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Giustizia è fatta! Ma niente sarà come prima
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Giustizia è fatta! Ma niente sarà come prima

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Uno sconcertante e doloroso caso di malagiustizia, che l’imprenditore lametino Luigi Mazzei ricostruisce insieme con la giornalista Velia Iacovino.
Un’odissea, cominciata nel 2007 con l’arrivo della Guardia di Finanza in una delle sue aziende “per controlli di routine”, che sfocia nell’arresto dell’industriale il 30 giugno del 2011. Mazzei, riconosciuto innocente dopo dieci anni di tribolazioni e sofferenze d’ogni tipo, non si limita alla mera cronaca dei fatti. Racconta come ciò che gli è accaduto abbia devastato irrimediabilmente i suoi interessi economici ma, ancor più, la sua vita familiare, scavando solchi profondi nella sua sfera emotiva; i sogni e le aspirazioni di un giovane imprenditore di successo, innamorato della sua terra, travolti da inquietanti e paradossali meccanismi di valutazione di fatti dimostratisi mai accaduti. Un libro di grandissima attualità che dimostra come la macchina della giustizia possa trasformarsi talvolta in un mostruoso tritacarne.
LanguageItaliano
Release dateJun 1, 2022
ISBN9791220501170
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    Book preview

    Giustizia è fatta! Ma niente sarà come prima - Luigi Mazzei

    Presentazione

    Se ne avranno a male, con ogni probabilità, i responsabili dell’ennesimo caso di malagiustizia, quello di cui nel 2011 è rimasto vittima l’imprenditore lametino Luigi Mazzei, che a distanza di dieci anni, e dopo patimenti di ogni tipo, carcere compreso, è stato riconosciuto estraneo ai fatti che gli erano stati contestati. Roba pesante, da guiness dei primati dell’imbroglio di casa nostra: bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

    Alla fine, Mazzei è risultato come tutti lo conoscono e come all’epoca dei fatti era noto: una persona perbene, un calabrese di cui andare fieri, per quello che aveva dimostrato di saper fare e per le enormi ricadute che, in termini economici e occupazionali, le sue attività producevano. Tutto distrutto, purtroppo, alla fine di una lunga, sofferta carcerazione sociale. Cancellato, dall’elenco delle poche esperienze che in Calabria tengono alto il vessillo della legalità, della trasparenza, della capacità di competere ai più alti livelli imprenditoriali.

    Bene, a questo punto, e dopo aver letto l’avvincente diario di bordo che Mazzei opportunamente – e utilmente – ha deciso di pubblicare, risulta difficile lasciare fuori dall’inquietante racconto di questa vicenda alcune nostre considerazioni.

    Niente di nuovo, sia chiaro, rispetto a quanto da ormai lunghissimo tempo andiamo sostenendo. E cioè che il numero degli errori, o la superficialità, o le valutazioni troppo affrettate, o i tentativi di vederci chiaro, anche quando non ce n’è bisogno, semplicemente perché tutto è lapalissiano, evidente, lineare, sono aumentati a dismisura nel nostro Paese, tanto da rappresentare una vera e propria emergenza democratica. Un gigantesco problema di certezza del diritto. Un’insopportabile profanazione dei principi fondanti della nostra Costituzione, posti a base del nostro sistema democratico.

    Ci rimarranno male, dicevamo, i responsabili dell’incredibile e assurda vicenda giudiziaria in cui Mazzei è rimasto invischiato per tanto tempo, e che gli è costata tutto ciò che aveva di più caro: serenità personale, stabilità familiare, intraprese di successo. Cattiverie e ipocrisie comprese, che non mancano mai. E che puntuali fanno la loro apparizione, quando il destino di una persona, fino ad un attimo prima riverita, osannata, posta al centro di confronti e discussioni ispirate da sentimenti positivi, appare irrimediabilmente compromesso. Tempo amaro, difficile ma, soprattutto, immeritato, che Mazzei può dire ormai di conoscere fin troppo bene. Insieme con la mai troppo sorprendente varietà di contenuti e di espressioni di cui si compone la miseria umana. Un coacervo di meschinità e di repentini cambi di casacca, capaci di cancellare nello spazio di un amen (presunti, possiamo dire a questo punto) patrimoni di sentimenti e di incrollabili rapporti di amicizia, sbandierati ai quattro venti, ma di fatto cancellati, alla prima concreta verifica sul campo.

    Storceranno il muso, questi signori, non solo perché, dopo aver letto questo libro, i fatti che vi sono raccontati e le conclusioni alle quali essi inducono, siamo costretti a puntare il dito contro ciò che è accaduto al povero Mazzei, vittima come troppi di errori e superficialità senza se e senza ma, ma perché con questa iniziativa editoriale l’operato e le responsabilità, gravi, terribili,di questi signori, ricevono finalmente quel che meritano. Diventano, cioè, di pubblico dominio. Conosciuti – ed è una fortuna – da un numero infinitamente maggiore di persone rispetto a quelle che, nella piana di Lamezia, e in Calabria, dove Mazzei, figura di primissimo piano, stimato e rispettato, viveva e operava, a suo tempo vennero a scoprire – con tanto di sirene, forze dell’ordine, perquisizioni e quant’altro naturalmente - della clamorosa verità nascosta portata a galla dai solerti, indiscutibili, forse non è azzardato affermare, visto il clamore suscitato dall’inchiesta, super eroi della giustizia locale.

    Malefatte, oggi possiamo dire, sia chiaro, nel senso delle azioni evidentemente sulla carta poste a tutela dell’interesse collettivo e delle leggi dello Stato, ma rivelatesi non conformi, anzi sideralmente distanti, dalle aspettative di un cittadino, Luigi Mazzei, e di una comunità, quella lametina e calabrese, che credevano – e ci auguriamo ancora si riconoscano – nelle regole dello Stato di diritto. Una condizione formale e strutturale che non ammette azzardi di alcun tipo. Ne lascia spazi di interpretazione discrezionali a chicchessia e nei confronti di chiunque. Men che meno agli operatori della Giustizia. Né rende possibili salti in alto giudiziari alla cieca, senza che dall’altra parte dell’asticella, che fa da spartiacque tra le regole e l’anarchia, appunto il diritto e le azioni che ne smentiscono la centralità, siano previsti comodi spazi di atterraggio. Efficaci e provvidenziali air bag contro ogni affronto ai danni delle libertà personali. Esattamente il bagaglio di valori e di principi mortificati con la clamorosa iniziativa giudiziaria contro Luigi Mazzei, brillante e dinamico imprenditore lametino costretto ad assistere, suo malgrado, nel volgere di qualche minuto, allo sgretolamento di un patrimonio di credibilità e di stima costruito attraverso anni di sacrifici, di scelte aziendali vincenti e della considerazione, alta e antica, goduta dai suoi genitori.

    Rimaniamo convintamente aggrappati al convincimento che il tempo dell’attesa sia scaduto da tempo. E che il nostro Paese debba sottrarsi al gioco, tutt’altro che democratico e di stampo civile, di cui sono stati vittima e continua ad essere costretto un numero sempre più numeroso di cittadini. Le riforme del sistema giudiziario di cui si legge in questi giorni sono certamente un avvio incoraggiante verso questa essenziale direzione di marcia, ma da sole non bastano. Non potrebbero incidere in alcun modo sulla patologica deriva giudiziaria di cui, nonostante indiscutibili esempi di probità e di eccellenza professionale, da troppo tempo siamo spettatori, in molte procure e in altrettanti tribunali italiani.

    Il caso, gravissimo, assurdo, inaccettabile, di Luigi Mazzei, pone in definitiva alcuni interrogativi di fondo, cui necessita dare risposta in modo chiaro e definitivo, in senso favorevole alla Giustizia e ai cittadini.

    Innanzitutto: chi restituirà all’imprenditore lametino ciò che, con inaudita violenza, gli è stato tolto? Poi: fino a quando sarà consentito che vicende di tale inaudita gravità facciano capolino sulla scena del Paese? E l’ultima, animata da un profondo senso di giustizia: che succederà a chi si è reso responsabile di tanta sofferenza? Dell’incubo giudiziario che Mazzei ha vissuto e dal quale solo grazie alla sua forza d’animo, alla sua determinazione, all’amore per i suoi figli, al rispetto per i genitori, alla tenacia dei suoi avvocati, è riuscito a sottrarsi?

    Chi leggerà questo agghiacciante racconto si chiarirà meglio le idee. E si interrogherà. E rifletterà. E saprà regolarsi, se e quando arriverà il momento di far sentire la propria voce, e di decidere, nel proprio e nell’altrui interesse. Oltre che in quello superiore, indiscutibile, del Paese.

    Piero Sansonetti

    Un’assurda vicenda giudiziaria

    L’odissea di Luigi Mazzei – assolto il 22 giugno 2021 perché il fatto non sussiste dalla seconda Sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro – ebbe inizio nel gennaio del 2007, con l’arrivo della Guardia di Finanza alla Cofain srl di Falerna, la più importante società del suo gruppo imprenditoriale, per una serie di controlli sui bilanci e sulla contabilità. Un’azienda, nata all’inizio degli anni Novanta grazie alla legge 44 del 1986, finalizzata al sostegno dell’imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno, che in poco tempo era diventata un polo di eccellenza di livello internazionale per la produzione di pannelli da rivestimento esterno, e che aveva un cospicuo fatturato. Mazzei, chissà, aveva forse dato troppo nell’occhio, dimostrando come fosse possibile utilizzare efficacemente i finanziamenti agevolati. O, forse, con il suo modo di fare, aveva infastidito qualcuno. Da quel momento, in ogni caso, i militari presero ad entrare ed uscire dai suoi uffici. Quattro anni dopo, il 30 giugno 2011, l’imprenditore venne arrestato. La vicenda ebbe ampia eco, anche sui media, locali e nazionali, e finì per ripercuotersi pesantemente sulla sua vita privata e sulle sue attività economiche.

    Mazzei, sottoposto anche al sequestro preventivo dei beni, fu accusato di truffa ai danni dello Stato, falso ideologico, evasione fiscale, esportazione di capitali all’estero, bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e false fatturazioni. Assieme a lui, nell’inchiesta, avviata dalla Procura di Lamezia Terme, vennero coinvolte a vario titolo altre nove persone.

    Il processo di primo grado

    Il 13 settembre 2017, sei anni dopo l’ordinanza di custodia cautelare, a conclusione del primo grado di giudizio, con sentenza del Tribunale collegiale di Lamezia (Sezione penale unica) Mazzei, in qualità di amministratore della Cofain, fu riconosciuto colpevole, di un solo reato: bancarotta fraudolenta. Tutto ciò, secondo il Tribunale, per aver distratto dalla sua società, quando ormai era già in dissesto, 69.029 euro, destinandoli alla Forest, una delle sue partecipate, per consentirle l’accesso a fondi pubblici e realizzare un centro servizi, ma aggravando in questo modo lo stato di insolvenza dell’azienda a danno dei creditori. Il Giudice – sottolineando che l’erogazione era avvenuta a novembre del 2008 e che la Cofain era stata messa in liquidazione nel luglio dell’anno successivo, con dichiarazione fallimentare da parte del Tribunale nel 2010 – aveva respinto come generica e non provata la restituzione del denaro da parte della Forest alla Cofain attraverso attività di prestazione di servizi amministrativi, come sostenuto durante il procedimento dal consulente dell’imputato e da quest’ultimo.

    L’appello

    Il 23 gennaio 2018 i legali dell’imprenditore – gli avvocati Francesco Gambardella e Paolo Carnuccio – proposero appello contro la sentenza di condanna, sostenendo che molti elementi favorevoli alla posizione del loro assistito non fossero stati attentamente tenuti in considerazione. Sulla base di un’ampia e dettagliata documentazione, alla fine riuscirono a dimostrare che da parte di Mazzei non c’era stata alcuna volontà di distrarre e dissipare risorse economiche alla Cofain. I due legali provarono che il finanziamento erogato dal loro assistito alla Forest attraverso la Cofain non era un mero espediente per venir meno agli impegni contratti nei confronti dei creditori ma – comprendendo somme risalenti anche al 2006 e 2007 (a quando, cioè, la società madre si trovava in una situazione favorevole al rilancio) – rappresentava una scelta per incrementare il business a vantaggio della redditività e del patrimonio aziendale.

    Una durata da record

    14 anni e cinque mesi è durato il calvario giudiziario di Mazzei, che nel frattempo ha perso tutto. Le sue aziende – che avevano creato posti di lavoro e un diffuso indotto, generando anche un importante gettito fiscale nei confronti dello Stato, che aveva visto così fruttare i propri investimenti attraverso un uso virtuoso dei finanziamenti a suo tempo concessi all’imprenditore, – oggi non esistono più. E i contraccolpi di questa vicenda

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