Politicandum: Storia e riflessioni di un sindaco dell'ultimo decennio
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Politicandum - Domenico Parisi
Prefazione
Ho accettato volentieri di scrivere la prefazione di questo libro perché l’autore, Domenico Parisi, non è soltanto un sindaco. È molto di più.
È un servitore dello Stato onesto, che ha sacrificato anni importanti della sua vita per la collettività.
Chi possiede la forza d’interessarsi ai problemi della gente e di non girarsi dall’altra parte, soprattutto in un momento di crisi della partecipazione politica, ha tutta la mia stima. Queste pagine trasudano di passione, d’impegno, di entusiasmo. Ma anche di coraggio e di paure.
Perché oggi, per fare il sindaco, ci vuole coraggio e tanto fegato. È necessario fare i conti con la complessità del mondo, con i problemi che le nuove realtà sociali pongono, con le difficoltà di chi non riesce ad arrivare a fine mese, con le casse sempre più vuote dei Comuni.
I sindaci rappresentano un avamposto, spesso solitario, delle istituzioni sul territorio. E per questo le persone come Domenico sono indispensabili, imprescindibili. Per Domenico la politica è dedizione alla comunità, servire e mai servirsi.
Ho conosciuto Domenico a Roma, al Ministero della Difesa, nella Segreteria dell’allora Sottosegretario Gioacchino Alfano.
All’epoca mi occupavo di missioni all’estero, seguivo spesso le truppe italiane nei vari teatri operativi. E per questo capitava spesso che, prima della partenza, facevo una sosta al Ministero della Difesa. Domenico era sempre lì, preso da mille faccende, nella stanza vicina a quella del Sottosegretario. Mi fermavo spesso in quella stanza.
Domenico era pratico, svelto, risolutivo, non parlava la lingua del palazzo.
Siamo rimasti amici. Abbiamo discusso spesso di politica e, pur avendo ideali diversi, abbiamo sempre concordato sulle cose che fanno bene all’Italia. Ho sempre molto apprezzato la sua schiettezza, il coraggio di raccontare sempre la verità, a ogni costo.
Perché chi tiene al bene del proprio territorio ha dei doveri, il primo dei quali è dire quello che pensa. E non importa se si tratta di argomenti impopolari.
Perché quando fai le cose giuste, qualcuno, prima o dopo, ti dice grazie. E quei momenti non hanno prezzo.
In questo libro emerge la passione politica di un uomo formatosi nei circoli, di un soldato diventato sindaco dopo anni di gavetta, ma emerge anche la preoccupazione di chi non si rispecchia nella politica populista dei nostri giorni.
Non è un problema di partito o di partiti, è un problema culturale, di formazione politica.
Ammiro Domenico per non essersi rassegnato a un futuro dominato da messaggi superficiali e mediocri; lo apprezzo per essere sceso in campo e per aver avviato, da un piccolo comune della provincia di Benevento, una battaglia innanzitutto culturale, di valori, che guarda lontano.
Dicono che siamo un Paese finito, appiattito sul populismo e ferito dal Covid.
Io penso, invece, che siamo un Paese infinito, più forte di tutto e di tutti, con talenti da continuare a esportare nel mondo, con imprese di qualità, con aziende che non vivono di sussidi, con donne e uomini come Domenico impegnati in tutti i campi sociali ed economici.
Adesso dipende anche da noi. Basta piangersi addosso, iniziamo tutti insieme a lavorare per l’Italia, ognuno per la sua parte. Oltre la politica.
Vincenzo Rubano
Giornalista professionista.
Scrive per i quotidiani La Città di Salerno e
la Repubblica. Come giornalista embedded
ha partecipato a missioni militari in Kosovo,
Libano e Afghanistan. Dal 2012 collabora con il
programma televisivo Striscia la Notizia e a seguito
delle numerose minacce subite è sotto vigilanza delle forze dell’ordine. È fondatore del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace ed è autore del libro Soldati di pace. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il
Premio Personalità Europea per la Cultura nel 2015.
Introduzione
Quando mi chiedono cosa faccia nella vita, rispondo con due semplici parole: il Sindaco.
Sì, faccio, sono e mi sento Sindaco di Limatola, piccolo ma granitico borgo storico che dalle torri del suo antico castello normanno sorveglia da un lato la provincia di Caserta e dall’altro abbraccia quella di Benevento.
Nulla di speciale, in fondo; un sindaco come a migliaia ce ne sono in Italia, ma la mia storia politica ha avuto un percorso inverso rispetto a molti miei colleghi.
Questo percorso, che è stato un po’ un ritorno sentito alle origini, mi ha permesso di sviluppare una sensibilità ulteriore sulle difficoltà nel gestire la macchina della pubblica amministrazione, consentendomi inoltre di poter esprimere opinioni concrete sui problemi reali e quotidiani, e di rivalutare la deriva di taluni movimenti che hanno fatto o hanno provato a fare la storia politica italiana.
Domenico Parisi
Il grande sogno
1.
Come nascano passione politica e impegno sociale non sono in grado, onestamente, di spiegarlo. Per quanto mi riguarda, sembra quasi un percorso tracciato. Ho masticato pane e politica fin da piccolo. Mio padre, oltre a esser stato sindaco di Limatola, ha sempre avuto una forte passione politica. Ho ascoltato di riflesso, fin dalla giovane età, lunghi e animati discorsi per la stesura di un comizio o di una potenziale lista civica in grado di concorrere per elezioni locali e non, e quando finivano quelle locali c’era da dare manforte per le provinciali, le regionali e le nazionali. Si era spinti da puro spirito patriottico, la politica in fondo dovrebbe essere questo: lottare per far arrivare dei messaggi chiari ai governanti, ovviamente attraverso validi candidati. Seguivo volentieri mio padre, ma studiavo in disparte l’affannarsi di quegli uomini disposti, dopo lunghe giornate di lavoro, col caldo o col freddo, a spostarsi in lungo e in largo per la battaglia politica di turno. Si lottava per risolvere problemi concreti, per il quieto vivere dei propri concittadini. C’erano da raccogliere critiche e successi, ma tutto facevo animo, nulla li scalfiva.
Per quanto mi riguardava, ero più affascinato dalle loro accese discussioni che dai contenuti dei dibattiti. Ero curioso di capire perché, nei loro occhi, si accendeva quella scintilla che li spingeva a non mollare mai la presa, mai a indietreggiare, anche di fronte a palesi difficoltà. La campagna elettorale che portò la fascia tricolore a mio padre fu quella che più vissi appieno, aiutato dalla mia età.
Avevo vent’anni nel 2002, e per quanto preso, come tutti i miei coetanei, dai problemi e dalle passioni dei ventenni, percepii per la prima volta la necessità di un attivismo, seppur di parte, per sostenere quella campagna politica. Serbo il ricordo di giorni di tensione, si correva il rischio di non riuscire a presentare la lista civica promossa per dei cambi di casacca dell’ultimo momento. Il movimento politico intrapreso