Concerto variato
By Carlo Linati
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Concerto variato - Carlo Linati
Concerto variato
Copyright © 1933, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728327746
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
NOVEMBRE ’17
Un lungo sibilo nell’aria.
— Eccolo, eccolo!
Poi uno schianto squarciato che par sconvolga e butti all’aria tutta la città. Noi dalla saletta dove ci troviamo si esce nell’andito dove molti soldati discorrono impauriti.
— Dov’è caduto?
Chi dice qua, chi là: chi sul ponte, chi sulla stazione. Qualcuno mette fuori il naso dall’uscio ma subito si ritira perchè un altro ululo e un altro schianto fendono di nuovo l’aria, terribilmente.
— Quando come me, — mi diceva jeri un collega che tornava da un’azione sulle Melette, — s’è visto uomini alzati da terra ricadere frantumati in fagotti di carne e sangue al suolo e file di cadaveri fatti verdi dai gaz da non più distinguerli dall’erba dove li avevan messi a giacere, (mentre, chissà, la mamma di quel povero ragazzo sarà laggiù in qualche abituro d’Apennino che agucchia le calze di lana pel figliolo lontano alla guerra) ecco mi viene un disgusto così forte per gli uomini, amici o nemici, che seppero organizzare un tale orribile inferno sulla terra che una pazza voglia mi prende di andarmene pur io nella voragine di un 305, sbriciolato per l’aria, senza più che resti di me alcuna traccia se non la piccola croce di legno che mia madre pianterà a ricordo nel giardinetto di casa nostra.
Soldato. « Il primo colpo è arrivato alle due. C’era un tenente, un terramatta, un bravo ufficiale, che ci aveva detto la sera prima: — Ragazzi, pronte le maschere! — Arriva il colpo. Fioli! Poi si vede a passà tutti quei diavoloni. Poi arriva un Generale, ci raduna sotto un portone e ci dice: — Voi che Compagnia siete? — La seconda lanciafiamme. — Si prenda i suoi uomini e si schieri dalla parte del fiume. — Ma lì fuor del paese cominciano ad arrivà altri colpi di fucile. Fioli! Allora siamo fuggiti. Abbiamo fatto di corsa tutta la strada da Udine a Cividale. Lì si fece un po’ di resistenza. In capo al ponte c’era una mitragliatrice che sparava, e tanto fin che ci fu quella signorina lì che cantava bene…. Ma poi arrivò una autoblinda e svlam! d’ un colpo la imbroccò e la fece tacere. Allora ce la siamo dati tutti a gambe e fuggi fuggi, io mi son fermato al mio deposito a Montecchio Parmense ».
Vorrei descrivere la tua casetta, piccola Lucia, quella squallida casa di guerra aperta a tutti gli ufficiali di passaggio, con quei lettini mezzi diroccati dove tu dovevi rimutar le lenzuola ad ogni nuovo ospite e le camere che davano sulla via stretta e fangosa rintronante di camions, di voci avvinate, di canzoni d’Arditi e di Bersaglieri, e te che in una vesticciola di saja nera, con le tue screpolate manuccie da maschiotto ti davi in faccende, ed ogni tanto ti fermavi ad ascoltare il complimento del tenentino alle tue forme tenerelle, a quei tuoi occhi, timidi miosòtidi. Nel tuo solaio scorrazzavano i topi ma il gattone bianco che sempre dormiva nell’atrio sopra una vecchia valigia non se ne dava per intesa. E vorrei ricordare quei grappoli d’uva pàssera che tenevi appese alle travi dell’andito il giorno ch’io ti presi in braccio e ti issai a prenderne uno: poi tu scivolasti giù e io ti baciai di frodo sulla guancia fragolina.
Su una 18 B L in una mattinata di Giugno si parte a stendere una campata di filo telefonico laggiù in fondo alla pianura. Il camion e un piccolo, rude mondo guerresco che va. Seduto sul bordo guardo intorno a me questa improvvisata riunione di figure. Un soldatino col tascapane. Un caporale con • la pipa. Due alpini. Un guardiafilo. Un « Aeroplano ». E tutti o accosciati o seduti o semisdraiati sul materiale accatastato in fondo al camion. Lappolèggiano gli occhi guardando lo stradone dritto, mezzi trasognati in quell’aria che percote, accarezza. E al di là vedo il paesaggio fuggire, rigato dalla velocità e i campi di grano tra gelsi picchiettati di rosolacci, e sui gelsi, appollaiate come sirene, queste graziose fanciulle vicentine a coglier foglia.
E il piccolo mondo va, corre. Fischietta attraverso paeselli pieni di comari, di galline e di bimbi: esce su vialoni fiancheggiati da tigli e da frassini, passa sopra un argine, si dilunga per una callaia.
Ogni tanto dal mezzo della strada un soldato alza la mano. La macchina si ferma. Il soldato s’arrampica su per di dietro: entra, saluta, siede, è dei nostri.
Il centralinista di servizio, seduto davanti al quadro Kellog, cuffia in testa, chiama e risponde togliendo e inserendo svelto le spine rossiccie nelle varie buchette con un moto convulso delle dita.
— Sì, pronto Bassano. Eccolo. Pàrlino…. Dammi il Comando della terza Armata. Pronto Castelfranco? Vicenza, dammi il Comando dell’Armata francese. Brigata Regina, Brigata Regina! Eccola!…
La stanzetta intorno è rischiarata soltanto da una candela infilata nel collo di