Fare Pace con Se Stessi: Lascia andare il passato per tornare alla vita
By Osho
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About this ebook
«In cuor loro, tutti aspirano a vivere la vita con totalità, ma la società non te lo permette, la cultura te lo impedisce, la religione ti controlla, la famiglia ti tarpa le ali. Siete tutti circondati da persone interessate a non farvi vivere totalmente. […] Grazie all’uomo totale, l’intera struttura della vostra società crollerà!». - OSHO
Il bisogno di ritrovarsi, di sentirsi in pace con se stessi: questi i fili conduttori delle risposte di Osho alle domande di persone che si sono ritrovate a fare i conti con le proprie scelte, ma soprattutto con la necessità di uscire da una crisi esistenziale, un conflitto ormai ingestibile, un vicolo cieco, una perdita o una sottile mancanza “indefinibile” diventata tuttavia innegabile.
In questo libro si confrontano due realtà: da un lato singoli individui che hanno compreso che sentirsi davvero realizzati è l’elemento vitale che dà un senso all’essere venuti al mondo, dall’altra un Maestro che è uscito alla luce, permettendo alla propria consapevolezza di brillare in totale libertà e pienezza.
Con questo libro scoprirai:
- come conoscere la realtà del tuo essere
- che sei molto più di quello che credi
- come vivere con totalità
- e molto altro ancora.
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Fare Pace con Se Stessi - Osho
Premessa
Alla ricerca
del proprio essere
Il viaggio della vita non è altro che un lento e perenne processo di conoscenza di se stessi. A ogni passo, con ogni decisione da prendere, con ogni azione o scelta fatta, aggiungiamo qualcosa che a volte dobbiamo poi lasciar andare o ampliare, via via che l’avventura del nostro esistere porta a un cambiamento, a una svolta, a prendere altre decisioni – spesso passi inevitabili perché diventa impossibile non vedere che la vita reale è altro da ciò che si sta vivendo.
Al di là dei giri tortuosi ai quali ci si costringe, tralasciando i vicoli ciechi e le fosse che da soli scaviamo nel nostro procedere a tentoni, potrebbe essere utile una messa a fuoco sull’incredibile avventura trascendente
alla quale il nostro semplice essere al mondo ci chiama costantemente.
Osho ha narrato spesso un’antica storia Sufi che illustra perfettamente il perenne andare avanti
cui siamo spinti e chiamati...
Il mondo continua a prometterti una felicità che non raggiungerai mai; speri di trovarla, ma incontri solo sofferenza: sulla porta c’è scritto felicità
ma, una volta entrato, trovi soltanto dolore. Esiste, dunque, la felicità del mondo, che è falsa, ma esiste anche la beatitudine del divino, che è reale. In mezzo a queste due realtà c’è il Maestro, che è la soglia, il varco attraverso il quale passi dalla dimensione del mondo a quella del divino.
Tuttavia, se il Maestro è un vero Maestro, ti rivelerà che è possibile raggiungere una felicità ancora più grande e ti consiglierà di non essere così ansioso di rimanere aggrappato a lui. «Abbandonando il mondo, hai trovato me» ti dirà «ma se ti lascerai alle spalle anche me, raggiungerai la realtà assoluta. Ascoltando i miei consigli, hai lasciato andare il mondo e hai trovato una felicità immensa; continua ad ascoltarmi: se lasci andare anche me, troverai la felicità eterna!». Prima di quel momento, ti succederà più volte di aver voglia di fermarti e sistemarti; raggiungendo un luogo meraviglioso, ti domanderai come possa esistere un posto più bello di quello, ma non fermarti: continua a camminare!
Ascolta questa antica storia Sufi.
Un mistico andava tutti i giorni a meditare nella foresta e incontrava sempre un boscaiolo che tagliava legna. Il saggio era dispiaciuto per quell’uomo: pur essendo molto vecchio – doveva avere almeno settant’anni – continuava a tagliare legna e a portarsela a casa. Era pelle e ossa; il suo corpo era emaciato e camminava ormai con la schiena curva.
Un giorno il mistico gli disse: «Ascoltami, vecchio pazzo! Hai tagliato legna per tutta la vita, perché adesso non provi a spingerti un po’ oltre?».
«Cosa ci sarà mai un po’ più avanti?» rispose il boscaiolo. «Nient’altro che alberi! Ormai sono vecchio e non posso camminare molto; ho già difficoltà a venire fin qui: cosa otterrei se mi addentrassi oltre nella foresta?».
«Dammi retta» insisté il mistico «vai un po’ più avanti e troverai una miniera che, in un giorno, ti farà guadagnare più di quanto guadagni tagliando legna per un’intera settimana».
Il boscaiolo si addentrò nella vegetazione e trovò una miniera di rame: prese tutto il rame che riuscì a portare e, una volta venduto, gli fruttò denaro a sufficienza per tutta la settimana. Il vecchio era davvero estasiato: per sette giorni non ebbe più bisogno di tornare nella foresta, così prese ad andarci una sola volta alla settimana.
A quel punto, il mistico gli disse: «Non fermarti qui, spingiti ancora oltre: nella foresta c’è un’altra miniera!».
«E cosa dovrei farmene?» chiese il boscaiolo.
«Se ti addentri ancora di più nella foresta» spiegò il mistico «in un solo giorno guadagnerai denaro a sufficienza per tutto il mese, perché troverai una miniera d’argento».
Il boscaiolo si sentiva quasi costretto a dare ascolto al mistico, tuttavia replicò: «E perché dovrebbe importarmi? Per quale ragione dovrei fare questa fatica? Sono a posto così: ciò che guadagno è sufficiente e voglio solo essere lasciato in pace. Un tempo tagliavo legna nella foresta ogni giorno per guadagnarmi il pane, ma ora le cose vanno molto meglio; posso permettermi di venire nella foresta una volta alla settimana e godermi il tempo restante. Posso riposarmi e vivere agiatamente, perciò, per favore, non cercare di confondermi!». «Come preferisci» rispose il mistico «però dovresti provarci almeno una volta».
Il boscaiolo si incuriosì, si addentrò più a fondo nella vegetazione e scoprì una miniera d’argento: così cominciò a recarsi nella foresta solo una volta al mese.
«Devo rivelarti ancora una cosa» disse quindi il mistico. «Se ti spingi ancora oltre nella foresta, troverai una miniera d’oro che ti procurerà guadagno a sufficienza per un anno intero!».
Il vecchio non aveva voglia di fare altra fatica; era troppo anziano per affrontare ulteriori difficoltà, ma ormai aveva cominciato a fidarsi delle parole del mistico: dal momento che aveva dato prova di averci azzeccato per ben due volte, doveva per forza aver ragione anche questa volta.
«Una volta all’anno!» pensò il taglialegna. «Se è così, ho sprecato tutta la mia vita: mi sarei dovuto addentrare nella vegetazione molto prima! Questa foresta è sempre stata a mia disposizione, ci venivo ogni giorno, tagliavo un po’ di legna e me ne andavo; restavo ai margini e tornavo a casa: non mi è mai neppure venuto in mente che all’interno si nascondessero altre ricchezze!».
Si addentrò dunque più a fondo fra gli alberi e trovò una miniera d’oro, così da quel momento prese ad andare nella foresta solo una o due volte l’anno.
«Stai diventando sempre più vecchio» gli disse allora il mistico «spingiti ancora un po’ oltre! Sei proprio uno sciocco: perché non ci arrivi da solo?».
«Cos’altro potrei trovare?» chiese il boscaiolo. «Non esiste nulla di più prezioso dell’oro!».
«Ti sbagli,» rispose il mistico «spingiti più in profondità!». Addentrandosi ancora di più nella foresta, il boscaiolo trovò una miniera di diamanti e le gemme che raccolse in un giorno sarebbero state sufficienti per una vita intera!
A quel punto non tornò più nella foresta, così un giorno il mistico andò a casa sua e gli disse: «Sei forse pazzo? Perché non sei più tornato nella foresta?».
«Perché mai avrei dovuto farlo?» chiese il boscaiolo. «Ho ricchezza a sufficienza non solo per me, ma anche per i miei figli: è stato sufficiente andare nella foresta una volta sola!».
«Vai oltre!» insisté il mistico.
«Cosa potrà mai esserci oltre i diamanti?» indagò il boscaiolo.
«Io esisto al di là dei diamanti!» rispose il mistico. «Vieni!».
Il boscaiolo si addentrò ancora una volta nella foresta e vide che il mistico stava seduto al di là dei diamanti, immerso in una quiete assoluta: la pace che emanava era incredibile. Il boscaiolo si scordò di ogni cosa e quando si inchinò ai piedi del mistico, non riuscì più ad alzarsi. Passarono le ore... non aveva mai conosciuto una pace e una beatitudine simili: era un flusso inesauribile di linfa vitale. «Razza di pazzo!» strillò il mistico. «Ti sei fermato di nuovo? Vai avanti!».
«Ma cos’altro potrei trovare?» obiettò il boscaiolo. «Non ho mai sperimentato una beatitudine più grande di questa!».
«Vai avanti!» insisté il mistico. «Il divino ti aspetta!».
... Vai avanti, vai oltre! Rimanendo ai piedi del Maestro si prova una felicità che, paragonata al mondo, è superiore a qualsiasi cosa tu abbia mai conosciuto, ma in confronto al divino è irrilevante. Prima di aver raggiunto l’essenza divina, dunque, non dovresti fermarti!
Ebbene, è questa la ricerca del Vero a cui Osho ha invitato, un invito raccolto da centinaia di migliaia di persone negli ultimi decenni e che ancora oggi nel mondo ha un’eco che supera i limiti angusti del tempo e dello spazio, all’interno dei quali noi tutti releghiamo le nostre potenzialità.
Nella serie di domande e risposte qui presentate, il ricercatore che è in noi viene portato alla luce, sollecitato, stimolato, alimentato e messo a nudo... la sensazione è davvero quella di trovarsi di fronte a uno specchio che permette di riflettere su ciò che si è e dove si è, senza vie di fuga possibili o credibili. A meno che non si scelga di distruggere quello specchio, nel tentativo di sistemare le cose una volta per tutte!
Isaac Asimov, diversi anni fa, scrisse un racconto nel quale ipotizzava che dio aveva creato l’uomo raccontando una barzelletta a un gruppo di scimmie.
Nell’ultimo capitolo di questo libro Osho sembra completare quel racconto dando una nuova prospettiva di comprensione, quando dice:
«Vi ho ripetuto in continuazione che sono soltanto uno specchio. Quindi se un asino – a donkey – guarda in me, troverà un asino; se una scimmia – a monkey – guarda in me, troverà una scimmia e se un americano – a Yankee – guarda in me... troverà un americano! La gente si arrabbia, si irrita, senza comprendere che ciò che la infastidisce è il suo stesso volto. E persino quel volto non è autentico, è una maschera: non è il volto originale.
Ho sentito di una donna bruttissima che distruggeva qualsiasi specchio le capitasse davanti. E la sua logica era molto chiara: «È lo specchio che mi rende brutta, altrimenti io sarei perfetta».
Le persone che si sentono infastidite da me, in realtà sono infastidite da uno specchio: se fossero solo un po’ consapevoli si accorgerebbero di essere infastidite dalla loro stessa vita. Non ne erano consapevoli: guardando nello specchio lo sono diventate. Anziché cambiare la propria vita e il loro modo di viverla, cercano di distruggere lo specchio; se così non fosse, non ci sarebbe stato alcun bisogno di crocifiggere Gesù. Crocifissero uno specchio, perché quell’uomo stava diventando un fastidio».
Oggi i modi per crocifiggere
sono più sofisticati, considerando peraltro l’assenza fisica della persona in questione e i nuovi modi di socializzare, condividendo troppo spesso le proprie bassezze. Ma sarebbe bene comprendere che per quanti sforzi si possano fare, con simili intenti si può soltanto fare del male a se stessi, sminuendo, infangando, oscurando o negando il proprio destino reale.
Ed è una possibilità che porta solo a ritardare qualcosa di inevitabile, perché arrivare a conoscere se stessi ed essere se stessi resta sempre e comunque l’intento intimo che caratterizza il nostro essere umani, quasi fosse inscritto nel dna: un giorno, tuo malgrado, ti svegli e ti rendi conto che nessuno verrà a salvarti... in quel momento, potresti provare una profonda gratitudine nell’avere di fronte a te uno specchio limpido, quale Osho riesce a essere.
In questo senso, le sue parole toccano qualcosa dentro di noi che attende soltanto la giusta sollecitazione per iniziare a vibrare di quella luce che anima l’intera esistenza. Il primo passo della rinascita di noi stessi in quanto individui.
Voi tutti siete nati come una pura opportunità di crescita. Per me, il sannyas – la ricerca del Vero alla quale vi invito – significa ricondurti a te stesso, qualunque siano le conseguenze, qualunque sia il rischio. Il sannyas è una rivolta contro tutte le società, tutte le culture, tutte le civiltà, perché esse sono contro l’individuo. Io sono assolutamente a favore dell’individuo. Posso sacrificare ogni società, ogni religione, ogni civiltà, l’intera storia del genere umano, solo per un individuo.
L’individuo è il fenomeno più importante.
*
Il sannyas è l’arte di essere soli. Se non impari a essere solo, non sarai mai un individuo come è tuo diritto, non sarai mai in grado di entrare dentro di te. La folla non può entrarvi, perfino il tuo amico più intimo, la tua amata, non possono venire con te, dentro di te. Devi andare solo. È un sentiero assolutamente privato, è il tuo privilegio. Nessuno può interferirvi. Lì è la sorgente della tua vita. Puoi chiamarla esistenza, puoi chiamarla Dio, puoi chiamarla verità. I nomi non hanno importanza.
Prologo
Sete di verità
«Devo conoscere la realtà del mio essere!»
Osho,
quali sono le qualità di un ricercatore della verità?
Ogni bambino nasce con un’innata sete di verità. Non è qualcosa che si impara o si adotta più tardi nella vita. Verità significa semplicemente: «Esisto, ma non so chi sono». E la domanda è naturale: «Devo conoscere la realtà del mio essere!», non è una curiosità. Queste sono le tre differenze... o meglio le tre categorie, in cui il mondo può essere suddiviso: ci sono cose che esistono, ma che non sanno di esistere e di conseguenza non c’è in loro alcuna apertura verso la ricerca. Sono chiuse, la loro esistenza è priva di finestre. Poi ci sono gli animali che sanno di esistere, ma non hanno l’intelligenza per indagare su ciò che sono. Le finestre sono aperte, ma la loro intelligenza non è sufficiente a guardare fuori e vedere le stelle, il cielo, gli uccelli e gli alberi; che le loro finestre siano aperte o chiuse non fa molta differenza, però ogni tanto qualche raro animale usa quella finestra...
È accaduto nell’ashram di Sri Ramana Maharshi, una delle persone più significative del XX secolo... non era un maestro, per questo la gente non ne ha mai sentito parlare, Gurdjieff e Krishnamurti sono più conosciuti. Nessuno sa più nulla di lui, sebbene molti abbiano familiarità con Sri Aurobindo e Ouspensky che erano soltanto degli insegnanti, insegnanti con una notevole profondità, ma non mistici.
Ramana Maharshi era un lago silenzioso di energia. Ogni mattina era solito sedersi per un satsang silenzioso, una comunione; non parlava mai molto, a meno che non gli chiedessero qualcosa, e anche allora le sue risposte erano molto brevi... avevano profondità, ma dovevi essere tu a cercare: non erano delle spiegazioni. Le sue opere si limitano a due o tre opuscoletti. Il suo insegnamento consisteva per lo più nell’essere in silenziosa comunione con i discepoli e naturalmente, solo pochissime persone trassero beneficio da lui. Ma ogni mattina, quando lui e le persone presenti si sedevano in silenzio, arrivava sempre anche una mucca che rimaneva fuori, ma sporgeva il collo all’interno, attraverso la finestra e rimaneva lì per tutta la durata del satsang.
Andò avanti così per anni: la gente andava e veniva, arrivavano nuove persone, ma la mucca rimaneva una presenza costante... e all’ora esatta, mai in ritardo! E quando il satsang finiva, lei se ne andava.
Un giorno non si presentò e Ramana disse: «Oggi il satsang non può accadere, perché il mio vero pubblico è assente. Temo che la mucca sia molto malata, o forse è morta, e devo andare a cercarla». Viveva su una montagna nel Sud dell’India, ad Arunachala. La mucca apparteneva a un povero taglialegna che viveva nei pressi dell’ashram. Ramana lasciò il tempio dove erano soliti incontrarsi, andò dal boscaiolo e gli chiese: «Cos’è successo? La mucca oggi non è venuta per il satsang».
Il taglialegna disse: «È molto malata e ho paura che stia morendo, ma continua a guardare fuori dalla porta, come se stesse aspettando qualcuno. Forse ti sta aspettando, sta aspettando di vederti per l’ultima volta. Forse è per questo che non è ancora morta». Ramana entrò e c’erano lacrime negli occhi della mucca. E morì felice, con la testa in grembo a Ramana Maharshi.
Questo è accaduto nella nostra epoca. Ramana la dichiarò illuminata e disse ai suoi discepoli che avrebbero dovuto costruirle un bel monumento alla memoria.
È molto raro che gli esseri umani si illuminino, ma è quasi impossibile che succeda agli animali, però quella mucca raggiunse la realizzazione; non rinascerà. Partendo dal corpo di una mucca ha oltrepassato tutto il mondo dell’umanità, è passata davanti e si è unita ai buddha.
Quindi, una volta ogni tanto – ci sono solo pochi casi – accade, ma non si può dire che sia la regola, è solo un’eccezione.
Le cose esistono, ma non sanno di esistere. Gli animali esistono, sanno di esistere, ma non hanno l’intelligenza per chiedersi chi sono. E non è una cosa di cui meravigliarsi, milioni di esseri umani non si pongono mai questa domanda... e costituiscono la terza categoria.
L’uomo esiste, è consapevole del fatto di esistere ed è in grado, per nascita, di indagare su ciò che è. Quindi non è qualcosa da imparare, coltivare, stimolare attraverso l’educazione, ma una ricerca che porti con te dalla nascita: tu sei quella ricerca!
La società ti distrugge. Ha modi e mezzi molto sofisticati per distruggere la tua ricerca, per rimuovere la domanda dal tuo essere, o almeno per nasconderla. E il metodo che utilizza è questo: prima che il bambino si sia mai chiesto chi è, gli viene fornita la risposta. E ogni risposta che arrivi prima che la domanda sia stata posta è inutile, è destinata a essere solo un peso.
Gli viene detto che è un’anima, che è uno spirito, che non è un corpo, che non è un essere materiale. Oppure, nei Paesi comunisti, gli dicono che è un corpo, unicamente materia, e che solo ai vecchi tempi, per paura e ignoranza, la gente credeva di avere un’anima: era soltanto una superstizione. Ma in entrambi i casi, il bambino riceve una risposta per qualcosa che non ha chiesto. La sua mente è delicata, pura... e lui si fida di sua madre, di suo padre, non ha alcun motivo per non fidarsi.
Inizia un percorso fatto di credenze, di fede e credere uccide la ricerca della verità. Il bambino diventa sempre più pieno di conoscenze; poi arrivano la scuola, l’educazione religiosa e non c’è più fine a quest’accumulo di conoscenze. Ma tutte queste conoscenze sono inutili, non solo inutili, ma velenose, perché già il primo passo è andato storto: non era stata posta alcuna domanda e già la risposta era stata impiantata nella sua mente... e da allora non ha fatto altro che raccogliere sempre più risposte; ha completamente dimenticato che qualsiasi risposta che non sia il risultato di una domanda è priva di senso. Quindi l’unica qualità di un ricercatore della verità è che non crede, che non è un credente; è pronto a essere ignorante, a non sapere, piuttosto che essere colto, perché l’ignoranza