La doppia presenza
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La doppia presenza - Marco Rovelli
senza rotta
15
Marco Rovelli
La doppia presenza
arkadia editore
Sara è una diciottenne nata e cresciuta a Rozzano, nell’hinterland milanese. I suoi genitori sono venuti dal Bangladesh, ma di quel luogo lei sa ben poco. Eppure non è totalmente italiana: gli altri non l’hanno mai fatta sentire tale, e adesso sta prendendo coscienza piena di questa sua doppia natura. Una doppia assenza, o forse una doppia presenza. Quella di Sara è un’identità multipla e complessa, con cui deve avere a che fare, come tanti suoi coetanei, chiamati impropriamente G2
, seconda generazione di immigrati; dove, invece, loro non sono immigrati, ma nati in Italia, e dunque italiani. Sara ha un rapporto molto stretto, e insieme conflittuale, con suo padre Arun che da quando è arrivato in Italia dopo un viaggio faticoso ha sempre lavorato duramente. Ma lei di questa durezza nulla sa: non del suo lavoro, non del suo viaggio, e nemmeno della sanguinosissima guerra civile in Bangladesh nel 1971. La sua vita ruota intorno all’amore contrastato per Lorenzo e alla passione per il teatro. E sarà proprio a partire da questo che comincerà lentamente a fare i conti con la sua cultura, con tutto il rimosso che pure sta dentro di lei, e, insieme, con la sua natura di donna.
marco rovelli è nato nel 1969 a Massa, dove vive e insegna. Ha pubblicato le «narrazioni sociali» Lager italiani (Bur, Rizzoli, 2006), Lavorare uccide (Bur, Rizzoli, 2008) e Servi (Feltrinelli, 2009), i romanzi biografici La guerriera dagli occhi verdi (Giunti, 2016) e Il tempo delle ciliegie (Elèuthera, 2018), il romanzo La parte del fuoco (Barbès 2012; TerraRossa 2020). È anche autore di Con il nome di mio figlio. Dialoghi con Haidi Giuliani (Transeuropa, 2009), Il contro in testa (Laterza, 2012), La meravigliosa vita di Jovica Jovic (Feltrinelli, 2013, con Moni Ovadia), Eravamo come voi (Laterza, 2015), Cirque de la solitude (Papero, 2016), Siamo noi a far ricca la terra (minimum fax, 2021). Sue sono le raccolte di poesie Corpo esposto (Memoranda, 2004), L’inappartenenza (Transeuropa, 2009) e Cirque (Arcipelago Itaca, 2018). Come musicista ha fatto parte de Les Anarchistes. Da solista ha pubblicato gli album LibertAria (2009), Tutto inizia sempre (2015), Bella una serpe con le spoglie d’oro (2018) e Portami al confine (2020).
© 2021 arkadia editore
Collana di narrativa a cura di
Marino Magliani, Luigi Preziosi e Paolo Ciampi
Collana Senza rotta 15
marco rovelli
La doppia presenza
In copertina: Chitra (Chitraganeshbkny,
rielaborazione da originale del XVII secolo)
Realizzazione grafica A.DeCicco, Cagliari
Prima edizione digitale marzo 2022
isbn 978 88 68513 96 2
arkadia editore
09125
Cagliari – Viale Bonaria
98
tel.
0706848663
– fax
0705436280
www.arkadiaeditore.it
info@arkadiaeditore.it
L’editore rimane disponibile ad assolvere i propri impegni nei confronti
dei titolari di eventuali diritti della rielaborazione dell'immagine di copertina
La doppia presenza
1
Mio padre non sa quanti anni ha
. Sara continua a ripeterselo come per saggiare la verità di un fatto incredibile. Ha scoperto solo adesso che suo padre vive un altro tempo. Gli anni sono i passi del nostro stare al mondo, ma non per lui. Sa un più o meno, e quel che conta è solo un più, o un meno.
Non ha mai fatto un compleanno, Arun. E questo Sara l’ha sempre saputo, anche se non se n’è mai accorta. Lei sì, li faceva, ma era normale così, che fosse la figlia a festeggiare i compleanni, che il padre non ne facesse. Poi c’era la madre, lei li festeggiava, e Sara intuiva allora che fosse una questione di sesso, le femmine festeggiano, i maschi no. Tanto le bastava, i fenomeni naturali si accolgono come vengono, e intuizioni mitologiche sono sufficienti a darne conto. Solo a dieci anni Sara ha scoperto che il papà di una compagna di scuola festeggiava il compleanno, ed è stata come una rivelazione. Un miracolo, se è vero quel che dicono, che il miracolo è la collisione di due mondi. Ne chiese conto a suo padre che disse solo: «Non mi importa del compleanno, che ti importa di quando sei nato? Importa cosa sei e cosa fai.» E poi si richiuse nel suo silenzio. È sempre stata una persona silenziosa Arun. Non che le abbia fatto mancare affetto, tutt’altro, il suo silenzio è carico d’affetto, e Sara sa interpretare i suoi piccoli gesti e sguardi, ognuno spalanca un mondo, ci sono sguardi che stringono più di un abbraccio. E lo ringrazia, per questo, perché il suo silenzio le ha fatto comprendere che si tratta di vivere tutto ciò che la circonda come un enigma da svelare.
«Bambini, disegnate la vostra famiglia, i vostri genitori.» La maestra di religione ha spiegato il miracolo della resurrezione di Lazzaro, dice che Gesù ha fatto risorgere dalla tomba un uomo che era morto, e in quell’uomo noi vediamo la nostra condizione, insomma Gesù ci dà la nuova vita, e noi dobbiamo aspettarlo, dobbiamo credergli, volergli bene e aspettarlo. Sara conosce le storie di Gesù per sentito dire, e sa che quello è un uomo buono. Così le piace ascoltare quelle storie. E adesso che disegna si immagina che siano, lei, sua mamma e suo papà, vite già nuove, vite salvate e risorte, così attorno a loro disegna solo azzurro, un grande cielo infinito, è come se in quel cielo galleggiassero, fermi, immobili, senza terra sotto i piedi, luminosi, belli, senza sudore né fatica, quel sudore e quella fatica che troppo spesso vede sulla fronte del padre quando la sera torna a casa dal lavoro, quei pochi minuti che lo vede. Adesso sono tutti trasfigurati in quella luce, anche se Sara non sa cosa significhi la parola trasfigurati
, ma quella luce avvolge tutte quelle tre figure geometriche e colorate di rosa, un bel rosa splendente.
Intorno a lei ci sono bambini che non sono così rapiti, e si alzano dal banco, parlano, si tirano le penne, e la maestra di religione è indulgente, un po’ li lascia fare, sa che non si possono tenere inchiodati ai loro banchi dei bambini di sei anni, è mica una galera. Il vicino di Sara, che invece è seduto e sta facendo svogliatamente il suo disegno, si sporge per vedere quello della compagna.
«Ma te non sei mica rosa!» Sara non capisce. Lo guarda stupita. Che cosa sta dicendo quello stupido? Li ha sempre disegnati così i suoi, si è sempre pensata e disegnata così, rosa! Che cosa sta dicendo? «Tu sei marroncina, non sei rosa!»
Sara si guarda intorno, ma non c’è nessuno che possa dirle «Sì, questo bambino è uno stupido.» Adesso ci sono solo lei e il suo disegno. E quel bambino stupido che ha aperto un varco tra lei e il disegno. All’asilo no, all’asilo nessuno le aveva mai detto una cosa del genere. All’asilo erano tutti uguali, tutti rosa, punto e basta. I colori stanno negli occhi di chi guarda. All’asilo non c’era differenza negli occhi dei bambini. Ma adesso è diverso, e Sara avvampa, prova vergogna. Si sente come presa in fallo, t’ho beccata! Dentro di sé lo avvertiva che lei non era rosa come gli altri, il suo era un rosa differente: ma era pur sempre rosa. E se gli altri non le dicevano niente, voleva dire che il suo era davvero nient’altro che un rosa differente! Ma adesso è questa differenza che s’impone. Ed è in questo momento che Sara si installa nella differenza. Si sente come una bambina con un piede su una sponda – quella del colore rosa – e un piede su un’altra – quella del colore marroncino – e queste due sponde sono divise, anzi tendono ad allontanarsi, e lei fatica a mantenersi in equilibrio, è tutto un gioco d’abilità adesso, tenersi in piedi tra due blocchi di colore evitando di annegare nel fiume della differenza, sarà sempre così per lei, stare in bilico, equilibrista che rischia di cadere a ogni passo, una che non ha un colore solo, e ogni volta si tratterà di dosare il colore, di capire qual è il colore giusto. Se ce n’è uno.
Sara è bengalese, dicono. Lo dicono tutti, a cominciare dai suoi professori. Così Sara, che viene alla fine di una lunga catena di nominazioni, subisce l’imposizione e dice anche lei di essere bengalese. (In realtà dice di essere «del Bangladesh, vicino all’India», ché ormai conosce bene le ignoranze dei suoi interlocutori). Ma Sara bengalese non è. È italiana, invece, se italiano significa qualcosa. In Italia è nata, parla italiano e non conosce il bengalese, condivide in tutto e per tutto i gusti e le passioni dei suoi coetanei italiani. In Bangladesh c’è stata una sola volta, all’età di sette anni, e non ricorda quasi nulla. Eppure tutti la identificano con quella traccia di un altrove fantasma, e lei si rassegna a essere dislocata, accetta di essere separata da se stessa, e lo fa senza volere, con la grazia di chi non sa.
Rozzano, dove abita Sara, è un paesone dell’hinterland milanese. Si ritrova al parco con i suoi amici: si scambiano parole, amori, malignità, promesse di fedeltà, fumi, salive, immagini, miti, passioni, mani che si intrecciano, abbracci, pugni, spintoni, desiderio del nulla, il domani che incombe. Di fronte al domani, molti tengono gli occhi socchiusi, guardando di lato, o all’indietro: c’è solo il presente, e il futuro non è che una fantasia lontana, che un giorno verrà, ma adesso è solo una cosa da sognare e immaginare. E si cullano vicendevolmente nel presente, un presente che non finirà mai.
Sara è invece tra quelli che il tempo lo sentono. All’incombenza della scelta non si sottrae. E ne sente, inevitabilmente, il peso.
Se l’eterno presente è il