La scienza che non c'è
By Tania Masi
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Book preview
La scienza che non c'è - Tania Masi
"I Siciliani non vorranno mai migliorare
per la semplice ragione che credono
di essere perfetti…"
Tomasi di Lampedusa
PREMESSA
Scrivere un libro non è impresa semplice, tutta la mia ammirazione per chi lo fa di mestiere, io non ho la passione della scrittura, è un’arte verso la quale non mi sento predisposta, ma ci sono delle motivazioni molto forti che mi spingono a intraprendere questa fatica per la quale mi ritengo del tutto inadeguata.
L’argomento non è allegro ed è difficile da trattare, ma è importante che mi cimenti in questo lavoro innanzitutto per me stessa, ma anche per altre persone che possono venire a trovarsi (o già si trovano) in una situazione simile alla mia.
Tendenzialmente i miei scritti sono molto sintetici, in questo caso però è necessario che descriva bene i fatti anche con il rischio di annoiare; ai miei due lettori dico "abbiate pazienza".
Allora coraggio! Si parte.
INIZIO
L’argomento che tratterò in questo libro è legato a un mio problema di salute e di come questo sia stato approcciato in maniera scorretta e successivamente si sia tentato di risolvere in modo errato riuscendo a peggiorare significativamente la qualità della mia vita.
So di non essere l’unica persona a cui è capitata una situazione simile, ma questo non mi consola anzi è motivo di sconforto e di preoccupazione.
In questo breve racconto non ci sarà solo la narrazione dei fatti, ma anche il tentativo di capire il motivo per cui si commettono tanti errori; mi rendo conto che l’obiettivo è ambizioso, ma nel fare questo intendo mettere a frutto la mia formazione universitaria scientifica e, con questa, analizzare le modalità di lavoro del personale medico, i loro comportamenti, le loro reazioni e alla fine illustrarvi le mie opinioni.
La mia potrebbe sembrare presunzione, ma non lo è. Nel corso della mia vita non mi sono mai permessa di formulare giudizi sull’operato di professioni che non conoscevo, ma in questo caso si sono superati i limiti della decenza.
LA SCOPERTA
L’argomento, come ho detto, è difficile da trattare, ma devo vincere reticenza e pudore, se lo troverete inaccettabile abbandonate subito la nave, vi ho avvertito.
Sono sempre stata stitica fin dalla nascita al punto che lo ero anche con il latte materno, mi ricordai di questa particolarità quando ero incinta di mio figlio perché lessi che tale latte è leggermente lassativo per il neonato.
Ho sempre avuto problemi con i quali ho convissuto per molti anni con varie difficoltà ed espedienti: qualche clistere da bambina, qualche lassativo, pochissimi in realtà perché sono di natura accorta e attenta e quando da ragazza notai che oltre ai fastidi e alla nausea mi cominciarono a comparire delle dermatiti su tutto il corpo, mi rivolsi al medico di famiglia che mi prescrisse di assumere crusca.
Questo rimedio, preso per anni, anche se risolse in parte i miei problemi ho il sospetto che non fosse l’ideale per me per almeno due ragioni, la prima è che il medico non mi dette indicazioni precise sulle modalità di assunzione e sulla quantità di acqua che avrei dovuto bere, la seconda è legata alla conformazione del mio intestino, ma questo lo scoprii molti anni dopo in una situazione di grande sofferenza.
Del resto dovevo fare qualcosa, avevo poco più di venti anni e c’erano già stati due episodi preoccupanti che riferii al medico di allora, ma dei quali non parlerò perché riguardano un passato ormai molto remoto.
Sono andata avanti per molto tempo con l’aiuto della crusca poi, dopo qualche anno dalla nascita di mio figlio, cominciai ad avvertire dei fastidi all’interno dell’ano e anche un po’ più in alto; pensando fossero emorroidi e non volendo andare dal medico per pudore chiesi a mio padre il nome delle supposte che adoperava per sé, le provai, ma non ottenni alcun miglioramento. Il secondo tentativo fu quello di sospendere la crusca ed ebbe un buon risultato, con mia sorpresa l’intestino continuò a funzionare anche se in modo discontinuo.
Dopo qualche tempo, che non so quantificare esattamente, cominciai ad avere la sensazione che le feci avessero difficoltà a progredire nel colon, sentivo una pressione in basso a destra nell’addome che continuava a scendere e solo dopo quasi un’ora riuscivo a evacuare perché il materiale fecale era arrivato nel retto. Le feci erano collose e attribuii a questo la difficoltà di discesa. Spiegai la mia sintomatologia al medico di famiglia, specializzato in Gastroenterologia, che mi prescrisse dei fermenti lattici, ma non ottenni risultati.
Avrei dovuto rivolgermi a qualche altro specialista nel campo, ma poiché i sintomi descritti non si manifestavano sempre e inoltre avevo il lavoro, la casa e il bambino da seguire rimandai, anche se riferii puntualmente al mio medico che la cura non aveva avuto successo, ma da lui non ottenni ulteriori indicazioni.
Dopo poco tempo cominciai ad avvertire bruciori e fastidi nel retto dopo la defecazione che permanevano nel tempo finché diventarono continui e insopportabili.
A questo punto mi decisi a consultare un proctologo pensando di avere le emorroidi.
Il medico me lo suggerì una mia amica e lo chiamerò dottor Arancione.
Lo specialista mi ascoltò brevemente, mi visitò e mi disse che avevo un rettocele cioè un’ernia del retto, mi prescrisse una defecografia cioè un’indagine atta a quantificare l’entità del danno e, scoperta successiva, ad accertare che non ci fosse un enterocele cioè un abbassamento del tenue; inoltre dichiarò che dovevo essere operata, era l’unica cosa che potesse risolvere il problema perché non c’erano né compresse né creme che potessero togliere un’ernia.
Queste sue parole mi fecero una pessima impressione, anche il suo atteggiamento di saccente superiorità mi risultò molto antipatico. Mi sentii offesa dalle sue parole, questo signore non mi conosceva, ma aveva già stabilito che io non fossi in grado di capire che un cedimento dei tessuti non potesse essere risolto se non chirurgicamente. In merito alle feci collose si limitò a dirmi che sarei potuta andare da un gastroenterologo.
In ogni caso feci la defecografia e gli portai il risultato, c’era appunto il rettocele e un prolasso della mucosa del retto, per il resto tutto andava bene, affermò che dovevo decidere se effettuare l’intervento, questo dipendeva da me e dall’entità dei disturbi.
Mi sentii investita di una grossa responsabilità, avevo un problema la cui unica soluzione era rappresentata da un intervento chirurgico, inoltre dovevo stabilire io se farlo o no, non avendo nessuna conoscenza su rischi e pericoli, gli chiesi che esito avessero queste operazioni e mi rispose vagamente che in genere si otteneva un miglioramento.
Restai molto perplessa e mi sentii completamente abbandonata a me stessa.
Ciononostante qualche giorno dopo lo contattai telefonicamente perché i fastidi si presentavano tutti i giorni e persistevano per molte ore. Non fu per niente cordiale, mi disse che lui era stato chiaro su ciò che dovevo fare e sbuffando mi prescrisse dei piccoli clisteri per ripulire la parte.
Feci i clisteri, ma questi sembravano richiamare altro materiale fecale e non toglievano i disturbi.
Dopo aver riflettuto sulla modalità di comportamento di questo medico decisi di abbandonarlo.
IL LUMINARE
Aspettai qualche mese non sapendo cosa fare, poi mi ricordai che mio suocero, qualche anno prima, era stato operato con successo di un prolasso mucoso del retto da un proctologo molto famoso e a suo dire molto bravo.
Tutto era andato bene.
Mi recai quindi da tale medico (dottor Bianco).
Fu molto cordiale e mi spiegò che in genere in questi casi si tentava prima una riabilitazione e che l’intervento come primo approccio era sconsigliato, mi disse che la sua riabilitatrice al momento aveva problemi di salute e che avrei dovuto aspettare l’inizio dell’autunno, periodo nel quale lei sarebbe tornata al lavoro.
Mi sembrò la cosa migliore da