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Oltre il cielo
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Oltre il cielo

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Fantasy - romanzo breve (106 pagine) - Vale davvero la pena svelare un segreto?


Korriban, ultimo figlio del re di Quildan, si trova improvvisamente sul trono e ha finalmente la possibilità di svelare il segreto custodito per decenni dal padre. Le maglie del tradimento si stringono intorno alla corte, mentre i Golem, esseri alieni che convivono con gli umani di Circadia, contemplano la miseria del pianeta con la loro coscienza condivisa.

Scoprire cosa si nasconde oltre il cielo potrebbe essere l'unica salvezza di Circadia e del resto della razza umana dispersa fra le stelle.


Alessandro Montoro nasce a Velletri nel 1990 e vive a Roma con la compagna. Lavora come consulente per una grande multinazionale di IT. Ha studiato presso l’università La Sapienza di Roma, conseguendo una laurea triennale in fisica e una magistrale in matematica.

Ha esordito come scrittore con Per un’abiura in meno nella collana Ucronica di Delos Digital a Ottobre 2021, proseguendo con Il gioco di Gilgamesh nella collana Fantasy Tales del medesimo editore. Ha rilasciato gratuitamente, insieme ad alcuni amici, un supplemento di gioco scritto interamente in inglese per un wargame OOP. Esce in edicola, nel Gennaio 2022 con Mondadori, nella storica collana Urania Collezione con il racconto Partenogenesi.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateApr 12, 2022
ISBN9788825420050
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    Oltre il cielo - Alessandro Montoro

    Dedico questo libro ai miei amici Vlad, Daniele, Francesco Gabriele e Luca (mio fratello). Anni fa avete ascoltato le mie prime storie, dandomi sempre feedback onesti. Questa epopea è per voi!

    Inoltre vorrei fare un ringraziamento speciale al mio editor per Odissea Wonderland, Daniele Tredici.

    1. La chiamata

    Aveva scavalcato uno dei muri di cinta senza farsi vedere dalle guardie. Nessun quadricottero sorvolava l’area e nessuna pattuglia di sorveglianza era nei paraggi. Korriban non aveva mai fatto nulla del genere: cacciare nella tenuta di famiglia con un fucile laser rubato dall’armeria, un'arma che quelli della sua età non avrebbero potuto nemmeno sfiorare. Violare le regole in quel modo era un’azione che avrebbe fatto suo fratello, se fosse stato ancora lì.

    Peccato che nessuno sappia che fine abbia fatto…

    Una notte era uscito di nascosto per festeggiare con degli amici e non era più tornato a casa. Inutili gli interrogatori e inutili le vaste ricerche per trovare indizi: Alerio era scomparso nel nulla.

    Korriban gettò un ultimo sguardo indietro. Il palazzo reale di Quildan era alto e pareva scrutarlo con lo stesso sguardo severo di suo padre, il re. In alto c’era il Gigante, il pianeta gassoso incombeva su di lui, blu e tempestoso, divorando il firmamento. Korriban si chiese ancora una volta perché suo padre fosse stato così ossessionato dal cielo. Intere giornate passate in compagnia degli scienziati di corte, a discutere di questioni al limite delle leggende, cercando risposte.

    Un tuono in lontananza fece scorrere un brivido lungo la schiena di Korriban. Scosse la testa e si addentrò nella tenuta. Non ci mise molto a individuare le tracce della sua preda. Non si sarebbe accontentato di un animale qualunque, voleva riuscire ad abbattere il predatore più pericoloso che si aggirava tra quegli alberi. Un ramo gli frustò il viso. La boscaglia era folta. L’odore dominante era quello del sottobosco e l’umidità saliva dalle radici. Non c’erano Golem in quel luogo, nessuno poteva vederlo o sentirlo. E allora perché lo stava facendo? Per soddisfazione personale? Per sfuggire alla gabbia dorata che suo padre gli aveva costruito attorno da quando era diventato l’erede?

    Sudava per la fatica. Notò un’ombra muoversi ai margini del campo visivo e capì di essere sulla pista giusta.

    Suo padre, Forkrir, gli avrebbe detto che non era ancora in grado di cacciare quell’animale, che era troppo inesperto. Gli avrebbe detto che la vita del principe non poteva essere messa a repentaglio in quel modo. Poteva vedere il volto severo di quell’uomo che ammirava e mal sopportava allo stesso tempo, la barba grigia e lo sguardo penetrante. In fondo poteva anche capire la sua disapprovazione. Korriban aveva solo diciotto anni e quel giorno aveva scelto un rivale davvero pericoloso. Saltò un altro tronco abbattuto dalle intemperie, i piedi slittarono nel fango. La vegetazione ondeggiava e il fucile pareva ogni secondo più pesante.

    Alerio non avrebbe indugiato in quell’occasione, lui era spavaldo, coraggioso, o almeno avrebbe voluto esserlo. Le regole sono fatte per essere infrante, era solito dire suo fratello.

    Quanto gli mancava. Il re aveva mandato ovunque esploratori e ricognitori per cercarlo, ma di Alerio non c’era alcuna traccia. Scacciò quei pensieri. Si fermò in una radura per riprendere fiato. Era sicuro che tutto il regno potesse udire il suo ansimare intermittente.

    Aveva appena cominciato a respirare a ritmo normale che un basso ringhio gli fece accapponare la pelle. Tese i muscoli e si mise a osservare tra le fronde. Il peso del fucile stretto fra le mani lo rassicurò. Si accovacciò e lo puntò in direzione del suono cavernoso. Un ruggito echeggiò tra le foglie e seppe con certezza di aver raggiunto il suo obiettivo. Si spostò lateralmente per raggiungere una posizione migliore. Il sentiero declinava in un piccolo canyon e in fondo, tra rocce e felci, il chileone avanzava ringhiando. Il colorito rosso della pelle brillava, la criniera era folta e irta; le tre code si muovevano frustando l’aria. La cassa toracica si gonfiava ritmicamente, gli occhi erano scintillanti, le zampe possenti.

    Trovato! Non pensavo sarebbe stato così facile….

    Korriban alzò il fucile laser puntandolo sulla bestia. Il fischio lo avvertì della carica completata. La fiera ansimava. Gli occhi dalle pupille verticali si strinsero e si riempirono di minaccia.

    Il re della tenuta lo stava sfidando.

    Un rumore di motori irruppe dall’alto e le fronde cominciarono a vibrare. Il fracasso, sempre più forte, spaventò la bestia che scappò con un ringhio nella vegetazione più profonda.

    La caccia era fallita.

    – Maledetto sia il Gigante! – Gli venne voglia di sparare verso il velivolo per la rabbia, ma sarebbe stato un atto folle. Il quadricottero decorato da numerose spirali verdi incise sullo scafo argentato si abbassò, puntando i fari nello spiazzo e scacciando la penombra del bosco. Le eliche si spensero non appena il velivolo ebbe toccato terra. Un uomo dalla chioma bionda emerse dall’abitacolo che si aprì con un cigolio.

    – Sibril, per il Gigante! Mi hai appena rovinato la battuta di caccia. Sei venuto a riportarmi a casa con la forza? – Fissò il fucile. – A mio padre ha dato fastidio che io abbia scavalcato il muro di cinta e preso quest’arma, giusto? – Tirò un calcio a un sasso. – Quando la finirà di controllarmi?

    – Perdonami, Korriban. Ho ricevuto l’ordine di scortarti a palazzo. Non ci sono modi per dirlo dolcemente quindi lo farò e basta: tuo padre è morto. Un infarto.

    Le parole gli rimbalzarono nella testa. Si sentì soffocare. Provò a parlare per chiedere informazioni più dettagliate, ma la voce non uscì. L’odio si trasformò in pietà e la disperazione lo avvolse. La gola gli si strinse in un nodo e l’arma gli cadde di mano.

    2. La corte

    Il volo di ritorno fu silenzioso, tetro.

    Sibril non disse altro e dopo averlo fatto salire si concentrò solamente sui comandi e sulla navigazione. Il cielo grigio andava tingendosi lentamente della luce del tramonto. Il Gigante era alto, con le bande blu a striarne la superficie. Circadia, il pianeta natio di Korriban, era una sua luna, ma per i Circadiani era sempre stata molto di più, era la loro casa e ne andavano fieri.

    Il quadricottero sorvolò le zone selvagge della tenuta in cui Korriban si era andato a rifugiare in cerca di sfide e passò velocemente sul giardino reale, costellato di statue e fontane. Un vecchio salice ondeggiò avvertendo l’onda d’urto delle eliche. Sibril guidava silenzioso con la mascella serrata, forse per evitare di piangere. Pur essendo un grande guerriero era di buon cuore e conosceva suo padre da sempre. Aveva combattuto con lui, penato e lavorato per il benessere di tutta Quildan. Probabilmente nessuno a corte riusciva a capacitarsi della disgrazia improvvisa che aveva colpito la nazione. E nemmeno lui riusciva a farlo.

    La città, brillante di bronzo e ottone, riluceva sempre più vicina. I ricordi affollarono la mente di Korriban e lui li afferrò con forza, timoroso di perderli Era come se una parte di lui stesse morendo insieme a suo padre. I giorni spensierati a corte, le mille corse attraverso il palazzo, la gioia di giocare con Alerio. Una vita intera riassunta in pochissimi battiti di ciglia. E quel sentimento di malinconia si scontrava con l’angoscia per ciò che lo aspettava. Korriban avrebbe dovuto accettare il trono. Non aveva scampo.

    L’abitacolo parve ancora più claustrofobico.

    La nazione aveva bisogno di un re e dopo la sparizione di Alerio la corte era molto protettiva nei confronti di Korriban. Suo padre, invece, era diventato estremamente severo, quasi crudele nei modi che utilizzava per tenerlo sotto controllo.

    – Se ci fosse stato Alerio avrebbe preso lui la corona. – Korriban si sbloccò e gli occhi si riempirono di lacrime. – Io non voglio governare, Sibril! Perché è morto? Perché? – Strinse i denti, sforzandosi di reagire.

    – Il mondo non va sempre come dovrebbe e a volte può essere spaventoso, ma tu hai delle responsabilità Korriban e dovrai affrontarle. Non sarai solo però, ci sarò io e il ricordo di tuo padre, che vivrà per sempre nei nostri cuori – La voce di Sibril si spezzò, rotta dalla tristezza.

    Planarono verso il basso, direttamente verso l’eliporto.

    Sibril atterrò delicatamente. Quello spazio era già pieno di nobili e cortigiani vestiti a lutto. Il silenzio riempì l’abitacolo una volta che le eliche si furono fermate.

    – Ho paura – confessò Korriban.

    – Anche io. Ma non temere. Sarò con te, sempre. – Sibril aprì l’abitacolo e scese dal quadricottero. – Andiamo.

    Dopo essere arrivato a palazzo e aver restituito il fucile alle guardie, Korriban ricevette le prime asettiche condoglianze e venne condotto nell’ufficio di suo padre. La stanza, fredda e vuota, puzzava di chiuso e le pareti curve erano piene di libri, la maggior parte sulle leggende dei terrestri e sulla biologia dei Golem. Una scrivania di legno riposava sotto un bassorilievo, invasa di fogli e lettere. Delle penne erano sparse a terra; doveva essere morto proprio lì. Korriban sentì una stretta allo stomaco. Afferrò uno dei documenti, l’ultimo a cui il padre aveva lavorato. Era una lettera indirizzata a Lirimo, lo scienziato di Zoroinor. Suo padre parlava dell’invio di alcune attrezzature tecniche, ma soprattutto chiedeva quanto mancasse al decollo.

    Ancora quella parola. A Korriban era sempre parso strano il modo in cui i due uomini comunicavano; parevano avere un gergo tutto loro, come per nascondere qualcosa di losco. Aveva indagato spesso negli uffici e nei locali privati di suo

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