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La Chiave dei Due Mondi
La Chiave dei Due Mondi
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La Chiave dei Due Mondi

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About this ebook

Un sogno terribile, presagio di cattive sventure, turberà la quotidiana routine di Melody, ragazza adolescente, semplice, sincera e sempre gentile con tutti. Un trasferimento fatto in tutta fretta con il fratello maggiore e la sorella minore per sfuggire chissà a quale pericolo… darà inizio ad una serie di incontri con entità strane e misteriose e Melody arriverà a scoprire la verità… Lei è la Chiave e la sua missione sarà mantenere la pace e l’equilibrio tra i due mondi, quello degli umani e quello delle creature sovrannaturali che da sempre si fronteggiano. 
“Se la chiave viene usata da coloro che hanno cattive intenzioni, il mondo degli umani e del sovrannaturale si uniranno per sempre e le creature ridurranno l’intera umanità in schiavitù. Tu sei nata per impedire questo: devi tenere divisi i due mondi e puoi farlo soltanto chiudendo il portale che li collega.”

Sonia Silenzi ha 26 anni, è nata e vive in un paesino delle Marche. Appena diplomata, ha iniziato a lavorare in un’azienda del suo paese come impiegata amministrativa. La sua famiglia è composta da papà Giancarlo, mamma Cinzia e la sua carissima sorellina Sara. Da sempre appassionata di disegno, ha iniziato a scrivere all’età di 16 anni. La sua più grande passione è tutto ciò che contiene fantasia e sogno, caratteristiche rappresentate in questo libro.
 
LanguageItaliano
Release dateJan 31, 2022
ISBN9788830656857
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    La Chiave dei Due Mondi - Sonia Silenzi

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di Lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Presentazioni

    E se quel ragazzo non fosse stato solo frutto della mia immaginazione? E se mi avesse veramente chiamata Melly come faceva sempre la nonna? Come sapeva di quel nome? come sapeva chi fossi? Ma soprattutto, cosa voleva da me? Mi svegliai. Ero sdraiata su un prato verde ricoperto da piccoli fiorellini bianchi, i cui petali risultavano soffici al tatto e il loro profumo rimaneva delicato come una carezza di un bambino. Le nuvole facevano dei giochi meravigliosi con l’azzurro del cielo e il vento soffiava delicatamente, lasciando una scia di deliziosa brezza marina accarezzarti il viso. A poca distanza, si ergeva un’enorme quercia, la cui ombra offriva un posto tranquillo dove potersi rilassare e fantasticare sui propri progetti. Era il mio posto preferito, ma soprattutto era il mio Angolo di Paradiso. Nessuno sapeva di quel posto, nessuno tranne me. Mi rifugiavo lì quando ero triste e avevo bisogno di tempo per riflettere su qualcosa di importante o semplicemente per restare sola con i miei pensieri. Mi alzai un po’ confusa, ripensando a quello strano sogno che ancora non comprendevo o per meglio dire non ne capivo il senso. Raccolsi la mia borsa con dentro l’album da disegno, le matite e le gomme, poi mi diressi verso casa. Non si trovava tanto distante da quel posto, ma nessuno lo sapeva. Arrivata, posai la borsa sul portico e andai a salutare mio padre che stava lavorando il suo orticello. Spesso gli davo una mano perché era un modo per trascorrere del tempo con lui, tempo che sembrava interminabile per quanto era intenso. Non ci vedevamo molto a causa del lavoro che svolgeva in paese e questo a me mancava molto. Possedeva una bottega dove lavorava con la mamma e vendevano oggetti di tutti i tipi: da sedie fatte in legno a piccoli vasi di vetro, credenze, davanzali, tavoli, utensili da cucina tutti lavorati a mano... una vera sciccheria!

    Dove sei stata Mel? papà aveva alzato lo sguardo e mi guardava incuriosito. In giro risposi vaga mentre lo aiutavo a togliere le erbacce intorno alle carote. Non ti sarai rimessa a disegnare! esclamò con un tono sospettoso, ma nello stesso tempo comprensivo. No! ... anzi... sì risposi un po’ imbarazzata Ma come fai a scoprirmi ogni volta? Ormai ti conosco come le mie tasche. Non hai più segreti per il tuo vecchio! disse in tono ironico mentre mi consegnava il cesto con degli ortaggi. Lui era così, gli piaceva dire il tuo vecchio per dimostrare di avere anni di esperienza. Aveva quarantacinque anni; era un uomo alto e muscoloso, con dei capelli ancora del tutto neri e gli occhi verdi, verdi come il mio amato prato. La sua pelle era l’opposto della mia. Era abbronzata, ma non perché prendeva il sole, era la sua carnagione naturale. La mia invece era bianca, non come il latte ma quasi e secondo me, non aveva nulla di bello. Nessun vantaggio. Papà invece la considerava un lusso di pochi. Mi aveva insegnato a non lamentarmi mai di ciò che avevo, quindi non lo facevo... almeno non sempre! Gabe una voce un po’ preoccupata aveva appena chiamato mio padre. Sono nell’orto Beth! rispose mio padre in tono altrettanto preoccupato. Ed ecco arrivare mia madre, una donna non tanto alta, robusta e con i capelli castani che le arrivavano sopra le spalle; erano un po’ spettinati in quanto reduci da una giornata un po’ faticosa. I suoi occhi erano di un marrone dorato e la sua pelle era molto chiara, anche più della mia. Ohi Mel sei qui per fortuna! Stavo chiamando tuo padre appunto per domandargli se sapeva dov’eri. Quando sparisci devi dirmi dove vai! disse in tono un po’ arrabbiato ma allo stesso tempo, sollevato per avermi vista.

    Scusami tanto mamma! dissi dandole un bacio sulla soffice guancia che, anche se aveva quarantadue anni, non lasciava trasudare una ruga. Ed ecco affacciarsi sul portico Sammy, mia sorella: Mamma ho riordinato tutta la cucina e... dimenticavo: la cena è pronta! disse soddisfatta per quello che aveva fatto. Nonostante era più piccola di me di due anni, il suo aspetto lasciava intendere il contrario. Aveva sedici anni, era magra e aveva tutto al posto giusto. Indossava gli occhiali, ma questo non le impediva di valorizzare i suoi occhi dalla forma un po’ allungata. Erano verdi e il suo sguardo era intenso e penetrante. La sua bocca era carnosa e i suoi capelli castano scuro, che spesso raccoglieva in una folta treccia, le percorrevano tutta la schiena. Io invece ero il contrario. Non ero tanto alta e nemmeno tanto magra. Avevo capelli biondo cenere lunghi fino ai gomiti che formavano dei boccoli alla fine. Occhi grandi, scuri ma non allungati e una bocca piccola ma carnosa. Grazie mille Sammy! rispose mia madre in tono cordiale. Arriviamo! io e mio padre rispondemmo in coro. Nella mia famiglia usavamo abbreviare i nostri nomi; quello completo di mia madre era Elisabeth, di mio padre Gabriel e di mia sorella Samantha. Era un modo per sottolineare ancora di più il bel rapporto che la famiglia Vittorini aveva tra di loro. Mentre rientravamo, raccolsi la mia borsa e, insieme ai miei mi diressi in cucina dove, sopra ad una panca, appoggiai il cesto con gli ortaggi che precedentemente mi aveva consegnato papà. La cucina si trovava a destra della porta d’ingresso, subito dopo la nostra piccola sala. Poco più avanti si trovavano le scale che portavano al piano superiore dove c’erano due bagni e quattro camere da letto: una per i nostri genitori, una per me, una per mia sorella e una per nostro fratello, che ancora doveva tornare dal lavoro. Era sempre lui che chiudeva la bottega per dare la possibilità ai nostri genitori di fare le altre faccende. Sentimmo suonare alla porta. Vado io! dissi, immaginando già chi poteva essere. Infatti era proprio lui: Mio fratello Michael. Lo abbracciai e lo aiutai a portare dentro le buste della spesa. Ehi! Grazie Melody disse lui con quella voce dolce e rassicurante. Lui sì che è un bel fratello! Alto più di mio padre, fisico scolpito, capelli biondo cenere sempre un po’ spettinati, viso dai tratti marcati con una leggera barba che ne contornava i lineamenti. Il suo sguardo era penetrante e aveva gli occhi scuri. In paese faceva girare la testa a molte ragazze a cui però non dava peso perché le considerava tutte sciocche e prive di sentimenti. Per questo lo ammiravo: non era svalvolato come molti suoi coetanei ed era la persona più gentile e rispettosa che avessi mai conosciuto. Aveva ventitré anni, ma non li dimostrava. Che fortuna! I Tayler mi hanno fatto una proposta disse in tono molto felice mentre stavamo cenando. Cosa ti hanno proposto? domandò nostro padre ingerendo il boccone di carne. Di trasferirmi a Losito per poter aprire il ristorante. Il signor Filippo Molina mi aiuterà economicamente in questa impresa! concluse mio fratello orgoglioso. Oh Michael ma è favoloso! esclamò mia madre abbracciandolo. Sono felice per te! continuò mio padre non credendoci ancora. Congratulazioni fratello! esclamò Sammy dandogli una pacca sulla spalla. Mentre tutti manifestavano il loro orgoglio e ammirazione, io rimasi in un angolo, ancora incredula per ciò che avevo sentito. E tu Mel non ti congratuli con me? disse Michael con una nota di tristezza. Come potevo congratularmi con lui se questo significava lasciarlo andare e non vederlo più? Come potevamo fare senza di lui? Congratulazioni dissi un secondo dopo scappando con le lacrime agli occhi e sbattendo la porta. Mi rifugiai nel mio posto segreto dove potevo sfogarmi senza che nessuno mi giudicasse per la mia reazione infantile. L’aria era più pesante, gelida e tagliente. I fiori non erano più belli come al tramonto e la quercia sembrò rattristarsi insieme a me. Nulla di tutto ciò ricordava il mio Angolo di Paradiso. Mi sentii il mondo crollare addosso. Per me non era facile accettare tutto ciò. Lui era l’unico che mi capiva, che non criticava il fatto che mi piacesse disegnare ed era l’unico che mi era stato veramente vicino dopo la perdita della nostra amata nonna e tra un po’ non ci sarebbe più stato. Mi sedetti sotto la grande quercia a guardare il cielo stellato, cielo che mi ridava un po’ di speranza, come se la nonna mi osservasse da lassù. D’un tratto sentii dei passi dietro di me, mi voltai di scatto e vidi che era Michael. Hai visto che bel cielo stanotte? domandò sedendosi vicino a me. Mi dispiace averlo annunciato in questo modo. Forse non avrei dovuto dirlo. No assolutamente Michael! Tu non hai sbagliato e anche se non l’ho fatto vedere sono molto felice per te. È il tuo più grande sogno ed è giusto che cogli quest’occasione. Non ho reagito così perché non sono felice per te, ma per il fatto che è un posto lontano e non ti rivedrò più come prima. Come farò senza di te? domandai. Piccola Mel, anche se sono lontano non mi dimenticherò mai di voi. Vi verrò a trovare e voi verrete a trovare me. È come se stessi ancora qui. Non cambierà niente! E... se vorrai... potresti venire già da quest’estate! E poi Losito è un bel posto e potrai disegnare quando vorrai. Poi mi aiuterai sai... una mano serve sempre! mi rassicurò lui. Dici davvero? domandai entusiasta. Dico davvero! Allora aggiudicato! Sapeva sempre come convincermi e come rimettermi il buon umore. Era un ottimo confidente e non faceva mai sentire le persone in colpa per qualche sbaglio commesso. Era molto comprensivo con tutti, serio e competente ma soprattutto molto bravo nel suo lavoro. Quella era la sua passione e io di sicuro non volevo ostacolare i suoi progetti e sogni, proprio come lui non ostacolava i miei. Dopo quella riappacificazione una domanda mi sorse spontanea. Come hai fatto a sapere che ero qui? ero curiosa della sua risposta. Bè era il posto dove venivo sempre anch’io. Non te l’ho mai detto. Tu sei un po’ come me, quindi ti conosco abbastanza bene! rispose lui con un sorriso. Sorrisi anch’io e lo abbracciai. Lo abbracciai felice per quello che mi aveva detto e per il bene che mi voleva. La tristezza svanì e al suo posto comparve tanta tanta felicità. Quel posto tornò di nuovo ad essermi familiare e a ridarmi il sorriso e la tranquillità che solo lui sapeva darmi. Quando tornammo a casa, riprendemmo a cenare come se qualche minuto prima non fosse accaduto nulla.

    La Bottega di Famiglia

    La mattina seguente dovevo andare ad aiutare i miei genitori alla bottega, visto che Michael stava ultimando i preparativi per la partenza. Il paese era un po’ lontano da casa nostra e siccome non mi piaceva prendere la macchina, decisi di andarci in bicicletta. Mi piaceva perché era l’unico mezzo che permetteva di assaporare il profumo del mondo e poi il vento che scompiglia i capelli è davvero rilassante. Era una bella giornata di sole; il cielo era splendente e gli uccellini cantavano come in un cartone animato di principesse e con esso, riempivano l’aria circostante. Presi una scorciatoia che mi avrebbe fatto trovare davanti al paese in meno tempo, evitando le macchine. Il paese si chiama Brook Even e non è affatto male. È circondato da case fatte di mattoni e le vie sono strette. Ogni angolo di quel paese è pieno di piccoli negozietti, con delle vetrine decorate in modo molto originale. Tutti gli abitanti si conoscono gli uni con gli altri e vanno anche molto d’accordo tra loro. Sono gentili e pronti ad aiutarsi senza secondi fini.

    Salve Miss. Margaret! dissi agitando una mano in segno di saluto.

    Ohi salve Melody! rispose una voce in tono gentile. Era la nostra insegnante di musica; una giovane donna dai capelli lunghi e ricci con un sorriso da bambina.

    Come stai?

    Molto bene! risposi e lei come sta?

    Non male. Allora siete pronti per la gran festa di venerdì? Voglio sentirvi cantare come usignoli! esclamò in tono sarcastico.

    Ma certo!! Ci mancano solo le ultime prove.

    Allora okay. Ci vediamo venerdì disse salutandomi.

    A venerdì Miss Margaret!

    Per la verità le prove non erano affatto concluse, anzi... spero solo che non faremo figuracce!

    Arrivai davanti la bottega dei miei genitori e trovai ad aspettarmi i miei amici Tommy e Sofia.

    Ehi dove ti sei cacciata? Sono giorni che non ti fai vedere! disse Sofia abbracciandomi.

    Scusami tanto ma sono stata un po’ indaffarata risposi contraccambiando il suo abbraccio. Sofia è una ragazza molto simpatica; bionda, alta e con gli occhi azzurri come il cielo, ma aveva un unico difetto, si arrabbiava troppo facilmente e questo la rendeva un po’ antipatica tanto che, io e Tommy, ogni tanto la lasciavamo sola per farle sbollire la rabbia; a volte ci volevamo giorni interi!

    A me non saluti? domandò Tommy.

    Lui è un ragazzo apposto, è alla mano; sempre vestito con delle camicie a scacchi, capelli ricci, occhi blu che si riparavano dietro a dei grandi occhiali dalla montatura di metallo.

    Ma certo che ti saluto! dissi abbracciando anche lui.

    Allora quando ci incontriamo con gli altri per fare le prove dello spettacolo? domandò Sofia.

    Bè non saprei... non ci ho ancora pensato. Ho avuto altre cose per la mente risposi.

    Tipo? ribatté lei come se non ci fosse nulla di più importante di quello spettacolo. Questo spettacolo può essere una svolta per la nostra vita! e qui Tommy fece una risatina che Sofia stroncò con uno sguardo gelido. Michael se ne andrà mormorai. Lei, quasi non credendo a ciò che aveva sentito, esclamò: Cosaaa?

    Ah! quasi dimenticavo. Lei è una delle tante ragazze che va dietro a mio fratello. Sì se ne va. Si trasferisce a Losito e aprirà un ristorante risposi. Non ci posso credere! Quando pensavi di dirmelo! Che amica sei? Quando parte? domandò alterata.

    Ehi con calma! L’ho saputo ieri e poi ancora non so. Penso che parta dopo lo spettacolo. Ora scusate ma devo andare ad aiutare i miei. Ci risentiamo. Ciao ragazzi! dissi salutando.

    Ciao! rispose Tommy.

    Ciao disse Sofia in tono triste ci vediamo oggi pomeriggio per le prove...

    Okay risposi.

    Mentre si stavano allontanando, sentivo Sofia che diceva: Ma perché se ne va? Pensi che mi saluterà? Pensi che...

    Tommy, sbuffando, la bloccò in modo scocciato. Bastaaa! Non ti sopporto più. Se ne va perché non ne può più di te! gli rispose quest’ultimo ormai stufo delle sue domande. Sofia gli diede una spinta così forte che lo scaraventò a terra facendogli schizzare via gli occhiali.

    I miei occhiali! esclamò non vedo niente!

    Così impari! lo beffeggio Sofia ancora un po’ arrabbiata. Mi venne da sorridere vedendo quella scena. Erano davvero troppo simpatici; eccessiva lei, posato lui, ma una comica insieme!

    Entrai nella bottega dei miei e trovai la mamma che stava spostando un po’ di scatoloni. Mi avvicinai e la aiutai. Grazie Mel! disse un po’ affannata.

    Di niente! risposi con un sorriso.

    Vai da tuo padre ti sta aspettando in magazzino disse sistemando gli scatoloni.

    Lo raggiunsi; non feci in tempo ad entrare che mio padre ordinò subito: Prendimi la colla a caldo che sta sopra al davanzale vicino alla finestra... grazie Mel.

    Seguii alla lettera gli ordini di papà e gli passai la colla a caldo. Stava mettendo un nastrino rosa intorno ad una piccola sedia intagliata in legno. Quel magazzino è davvero grande. Appena entri, trovi il tavolo da lavoro di papà. È lui che si occupa di scolpire il legno. La mamma invece si occupa della cassa e sistema gli scaffali. A volte Michael viene qui ad aiutare papà e devo dire che insieme sono davvero molto bravi... i migliori in zona! Sopra al tavolo in magazzino, c’è una piccola luce che papà utilizza quando si attarda a finire un lavoro. A destra, un enorme scaffale con tanti ripiani fa la sua comparsa e, sopra, vengono riposte le creazioni di papà (come le chiama spesso Samantha) e vicino c’è una scala che il nonno aveva intagliato in legno per lui quando iniziò a costruire questa bottega. A sinistra c’è la finestra che si apre proprio di fronte al forno di Luisella, che fa il pane più buono del paese. E che crostate deliziose prepara! È una donna anziana molto simpatica. Era un’amica stretta della nonna e spesso quando veniva a trovarla, portava a me e ai miei fratelli dei biscottini molto deliziosi, alla mamma delle crostate e a papà portava dei cantucci da accompagnare con un buon vino. Ancora oggi, anche se la nonna non c’è più, viene a trovarci e ci porta questi doni deliziosi.

    Sotto la finestra c’è un tavolo in legno dove papà appoggia i vari utensili e gli oggetti non ancora terminati. Allora che ne dici, ti piace? mi domandò papà con tono orgoglioso. Smisi di guardare quel posto come se lo avessi visto per la prima volta e mi voltai verso di lui esclamando: Wow papà è davvero molto bella! risposi meravigliata da quella piccola sedia. La guardavo a bocca aperta e con gli occhi che brillavano. Era fatta con legno di quercia, aveva lo schienale basso ed è lì che papà aveva legato il fiocco di raso bianco e rosa preparatogli dalla mamma la sera prima.

    Portala di là accanto alle altre sedie disse con un sorriso rimettendosi subito al lavoro. La presi e la sistemai vicino alle altre che, anche se più grandi, non facevano la stessa figura di quella piccola e graziosa.

    Ogni mese, Samantha e io addobbavamo la vetrina in base ai nuovi prodotti che offrivamo. Sulla porta d’ingresso, con scritto Bottega dell’antiquariato, era appesa una piccola campanella che annunciava l’entrata dei clienti. Eravamo gli unici ad avere oggetti in legno così ben lavorati. All’entrata un tappeto rosso con su scritto Benvenuti, accoglieva i clienti e tutti coloro che passavano di lì anche solo per dare un’occhiata. Il bancone con la cassa si trovavano alla sinistra dell’ingresso e dietro ad essi, seguiva l’immenso mondo di oggetti in legno!

    C’era l’angolo delle credenze, degli utensili da cucina, tavoli, sedie, ferma libri, oggetti in porcellana (decorati personalmente da Samantha) e tanti altri oggetti. Una scala a chiocciola portava al piano superiore dove c’erano tende, centrini, coperte, tovaglie, quadri lavorati ad uncinetto dalla mamma e prima, anche dalla nonna. Quanto mi manca! Ancora oggi salendo su quelle scale, mi sembra di sentire il profumo delle rose che utilizzava per addobbarle. Da quando non c’è, nessuno ce le ha più messe e sinceramente, penso sia arrivato il momento di utilizzarle di nuovo. Ad un tratto ecco suonare la campanella; scesi velocemente le scale e salutai cordialmente la signora Maria Colin, la moglie del sindaco.

    Buongiorno signorina Melody! rispose. Poi, voltandosi dietro di sé disse: E tu Isabel non saluti la signorina Melody? da dietro quella lunga gonna blu come il cielo notturno, spuntò un piccolo faccino dolce e delicato che disse: Ciao Melody! e uscendo veloce da dietro la gonna della mamma, la piccola bambina mi abbracciò.

    Ohi piccola! Ci sei anche tu! Come sono contenta di vederti! esclamai abbracciando quel piccolo angioletto. Aveva tre anni; lunghi riccioli biondi, occhi azzurri e piccole lentiggini sulle guance. Indossava un vestitino azzurro che la faceva sembrare una piccola bambolina di porcellana.

    Mi fai un altro disegno? domandò allegramente.

    Isabel! Non dare fastidio alla signorina esclamò la signora Colin un po’ imbarazzata.

    Oh signora non si preoccupi. Non mi dà fastidio e poi, a me fa piacere che a qualcuno piacciano i miei disegni risposi sorridendo.

    I tuoi disegni sono fantastici. Piacciono molto anche a me e a mio marito. È un dono cara ragazza; mi raccomando... non accantonarlo mai! mi disse la signora Colin in tono molto dolce.

    Oh signora Colin, la ringrazio di cuore per questo complimento e come mio solito, arrossii.

    Sei sicura che non ti disturbo? domandò la piccola Isabel in tono vergognoso. Mi abbassai, le accarezzai il viso e le dissi: Ma certo che no. Per te farei non uno ma mille disegni senza mai stancarmi!

    Dici davvero? domandò con gli occhi che brillavano e io risposi annuendo.

    Grazie tantissimo Melody! disse abbracciandomi. Mi rialzai, le sorrisi e lei mi prese la mano ricambiando il mio sorriso. Poi dissi rivolta alla donna: Che posso fare per lei?

    Fu dopo questa domanda che la signora Colin e la piccola Isabel uscirono dalla bottega con la piccola sedia dal fiocco rosa.

    Un Amore Nascente

    Appena arrivò Samantha a darmi il cambio, presi la bicicletta e andai a casa di Sofia per concludere le prove del famoso spettacolo di venerdì sera. La casa di Sofia era poco lontana dal paese. Abitava in una bellissima villa con un giardino pieno di rose tutte colorate; emanavano un profumo così dolce da far venir voglia di sdraiarsi sull’erba e mettersi a disegnare... Almeno per me era così!

    Arrivai nel vialetto. Suonai il campanello e venne ad aprire la signora Annetta, la governante. Buongiorno signorina Melody. Come sta? chiese sorridendo.

    Bene Signora Annetta... risposi ma senza poter finire la frase, la donna mi bloccò. O la prego signorina Melody le ho detto tante volte di non chiamarmi così... mi mette in imbarazzo!

    Be Signora Annetta, mi scusi ma proprio non ci riesco. Anche io le dico la stessa cosa, ma non mi dà mai ascolto! Comunque lei come sta? E i suoi nipoti Samuel e Nicola? Sono secoli che non li vedo più!

    Con un dolce sorriso rispose: Abbastanza bene. Eh... i miei nipotini... è davvero tanto tempo che non li vedo. Da quando mio figlio si è trasferito con la sua famiglia in Inghilterra, mi sento così sola. Ogni settimana ricevo una lettera da loro e mi chiedono sempre di andarli a trovare, ma non ne ho la possibilità e per questo mi dispiace gli occhi della signora Annetta si riempirono di nostalgiche lacrime ed una di esse le rigò quel viso stanco ma pieno di forza da vendere.

    Signora Annetta lei non è sola. Ci siamo noi a tenerle compagnia! Ecco tenga questi dissi porgendole cinquanta euro.

    Ma signorina! Non... e le bloccai la frase prima che potesse rifiutare. Ci vada a comprare qualcosa per i suoi nipotini oppure li metta da parte per il biglietto. Li accetti per favore se no ci rimango male! dissi abbracciandola.

    Non posso accettarli ribatté ridandomi i soldi. Le presi le mani e gli riconsegnai il tutto. È un regalo che le faccio volentieri! risposi entrando in casa.

    Che Dio ti benedica cara! disse con le lacrime agli occhi. Io la guardai e le sorrisi salendo le scale per raggiungere Sofia in camera.

    Bussai. Avanti! rispose una voce coperta dal rumore del phon. Entrai nella stanza e dal bagno si affacciò Sofia. Ah ti sei degnata di venire finalmente! disse senza neanche spegnere il phon. Finisco di asciugarmi i capelli e vengo!

    Fai con comodo risposi posando la borsa a terra.

    Mentre aspettavo mi affacciai dal balcone della sua camera. E che balcone! Era enorme e bianco e da lì avevi una visuale spettacolare. Si vedevano i giardinieri intenti a sistemare il prato, potando siepi e piantando altri generi di fiori. L’enorme fontana al cento del giardino, fatta con del pregiatissimo marmo bianco, risaltava in quel bellissimo prato verde; per non parlare dell’angelo al suo centro che teneva il vaso da dove usciva l’acqua... spettacolare!

    Alcuni addetti del personale, si occupavano di pulire il vialetto mentre altri erano intenti a lucidare l’enorme cancello bianco.

    Stanno sistemando tutto per la festa di questa sera disse una voce alle mie spalle.

    Quale festa? domandai non mi dire che l’hai fatto ancora! Bè... forse... dipende... rispose guardandosi la punta delle ciabatte rosa.

    Oh Sofia! Non puoi fare così ogni volta! esclamai quasi arrabbiata.

    Ma dai è solo una festa innocente! disse in sua difesa.

    Le tue non sono mai feste innocenti! le risposi secca.

    Ma i miei genitori non tornano prima di lunedì e poi cosa potrà mai... Non dirlo ti prego! Ti vorrei ricordare che l’ultima volta che lo hai fatto ti hanno distrutto: il grande lampadario di cristallo nel salone, il vaso di vetro al quale tua madre teneva particolarmente, hanno fumato i sigari cubani di tuo padre, hai fatto licenziare 3 camerieri, 1 giardiniere...

    Lo so, lo so. Non me lo ricordare. Ma stasera sarà diverso non succederà niente di tutto questo. E poi ho dato cento euro in più ad ognuno di loro disse soddisfatta.

    Cento euro? Si vede che a te i soldi non mancano! Peccato che ce ne vorranno il doppio, il triplo o il quadruplo per riparare tutti i danni! esclamai.

    Dai ti prego. È l’ultima festa che farò te lo prometto. Anzi te lo giuro! E poi devo distrarmi... Sai non ho più una cotta per tuo fratello. Voglio qualcuno che mi ami e che mi rispetti. È per questo che voglio fare questa festa, per trovare quel qualcuno! Ti prego amica mia! disse implorandomi chiudi un occhio per questa volta! non potevo credere che si era messa in ginocchio facendomi il beccuccio!

    Senti, fai come vuoi dissi sbuffando fortuna che amavi mio fratello più della tua stessa vita.

    Quella ormai è acqua passata! Comunque grazie tante mia carissima Mel! Non ti deluderò mi abbracciò saltandomi al collo come una piccola scimmietta con la mamma.

    Aspetta! Passo indietro... Lo aveva detto o lo avevo soltanto immaginato? Veramente non aveva più una cotta per Michael?... che strano. Cosa c’era sotto? Bè ancora non lo sapevo, però lo avrei scoperto.

    Ma cosa dirò ai miei?

    A questo penserai tu! rispose sorridendo.

    Ma certo. Grazie mille risposi ironicamente.

    Suonò il campanello, andammo a vedere ed era Tommy che aveva portato la chitarra e gli spartiti. Finito con le prove, Sofia ci salutò quasi cacciandoci da casa e tutto perché doveva prepararsi per la cena. Io e Tommy la salutammo e lei ci rispose: A stasera mi raccomando ragazzi!!

    Mentre stavamo tornando a casa trainando le nostre biciclette lungo la strada, Tommy si fermò ed esordì così: Come posso fare?

    Io lo guardai un po’ sorpresa. Come fai a fare cosa?

    Lui arrossendo, rispose: A fare colpo su Sofia...

    Con un mezzo sorriso gli domandai: Ancora ti piace non è vero?

    Tommy guardò a terra. "Non ha smesso mai di piacermi. È da quando andavamo all’asilo che provo qualcosa per lei. Ti rendi conto che ancora non ho avuto il coraggio di confessarglielo? In più è cotta di tuo fratello che non è proprio

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