Ti ho preso (Un emozionante thriller FBI di Rylie Wolf—Libro 2)
By Molly Black
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In TI HO PRESO (Un emozionante thriller FBI di Rylie Wolf—Libro due), Rylie, ancora perseguitata da un omicida mancato per un pelo durante la sua infanzia, cerca di evitare di guardare al passato, mentre dà la caccia a questo nuovo assassino. Quando il caso la conduce in un’infinita tana del coniglio, è costretta a cercare delle risposte in luoghi improbabili, rivolgendosi anche a persone con le quali sperava di non dover mai più parlare.
Ma non può rivelare al suo collega ciò che era successo, e l’orologio sta scandendo i secondi, prima che questo assassino colpisca di nuovo.
In un gioco del gatto e del topo dove la posta in palio è altissima, riuscirà Rylie a combattere i propri demoni e a mettere insieme tutte le risposte in tempo?
O I suoi demoni la faranno deragliare?
Un thriller psicologico complesso, pieno di svolte e colpi di scena, con una suspense da batticuore, la serie di gialli di RYLIE WOLF ti farà innamorare di una brillante protagonista, e ti costringerà a leggere fino a notte fonda. È un libro perfetto per gli amanti di Robert Dugoni, Rachel Caine, Melinda Leigh o Mary Burton.
È ora disponibile il libro #3 della serie: TI VEDO.
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Un emozionante thriller FBI di Rylie Wolf
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Ti ho preso (Un emozionante thriller FBI di Rylie Wolf—Libro 2) - Molly Black
TI HO PRESO
Un emozionante thriller FBI di Rylie Wolf—Libro 2
M o l l y B l a c k
Molly Black
Molly Black è l’autrice della serie di gialli MAYA GRAY, composta attualmente da sei libri, la serie di gialli RYLIE WOLF, composta attualmente da tre libri e, infine, la serie di thriller TAYLOR SAGE, composta attualmente da tre libri.
Essendo da sempre un’appassionata lettrice di gialli, Molly è più che felice di conoscervi e leggere le vostre opinioni. Visitate il sito www.mollyblackauthor.com per scoprire di più e rimanere sempre aggiornati.
Copyright © 2022 di Molly Black. Tutti i diritti riservati. Salvo quanto consentito dalla legge sul copyright degli Stati Uniti del 1976, nessuna parte della presente pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, o archiviata in un database o sistema di recupero, senza la previa autorizzazione dell’autore. Questo eBook è concesso in licenza al solo scopo d’intrattenimento personale. Questo eBook non può essere rivenduto o ceduto ad altri. Se vuoi condividere questo libro con qualcun altro, ti invitiamo ad acquistarne una copia per ogni destinatario. Se stai leggendo questo libro senza averlo acquistato o non è stato acquistato per il tuo utilizzo personale, sei pregato di restituirlo e di acquistarne una copia per tuo uso esclusivo. Grazie per aver rispettato il lavoro dell’autore. Questa è una storia di fantasia. Nomi, personaggi, attività commerciali, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’autore o vengono utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti o persone, vive o morte, è puramente casuale. Immagine di copertina Copyright lassedesignen, utilizzata su licenza di Shutterstock.com.
LIBRI DI MOLLY BLACK
UN THRILLER AVVINCENTE CON KATIE WINTER, FBI
SALVAMI (Libro #1)
IL THRILLER SULL’AGENTE DELL’FBI TAYLOR SAGE
NON GUARDARE (Libro #1)
UN EMOZIONANTE THRILLER FBI DI RYLIE WOLF
TI HO TROVATO (Libro #1)
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UN THRILLER AVVINCENTE CON MAYA GRAY, FBI
PRIMA RAGAZZA: OMICIDIO (Libro #1)
SECONDA RAGAZZA: PRESA (Libro #2)
TERZA RAGAZZA: INTRAPPOLATA (Libro #3)
QUARTA RAGAZZA: ADESCATA (Libro #4)
INDICE
CAPITOLO UNO
CAPITOLO DUE
CAPITOLO TRE
CAPITOLO QUATTRO
CAPITOLO CINQUE
CAPITOLO SEI
CAPITOLO SETTE
CAPITOLO OTTO
CAPITOLO NOVE
CAPITOLO DIECI
CAPITOLO UNDICI
CAPITOLO DODICI
CAPITOLO TREDICI
CAPITOLO QUATTORDICI
CAPITOLO QUINDICI
CAPITOLO SEDICI
CAPITOLO DICIASSETTE
CAPITOLO DICIOTTO
CAPITOLO DICIANNOVE
CAPITOLO VENTI
CAPITOLO VENTUNO
CAPITOLO VENTIDUE
CAPITOLO VENTITRE
CAPITOLO VENTIQUATTRO
CAPITOLO VENTICINQUE
CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISETTE
CAPITOLO VENTOTTO
CAPITOLO VENTINOVE
CAPITOLO TRENTA
CAPITOLO TRENTUNO
CAPITOLO TRENTADUE
CAPITOLO TRENTATRE
CAPITOLO TRENTAQUATTRO
CAPITOLO UNO
Lila Garrity lasciò la Bozeman Trail Steakhouse a Buffalo, Wyoming, poco dopo l’orario di chiusura, e si diresse verso la strada interstatale 86, conosciuta come l’autostrada per l’inferno.
Aveva appena concluso una lunga serata di servizio ai tavoli, il tutto per meno di trenta dollari di mance. Il suo ego soffriva tanto quanto i suoi piedi. Cercando di scacciare quei pensieri, uscì dal parcheggio e guidò tra le strade, per lo più vuote, del centro di Buffalo. Doveva raggiungere la sua casa a Sheridan, a circa sessanta chilometri lungo l’interstatale 86. Suo marito e i suoi cuccioli la stavano aspettando.
Ovviamente, Bronco e Cowboy non erano più dei veri cuccioli. Erano ormai danesi adulti, grandi quasi quanto lei, non molto in realtà, dato che Lisa era minuta in tutti i sensi; ma per un cane si trattava di una dimensione di tutto rispetto. I suoi ragazzi volevano fare un’escursione sui monti Bighorn l’indomani mattina. Si lasciava sempre convincere facilmente da loro a fare qualsiasi cosa.
Mentre guidava la sua vecchia Chevy Silverado oltre l’Hardee’s chiuso e la stazione di servizio Quik-Mart, il suo telefono iniziò a squillare. Era il miglior meccanico di Sheridan, nonché suo marito da ormai cinque anni, Ace Garrity.
Ehi, Ace,
disse al telefono. Sono appena uscita da quel buco infernale. Finalmente.
Bene, era ora. È quasi mezzanotte. Quegli Yankee ti trattano bene?
Lei sospirò e guardò il porta-bicchieri, dove aveva riposto le mance della serata. Un gruppo di newyorkesi di successo era venuto per un fine settimana di sofferenza per festeggiare un addio al celibato. Ace aveva scherzato sul fatto che per loro si trattasse di sofferenza,
perché non avrebbero trovato uno Starbucks a ogni angolo della città. Ma era un’ottima cosa, le avrebbero certamente dato delle mance generose da turisti, e questo non guastava. Ma invece di darle le mance che si aspettava, l’avevano trattata come clienti qualsiasi di un addio al celibato, ubriacandosi e palpeggiandola e cercando di infilare un paio di miseri dollari nella sua camicia. Magari...
Dai, mi stai prendendo in giro. Come possono resistere a una donna adorabile come te?
Oh, credimi. Sono troppo snob per una come me. Hanno buttato tutti i loro soldi in scotch da cento dollari e non mi hanno lasciato quasi niente. Non vedo l’ora di venire a casa e farmi una doccia per togliermi il loro schifo di dosso.
Ti sto aspettando, piccola,
disse, e lei riuscì a percepire il sorriso nella sua voce. Ci sarà anche un bel serpente a sonagli ad aspettarti. Stai attenta ora, amore. Guida con prudenza.
Non preoccuparti.
Poteva già pregustare il whisky di quel serpente a sonagli del Wyoming mentre interrompeva la chiamata, proprio mentre stava salendo la rampa per l’86. Rabbrividì mentre avvicinava il piede al pedale dell’acceleratore. Anche se guidava per quella strada da tre anni, da quando aveva ottenuto il lavoro come cameriera a Bozeman, non si era ancora abituata. Soprattutto conoscendo la reputazione che quell’autostrada aveva tra la gente del posto.
Il suo nomignolo, autostrada per l’inferno, era apparentemente ben meritato.
Normalmente, Lila ne avrebbe riso. Lo faceva sempre, ogni volta che la gente parlava di cose inquietanti come fantasmi e leggende metropolitane. Non si era mai coperta gli occhi durante i film dell’orrore e non aveva paura quando si trovava a casa da sola di notte. E quel nome le sembrava esageratamente drammatico, ma si adattava bene a quell’autostrada. Su quella strada tutto era diverso. C’erano stati centinaia di omicidi irrisolti lungo quel tratto d’asfalto, sin dalla sua apertura, nel 1978. Certo, era un grande tratto, dato che l’interstatale 86 andava da Seattle a Eau Claire, ma quelle zone erano tra le meno popolate di tutto il paese. Anche un solo omicidio in quell’ angolo del Wyoming era fuori dal normale. E ce n’erano stati diversi. Qualche settimana prima era uscito il caso di quel pazzo che impiccava le persone esponendole come sacrifici umani, sulle pietre miliari. Era stato catturato, sì, il che avrebbe dovuto farle tirare un sospiro di sollievo.
Ma non era affatto facile. L’autostrada non era mai trafficata, soprattutto a quell’ora della notte. I pochi alberi che la circondavano erano privi di foglie, scheletrici, come sentinelle, sembrava volessero avvertirla di non proseguire. E una strana, densa foschia, di quelle che aleggiano sui cimiteri nel cuore della notte, sembrava avvolgere sempre quella strada, rendendola inquietante come l’inferno. Per non parlare della luna piena, appesa in silenzio nel cielo parzialmente ricoperto di nubi sinistre.
Mentre accelerava lungo la rampa, verso la strada pianeggiante a due corsie, si sentiva sola in mezzo al vuoto. Non riusciva a scorgere nessuna luce.
Un altro brivido. Allungò la mano e accese la radio: Kenny Chesney con There Goes My Life.
Canticchiava sempre ascoltando la radio, cercava di calmarsi, domandandosi ogni volta perché avesse scelto di lavorare da Bozeman. C’era un’altra steakhouse, proprio a Sheridan, e avevano un cartello con scritto Cercasi personale
alla finestra. Offrivano anche un bonus di 500 dollari per chi fosse rimasto un anno intero. Era a cinque minuti dalla loro roulotte. Ne era tentata, ogni volta che passava.
Era stato Ace a parlargliene, un paio di settimane prima. All’epoca, non le era sembrata una buona idea. Il manager di Bozeman mi vuole bene, è proprio un tesoro. In più, ho l’anzianità lì. Posso scegliere i turni,
gli aveva detto, dandogli una pacca sulla spalla muscolosa.
Di solito, sceglieva il turno del pranzo. Ma quando aveva sentito che era previsto un grande addio al celibato per cena, aveva scelto quello stupido turno di notte, sperando che quegli Yankees alti e potenti le dessero mance generose. Si era sbagliata.
La Big Wyoming Steakhouse a Sheridan sembrava attirarla sempre di più.
Dovrei passare per dare un’occhiata. Forse domani, dopo Big Horn con i cuccioli, mi fermerò a fare domanda. Tentar non nuoce.
Dopo aver preso quella decisione, alzò la radio e iniziò a cantare con il buon vecchio Alan Jackson: Don’ t Rock the Jukebox.
Fu allora che notò i fari nello specchietto retrovisore. Erano a chilometri di distanza, però, così lontano che la coppia di luci si fondeva in un unico puntino rosso.
Non era allarmante. Dopotutto era sull’interstatale. Naturalmente era percorsa da altre auto oltre alla sua. Non molte. Lo ignorò, fissando gli occhi sulla strada e cantando più forte.
Ma quando guardò nuovamente lo specchietto, le luci erano molto più vicine. Probabilmente solo un chilometro o giù di lì.
Cavolo, va davvero forte. O sono io che sto andando troppo piano?
Abbassò gli occhi sul cruscotto. Il limite di velocità lì era 80, e lei stava andando a 90. Non riusciva a spingere quel vecchio furgone della Chevrolet, una reliquia di suo padre, più velocemente di così.
Ma quel pazzo doveva andare almeno a 100. Forse 110, considerando quanto velocemente si stava avvicinando.
Strinse le mani attorno al volante e si sforzò di respirare normalmente. Era nella corsia di rallentamento. Avrebbe semplicemente fatto quello che suo padre le diceva sempre di fare: spostarsi di lato e lasciare che i pazzi si schiantassero contro a un albero. Affari loro.
Le luci si avvicinavano sempre di più, abbagliandola attraverso lo specchietto retrovisore.
Era proprio dietro di lei. Così vicino, che si ritrovò a prepararsi all’impatto.
Ma che diavolo?
gemette, abbassando il finestrino e allungando la mano, facendogli cenno di passare. Superami, su. Devo mandarti un invito formale?
Non servì a nulla. Il furgone, ora poteva vedere che era un pick-up grande, dal momento che i suoi fari brillavano dritti nel suo finestrino posteriore, si avvicinava prepotentemente nella corsia, ma si rifiutava di passare.
Sospirò. Probabilmente era uno di quei maledetti Yankee. Quando la gente di città si trova nelle strade di periferia pensa sempre che la strada sia sua. Nessuno di loro sapeva guidare.
Le distanze! La corsia di sorpasso ti fa paura? Stronzo!
borbottò tra sé, scuotendo la testa. Che diavolo vuole da me?
Fece proprio come le aveva insegnato suo padre. Rallentò un po’, facendogli ancora cenno di superarla.
Nessun risultato. Diede un’occhiata alle pietre miliari. Era ad almeno due chilometri dall’uscita successiva. Forse, se ci fosse riuscita, avrebbe potuto accostare, lui sarebbe andato avanti e l’avrebbe lasciata in pace.
Lila sbatté le palpebre, socchiudendo gli occhi nella luce intensa che si rifletteva sullo specchietto, cercando di vedere chi fosse al volante. Riusciva a vedere solo due mani robuste, con le nocche a manopola, che stringevano il volante. Oltre a questo, scorgeva solo una grande sagoma scura. Poteva essere chiunque.
Rallentò ancora, sperando che il ragazzo capisse finalmente ciò che stava facendo.
Lo fece. Virò bruscamente alla sua sinistra e lei emise un sospiro di sollievo mentre si avvicinava al suo paraurti.
Qui Ace gli avrebbe quantomeno fatto il dito medio.
Ma lei no. Lila aveva letto troppi casi di risse su strada nei notiziari e non voleva entrare in una di quelle statistiche. Voleva che tutto questo finisse. Subito.
Ok, ok. Guarda dritto davanti a te mentre passa. E poi potrà guidare veloce quanto vuole, lontano da te.
Afferrò il volante e fece come aveva pensato, fissando la lunga strada buia davanti a sé mentre il furgone si fermava accanto a lei, nella corsia di passaggio. Cercò di entrare nel ritmo della musica, ma non poté fare a meno di notare le caratteristiche di quel veicolo. Era grigio e abbastanza bello.
Era un peccato che il suo stupido proprietario probabilmente lo avrebbe distrutto con la sua guida spericolata.
Per qualche motivo, però, l’uomo sembrava non riuscire a superarla. Rallentò ancora di più, guardando il tachimetro. Stava andando solo a sessanta, ormai.
E anche lui.
Andavano praticamente di pari passo. Accelerò. Anche lui lo fece. Rallentò. Anche lui rallentò.
Ma che diavolo...?
mormorò, mordicchiandosi il labbro.
Era vagamente consapevole che il finestrino oscurato sul lato passeggero del pick-up si stava abbassando. Voleva che lei lo guardasse.
No, non girarti, disse una voce dentro di lei. Era più forte di lei.
Con riluttanza, i suoi occhi si spostarono a sinistra e accadde una cosa strana. Si pentì immediatamente di aver guardato, e al contempo non riusciva a smettere di fissare.
Lì, nella cabina buia del furgone, c’era un viso orribile con un ghigno sfuggente e psicotico, gli occhi selvaggi. All’inizio, pensò che fosse una maschera di Halloween, che l’uomo stesse cercando di spaventarla. Ma quegli occhi erano troppo veri. Occhi che dicevano: "Sei mia."
Una fredda ondata di paura le si fece strada lungo la schiena. Un solo pensiero le si piantò in testa. Devi andare via.
Premette subito sull’acceleratore.
Prima che riuscisse a superarlo, però, lo vide improvvisamente sterzare a destra.
Si sentì un raccapricciante rumore metallico e poi, improvvisamente, la sua macchina sbandò. Cercò di correggere, di frenare, ma questo non fece che peggiorare le cose. A quella velocità, si ritrovò rapidamente a perdere il controllo andando completamente fuori strada. Cercò di correggere di nuovo, sterzando ancora, ma accadde tutto molto in fretta. Il volante girava sotto le sue mani, incontrollato, e le gomme sotto di lei stridevano come un maiale incastrato. Tutto il resto era sfocato intorno a lei.
Quando tornò in sé, ormai aveva perso il controllo. Si ritrovò a mezz’aria. La sua testa raschiò il soffitto della cabina e la cintura di sicurezza le affettò la spalla mentre vedeva, con gli occhi spalancati, il burrone sotto di lei, illuminato dai fari.
Stringendo forte il volante, chiuse gli occhi e si preparò.
L’impatto fu mozzafiato, ogni centimetro del suo corpo risuonò dallo shock. Il parabrezza si frantumò e frammenti di vetro affilato le schizzarono sulla pelle. Il suono risucchiante dell’airbag si dispiegava fischiandole nelle orecchie come in un’onda bianca; il dispositivo la spinse indietro, contro il poggiatesta. Assaporò qualcosa di gessoso e terroso, mescolato al sapore metallico del sangue.
Il veicolo si fermò, e lei sentì il tintinnio di qualcosa sul cruscotto. Probabilmente la dannata spia del motore, che era sempre accesa.
Si ritrovò appesa sopra l’airbag, con la gravità che la trascinava in basso, ma la cintura di sicurezza la teneva in posizione.
Frugò nel porta-bicchieri per raggiungere il telefono, ma trovò solo qualche banconota da un dollaro. Il suo telefono era sparito.
Cercò di spingere via l’airbag. La cabina era buia, tranne che per la luce di un singolo faro che sembrava riflettersi su di lei. La sua vista e il suo cervello erano offuscati, riusciva a pensare solo a questo: ho avuto un incidente. Ho bisogno di aiuto.
Allungò una mano verso terra, cercando il telefono sulla moquette. Quando non riuscì a trovare nulla, si sentì trascinare lungo la cinghia di tela, lottando per trovare il pulsante per il rilascio della cintura di sicurezza, sul fianco. Quando lo premette, il suo corpo cedette, cadendo verso il cruscotto sull’airbag che si stava svuotando. Si allungò ancora di qualche centimetro.
Non stava pensando, in quel momento, all’uomo con il sorriso inquietante che l’aveva fatta uscire di strada.
Beh, sicuramente un idiota del genere non avrebbe chiamato il 911, quindi non valeva la pena pensarci. Dannato pirata della strada.
Di certo non si aspettava che lui avesse accostato lungo il lato della strada dopo la collisione, poco distante da dove aveva sbandato.
Quindi, quando aprì la portiera, non si aspettava certo di trovarlo lì. Un viaggiatore di passaggio, forse, pronto a lanciarsi in azione e aiutarla a mettersi in salvo.
Non si aspettava che quell’uomo si avvicinasse, infilasse la mano tra i suoi lunghi capelli e la tirasse giù dal sedile. A malapena cosciente, si sentì trascinata nell’aria fresca della notte, poi gettata senza troppe cerimonie sul terreno duro.
Cosa ...?
riuscì a dire, mentre la vista le si offuscava. Vide il cielo buio. Sentì l’impatto con il terreno. Fu doloroso. Tutto il corpo le faceva male.
Cercò di rotolare in una posizione fetale, ma lui la afferrò di nuovo per i capelli, strappandole ciocche dal cuoio capelluto. Urlò mentre lui la strattonava. Poi la portò su. Su per il terrapieno, verso l’autostrada.
Lila riuscì a intravedere le gomme del pick-up. Si avvicinavano sempre di più. Il dolore si trasformò in intorpidimento. Tutto le faceva male, soprattutto la lingua e la testa. Non riusciva a urlare, né a pensare a parole da dire.
Lui la portò fino al retro del pick-up. Fu un sollievo quando le lasciò i capelli. La buttò sul cassone e lei si ritrovò nuovamente a fissare il cielo stellato.
Poi le tirò qualcosa addosso, chiudendola dentro. E chiuse a chiave.