Naso e più
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Book preview
Naso e più - Pasquale Panella
PREFAZIONE
Rinomanzie di Lucio Saviani
NASO
Aspirazioni e Ispirazioni
E PIÙ
Soffiate e Starnuti
RINOMANZIE
di Lucio Saviani
Il naso è per me il contrafforte del cervello.
Chiunque comprenda, anche a metà, la teoria
dell'arco gotico, comprenderà l'immagine
del contrafforte. Poiché è sul naso che sembra
riposare tutta la forza della cupola della fronte,
che sennò precipiterebbe miseramente
sulla bocca e sulle guance.
JOHANN WOLFGANG GOETHE
Benedetto il Signore, che accade?
Tutto quello che accade in queste pagine viene ricostruito alla fine, come in un prologo rimesso in piedi, da un secondo testo che parla di un monologo, che a sua volta racconta di pagine scritte decenni prima, pagine da cui, a detta di chi le scrisse, cominciavano a cader giù le parole, a scivolare tra la carta e le dita. Parole scritte decenni prima, alla fine degli anni sessanta, allo scadere di un decennio tondo, anni di plateali infondatezze, di crisi dei fondamenti, di teatri infondati.
È tutto un precipitare, in confusa baraonda, di pavimenti e di soffitti sul pavimento, un continuo crollare, cadimenti, soffitti sfondati, disfacimenti, fatiscenza in corso
, cedimenti di gambe e crolli a terra, come da mal caduco, cadute di braccia, cose piovute dal cielo.
È caso ogni azione accaduta, che accade o che stia per accadere o, come accidente, accade senza necessaria ragione. E qui è tutto un darsi di casi, nel caso che si diano.
Qui ci sono tutti i casi che i verbi reggono per le svariate cadenze dei nomi: come si dice, si fa caso d'ogni cosa, a cose minime come fossero grandi accadimenti.
Ed è anch'essa baraonda, barabuffa, sarabanda: Renard, De Amicis, Wilde, Rostand, Hemingway, Artusi, (...) nomignoli da Shakespeare, musichette mattutine e soleggiate di Giordano, notti orientali di prima mattina, cose di questo mondo crudele e cose dell'altro Mondo inevitabile di Pannunzio, astronomie zuccherate a velo, teatrini e cinemini, l'Iliade scolastica, vasetti di marmellata per le dita, di marca Sarraute, Sollers, Butor, Robbe-Grillet – tanto per dire i tempi
.
Leggiamo che la baraonda è storna
:
Storno è il manto
del cavallo nero con ciuffi bianchi
di peluria stellare, e il termine deriva
dalla livrea dello storno,
il volatile che, sul petto, s'ammanta
di volta notturna con corpi
celesti tra le piume:
un planetario impettito, convesso.
Ma noi, i lettori, confusi nella baraonda portiamo un ordine; così, come un anagramma, spostiamo cose, la baraonda storna facciamo nostra
. E allora troviamo riparo sotto quell'arco: il testo non crolla, l'arco gotico è sorretto dal protagonista, Naso, che è il suo contrafforte. Su Naso riposa tutta la forza della cupola del testo. Eccolo, il protagonista: Il naso è veramente difficile a dirsi con altre parole. Cos'è? Una rocca, un picco, uno stambecco in cima, un capodoglio in vetta? Ma che? Una penisola, i cannoni di Navarone, lo scandalo di una meridiana al sole, Giovanna d'Arco al cinema e non nella realtà? Sarà per caso un missile o il becco di un annaffiatore? (...) O sarà il solito terribile masso cadente o, per estensione, una sorta di giudizio universale incombente sulle bocche ciarlatane? Oppure è l'avanguardia del tapiro? Signore, un tiro, un tiro, signore. E ringrazia il cielo che non ci si chieda cosa sia il cuore. Ma forse anch'esso è un naso, e non c'è altra parola, un naso che soffia e tira su, dentro il fazzuolo umano
.
L'arco è gotico. Ma lo è perché questo Naso è un argotiere. Art gotique, mascheramento omofono di argotique. Ogni cattedrale gotica è un capolavoro di argot, la lingua di tutti quelli che si scambiano parole senza voler essere capiti da chi gli sta intorno. La lingua argotica, bandita dalla buona società, la lingua dei vagabondi della Corte dei Miracoli con Villon in testa, di chi vive fuori protocollo, la lingua degli iniziati, dei bisognosi dell'incomprensibile: ...chi può dire cosa accade veramente? È molto più difficile dire le cose in realtà che dirle in poesia. Anche quella è un'arte, la realtà, più del realismo
. Chi sa l'argot sa fiutare l'aria che tira, sa sentire lo spirito del tempo, che è sostanza volatile, svapora, evapora, vola via e ha l'aria d'esserci.
Naso è chi nella parola baraonda
, nel rumore confuso dei molti che parlano insieme, riesce a sentire l'antica voce Baruch-Adonai, ossia: Benedetto il Signore.
NASO
Aspirazioni e Ispirazioni
Una cosa
senza capo
né coda,
solo naso
Il naso è il titolo
Il naso è un personaggio
Il naso, questo organo angolare
Nell'infanzia, ogni Domenica, ero portato a messa in quel punto lì della chiesa, sulla destra, accanto a un altarino minore dedicato a non so quale santo scuro, ritratto nel quadro sopra l'altarino, un viso in una barba nuvolosa sopra una collina arrugginita che era il corpo, il viso di chi guarda in alto che tempo fa ma non vede niente perché il cielo è più scuro della collina, il cielo dipinto, annerito dal fumo delle candele e del tempo, e dai fiati della gente che respira d'inverno e d'estate, nel cappotto o nel cotone leggero, i petti delle donne coperti dal fazzoletto da naso spiegato sul petto. Il viso di un santo calvo, tondo in testa, un viso che credevo fosse la luna, la luna col naso, la luna dietro la nuvola rischiarata dalla luna. Anche la santità è paesaggio. L'altare maggiore era laggiù, oltre le schiene, i capelli, le alopecie, le natiche, i fianchi, le gonne, i pantaloni, le gambe con le calze o senza. Insomma, le funzioni religiose non somigliano agli spettacoli ma gli spettacoli somigliano alle funzioni religiose, anche alle processioni. Peccato che non si illuminano più con le candele, gli spettacoli.
Dopo l'adolescenza, appena appena giovane, misi il naso nel teatro. Il resto della testa era, come adesso, altrove. Altrove dove?
. Altrove è dove non si lascia traccia, quindi non mi chiedere dove, mia cara lettrice. Ma è il posto nel quale ci siamo già visti quando anche tu eri altrove, e dove ci vediamo e dove ci vedremo, altrove.
— Il naso nel teatro? Solo un naso? È possibile?
— È possibile, sì.
Tutti gli arredi della scena, gli addobbi, i paramenti sono di cartone. Anche le candele se ci fossero sarebbero di cartone. È anche gradito che qualche personaggio urti le scene e che le scene cadano, e anche chi le urta ci cada sopra, con quel piacevole rumore di crollo innocente. Ma senza farlo apposta, questo è importante. Se qualche scena cade, bene. Se no, non fa niente, provvederemo poi a far crollare tutto, mano mano, per ottenere quello che a teatro si chiama un vero e proprio tonfo.
Anche gli orchestrali sul palco sono di cartone, coi vestiti disegnati, protetti dagli scudi come gli orchestrali delle grandi orchestre. Sugli scudi è stampato il nome dell'orchestra o soltanto la cifra, un emblema immediatamente riconoscibile, perché l'orchestra deve sembrare famosa anche se non lo è. Anche il direttore d'orchestra è di cartone. Il Coro, un Coro a tre, femminile, è in carne e ossa, pur sembrando una finta spalliera di fiori veri dal gambo osseo e dai petali carnosi. Il Coro è vestito e acconciato infatti da una fioraia, anzi è rilegato, come i quaderni intimi della fioraia, in carta di Varese, svariate carte fiorate a gigli ma anche a fantasia, peonie, margherite, vortici di petali convulsi, draghi soffianti le zaffate rosse, carte adatte ai quaderni dei pensieri d'amore. È veramente un trittico scultoreo, il Coro, una decorazione d'altare di autentica scuola festevole canora a tre scomparti richiudibili, scontroso, tutto sulle sue, professionale quindi disinteressato, anche alla descrizione che qui se ne fa.
In carne e ossa è Naso, nome che non significa niente se non naso. È assolutamente inutile attribuirgli altri significati. Per il naso i significati sono mosche, meglio lasciar perdere. Chiamiamolo Naso. Sul palco, ogni tanto, qualcosa cadrà dal cielo, dal soffitto sfondato. Lo squarcio è sentimentale, come se fosse provocato da commoventi versi laceranti, gravosi, erosivi, pressanti lassù sul pavimento che da quaggiù è un soffitto. È un teatro pericolante, questo. Il soffitto è cavernoso, il pavimento di sopra pende verso i bordi del cratere, ogni tanto qualcosa dirupa. Al contrario di un vulcano, la voragine non erutta, digerisce sul palco. Insomma cadono arredi, piccole cose a prescindere dal gusto, piccoli mobili con tutti i soprammobili che si frantumano scherzosi, cose che normalmente sono elencate ad apertura di copione per descrivere la scena: una coppa sportiva, un attaccapanni a quattro zampe che sembra un cervo denutrito che allunga il collo ma ha bellissime corna simmetriche, un vassoio di metallo sonante che fa la sua bella entrata da gong quando tocca il suolo, poi rimane lì, piatto e insignificante, un inevitabile tavolino d'angolo da scena inglese che finalmente si spezza le gambe sottili cadendo, e diventa un tavolino da pavimento. Però non cade il lampadario a gocce di cristallo, che resta appeso al suo soffitto e ogni tanto tintinna per tremito o per fremito.
Una piccola catastrofe sulle nostre teste, una fatiscenza in corso, una rovina, un degrado, un disfacimento, un accumulo di detriti erranti come sinonimi di un lemma che cola. Ma non che ce ne importi molto, anzi tutto questo rovinare lo ignoriamo: sta appunto a significare la nostra indifferenza, tanto per dare l'idea che noi e il lampadario ci sentiamo veramente estranei a tutto questo.
Qualcosa ci sarà sotto sotto, sotto le cose piovute dal cielo? Sì, c'è, è la sagoma di cartone del presentatore, distesa, appiattita, schiacciata, anche trafitta da un forchettone a due punte per arrosto, conficcato obliquo nel legno del palco dopo aver trapassato la sagoma. Si riconosce che è un presentatore perché non può essere nient'altro.
Le teste degli orchestrali sono ritagli tondi di cartoni pallidi, sui quali sono disegnati cerchi concentrici di colori diversi, vivaci.
Gli occhi del Naso sono due palline da ping pong. Le orecchie sembrano, anzi sono due salsicce intorno a un piatto di polenta che sarebbe il viso, perché il viso è un miscuglio confuso, è un mascheramento, ogni mimica non è che un vortice, una girata di cucchiara in un paiolo.
C'era una volta, e un po' per tutti, la possibilità d'essere assenti. Così, qui, tutti faranno di tutto per non recitare le battute giuste e con i tempi giusti, per darsi ancora una volta