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Proposta di pace
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E-book262 pagine4 ore

Proposta di pace

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Info su questo ebook

Umberto Simoni si racconta: il suo è un lungo flusso di coscienza nel quale appaiono ricordi, frammenti di avvenimenti e storie di quartiere. La passione che da sempre anima il suo cuore è la forza trainante della sua vita. L’impeto, con il quale difende il bene dell’umanità, i diritti dei lavoratori e la salvaguardia dell’ambiente, è sano e pronto all’azione.
Nella sua Proposta di pace tra luci e ombre, in dettaglio, l’Autore espone la situazione politica a partire dall’immediato dopoguerra per arrivare ai giorni nostri, contorti e pandemici. Attivo all’interno del Partito Comunista Italiano, ne ha visto l’evolversi e lo spegnersi attraverso anni di intenso impegno e attività di propaganda. 
I grandi mutamenti del Sessantotto gettarono le basi e produssero grandi cambiamenti all’interno della società mondiale. Le riforme scolastiche e le contestazioni contro i valori tradizionali e le istituzioni  saranno i temi di grande discussione in quegli anni, Umberto Simoni fu testimone e partecipe di quello sconvolgimento sociale.
Il suo attivismo politico ha rivolto altresì un’enorme attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, creando ed attuando situazioni a tutela delle persone fragili.
Il testo racchiude inoltre l’evoluzione del suo pensiero e delle sue emozioni, prende il sopravvento la grande necessità di costruire un mondo fatto di pace e speranza, ma è consapevole del fatto che prima, molto probabilmente, dovrebbero cambiare gli uomini.

Umberto Simoni nasce a Fermo il 30 agosto 1940. La sua infanzia è stata influenzata dalla guerra, che aveva portato distruzione, fame e povertà. Si è formato fin da giovane nell’ambiente dello scautismo fermano. Ha conseguito il diploma di Perito Chimico presso l’itis Montani di Fermo. Si iscrive all’università di Camerino senza tuttavia portarla a termine. Vince un concorso nazionale e passa di ruolo come insegnante presso l’itis di Recanati, dove si trasferisce da lì a poco con tutta la famiglia. Fu coinvolto dagli scritti, dagli insegnamenti e dalle idee di Enrico Berlinguer, portandolo così a dedicarsi alla vita politica. Si è particolarmente impegnato nella vita sociale e nel volontariato. Nel 1995 diventa Presidente degli ircer, all’interno del quale apportò sensibili trasformazioni. Lascia definitivamente l’insegnamento dopo aver ricoperto per alcuni anni la carica di collaboratore del Preside e apre un laboratorio di Analisi Chimiche, Batteriologiche e successivamente anche Cliniche,  nel quale riveste tuttora la carica di Amministratore Unico. È il sesto anno che ricopre la carica di Presidente della Fermana fc, la quale milita nella Lega Pro. Un evento che lo ha particolarmente emozionato e segnato è stato l’incontro con Papa Francesco.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2022
ISBN9788830655591
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    Proposta di pace - Umberto Simoni

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    Umberto Simoni

    Proposta di pace

    tra luci e ombre

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-4862-3

    I edizione novembre 2021

    Finito di stampare nel mese di novembre 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Proposta di pace

    tra luci e ombre

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione dell’Autore

    Da tempo desideravo raccogliere alcuni ricordi che mi tornavano in mente con insistenza in immagini nitide ed emozionanti. Ora le ho fissate in questo scritto che contiene episodi della mia vita che mi piaceva consegnare a mia moglie, con la quale ho condiviso gioie e dolori di cinquantaquattro anni di matrimonio, ai miei figli, alle mie nuore, ai miei nipoti e ai miei amici. Con quanto ho scritto volevo anche rendere omaggio alla memoria di coloro che hanno operato per abbattere i muri creati dalla miseria, dai dolori e dalle sofferenze, tipici del dopoguerra e ci hanno così indicato i valori e gli ideali che rendono la vita degna di essere vissuta anche in periodi di difficoltà, come quella che stiamo attraversando con la pandemia, in cui chi ha le possibilità può offrire un aiuto fattivo a chi ne ha bisogno, superando i particolarismi, l’indifferenza e l’odio razziale, che impediscono i processi di incontro e di comprensione reciproca verso gli altri. Ritengo che quei valori debbano essere trasmessi ai giovani d’oggi per far si che siano demolite le barriere create dall’intolleranza e dalle discriminazioni di vario genere che spesso tornano in auge e creano situazioni di arroganza, di indebita supremazia e di insensibilità verso chi è ritenuto diverso. Riconquistiamo la partecipazione alla vita pubblica per far crescere un processo politico e sociale autentico, capace di dialogare positivamente con le sue storie, le sue identità, le sue differenze, con le ragioni e le culture del nostro tempo, costruendo un progetto civile di sviluppo democratico. Quasi un secolo di storia fa da sfondo alle mie vicende, ma mi sentivo in dovere di ricordare personaggi che hanno contribuito alla crescita culturale, politica e sociale del nostro mondo. Non ho la pretesa di insegnare comportamenti da seguire, ma so che la memoria del passato può essere uno strumento di conoscenza per impostare meglio il futuro nel quale ogni individuo, sostenuto da valori e ideali, si impegna per creare un mondo in cui tutti possano vivere in un clima di compressione reciproca, di amore e di fratellanza. Ho cercato di suscitare spunti di riflessione, ma per non risultare saccente e noioso, non ho evitato di presentare alcuni fatti con una certa ironia, che permette di proiettare in una prospettiva accettabile, anche ciò che nella vita non corrisponde alle nostre aspettative. A questo punto non mi resta che augurarvi buona lettura e buona vita!

    Con affetto,

    Umberto.

    Proposta di pace tra luci e ombre

    Il sole era prossimo al tramonto in quel tardo pomeriggio di maggio, quando con mia madre, Dorotea, e mio fratello, Francesco, uscivo dalla Cattedrale della città di Fermo, città meravigliosa, culturale, artistica che si estende fino al mare. Si dice che questo tempio risalga ai primi anni del secolo quinto, ma fu incendiato nel 1176 dai barbari e precisamente dalle truppe di Federico Barbarossa, per poi essere ricostruito nel xii secolo più bello e più grande. Fu poi restaurato e nel settembre nel 1789 fu riaperto. È magnifico, sia per l’architettura sia per la ricchezza dei marmi, delle sculture, dei bassorilievi e degli altri ornamenti; è indubbiamente una delle migliori opere d’Italia, tanto da essere considerato monumento Nazionale. Avevamo partecipato ad una funzione religiosa nel mese Mariano, di maggio come facevamo ogni anno, per tutto il detto mese dedicato alla Madonna del Pianto, protettrice di Fermo. Appena fuori, si respirava un’aria profumata e primaverile; mentre le farfalle svolazzano intorno a noi, si udiva il cinguettio degli uccellini che scorrazzavano nel cielo. Di fronte a noi si stendeva la spianata maestosa del Girfalco da dove si domina uno stupendo panorama che va dal mare ai monti. In quel luogo, la mia fantasia immaginava di vedere i nostri antichi antenati che si arrampicavano in questo luogo elevato (319 metri sul livello del mare) al riparo dai nemici, dalle inondazioni e anche dalle belve fino a dare origine alla Città di Fermo. Andavamo quasi sempre a goderci il magnifico panorama che si estende verso il mare fino al Monte Conero.

    Poi passavamo dall’altro lato dove si ergono i Monti Sibillini, ed infine al terzo lato dove c’è la distesa di una campagna meravigliosa in fondo alla quale emergono tre colline dove si notano tre campanili intorno ai quali ci sono tre borghi meravigliosi. Dopo il nostro consueto giro di ricognizione, come lo chiamavo io, mia madre spesso diceva di allungare il passo per tornare a casa, perché doveva preparare la cena.

    Scendevamo fino ad arrivare di fronte alla Chiesa di San Francesco, un tempio imponente eretto nel 1240, pochi anni dopo la morte del Santo, mentre la torre fu costruita nel 1425. È un tempio grandioso, all’interno del quale, nonostante lo spazio molto ampio e l’ergersi delle colonne alte verso le volte, si prova una sensazione di sobrietà e misticismo, come insegnava San Francesco. Svoltavamo a sinistra in via Lucio Tarunzio, celebre astronomo e matematico, una via stretta nella quale le auto potevano arrivare, dopo circa 40 metri, in un piazzale in cui si poteva parcheggiare. Mi piaceva percorrere quella via per le sue case, una attaccata all’altra come se volessero sostenersi a vicenda. Attraversavamo il piazzale e proseguivamo su una leggera salita, dopo circa 10 metri sulla sinistra, superavamo il Vicolo Baglioni, e dopo circa 20 metri, sulla destra, arrivavamo a casa.

    Mia madre si metteva subito a preparare la cena, mentre io e mio fratello apparecchiavamo la tavola, veramente non del tutto entusiasti del compito, ma consapevoli di doverlo portare a termine. Dopo qualche minuto entrava mio padre, Fernando, che tornava dal lavoro. Era alto, di corporatura robusta, era sempre ligio nel suo lavoro, andava a lavorare anche con la febbre ed era rispettato e apprezzato da tutti. Era molto severo nei confronti miei e di mio fratello, ma il suo esempio di vita e quello che mi ha insegnato, sono stati per me fondamentali per affrontare la vita. Era buono, l’ho sempre rispettato e gli ho voluto sempre bene. Faceva il ferroviere presso l’a.f.a. (Ferrovia Adriatica Appennino) la quale percorreva il tragitto Porto San Giorgio-Fermo-Amandola, fino a Fermo si arrivava con i locomotori a trazione elettrica, mentre per arrivare ad Amandola, si utilizzava il treno a vapore. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’Italia ne esce sconfitta profondamente segnata da lutti e devastazioni ma dopo qualche anno, grazie all’Ing. Barbati, si ripristinò il servizio a trazione elettrica sull’intera ferrovia Fermana. Il ricordo di questo treno suscita ancora in me una commozione immensa perché lo prendevamo, d’estate specialmente, quando da Fermo ci recavamo al mare a Porto San Giorgio, bellissima cittadina turistica. I vagoni del treno erano pieni di passeggeri, quasi tutti si portavano da mangiare perché di solito si ritornava a casa alla sera. Quel viaggio, che era interminabile perché il treno procedeva lentamente; diventava per noi ragazzi un divertimento durante il quale ci facevamo scherzi, cantavamo e ridevamo, lo stesso era quando si andava ad Amandola dove il tragitto era ancora più lungo e si attraversava la splendida Valle del Tenna, che si può considerare un paesaggio tipico marchigiano; una tratta di 50-60 chilometri che va dal mare agli Appennini, percorsa dal fiume Tenna. In questo percorso si attraversavano paesi come Falerone, Grottazzolina, Servigliano, tutti paesi con una storia culturale e artistica stupenda, per giungere poi ad Amandola, centro di villeggiatura, ridente cittadina posta alle pendici del monte Sibilla.

    Al centro storico della cittadina, frequentata da molti villeggianti, troviamo bellissimi esempi di architettura medioevale con palazzi e chiese. Questa tratta ferroviaria è stata oggetto di molti progetti, uno dei primi fu quello di farla proseguire da Amandola fino a Terni. Poi ce ne furono altri: quello di collegare Amandola – Montemonaco – Venarotta – Ascoli Piceno, infine quello di collegare Amandola – Sarnano – San Ginesio – Caldarola – Tolentino. Dato che questi progetti non furono mai realizzati, nel 1956 fu smantellata. In quell’occasione vidi mio padre, che aveva raggiunto il massimo grado di capo-treno, con qualche lacrima perché, secondo lui, con uno di quei progetti ci si poteva allacciare alla ferrovia dello Stato e portare così un benessere economico per tutta la vallata.

    Quella sera mio padre si mise seduto, prese un pezzo di pane e lo mangiò. Mia madre preoccupata gli chiese se non fosse stato sufficiente il pranzo che gli aveva preparato, perché mio padre aveva pernottato in Amandola e aveva portato con sé il pranzo preparatogli da lei. La risposta ci lasciò interdetti; mio padre non aveva mangiato perché aveva incontrato un uomo che era digiuno da tre giorni e non aveva possibilità economiche per comprare un pezzo di pane, per questo motivo lui gli aveva ceduto quanto si era portato. Questo mi colpì profondamente, pensai ai miei amici che abitavano nella via e come molti di loro avevano la stessa difficoltà a procurarsi da mangiare tutti i giorni. Parlai di loro con i miei genitori i quali mi risposero che si doveva aiutare coloro che avevano bisogno.

    La guerra era terminata da alcuni anni e aveva lasciato morte, distruzione, povertà e desolazione. A quell’epoca si era quasi tutti poveri, ma c’era sempre chi lo era di più, alcuni vivevano nella miseria. Ma eravamo tutti uguali, tutti figli del dopoguerra: gli adulti ed i ragazzi più grandi lavoravano come potevano, accettavano tutto e a volte si inventavano persino un’occupazione, mentre i bambini andavano a scuola e si divertivano con nulla. La maggior parte della gente era laboriosa e generosa, capace di affrontare le difficoltà con spirito di solidarietà. Anche i miei genitori erano così. Erano umili e semplici, ma avevano solidi principi morali che sapevano trasmettere a noi figli con insegnamenti quotidiani e soprattutto con l’esempio, tanto da tramandarci quei valori della famiglia e della fede che sono la forza per vivere il presente e per affrontare il futuro.

    Mia madre oltre ad essere molto bella, era attiva, aperta e generosa. Era lei che si occupava delle spese gestendo lo stipendio di mio padre e, oltre ad accudire i membri della famiglia, ospitava a pensione due studenti, quindi aveva molto da fare, aveva sempre qualche incombenza da portare avanti e continuava ad impegnarsi senza lamentarsi. Era solare e cantava spesso mentre lavorava. Tra le sue canzoni quella che mi colpiva di più era Miniera che parlava del crollo di una galleria di una miniera procurando la morte di molti operai. Era una canzone triste, ma cantata da lei, non sembrava più tale e il dolore, la sofferenza risultavano da accettare come parte della vita. Inoltre mi piaceva il suo modo di aiutare gli altri, in particolare le famiglie che abitavano nella nostra via e avevano scarse possibilità finanziarie. Quando dava qualcosa a qualcuno, lo faceva con molto tatto e discrezione. Ho imparato da lei e così quando uscivo di casa con un pezzo di pane con la mortadella, lo dividevo con tutti coloro che mi facevano capire che avevano fame, notavo poi che questi, a loro volta, dividevano con altri quanto ricevuto. In quelle occasioni ho capito che la solidarietà avveniva soprattutto tra il ceto medio-basso, perché quella dei ricchi è solo elemosina, la quale serve solo a far star bene la coscienza di chi dà spesso il superfluo. Il portone della mia casa era quasi sempre aperto, ma anche se fosse stato chiuso tutti potevano entrare perché la chiave per aprirlo era sempre infilata nella serratura. Ne approfittavano spesso i miei amici, i quali quando si avvicinava l’ora di pranzo o della cena, con la scusa di chiedermi qualcosa entravano e rimanevano a mangiare. Mia madre infatti, metteva a cuocere pasta e carne in abbondanza come era sua consuetudine, e quello che avanzava si mangiava la sera o il giorno dopo, secondo la regola di non sprecare nulla. Questi incontri accadevano spesso, ed era bello, perché trascorrevamo delle ore in allegra compagnia.

    Nell’estate del 1951 venne ospitata nella nostra casa una famiglia di Bologna, composta dai due genitori e una figlia molto carina, che aveva frequentato la seconda media mentre io avevo terminato le elementari. La ricordo bene perché fu il mio primo innamoramento; lei mi dava dei bacetti sul viso ed io facevo tutto quello che mi chiedeva. Ero molto timido con le ragazzine, per quanto mi era successo qualche anno prima. Un giorno ero in cucina e per giocare stavo sotto un tavolo con una ragazzina anche lei più grande di me, mia vicina di casa, e ricordo che lei mi abbracciò e proprio in quel momento fummo scoperti dai miei genitori i quali si misero a ridere, mentre mio fratello mi canzonava, diventai rosso in viso e dovettero passare diversi anni prima che riprendessi l’iniziativa con una ragazza. Questi nostri amici a pranzo parlavano con i miei genitori sempre di politica, perché il padre della bambina era un professore di filosofia, era stato partigiano ed era un militante comunista. Raccontava che quando scendeva dalle montagne e si imbatteva nei fascisti aveva rischiato più volte la vita. Chiariva che la Resistenza non doveva essere datata l’8 settembre 1943, perché era figlia dell’opposizione al movimento fascista e proveniva dai partiti presenti in Parlamento al momento dell’assassinio di Matteotti, i quali ritiratisi sull’Aventino non avevano riconosciuto più la legittimità del Parlamento, oramai strumento dell’arroganza fascista. L’opposizione al fascismo quindi si concretizzò fin da subito chiamandosi Resistenza, cominciò con l’affermazione e la manifestazione del fascismo come sistema di potere. Innumerevoli furono le vittime della repressione fascista; migliaia di uomini e donne vennero uccisi o imprigionati per le loro idee, ancora prima che l’opposizione politica divenisse militare. I fascisti, diceva il professore, si impadronirono dei neonati mezzi di comunicazione di massa per fare una massiccia propaganda demagogica e diretta ad un’intera popolazione, per giustificare pure la violenza squadrista che fu capace anche di condizionare le scelte della collettività. All’inizio la resistenza nacque come opposizione al nemico interno prima di essere anche lotta contro l’invasore tedesco e fu condotta da uomini e donne di estrazione sociale proletaria-contadina e da intellettuali borghesi. Il professore specificava che Resistenza significa il diritto di opporsi ad un potere tirannico, il quale intende condurre una Nazione fuori dai principi della pacifica convivenza, dell’uguaglianza, della solidarietà. Quando questi principi sono venuti meno, è nato il Movimento di liberazione del nostro paese, ed è stata una ribellione nata dal basso, dagli strati popolari i quali per tradizione ed ideologia si erano fin dall’inizio opposti al totalitarismo fascista e nazista. Mio padre replicò: «Ho sentito dire che dalle vostre parti subito dopo la guerra si è scatenata una caccia all’uomo per farsi vendetta degli orrori compiuti dai fascisti, e tu non pensi che la vendetta porti alla stessa stregua degli aguzzini?». Vidi l’intellettuale cambiare espressione e senza aspettare un momento replicò: «Mussolini quando fondò i Fasci ne definì pure gli scopi: spazzate via le putrefatte carogne di tutti i vecchi partiti politici, costituiremo l’antipartito dei realizzatori. Questo antipartito dovrà esaminare le soluzioni di tutti i problemi fondamentali della vita nazionale, additarli all’opinione pubblica, imporli alle classi dirigenti o attuarli all’infuori e al di sopra di esse». Il professore disse che i fascisti avevano seguito tali indicazioni, arrestavano, uccidevano e picchiavano. Ammise che, dopo la guerra, ci fu qualche episodio isolato, di vendetta, ma tagliò corto e disse che era stata tutta propaganda politica, e concluse dicendo che la Resistenza ci aveva lasciato un patrimonio di valori come la solidarietà, l’uguaglianza, la salvaguardia delle minoranze e delle diversità che si sono concretizzate poi nella Costituzione e hanno permesso di dare vita ad una società in cui ognuno può esprimere le proprie idee. Non vidi mio padre molto convinto della risposta ma non fece in tempo a replicare perché il professore introdusse l’argomento sulla Costituzione e disse che la Commissione per la Costituzione era stata composta da 75 parlamentari appartenenti a tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento.

    Il 27 dicembre 1947 fu approvato il testo della Costituzione della Repubblica, il primo firmatario fu Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, il secondo fu Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea Costituente, comunista, il terzo fu Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei Ministri, democristiano. Questa unità d’intenti dell’Assemblea Costituente non si era verificata in modo improvviso perché proveniva dalla Resistenza e dall’antifascismo. Anche nei c.l.n. (Comitati Liberazione Nazionale) e nei partiti era prevalsa alla fine la concordia, e il 25 aprile 1945 la Resistenza italiana compresi i c.l.n., si era presentata unita. Sia mio padre sia il professore si dissero soddisfatti di questa scelta, del fatto cioè che i partiti politici diversi avevano insieme elaborato la Costituzione, ma furono meno soddisfatti di come era stato l’esito delle elezioni dell’aprile 1948. Mio padre disse subito che era stato un errore il Fronte Democratico popolare, formato da comunisti e socialisti. Il professore replicò che era stato voluto da Nenni l’anno precedente e che l’errore più grave era stato quello di presentare una lista unica, perché gli elettori non sceglievano i partiti con programmi diversi, perché la loro fu una scelta fra mondi diversi. C’era stato anche l’ammonimento del Papa e si era diffusa la frase nell’urna quando vai a votare Dio ti vede, Stalin no e De Gasperi che diceva che se avessero vinto coloro che si erano compromessi nella lotta contro l’America addio aiuti. E fu così che la Democrazia Cristiana ottenne il 48,5 per cento dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi, mentre il Fronte Democratico Popolare ottenne il 31 per cento dei voti. Mio padre disse che quella era stata una campagna elettorale dura e sporca e si augurava che nelle prossime elezioni ci sarebbe stato più rispetto delle idee altrui. Parlarono pure dell’attentato del leader del pci, Togliatti che aveva rischiato di morire e che dall’ospedale si era rivolto, con senso di responsabilità, ai compagni dicendo loro di stare calmi e di non intervenire, per evitare disordini e addirittura la guerra civile. Mio padre concluse che si doveva far nascere il bene dal male che c’era stato e che bisognava portare avanti tutti insieme principi come pace, fratellanza e libertà.

    Un giorno intervenni pure io sul dibattito per ricordare quello che era accaduto a mio nonno Umberto, di cui porto il nome e posso dire di esserne stato orgoglioso. Tutti lo chiamavano lu moru (il moro) perché aveva i capelli, i baffi e gli occhi neri. Era veramente un bell’uomo, gli piacevano molto le donne tanto che mia nonna era molto

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