Studi sulla prospettiva del Rinascimento
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Studi sulla prospettiva del Rinascimento - Stefano Marconi
Capitolo 1
Anatomia di due disegni pierfrancescani
Nel De pictura Leon Battista Alberti affronta il problema di definire more geometrico il piano orizzontale su cui stanno e agiscono i corpi che compongono la storia, cosicché le rispettive grandezze e distanze siano obiettivamente misurabili in relazione reciproca tra loro, al quadro e all’osservatore. Nel De prospectiva pingendi Piero della Francesca, invece, si preoccupa in prevalenza di studiare la prospettiva di oggetti tridimensionali anche molto complessi e variamente disposti nello spazio, ma non manca d’introdurre varianti e semplificazioni alla costruzione albertiana¹.
Alla proposizione XIII del libro primo identifica la traccia del quadro visto di profilo con il margine sinistro dello stesso nella veduta frontale. Così, nel procedimento di rappresentazione di un quadrato che giace sul geometrale, vengono unificate nello spazio di un unico schema grafico fasi nel tempo successive (figure 1.1 e 1.3).
Più avanti nel testo, l’autore torna una sola volta ancora sul tema, innovando però rispetto all’esempio che precede. Nella proposizione XXIII, infatti, è presa in considerazione una differenza operativa ulteriore e non di poco conto. Portato il centro di vista a lato del punto principale, si ha il singolo punto che si vuole prospettico nell’intersezione del raggio visivo con la perpendicolare al piano figurativo preventivamente segnata. Determinante è la linea orizzontale che, tracciata a partire dal punto principale, viene prolungata sino a misurare esattamente la distanza dell’osservatore dal quadro (figure 1.2, 1.4).
Da un elemento decisivo reso in modo esplicito ad uno non palesato: legato al primo in uno stretto rapporto d’interdipendenza ne costituisce in verità l’indispensabile presupposto. Prendendo le mosse dal caso precedente, è come se Piero della Francesca avesse fatto scorrere la retta del quadro nella veduta di profilo sino a coincidere con la perpendicolare alla linea del piano calata dal punto principale nella veduta frontale. D’altra parte un motivo siffatto – così peculiare nella struttura formale e funzionale della machina prospettica – nella prassi della costruzione di un quadrato singolo e senza inclinazione non si rivela davvero poi così necessario. Diverso il caso di un pavimento a scacchiera ovvero di un quadrato suddiviso in quadrati minori in cui ci si voglia avvalere del punto di concorso delle linee a 45° dal quadro.
Vedo di mettere meglio in luce alcune caratteristiche formali che rischiano altrimenti di rimanere inespresse, pur essendo inerenti nella sostanza alle diverse articolazioni nei due percorsi disegnativi pierfrancescani.
Sia l’esempio di un pavimento quadrettato costruito con il primo metodo (figura 1.5). Traccio una diagonale all’interno della figura e la prolungo sino all’orizzonte. Noto che lo incontra in un punto (L) il quale dista dal punto principale (A) tanto quanto l’occhio dell’osservatore (O) dal quadro (QB). È evidente che tra le due distanze (AL e OB) vi è una qualche connessione significativa. Sia ora l’esempio di un pavimento quadrettato costruito con il secondo metodo (figura 1.6). Osservo che le due distanze, prima eguali nella misura e strutturalmente separate, vengono adesso ad unificarsi e a sovrapporsi (OA).
Sotto l’aspetto morfologico ne consegue la funzione ambivalente di determinati punti e linee. Come le rette inclinate a 45° assumono simultaneamente il significato di raggi visivi, così anche il centro di osservazione spostato sull’orizzonte corrisponde in una volta al punto di concorso delle diagonali dei quadrati che hanno due lati paralleli al quadro.
Le deduzioni e gli sviluppi più maturi da argomenti di tal natura sono nella seconda delle Due regole della prospettiva pratica del Vignola². Esempi grafici eloquenti sono quelli relativi ai capitoli II e III. In particolare nel capitolo II egli mostra che, al fine di rappresentare in prospettiva i quadrati che compongono un piano orizzontale, è equivalente intersecare o i raggi visivi con la «linea della parete» (figura 1.7) oppure le inclinate a 45° con le perpendicolari al quadro. Ma c’è da parte dell’autore una predilezione del secondo metodo sul primo per la sua maggiore speditezza e comodità.
Peraltro il salto cronologico che intercorre tra la stesura dei trattati di Piero della Francesca e del Vignola è notevole. Tuttavia vi è almeno un altro documento figurativo, di datazione intermedia, che appartiene alla stessa tradizione e dimostra chiara e piena consapevolezza dei medesimi principi. Si tratta del disegno che illustra il modo optimo dell’Alberti per la costruzione prospettica di un pavimento a scacchiera³ (figura 1.8). È nel codice 1448 della Biblioteca Statale di Lucca, che contiene uno dei numerosi testimoni manoscritti della redazione latina del De pictura. Condotto a termine il 13 febbraio 1518, il testo reca in extremo anche una nota vergata forse dal suo primo possessore: «1518 adi 13 febraro in Padoa | Antonio Bovolenta»⁴. Accompagnano la dimostrazione grafica del metodo i medesimi termini albertiani così da evidenziare gli elementi del sistema che meglio rappresentano e definiscono i concetti direttivi e le leggi costitutive delle operazioni prospettiche. Rilevo di passaggio che la distanza prescelta del centro di vista dal punto principale (il punctus centricus) è uguale a quella prescritta dal Vignola. È infatti pari a una volta e mezzo la larghezza del quadro e quindi corrispondente a un’apertura angolare di