Girevoli Silenzi
By Marzia Dazzi and Marzia Iori
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Girevoli Silenzi - Marzia Dazzi
Prefazione
di Mattia Rossi
Domenica, 8 marzo 2020.
Per gran parte d’Italia e d’Europa è stata una giornata come tante altre.
Non per tutti, però, perché già da un paio di settimane due aree dell’Italia Settentrionale sono isolate e, in alcune Regioni, le scuole sono chiuse.
Chi si fosse avventurato per Milano, ad esempio, l’avrebbe trovata semivuota. Il virus misterioso (quindi pericoloso), che sembrava solamente un problema dei cinesi, era comparso anche in Italia. Senza però che gli animi si turbassero più di tanto: sembrava fosse un problema soltanto di alcuni lombardi e qualche veneto. E comunque, la questione, per quanto insolita, si sarebbe risolta per il meglio. Già da un po’ gli italiani se lo ripetevano, se ne convincevano, lo scrivevano su cartelli colorati e sui social media: andrà tutto bene. Fino all’8 marzo: quella sera è stata annunciata la quarantena per tutta la Lombardia e, il giorno dopo, per l’Italia intera. Comincia, così, il distanziamento sociale.
Subito qualcuno ha detto che la formulazione non era corretta: Sarà un distanziamento fisico, non sociale
. Invece, l’esperienza ha mostrato che le due cose vanno insieme. Ognuno dentro la sua casa, forzatamente cieco e sordo a chiunque altro: che cosa stava succedendo, realmente, nelle altre abitazioni?
I racconti di Marzia Dazzi e Marzia Iori, tutti ispirati a testimonianze reali, ci portano dentro le case e le storie degli altri
. Ci fanno realizzare, per contrasto, che cosa significhi davvero distanziamento sociale e che cosa può succedere nelle sue mille pieghe e recessi.
Durante l’isolamento, siamo ricorsi al linguaggio bellico perdendo forse di vista una differenza fondamentale: durante i bombardamenti, le persone si ritrovavano insieme nei rifugi e, per la maggior parte del tempo, erano libere di circolare e di aiutarsi liberamente a vicenda. Questa presunta guerra contro il virus, invece, ha portato divisione e solitudine. C’è stata la solitudine di individui privati della socialità, che per l’animale Homo Sapiens Sapiens è parte costitutiva e per nulla accessoria. C’è stata la solitudine di persone che già vivevano da sole, magari anziane, acciaccate, economicamente fragili; quella di chi si è sentito abbandonato nella rovina di un sistema collassato; di chi è morto in un ospedale lontano da tutti e da tutto e di chi, dopo queste morti, è rimasto dolorosamente solo.
E a tempesta placatasi, mentre ancora stava piovendo fitto, siamo usciti dalle nostre tane, storditi e guardinghi, guidati dall’istinto di sopravvivenza che ci fa guardare i nostri simili con diffidenza e sospetto.
Le pagine di questo libro sono un buon punto di partenza per il dopo
. Vanno a ripescare singole storie e le accostano le une alle altre, così che le possiamo collegare tra loro. I protagonisti di questi racconti sono colti nei loro tentativi di comunicare con l’esterno, oltre il perimetro dell’isolamento imposto.
Il libro, nel suo complesso, è recupero del valore delle vicende individuali, riconoscimento del loro essere mattone costitutivo di una società necessaria. È, inoltre, sottolineatura di un bisogno fondamentale evidenziato dal Covid: quello della connessione autentica. È roba
che è stata piuttosto trascurata, a occhio e croce, negli ultimi decenni. Chissà che non rimanga con noi anche questa consapevolezza, fra le tante eredità che riceviamo dalla pandemia.
Giacché, no: non è andato tutto bene. Per niente. Adesso, però, possiamo cominciare ad agire perché, d’ora in poi, tutto possa andare meglio.
Bergamo
Non so dove sia adesso. Sono arrivati, indossando scafandri, e dicevano non toccatelo, non toccatelo. Nemmeno io, che lo avevo appena vestito, potevo avvicinarmi. Gli ho messo il vestito buono, ovviamente. Tutti noi avevamo le mascherine... è stata l’ultima volta che l’abbiamo visto. So solo che non c’è ancora la possibilità di sistemarlo, di fare il funerale. Ormai è più di una settimana! Me l’hanno portato via e poi più niente.
Pensa zia che almeno era lì con te, che sei potuta stargli accanto fino all’ultimo. C’è gente che viene portata in ospedale e non torna più, senza avere vicino nessuno.
Sì, è vero, almeno lui in dieci minuti… ed io ero lì. Tutto il mio dolore quasi si stempera in mezzo a questa devastazione collettiva, che è peggiore dell’inferno. Qui, tutti quanti hanno perso qualcuno, qualche affetto, amici, parenti, conoscenti e nessuno ha dato l’ultimo saluto ai propri cari. E poi, Elena, dovevi vedere quella fila infinita di furgoni militari pieni di corpi, l’uno in fila all’altro, carichi di corpi, capisci? Li ho visti con i miei occhi. Adesso ho paura: ho ancora un po’ di febbre e nausea. Il mio medico dice che è una forma del corona. Pensa al mio medico! Quel poveretto ha famiglia, ogni giorno è sul fronte e non ha le mascherine! Mancano anche in ospedale…
Maledette mascherine! E quasi piange, ma quasi
, perché a Bergamo non si piange, o si cerca di non farlo, anche quando il cuore è stracolmo di dolore. L’imperativo di questa comunità è di andare avanti, nonostante tutto, con più dignità possibile, anche in mezzo all’inferno. Anche per lei, mia zia, che ha perso suo marito. Era già malato ed è stato percosso dal virus con un colpo mortale.
Zia com’è possibile che manchino le mascherine anche in ospedale? In una regione così efficiente… è perché non c’è un adeguato rifornimento?
Che cosa vuoi che ti dica? È così!
Non ci posso credere… e Mattia?
Per fortuna a Seriate, per ora, ci sono ancora le protezioni.
Bel periodo è capitato a mio cugino, per fare la specializzazione in medicina!
Le strappo un mezzo sorriso, amaro e amorevole, nei confronti del giovanissimo nipote, che ha appena finito il corso di studi in medicina e si trova già nella più cruenta delle trincee.
Vedo al telegiornale che suonano i tamburi e cantano dai balconi in qualche città. Li capisco. Da un lato è anche bello, ma qui non ci riusciamo. Non ci riusciamo proprio. La città è in lutto ed io ho paura! Non so quando tutto questo finirà!
"Zia, è sicuro che finirà, nessuna notte