Come uova nel materasso
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About this ebook
i puntini per ridisegnare il quadro della propria vita. Paola affronta questo viaggio, cerca risposte a ritroso, nel tempo dei ricordi. Ne ha bisogno
per affrontare il suo dolore; cerca un motivo, un perché. Avrebbe a chi porle certe domande; a chi chiedere conforto eppure non osa più, dopo che il silenzio ha fatto male come uno schiaffo. Trentanni dopo, un’agenda piccola, nera, orfana ormai da decenni della sua proprietaria, offre
a Paola la possibilità di liberarsi, perdonare e ricominciare.
Una storia di perdono, di rinascite e di seconde possibilità.
Un libro intimo, di riscatto emotivo, vero e potente, che si proietta
nella verità di ognuno di noi.
Paola Magrini nasce ad Arezzo il 26 agosto 1963. Loquace e sorridente, ha fatto dei numeri la sua professione anche se coltiva da sempre una sensibilità umanistica che l’ha resa una lettrice appasionata. Rimasta disoccupata a causa della pandemia ha tradotto a modo suo le parole di Papa Francesco: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”, si mette così alla prova con la scrittura. Questo è il suo primo libro.
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Book preview
Come uova nel materasso - Paola Magrini
Paola Magrini
Come uova nel
materasso
© 2022 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-1971-9
I edizione febbraio 2022
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
Come uova nel materasso
A mia sorella Piera.
Tutti dovrebbero averne una uguale.
Prefazione
Chi scrive libri che raccontano storie di vita nutre sempre il desiderio e la speranza che il suo lavoro superi il livello della cronaca per entrare tra gli scritti che fanno storia, quelli da riprendere e rileggere continuamente perché spingono a riflettere su problemi e valori universali, e suscitano sempre pensieri nuovi. Per raggiungere questo intento c’è chi confida nello stile complesso, colto, ragionato, costruito con parole difficili, impegnative, quasi da iniziati. Il risultato? A qualche fortunato l’operazione potrebbe riuscire, ma in genere la complessità e la ricercatezza delle parole compromettono quella dei fatti raccontati.
L’autrice di COME UOVA NEL MATERASSO ha seguito la strada delle vicende semplici e della sobrietà delle parole. Lei narra di fatti che possono accadere – e accadono - a chiunque ogni giorno, e li racconta con uno stile parlato
, come fosse il dialogo con un familiare, con il vicino di casa, con un amico, con il medico di fiducia, tanto che il lettore potrebbe chiedersi che senso abbia scrivere di eventi così quotidiani. Nel contempo però chi legge queste pagine si chiede perché non riesce a smettere di leggere di avvenimenti ed esperienze ordinari capitati a molti. Sarà perché sono stati vissuti con l’ansia del presente e queste parole piane, lente e semplici li risvegliano, dando ad essi l’importanza che non ci fu?
Deve essere proprio così. Infatti, pur essendo evidente che i fatti raccontati appartengono a una società tramontata, sembrano accadere proprio adesso. La preoccupazione per la gallina che non fa più uova, il canto del gallo che segnala la fine di una notte insonne e tribolata, le persone che si muovono e l’immobilità estenuante, l’attesa di un parto imminente e difficile, il marito che dice con il silenzio quello che non sa pronunciare con le parole, la difficoltà di rinunciare al pudore… sono le stesse anche oggi. Magari invece del canto del gallo c’è il trambusto del camion della nettezza urbana; invece delle galline che non fanno più uova c’è l’azienda che chiude; al posto dell’urgente raccolta delle olive c’è la scadenza delle bollette… Stesse vicende con sceneggiature diverse. Sì, deve essere proprio così.
Continuando a leggere diventa inevitabile la domanda: come finirà questa storia? Non è facile immaginarlo, perché non si tratta di un’avventura, di un’impresa, di una sfida alla arrivano i nostri
, ma di ciò che riparte ogni giorno e si chiude la sera.
Ma un racconto non può chiudersi così. Ci deve essere una svolta.
E la svolta c’è. Anche essa semplice, quasi da libro cuore
, ma in realtà sorprendente, drammatica, rivelatrice. Adesso si comprende come mai quei fatti accaduti, sembravano accadere. Infatti si stavano ripetendo. Non erano fantasia, ma vissuto. Non erano cronache, ma situazioni, riflessioni e decisioni che impegnano e segnano la vita. Sempre!
È per questo che mentre si legge COME UOVA NEL MATERASSO sembra di scriverlo.
Tonino Lasconi
CAPITOLO I
è vita
18 gennaio 1963
È una giornata gelida, tutto è ancora coperto dalla neve caduta in settimana e sono convinta che non finirà il giorno prima che nevichi di nuovo.
Il buio a gennaio arriva prestissimo, ma il riverbero della luce sulla neve bianca concede qualche minuto di giorno in più.
In fondo non mi dispiace. In estate sono sempre più stanca, spesso presa da un senso di pesantezza e una sonnolenza tali che faccio una grande fatica a fare i lavori di casa.
Non mi spaventa il freddo, almeno non più, adesso che, da sposata, vivo in una casa riscaldata e soprattutto non sono costretta ad uscire presto al mattino.
Mi viene da pensare a quando da ragazza, prestavo servizio presso la famiglia di un medico di Arezzo dove facevo le pulizie di casa e preparavo il pranzo.
Dovevo essere al lavoro alle otto in punto; così, ogni mattina, qualunque fosse la condizione del tempo, inforcavo la mia bicicletta e percorrevo i dieci chilometri che mi dividevano dalla città.
Dovevo farlo anche con il ghiaccio e con la neve, così che arrivavo ad Arezzo e mi appoggiavo ad un muro prima di scendere dalla bicicletta; con i piedi congelati e addormentati dal freddo se fossi scesa subito sarei crollata a terra al primo passo!
Che tempi quelli! Mi sembrano passati secoli ma in fondo si tratta solo di cinque anni fa.
La vita cambia, la mia è cambiata già tante volte e chissà quante dovrà farlo ancora. Questo pensiero mi spaventa, spesso mi mette tristezza oppure, sebbene raramente, mi fa provare un po’ di nostalgia. Ma oggi no. Oggi, me lo sento, è un giorno speciale!
Non sto molto bene. Ho una nausea terribile da un po’ di tempo e già sono corsa in bagno due volte per i conati di vomito. Non mi ha sentito nessuno; mio marito come al solito è partito prestissimo per il lavoro e i miei suoceri sono fuori a spalare la neve.
Ho quasi un mese di ritardo e oramai sono certa di essere incinta! Stasera a cena voglio dirlo alla mia famiglia. Altero lo immagina già ovviamente ma i miei suoceri non se lo aspettano di sicuro. Sono di poche smancerie ma so che la notizia farà loro molto piacere.
Domani poi, se smetterà di nevicare, andrò dai miei genitori e lo dirò anche a loro, anzi, lo farò comunque, anche se nevicherà forte. Abitano vicini e in dieci minuti a piedi sono da loro.
Avranno il cuore colmo di gioia lo so. Devo a loro il valore della famiglia unita e il desiderio di volere dei figli. Ne hanno messi al mondo quattro! Sì quattro femmine! Tanto che quando eravamo piccole, quando qualcuno chiedeva al mio babbo: Quanti figli hai?
Lui rispondeva fiero: tre citte e una cittina
, come diciamo dalle nostre parti!
I miei genitori hanno vissuto tanti momenti difficili, ma mai hanno ceduto alla tentazione di scoraggiarsi e mollare. Si sono sempre tenuti per mano e con lo sguardo proteso al futuro, hanno costruito giorno dopo giorno, mattone su mattone la nostra forza. Entrambi vengono da famiglie di mezzadri, di quelli che il raccolto si divide a metà
: la parte migliore ai padroni
mentre a loro rimanevano quasi sempre solo briciole.
Da giovani hanno vissuto l’orrore della prima guerra mondiale. Quando ci riunivamo intorno al camino, sempre se c’era legna, oppure nella stalla, dove il fiato caldo delle bestie riusciva a mitigare il gelo dell’inverno, non mancavano i racconti di quando da ragazzi vedevano con i loro occhi le atrocità dei combattimenti sul fronte di guerra poco distante dal paese; di quanta paura e dolore aveva seminato nelle case. Il mio babbo, richiamato alle armi, fu uno tra quei pochi fortunati a tornare, mentre tanti dei suoi coetanei del paese non hanno mai fatto ritorno. Tante madri, sorelle, mogli e fidanzate li hanno pianti e ancora lo fanno.
Non dimenticherò mai quelle serate fatte di parole pronunciate con lo sguardo perso nei ricordi e di silenzi che gli facevano abbassare gli occhi per non far vedere che diventavano lucidi. Poi finivamo sempre con un segno della croce e tutte a letto. La notte sognavo di spari e bombe, di morti e feriti.
Alcuni anni dopo la fine della guerra poterono finalmente coronare il loro sogno: quello di sposarsi. Era il 22 ottobre del 1927. Da quando ho ricordi, nonostante le difficoltà, li ho sempre visti fare festa in quel giorno, fosse stato anche solo mettendo tanto formaggio sopra la polenta fumante