
Il museo è uno strumento di comunicazione e di costruzione identitaria le cui funzioni, nell’età dell’informazione, si sono straordinariamente allargate a luogo di socializzazione e di offerta educativa. Nella mutazione della natura del museo, si tende ad accompagnare le mostre temporanee alle collezioni fisse, in un’ottica di continuo movimento e di attività³⁰. Il museo storico associa al livello più alto operazioni di Comunicazione storica e di Public History in relazione alla struttura permanente che ne è sede e per la scelta di linguaggi e strumenti che ne caratterizzano la fruizione.
Al pari di una scelta turistica, la visita in un museo è il confronto tra un immaginario precedentemente sedimentato e l’immaginario ridefinito dall’esperienza presente.
Il museo è un centro culturale che si muove lungo due direzioni di comunicazione: la comunicazione interna e la comunicazione esterna. Concepire un pubblico è il primo passaggio comunicativo alla base di ogni progetto. La comunicazione interna traduce i contenuti in un efficace percorso espositivo e valuta, considerando anche i tempi di sosta nei diversi punti, entro quale limite di accessi si mantiene l’efficacia della fruizione. Il momento di sosta è valutato non solo in rapporto alla lettura e/o alla visione degli oggetti, ma deve considerare e favorire una ricezione lenta dei contenuti e da questo punto di vista, il contorno, i colori, l’allestimento, gli arredi – dove potersi comodamente sedere – sono aspetti altrettanto funzionali all’obiettivo del progetto.
Nell’ottica della comunicazione interna l’avvento di più sofisticate tecnologie si è tradotto in un’occasione per amplificare l’aspetto sensoriale delle visite. Gli spazi fisici del museo possono essere dilatati e arricchiti attraverso la realtà aumentata (Ar augmented reality). Il ricorso alla tecnologia si pone come strumento di estensione del sapere che arriva a prescindere dalla presenza di oggetti nei suoi percorsi espositivi³¹.
La comunicazione esterna attiene alla relazione del museo con i cittadini e le istituzioni. C’è l’esigenza contingente, legata a informazioni di carattere promozionale sulle iniziative in corso. Clip in forma di trailer o rendering che simulano tratti di mostra virtuale, possono essere utilizzati sia come esca per attirare i visitatori sia come successivo supporto di contenuti per approfondire la visita compiuta. Il tutto funziona meglio se il museo riesce a soddisfare l’esigenza generale che si esplica nel quadro di una missione (mission) nei confronti dei promotori delle mostre e della comunità. Per uno stretto rapporto con quest’ultima, il museo deve orientarsi verso un’assunzione di responsabilità sociale (accountability) rendendo noto il proprio progetto culturale che può tradursi in un’attestazione di credibilità e di conseguente interesse.
A una funzione identitaria sono preposti, in modo particolare, i musei che ambiscono a ricostruire le storie della nazione e, in ambito urbano, i musei civici. Spesso si tratta di allestimenti tesi a stemperare gli aspetti divaricanti e conflittuali, ragione per cui questi tipi di musei incontrano più facilmente il favore delle istituzioni politiche³². Gli ideatori sono chiamati a conferire un valore civile alla loro esposizione dove ogni evento che appare nel percorso assume una connotazione simbolica, senz’altro più marcata di quanto non lo sarebbe in un’opera storiografica. Attraverso la selezione si crea il simbolo e si stabilisce l’intenzione comunicativa.
Sul versante della comunicazione esterna agisce l’ecomuseo, un museo diffuso sul territorio, la cui estensione – fra edifici e spazi aperti – è già parte della sua relazione con l’esterno. L’ecomuseo è per sua natura antimonumentale, idealmente legato al territorio e non al palazzo. Le riflessioni sugli ecomusei si arricchiscono negli anni Ottanta con la nascita, nel 1982, della Nouvelle muséologie che rimarca la funzione collettiva dell’ecomuseo poi stemperata e in parte reistituzionalizzata dalla britannica New Museology. La creazione di un ecomuseo è parte di un processo di riterritorializzazione attraverso la significazione del patrimonio culturale. Ridare un senso al territorio vuol dire toglierlo da una condizione di anonimato attraverso la valorizzazione dei suoi oggetti, dei suoi edifici, del suo paesaggio.
Abbracciare una vasta area denota la presenza, ma non necessariamente il contenuto, la cui intellegibilità è parte di un’operazione di comunicazione storica. Il tratto preminente di un ecomuseo è proprio il suo legame con la comunità, dal momento che i suoi «materiali» o i suoi percorsi (ad esempio un ecomuseo della Resistenza) appartengono al territorio ed è lì che i suoi contenuti acquistano un significato che altrove non potrebbero avere. Dinanzi a un museo d’arte o a un museo nazionale che raccoglie (o richiama) oggetti provenienti da luoghi diversi, nell’ecomuseo solitamente nulla proviene dall’esterno dell’area di delimitazione³³.
L’altro aspetto che enfatizza il valore della comunicazione esterna dell’ecomuseo non è dato soltanto dal suo legame con il territorio, ma vive delle pratiche di partecipazione della comunità, «esiste a partire dalle persone», fedele all’articolazione più aggiornata delle politiche culturali³⁴.
Il patrimonio industriale: la storia in funzione del presente
Il tema della riattivazione di un territorio si pone anche per i reperti
della contemporaneità, come la riconversione degli edifici sedi di fabbriche, unitamente alla trasmissione degli elementi sociali e materiali della cultura industriale³⁵. È un’archeologia che diventa patrimonio, valorizzato all’interno di aree museali. Si tratta di un settore di sviluppo che ha conosciuto le prime elaborazioni sul finire degli anni Settanta e le prime realizzazioni negli anni Novanta³⁶. Il flusso si inserisce dentro alla corrente europea attiva negli anni Novanta che ha come punto di riferimento l’esperienza della Ruhr negli anni Ottanta e dell’European Route of Industrial Heritage (Erih) che traccia un primo itinerario del patrimonio industriale lungo il continente³⁷.
L’interesse culturale è legato alla riscoperta di luoghi, sistemi di produzione e stili di vita. Va però posta una distinzione tra aziende che hanno cessato l’attività, i cui edifici e materiali possono essere recuperati da fondazioni o enti pubblici, e aziende in attività con una tradizione alle spalle.
Il primo museo dell’industrializzazione italiano è il Musil (Museo dell’industria e del lavoro di Brescia) progettato negli anni Ottanta (avviato però negli anni Zero) non nel quadro di un museo di impresa, ma come strumento per raccontare l’industrializzazione. Si tratta di un museo dinamico collocato in quattro poli (di cui due sono il Museo del ferro e il Museo dell’energia) mentre è predisposta un’ampia struttura su 16.000 metri quadrati nella sede principale che utilizza l’ex stabilimento della Metallurgica Tempini nata nel 1886³⁸. Questo tipo di museo va a incrociare la collaborazione tra il pubblico e il privato.
Ha invece una natura pubblica il Museo del Patrimonio industriale di Bologna, sorto nel 1997 nell’area della più grande fornace della città ed esteso su circa 3.000 metri quadrati. Anche in questo caso la gestazione del progetto è stata lunga, partendo dalla fine degli anni Settanta, affrontando nella sua elaborazione una concezione più estesa di produzione e industrializzazione, dal momento che si ricostruisce la storia produttiva della città a partire dal XIV secolo³⁹. Anche l’archeologia industriale italiana ha trovato un riconosciuto valore storico internazionale: il villaggio industriale di Crespi D’Adda, nella bergamasca, appartiene al patrimonio dell’Umanità tutelato dall’Unesco.
Rientrano invece nella categoria dei musei aziendali privati di imprese ancora attive i 198 musei aderenti all’Associazione italiana dei musei e degli archivi d’impresa (Museimpresa), promossa nel 2001 da Assolombarda e Confindustria per offrire vitalità a questo circuito⁴⁰. Accanto alle aziende legate a Museimpresa, vanno aggiunti altri musei di aziende non associate. La natura dei musei aziendali è intrinseca al sistema imprenditoriale nel quale nascono. Si mira a offrire il punto di vista dell’istituzione azienda che è solo uno dei tanti racconti possibili legati alla storia del lavoro e dei lavoratori⁴¹.
Le aziende in attività vivono del nesso storia-presente poiché si rivolgono al loro passato per costruire una fidelizzazione del marchio nel loro oggi. Il marchio simboleggia la qualità e l’originalità di un prodotto che gli altri non possono possedere con le stesse caratteristiche⁴². Avere una tradizione valorizza ulteriormente il marchio come elemento distintivo. L’investimento museale diventa un asset delle strategie aziendali e i costi di mantenimento delle strutture sono legati alla cura dell’immagine e alla proiezione del valore immateriale. Il museo aziendale si può anche leggere come strumento di affermazione di una dinastia imprenditoriale, al punto che si può stabilire una correlazione tra il museo e la vetrina del negozio⁴³. Dalla cultura materiale al valore immateriale, dalla promozione culturale al marketing sono incroci fisiologici per questo tipo di strutture che possono ricorrere anche a espedienti ludici⁴⁴.
Il museo aziendale è una forma evoluta di pubblicità permanente che valorizza l’heritage. L’ultimo prodotto realizzato dall’azienda è l’anello di una catena dentro un percorso evolutivo, tanto da rendere queste strutture più che musei del passato, musei del presente accompagnati da eventi e attività⁴⁵. Tra le iniziative si segnalano i corsi di formazione nella dimensione di workshop e come elemento distintivo, specie in collaborazione con il mondo universitario.
Una struttura museale per le aziende pone la necessità di salvaguardare e valorizzare gli archivi di impresa che includono anche un importante patrimonio audiovisivo⁴⁶. Supponiamo che sia esposto un macchinario: l’archivio può fornire i dettagli del progetto, se realizzato all’interno dello stabilimento, o gli estremi dell’acquisto, le quantità acquisite, il loro prezzo, la vita del macchinario.
C’è un’altra funzione alla quale rimandano i musei delle aziende più note: esse identificano il loro marchio con il territorio locale e la nazione contribuendo a riconfigurare autorappresentazioni e identità nazionali. In uno