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Il gusto delle parole in Marguerite Duras: Scrivere, scriversi, cucinare
Il gusto delle parole in Marguerite Duras: Scrivere, scriversi, cucinare
Il gusto delle parole in Marguerite Duras: Scrivere, scriversi, cucinare
Ebook104 pages1 hour

Il gusto delle parole in Marguerite Duras: Scrivere, scriversi, cucinare

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Intellettuale impegnata e schierata politicamente, scandalosa, polemica, molto amata e molto odiata, Marguerite Duras pone al centro della scrittura l'ascolto e il desiderio. La sua penna ci racconta gusto e disgusto della vita, nausea e appetito, profumi e fetori, fame e digiuno. Ritroviamo qui i sapori e le ricette che accompagnarono la vita della Duras e le sue opere, compreso il famoso libretto La cucina di Marguerite, ritirato dal commercio e divenuto oggetto di culto fra gli appassionati della scrittrice.
LanguageItaliano
Release dateMay 20, 2022
ISBN9788865803967
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    Il gusto delle parole in Marguerite Duras - Annalisa Comes

    Leggere è un gusto

    24

    Il gusto delle parole

    in Marguerite Duras

    Scrivere, scriversi, cucinare

    Annalisa Comes

    Il leone verde

    A mia madre.

    Direzione editoriale: Anita Molino

    Progetto grafico della copertina: Francesca Pamina Ros

    Progetto grafico: Francesca Pamina Ros e Monica Cipriano

    In copertina: foto per gentile concessione di Jean Mascolo; ©istockphoto.com/Stephane Debov

    Illustrazioni: pp. 16, 18, 49: ©shutterstock.com/Kuzmina Aleksandra; pp. 27, 33: ©flickr/manhhai; p. 51: ©shutterstock.com/Vectorgoods studio; p. 77: ©shutterstock.com/R.Wilairat;

    p. 79: ©shutterstock.com/StocKNick; pp. 92, 94: ©shutterstock.com/Goderuna; p. 95: ©shutterstock.com/kuzmicheva.

    Le foto alle pp. 6, 12, 45, 73 sono una gentile concessione di Jean Mascolo, che l’Autrice ringrazia sentitamente.

    ISBN: 978-88-6580-351-6

    ISBN ePub: 978-88-6580-396-7

    © Copyright 2021

    Edizioni Il leone verde

    Via Santa Chiara 30 bis, Torino

    Tel. 011 5211790

    info@leoneverde.it

    www.leoneverde.it

    www.leggereungusto.it

    Indice

    SCRIVERE, SCRIVERSI… CUCINARE

    Mango e riso per bambini magri e gialli

    Nella profondità della carne cieca

    Banchetti

    Mangiare di notte

    Vuoto, svuotamento, nausea

    A casa

    Il lato nascosto o l’altra faccia delle cose

    Divoramenti

    A Parigi si mangia male

    Resti

    RICETTE

    BIBLIOGRAFIA

    INDICE DELLE RICETTE

    Scrivevo tutte le mattine, ma senza un orario, mai, se non

    per cucinare. Sapevo quando dovevo intervenire

    perché il cibo bollisse o perché non si bruciasse.

    E anche per i libri lo sapevo. Lo giuro. Tutto, lo giuro,

    non ho mai mentito in un libro. E neppure nella vita.

    Eccetto agli uomini. Mai.

    M. Duras, Scrivere, 1993

    Scrivere, scriversi…

    cucinare

    Non si può scrivere senza la forza del corpo.¹

    La scrittura varia e densa di Marguerite Duras non lascia mai indifferenti, così come la sua personalità originale, intransigente, ma anche contraddittoria. Amata, idolatrata oppure odiata, la sua produzione rappresenta un punto di rottura e ha dato non poco filo da torcere a parecchi tentativi di categorizzarla in movimenti letterari o culturali che a ragion veduta scivolano via come attraverso i misteriosi meandri dei tanti orizzonti di acque e terre dei suoi paesaggi. Ma tanto le etichette si sciolgono, quanto più resta la presenza fisica e l’impronta di un corpo – oggi quello della sua scrittura, – anzi delle sue scritture – continuamente divorato e divorante.

    Poco o affatto interessata alla questione dello stile, come ha più volte affermato,² la sua scrittura si forgia negli anni – a partire soprattutto da Moderato cantabile (1958) – in un processo che cerca di oltrepassare l’attraverso della lingua attingendo direttamente ai sensi, direttamente alla fisicità, alla geologia delle parole. Una scrittura del corpo e dei corpi che fa tabula rasa di connettivi, grammatica e sintassi, dove anche i soggetti fluttuano, in un procedere erratico come le sue indimenticabili mendicanti.

    Duras non parte da una storia, da un tema o da un’idea e non ricerca programmaticamente una dimostrazione o una rottura estetica, tenta di scrivere in un grado zero, primitivo, da un prima alogico, atemporale, astorico. Ciò che può velocemente afferrare di questo non-luogo prima del verbo, del tempo e della storia – sono solo fugaci frammenti.³

    È il prima della Creazione, il prima sospeso dell’Inizio, e di ogni inizio:

    La terra era sterminata e vuota, le tenebre erano sulla faccia dell’abisso e lo spirito di Dio si librava sulla superficie delle acque. (Bereshit, 1,2-3)

    È, soprattutto, il luogo del suo vissuto, dell’infanzia, e quello precipuo dell’amore nella sua essenza, momento del vissuto che dalla buia afasia primordiale, tenta il discorso che immette nella storia e apre all’altro e alla creazione: un balbettio che solo dopo si fa principio creatore e ordinatore, istituendo separazioni e limiti, ma rivelando anche una irriducibile incomunicabilità.

    In Duras tutte le scritture riconducono all’amore e ogni amore è come se rinviasse al vissuto del primo, divorante e tragico amore, quello della madre e per la madre. Una Madre creatrice che forgia e la forgia con il suo inchiostro nero di passione, di desiderio, di attese, di assenza, di morte. In quello la scrittrice intinge (e attinge), a quello resterà devotamente fedele e prigioniera.

    La scrittura si fa quindi, naturalmente, o meglio secondo natura, con il corpo e prima di tutto attraverso quelle facoltà del corpo elementari: l’olfatto, il tatto, il gusto, principalmente, ma anche la vista e l’udito. Non sono elementi simbolici ma lettere-segni, forme, nomi e procedimenti narrativi costituzionali, potremmo dire.

    L’amore e il desiderio rinviano spesso al divoramento (e quindi alla morte): sono i rituali del pasto del nero boa lucente dell’omonimo racconto e del suo opposto, quello che strangola la signorina Barbelet nel suo corsetto di pizzo da vergine. Compaiono nei romanzi, come in Moderato cantabile (1958), in Distruggere, lei disse (film del 1960 tratto dall’omonimo romanzo), ne L’amante (1984), ne L’amante della Cina del nord (1991), e nei film che Duras ha scritto e diretto, o di cui ha curato il soggetto e scritto la sceneggiatura, come Hiroshima mon amour (di Alain Resnais, 1959). Il divoramento (che è il vissuto intraducibile di Duras) non può dispiegarsi in una lingua formalizzata che comunica, segnala semmai, con la scrittura, l’inquietudine ferina, lo stupore muto dell’apparizione,⁴ la solitudine: tutto ciò che solo i bambini, gli amanti e i folli possono cogliere in quanto esseri al limite o fuori della compagine sociale. Ma il magma primordiale è, per Duras, soprattutto il femminile, che sembra racchiudere e condensare – a partire dal proprio vissuto – queste tre attitudini che non possono essere addomesticate: Duras bambina, Duras amante (e tutte le donne che amano nei suoi romanzi e nei suoi film, colte all’apice del loro desiderio), Duras la pazza (e le mendicanti; la follia de Il rapimento di Lol V. Stein; Il viceconsole; Distruggere lei disse e L’amore). Così il linguaggio, necessariamente, si prosciuga fino a polverizzarsi, come i legami sociali propri del linguaggio: restano frammenti, rimane il fare solitario

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