E-book395 pagine9 ore
Aspenia n. 97: Addio alla Russia
Di AA.VV.
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L’addio alla Russia è stato voluto da Vladimir Putin, che pensa a se stesso come al salvatore del destino imperiale del proprio paese ma che ha invece compiuto - attaccando Kiev il 24 febbraio - un clamoroso errore di calcolo, mettendo in moto una catena di eventi che ha condotto, con sorprendente rapidità, all’abbandono di una linea accondiscendente verso Mosca da parte di quasi tutti i governi occidentali. Ne parlano tra gli altri sul numero 97 “Addio alla Russia di Aspenia rivista diretta da Marta Dassù – Sergio Romano, Paul Berman, Ivan Timofeev, Charles A. Kupchan, Marina Valensise, Andrei Kurkov, Anna Zafesova, Adam S. Posen, Sergio Fabbrini, Shivshankar Menon, Odd Arne Westad, Vittorio Emanuele Parsi, Giacomo Luciani, Carlo Jean, Mario Del Pero e Leopoldo Nuti.
Comunque vada a finire la guerra in Ucraina, da capire c’è in primo luogo perché sia fallita la transizione dall’URSS alla Russia. Vladimir Putin non ha mai amato la Federazione Russa ereditata dagli anni transitori di Boris Eltsin. Non è mai stata abbastanza per lui, supremo sostenitore di una forma di Russia imperiale che tutti dovranno almeno temere, se non rispettare: questo è l’ideale che Mosca ha perseguito negli ultimi anni, dalla Moldavia ai Baltici, dalla Bielorussia al Mar Nero fino al Medio Oriente. Ma quello al potere oggi è un regime autoritario e fortemente corrotto al punto da impedire che la spesa militare possa produrre un esercito efficiente. I fallimenti delle prime fasi della guerra in Ucraina – fra errori di valutazione e performance quanto mai deludente delle forze militari russe – sono il risultato diretto di un sistema politico che ha represso ogni forma di opposizione.
Secondo punto da capire: reggerà o no l’Occidente ritrovato a Kiev ? Nella prima fase della guerra, Stati Uniti ed Europa hanno trovato un grado non previsto di unità. È questo il principale significato politico-strategico dell’avventura in Ucraina. L’Europa ha detto a sua volta addio a una certa immagine di Russia, ovvero un partner difficile ma affidabile sul piano delle forniture energetiche e nella lotta al terrorismo. La guerra piuttosto produce una forte spinta inflattiva, che accelera gli aumenti di prezzo (gas, petrolio, materie prime essenziali) già registrati nel corso del 2021 e crea problemi economici e politici sia in Europa che negli Stati Uniti. Si complicano le decisioni per le banche centrali, tra volontà di tenere sotto controllo l’inflazione (alzando i tassi d’interesse) ed evitare una recessione (tenendo i tassi piuttosto bassi). Incrociando una fase delicatissima della transizione energetica, questi trend rischiano di innescare una “tempesta perfetta”. Per parecchi economisti, lo spettro è un ritorno alla stagflazione degli anni Settanta.
Terzo punto da capire è come evolverà il rapporto sino-russo: dal fattore Cina dipenderà la portata globale della frattura apertasi tra Russia e Occidente (e maggiori alleati asiatici degli Stati Uniti, aspetto tutt’altro che secondario specie se visto da Pechino). La Cina al momento non sembra avere preso decisioni chiare; è probabilmente assai preoccupata dalle vicende ucraine in chiave taiwanese, ed è intanto alle prese con una costosissima gestione del Covid, che preoccupa Xi Jinping in vista della sua consacrazione a capo del Partito unico e dello Stato, programmata nel prossimo autunno. Si presenta una grande sfida anche per i paesi democratico-liberali e per il sistema degli scambi internazionali. L’effetto della pandemia prima e della guerra in Ucraina ha incrinato la fiducia residua nelle virtù della globalizzazione, portando in primo piano i costi della dipendenza in settori strategici. Il trend va verso la frammentazione, un accorciamento delle catene del valore e un parziale decoupling tecnologico fra Cina e Stati Uniti. Secondo Janet Yellen, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, si entrerà nell’epoca della globalizzazione “among friends”, che tenderà a rilanciare l’area economica transatlantica anc
Comunque vada a finire la guerra in Ucraina, da capire c’è in primo luogo perché sia fallita la transizione dall’URSS alla Russia. Vladimir Putin non ha mai amato la Federazione Russa ereditata dagli anni transitori di Boris Eltsin. Non è mai stata abbastanza per lui, supremo sostenitore di una forma di Russia imperiale che tutti dovranno almeno temere, se non rispettare: questo è l’ideale che Mosca ha perseguito negli ultimi anni, dalla Moldavia ai Baltici, dalla Bielorussia al Mar Nero fino al Medio Oriente. Ma quello al potere oggi è un regime autoritario e fortemente corrotto al punto da impedire che la spesa militare possa produrre un esercito efficiente. I fallimenti delle prime fasi della guerra in Ucraina – fra errori di valutazione e performance quanto mai deludente delle forze militari russe – sono il risultato diretto di un sistema politico che ha represso ogni forma di opposizione.
Secondo punto da capire: reggerà o no l’Occidente ritrovato a Kiev ? Nella prima fase della guerra, Stati Uniti ed Europa hanno trovato un grado non previsto di unità. È questo il principale significato politico-strategico dell’avventura in Ucraina. L’Europa ha detto a sua volta addio a una certa immagine di Russia, ovvero un partner difficile ma affidabile sul piano delle forniture energetiche e nella lotta al terrorismo. La guerra piuttosto produce una forte spinta inflattiva, che accelera gli aumenti di prezzo (gas, petrolio, materie prime essenziali) già registrati nel corso del 2021 e crea problemi economici e politici sia in Europa che negli Stati Uniti. Si complicano le decisioni per le banche centrali, tra volontà di tenere sotto controllo l’inflazione (alzando i tassi d’interesse) ed evitare una recessione (tenendo i tassi piuttosto bassi). Incrociando una fase delicatissima della transizione energetica, questi trend rischiano di innescare una “tempesta perfetta”. Per parecchi economisti, lo spettro è un ritorno alla stagflazione degli anni Settanta.
Terzo punto da capire è come evolverà il rapporto sino-russo: dal fattore Cina dipenderà la portata globale della frattura apertasi tra Russia e Occidente (e maggiori alleati asiatici degli Stati Uniti, aspetto tutt’altro che secondario specie se visto da Pechino). La Cina al momento non sembra avere preso decisioni chiare; è probabilmente assai preoccupata dalle vicende ucraine in chiave taiwanese, ed è intanto alle prese con una costosissima gestione del Covid, che preoccupa Xi Jinping in vista della sua consacrazione a capo del Partito unico e dello Stato, programmata nel prossimo autunno. Si presenta una grande sfida anche per i paesi democratico-liberali e per il sistema degli scambi internazionali. L’effetto della pandemia prima e della guerra in Ucraina ha incrinato la fiducia residua nelle virtù della globalizzazione, portando in primo piano i costi della dipendenza in settori strategici. Il trend va verso la frammentazione, un accorciamento delle catene del valore e un parziale decoupling tecnologico fra Cina e Stati Uniti. Secondo Janet Yellen, segretario al Tesoro degli Stati Uniti, si entrerà nell’epoca della globalizzazione “among friends”, che tenderà a rilanciare l’area economica transatlantica anc
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