Studium - Simone Weil protagonista della filosofia del Novecento. Ritrovare l'umano: n. 3 - 2020
By AA. VV.
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Studium - Simone Weil protagonista della filosofia del Novecento. Ritrovare l'umano - AA. VV.
AA.VV.
Studium
3-2020
ISBN: 9788838252129
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Indice dei contenuti
Appartenere al Pensiero
. Per Vincenzo Cappelletti
IL PUNTO
Un neogiurisdizionalismo?
Simone Weil protagonista della filosofia del Novecento.
Introduzione
L’ESSERE, LA MEDIAZIONE E IL BENE
Tra hasard e necessità: l’ontologia weiliana come ricerca di intermediari
1. Hasard, necessità e Bene: «Il solo bene che non è soggetto al caso è quello fuori di questo mondo»
2. Hasard tra Creazione e decreazione: «proprio perché è intollerabile deve essere contemplato»
3. La necessità compromessa tra Dio e la materia e il ruolo dei metaxú
4. «Non si deve fare l’Uno troppo presto»: i metaxú e la vocazione della Grecia
5. Arte, scienza e malheur nella metaxologia di Simone Weil
6. I miti: fondamento dell’umanesimo weiliano e vie implicite al divino
SOMMARIO
SUMMARY
TRA AZIONE E CONTEMPLAZIONE
Enracinement, Religione e Mistica in Simone Weil*
1. Pubblicazione e ricezione di S. Weil: il problema del titolo L’Enracinement
2. Un «secondo grande lavoro»
3. Quale «passaggio» alla religione?
4. Enracinement e «azione non-agente»
Conclusione: S. Weil e l’Europa
SOMMARIO
SUMMARY
Qu’est-ce que l’honneur? Riflessioni sul concetto di onore e dignità in Simone Weil
Premessa
1. L’onore, la dignità e la guerra
2. L’onore e l’influenza del grande animale
3. Il langage: un concetto alternativo di patria?
4. Il parage: una nuova concezione dell’onore?
5. L’onore come bisogno essenziale dell’animo umano
Riflessioni conclusive
SOMMARIO
SUMMARY
LA SAPIENZA ANTICA
L’inattualità di Simone Weil. Dire con parole nuove la sapienza antica
Colloqui in una clinica
Pensare in tempo di sventura
«Qual è il tuo tormento?»
Una civiltà nuova?
SOMMARIO
SUMMARY
Essere e Bene. Ex. 3,14 tra platonismo e cristianesimo in Simone Weil
De-ellenizzare il cristianesimo?
Pitagorismo: pensare la mediazione al cuore della trascendenza
Bene pienezza dell’Essere: una persona impersonale
Dal paradigma dell’ancillarità all’universalità di una ricerca
SOMMARIO
SUMMARY
MISTICA E FILOSOFIA
Simone Weil e Etty Hillesum: ispirazione per la mistica cristiana di oggi
1. Simone Weil: tra la camera nuziale e la piazza pubblica
2. Etty Hillesum: la Shoa trasfigurata
Conclusione: due donne testimoni di Dio nella città secolare
SOMMARIO
Summary
APPENDICE
Il mare
DIALOGHI
Intervista ad Antonia Arslan
LECTURAE DANTIS
Dante e l’eretico Epicuro in Inf. X
Bibliografia
SOMMARIO
SUMMARY
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA-STORIA ANTICA
Novità nella bibliografia scientifica di storia antica
LA NOSTRA BIBLIOTECA
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Appartenere al Pensiero
. Per Vincenzo Cappelletti
di Francesco Bonini
Vincenzo Cappelletti ci ha lasciato il 21 maggio, durante la lavorazione di questo fascicolo. Ha ricoperto per lungo tempo, oltre la cattedra universitaria, tanti, prestigiosi incarichi pubblici, tra cui spicca la guida dell’Istituto Treccani dell’Enciclopedia Italiana per 32 anni. Per noi tutti della redazione, come dell’amministrazione, del Comitato editoriale e del Consiglio scientifico di Studium resterà la sua storica presenza – per oltre 45 anni – nella vita dell’Editrice, di cui è stato presidente e poi presidente onorario, e della Rivista, che ha diretto dal 1974, mantenendo poi dal 2018 la direzione onoraria.
Nel prossimo fascicolo raccoglieremo alcune testimonianze per illustrarne l’opera e onorarne il ricordo, nella comune speranza nella vita vera
, come lui stesso soleva dire.
Vorremmo qui lasciare allo stesso Vincenzo Cappelletti la parola, riferendoci a due editoriali, del 2015 e del 2017. I titoli sono evocativi di un programma e di una eredità. Constatava, nel secondo, La scienza come vocazione , che ripropone un passaggio tratto dal suo libro fondativo su La scienza tra storia e società , pubblicato presso Studium nel 1978, una ricorrente tendenza alla mistificazione
ed affermava: «La scienza mistificata pretende di trarre la propria giustificazione dal risultato sperimentale, mentre, come tutto il sapere scientifico, deve trarla dalla simmetria alla struttura della realtà. La scienza è fatta di cause formali e di cose: e le prime sono conosciute meno dall’esperimento, che dalla ragione».
Di qui il secondo titolo, che vorremmo ricordare: Appartenere al Pensiero . Lo scriveva come editoriale di un nuovo anno della nostra Rivista e della sua vita, così operosa anche negli anni conclusivi. E lo vogliamo leggere come il suo congedo: « Tutto ciò che finisce, un’età, un secolo, un giorno, un’era, un attimo, lascia indenne questa misteriosa presenza, il Pensiero, che chiede non durata – gli appartiene per essenza quest’ultima – ma coerenza. Ma il pensare ha anche una richiesta alla quale nessuno può sottrarsi: il rispetto del mistero e il rifiuto della contraffazione, rappresentato dalla falsa evidenza. Umiltà e bisogno di autenticità sono i comportamenti di cui chi pensa deve riuscire a dotarsi. Allora millenni, età, secoli, giorni ed ore diventano durate o emergenze di una Realtà assoluta e ubiquitaria. Alla quale tutto positivamente rimanda, per essere riconosciuto e compreso » .
Sono i tratti di una generazione di intellettuali cattolici, che hanno vissuto l’esigente insegnamento di quel grande Papa che è anch’esso inscindibilmente legato alla nostra storia di Studium. E che ci proietta nell’attualità più viva.
Scriveva Paolo VI nell’appello finale al n. 85 dell’Enciclica Populorum Progressio , attualissima oggi, post Sars-COV2, sulla questione sociale e morale mondiale, da cui prende le mosse un recentissimo libretto di Lorenzo Leuzzi per svilupparle verso papa Francesco: « E se è vero che il mondo soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà. Sull’esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente: Cercate e troverete
, aprite le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale » .
Il mondo continua a soffrire per mancanza di pensiero, per mistificazione di pensiero. Ma l’insegnamento di un grande Papa e con lui di una grande leva, di una viva storia di intellettuali, è che non basta certo la denuncia, ma serve un investimento forte di cultura, che non è astrattezza, ma, come scrive Paolo VI, relazione, ricerca, allargamento del cuore, senso di comunità e di condivisione.
Coerenza oggi difficilissima ed anzi mistificata. Per questo è necessario tenere viva la consapevolezza delle radici, di una storia che ovviamente continua e chiama ad un rinnovamento e ad una apertura costante, nella coerenza. Una storia che anche Vincenzo Cappelletti ha presidiato ed interpretato in una vita intellettuale lunga ed operosa.
Molti anni fa, in occasione del nostro matrimonio, Vincenzo e Maurizia Cappelletti regalarono a Biancamaria e a me gli aurei volumetti fino ad allora usciti di due non dimenticate collane Studium, La spiritualità cristiana e La spiritualità non cristiana . Concludeva l’editoriale sul Pensiero: « È grande, anzi immenso, quel che la teoresi cristiana ha immesso nella riflessione sulla vita: la divinità della verità. Tutto cambia nella vita dell’Uomo, messo di fronte all’evidenza del Vero. Una gioia profonda unita alla cancellazione razionale di quanto sia rumore
nell’esperienza del vivere, del pensare, del lavorare». Se «il mondo – oggi ancora e forse ancor di più – soffre per mancanza di pensiero», questa è la base sicura su cui continuare a costruire civiltà.
Francesco Bonini
IL PUNTO
Un neogiurisdizionalismo?
di Giuseppe Dalla Torre
È vero che la storia riserva sempre sorprese, ma un ritorno del giurisdizionalismo nell’Occidente laico, scettico e secolarizzato di oggi era proprio un evento impensabile. Invece è quanto sta accadendo in varie parti di questa realtà geo-culturale, dai confini labili ma dalle fenomenologie congruenti.
Per giurisdizionalismo, com’è ben noto, si intende quella politica in materia ecclesiastica che va dalla Controriforma ai primi decenni del Novecento, caratterizzato da rivendicazione di pretese dello Stato nella organizzazione ecclesiastica e dall’esercizio di intromissioni giuridiche di vario tipo – normative, amministrative, giurisdizionali – nella vita interna della società ecclesiastica. Per quanto attiene in particolare ai Paesi di tradizione cattolica, il giurisdizionalismo si suole distinguere in due grandi, diverse declinazioni: un giurisdizionalismo confessionista e un giurisdizionalismo laico o aconfessionista.
Il primo, tipico degli Stati assoluti d’ ancien régime ma non assente nelle prime manifestazioni dello Stato di diritto (si pensi all’aurea formula dell’art. 1 dello Statuto albertino), partiva dal presupposto che lo Stato fosse confessionista, avesse cioè la cattolica come religione ufficiale, con esclusione delle altre o con mera tolleranza di alcune di esse. Di qui discendevano una serie di doveri del sovrano cattolico verso la Chiesa e le sue istituzioni, come verso la stessa fede comunemente professata dai sudditi, la quale era da difendersi contro fenomeni corruttivi e disgregativi.
Quest’atteggiamento aveva radici nella concezione sacrale del potere, così come riferimenti nella stessa dottrina canonistica dell’età di mezzo, nonostante le coeve rivendicazioni delle libertates Ecclesiae. Ma in maniera meno lucida e consapevole a quell’atteggiamento erano sottese anche le convinzioni, alimentate dalla cultura medioevale e rafforzate dal principio sancito dalla Pace di Augusta del 1555 ( cuius regio eius religio), secondo cui la religione era per eccellenza il collante che teneva unita la società e, quindi, costituiva un bene da tutelarsi nell’interesse supremo dello Stato.
La conseguenza di tutto ciò era che se l’istituzione politica proteggeva la fede e la Chiesa, per altro verso essa era titolare di diritti di intromissione nella vita ecclesiale, che stravolgevano l’autonomia della istituzione ecclesiastica. Non è qui il caso di entrare nell’analisi dei vari istituti giurisdizionalistici elaborati nel corso di siffatta esperienza, i quali vedevano in sostanza l’autorità civile sostituirsi a quella canonica nell’esercizio di determinate funzioni o, comunque, porsi come giudice di appello contro provvedimenti adottati dalle autorità canoniche nei confronti di ecclesiastici, religiosi o fedeli laici. Il risultato era un abbraccio soffocante, seppure in un contesto non ostile ma amico del cattolicesimo e della Chiesa.
Dopo il 1789, dunque dopo la grande vicenda rivoluzionaria che dalla Francia dilagò in tutta Europa e nell’America Latina quanto a modelli di Stato separatista e secolare, il giurisdizionalismo cambiò volto. Lo Stato laico, ma spesso sarebbe stato meglio chiamarlo laicista, pur avendo un atteggiamento contrario – o quantomeno indifferente – rispetto al fatto religioso, continuò non di rado a servirsi dello strumentario giuridico elaborato dal giurisdizionalismo confessionista, ma in uno spirito e per finalità totalmente diverse di questo.
La preoccupazione che dominò la politica del tempo fu quella di guardarsi dalla Chiesa e dalle sue istituzioni, realtà ancora potenti, quantomeno per il seguito che avevano a livello popolare, e generalmente ostili alle res novae che dappertutto erano seguite alla Rivoluzione francese. L’intromissione nella vita interna della Chiesa, dunque, fu teorizzata e legittimata non in ragione della difesa della fede e della istituzione ecclesiastica, ma in ragione della necessità di difendersi da un potere avverso e potenzialmente eversivo. Si teorizzò in sostanza uno ius cavendi nei suoi confronti, al fine di garantire la salvezza dello Stato separatista, laico, liberale.
Il paradosso fu che la politica liberale condusse, in tal modo, ad una esperienza non di rado illiberale. Si pensi che ancora nel 1912 non fu concesso, dal Governo italiano, l’ exequatur al provvedimento pontificio con cui Pio X aveva nominato arcivescovo di Genova mons. Andrea Caron, per cui questi non poté mai prendere possesso della sua diocesi, sicché due anni dopo, nel 1914, il nuovo pontefice Benedetto XV nominò un altro prelato per Genova, destinando il Caron ad un incarico nella Curia romana. Il pretesto della denegata esecuzione al provvedimento papale – chiara manifestazione di intollerabile giurisdizionalismo, in un ordinamento che pure si qualificava liberale – era dato dai sentimenti antimodernistici ed antiliberali del candidato alla diocesi ligure.
Dopo la parentesi degli Stati totalitari, che in una nuova ottica e per comprensibili ragioni avevano rispolverato paradigmi giurisdizionalistici, sembrava che questi dovessero ormai annoverarsi tra gli arnesi del passato.
Invece non è così.
Occorre prendere nota che effetto ultimo della secolarizzazione che ha divorato le società di antica cristianità è l’inatteso manifestarsi di rigurgiti di giurisdizionalismo. Effetto inatteso perché la scomparsa del religioso dall’orizzonte dell’uomo moderno lasciava pensare al giurisdizionalismo, cioè alla pretesa dello Stato di controllare la vita interna delle comunità religiose, come a qualcosa di morto e sepolto; come alla memoria storica di mondi ormai tramontati da tempo. Gli è però che questo uomo moderno non aveva fatto i conti col fenomeno, sopraggiunto, della revanche de Dieu, come icasticamente è stata definita; con quella rivincita di Dio nella società secolare che ripropone volti antichi e, soprattutto, ne manifesta di nuovi.
Ma specialmente effetto paradossale, perché appare assolutamente contraddittorio che una società la quale ha rimosso il religioso dal proprio seno, non solo come dato di fatto ma persino come obiettivo programmatico, si preoccupi di disciplinare aspetti e momenti di quella vita religiosa che ha scacciato dallo spazio pubblico emarginandola nel privato. E più ancora effetto paradossale quando, e non di rado, pretende di intervenire negli interna corporis delle società religiose; quando si arroga poteri di intervento per una reformatio Ecclesiae, che richiamano alla mente addirittura forme del giurisdizionalismo confessionista di settecentesca memoria.
Gli esempi in materia sono tanti; qui basta richiamarne due.
Il primo è da rintracciare tra le note e tristi vicende degli abusi sessuali su minori da parte di chierici e religiosi, al cui contrasto e repressione la Chiesa si è impegnata oltremisura negli ultimi anni.
Al riguardo, tra gli altri e più recenti casi, può citarsi quello significativo dell’Australia, che ha istituito nel 2013 la Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse, con il compito di indagare tra l’altro istituzioni ed associazioni cattoliche in ordine all’accertamento di fatti criminosi. Il lavoro della Commissione si è protratto fino al 31 dicembre 2017, producendo un ponderoso rapporto finale del quale gran parte del volume XVI è dedicato alle realtà cattoliche nel Paese australe ed alle responsabilità della Chiesa per gli abusi sui minori.
Nel documento, di dura condanna del fenomeno, sono tra l’altro contenute molte raccomandazioni rivolte alla Conferenza episcopale australiana, che appaiono pesanti intromissioni negli interna corporis della Chiesa. Così ad esempio in materia di governo di diocesi e parrocchie, di nomina dei vescovi, di revisione del diritto penale canonico e, in genere, di riforma delle istituzioni ecclesiastiche, con la singolare pretesa per cui, in alcune materie, la Chiesa dovrebbe conformare il proprio ordinamento giuridico agli ordinamenti degli Stati in cui vive ed opera.
In questo contesto si pone il problema della configurazione nell’ordinamento statale di un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria statale da parte dell’ecclesiastico (così come del ministro di culto delle altre confessioni religiose) di abusi sessuali, quando di questi sia venuto a conoscenza non solo nell’esercizio delle sue funzioni spirituali, ma addirittura nell’amministrazione del sacramento della penitenza. Ciò che si scontra, evidentemente, con il principio canonistico della inviolabilità del sigillo sacramentale
, per cui «non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa» (can. 983 § 1 c.i.c.). Si tratta di condotta penalmente perseguita dall’ordinamento canonico con la pena più grave: «Il confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica» (can. 1388 § 1).
Il fatto è assai grave in sé e nella sua potenziale diffusività in altre realtà statuali. Non a caso, la Penitenzieria Apostolica, cioè l’autorità della Santa Sede competente in materia, in una nota del 29 giugno 2019 ha ribadito la inviolabilità del sigillo sacramentale da parte del confessore. Il documento ha precisato tra l’altro che «il sigillo esula [...] anche dalla disponibilità del penitente, il quale, una volta celebrato il sacramento, non ha il potere di sollevare il confessore dall’obbligo della segretezza, perché questo dovere viene direttamente da Dio». Il documento non ha omesso di ribadire che il segreto si estende anche fuori dell’amministrazione del sacramento della penitenza, ad esempio nella direzione spirituale.
Altro caso esemplare di rigurgito di giurisdizionalismo è quello che riguarda la rivendicazione del sacerdozio femminile. Sussistono, è vero, tentativi di componenti del popolo di Dio di ricorrere al potere secolare per indurre la Chiesa ad ammettere le donne al sacerdozio ministeriale. Si tratta di tentativi che costituiscono una inammissibile tentazione – peraltro ricorrente nella storia – di riformare la Chiesa attraverso le leggi dello Stato; tentazione che oggi si qualifica come una sorta di giuridismo
di segno antigerarchico ed antiromano.
Ma è davvero sorprendente che da parte di studiosi laici
(in realtà sarebbe più proprio chiamarli laicisti), si venga a reclamare un intervento statale per introdurre nell’ordinamento canonico il sacerdozio femminile, in nome di una pretesa, ingiusta discriminazione di genere nella titolarità e fruizione dei diritti umani. Ed è interessante che in seno alla dottrina costituzionalistica non è mancato chi si è posto il problema, osservandosi come il femminismo – cui tale rivendicazione si riconduce – abbia «molto lottato per l’accesso delle donne ai diritti politici [...], ai diritti connessi all’ habeas corpus (aborto, diritti riproduttivi) e alla famiglia (divorzio, abolizione patria potestà), al diritto al lavoro, mentre si è meno interessato alla esclusione delle donne dalla sfera del sacro. Ciò è dovuto anche al processo di secolarizzazione delle nostre società».
I ritorni di giurisdizionalismo che si registrano nelle società contemporanee sono paradossali, proprio perché si pongono in società profondamente secolarizzate. Ma il colmo del paradosso si coglie in quei casi, nei quali gli Stati sono indotti a imporre, ma sostanzialmente a chiedere, l’ausilio del diritto canonico, nella consapevolezza dei limiti delle proprie capacità operative e delle inevitabili conseguenze, quanto ad effettività, nelle proprie norme, nell’inefficacia delle proprie azioni amministrative e nell’inanità della stessa funzione giurisdizionale. Cos’altro è, infatti, la pretesa della denuncia da parte dell’autorità ecclesiastica di comportamenti delittuosi, anche in quei Paesi nei quali la pedofilia non è perseguibile d’ufficio?
Qui è esemplare, ancora una volta, proprio la vicenda degli abusi sessuali verificatisi all’interno delle istituzioni ecclesiastiche o in genere cattoliche. Perché l’istanza di un rafforzamento delle norme interne canoniche per contrastare certe condotte, avanzata da parte di Stati e di organismi internazionali, suona come una richiesta di aiuto alla Chiesa nel rendere più efficace la lotta al triste fenomeno.
Ma ciò sta a significare, in definitiva, il fallimento di un diritto secolaristicamente orientato, cioè di un diritto che parte dal disconoscimento del fatto religioso.
Giuseppe Dalla Torre
Simone Weil protagonista della filosofia del Novecento.
Ritrovare l’umano
Introduzione
di Massimiliano Marianelli
Da poco si è concluso l’anniversario dei 110 anni dalla nascita di Simone Weil.
Simone nacque a Parigi il 3 febbraio 1909, fu insegnante di liceo, sindacalista e operaia di fabbrica in un periodo in cui essere operai significava vivere in condizioni estreme e lo fece per scelta, per avvicinarsi agli ultimi
e capirne in profondità le sofferenze e mai aderendo in maniera «totalitaria» a una fede politica: è nota la sua opposizione anche alla forma partito, da cui deriva la sua radicale proposta di soppressione [1] . Questa stessa proposta è da leggere come la ferma e forte opposizione a ogni forma di totalitarismo e infine alla tentazione del «grosso animale», espressione che Weil riprende spesso citando Platone, e che rappresenta per lei «il solo oggetto di idolatria», un «solo surrogato di Dio». Nella stessa prospettiva va considerata la critica di Weil ai «sognatori di giorno», individui disposti a fare qualsiasi cosa, a commettere qualsiasi crimine, per realizzare appunto il proprio sogno. Scrive: «Quelli che sognano di notte, si destano al mattino per scoprire la vanità dei loro sogni. Ma i sognatori del giorno sono uomini pericolosi, capaci di recitare ad occhi aperti il loro sogno fino