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Racconti per i giorni mancati
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Ebook183 pages2 hours

Racconti per i giorni mancati

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Racconti scritti tra il 2007 e il 2020, appunti di vita e personaggi di un molteplice quotidiano che, attraverso la dedizione alle proprie giornate e la fiducia in un futuro seppur incerto, guardano avanti.
Questi racconti non hanno un filo comune che li unisca, se non l’autore e a volte il viaggio, inteso come percorso interiore necessario per approdare a quel minimo di consapevolezza che questo mondo richiede per essere compreso almeno in parte; e un lavoro certosino di affinamento, parola per parola, mai concluso, che mi porta a non essere mai soddisfatto del risultato. Questa edizione è un impegno con me stesso: accettare questo mio lavoro come compiuto.
LanguageItaliano
Release dateMar 18, 2022
ISBN9791221312775
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    Racconti per i giorni mancati - Gaetano Maria Piscopo

    Gaetano Maria Piscopo

    Racconti

    per i giorni mancati

    Prefazione di

    Cinzia Galletto

    Grafica e copertina:

    Gabriele Piscopo

    @k_l_x_n_e

    2007 - 2020

    Prefazione

    Storie senza nomi, volti velati che emergono fra atmosfere cangianti, come la luce del tramonto sul lago Titikaka.

    Ogni storia un numero, quasi fosse immeritevole di un titolo. L’autore esprime così (ce lo dice nell’introduzione) il desiderio di lasciare libertà di immaginare e per non influenzare lo sguardo di noi lettori, ma forse questo non è l’unico motivo.

    Protagonisti fatti di sguardi ma senza nomi, volti immaginati attraverso le emozioni che ci trapassano come lame che fendono il buio della nostra immaginazione.

    Un sempre, un mai, un forse di vite appese come su uno stendibiancheria lasciato all’incuria di una tempesta.

    Tempesta di storie e sensazioni che affiorano parola dopo parola e mentre la lettura scorre l’anima si ferma fra le trame di quel popolo onirico racchiuso in un limbo sospeso che toglie ogni significato alla parola inizio e alla parola fine.

    Simulacri di ricordi strappati alla quotidianità.

    Attimi impressi in secondi interminabili che si srotolano in storie ammiccanti fatti di personaggi, che al termine di ogni capitolo, prima del numero successivo, in realtà ci sembra di conoscere molto bene.

    Non hanno nomi né colori di capelli perché sono come figure velate che a poco a poco affiorano da un inconscio collettivo che forse, in un modo o nell’altro appartiene a tutti.

    Soggettiva e universale insieme, la realtà di ogni storia raccoglie le emozioni che ogni personaggio nasconde oltre il suo velo che separa il sogno dalla realtà.

    Tutti i protagonisti che in realtà sono comparse senza nome di singole opere incomplete, sospesi atti unici di una danza triste e malinconica della vita e della sua recondita motivazione di essere.

    Presente e passato s’intravedono e intuiscono dalle descrizioni che passano sempre dai filtri emozionali di chi le vive.

    Dalle atmosfere nordiche alle nebbie padane, i paesaggi sotto la lente d’ingrandimento di chi vive leggendo quel racconto diventano quasi ricordi personali… come una melodia lontana, come quella che ci cantava la mamma nella culla che chiudiamo nei cassetti della memoria e quando ci capita di risentirla da grandi, ci socchiude l’anima con una tenerezza mista a una nostalgia infinita e un po’ di tristezza.

    Quando anche l’ultimo capitolo arriva al punto finale la sensazione che rimane appartiene ad un’unica sfumatura, come se tutte le storie fossero in realtà un unico frammento di vita - il libro di una vita. Un po’ come quando si guarda una spiaggia di ciottoli: scopri la meravigliosa differenza di ogni sassolino solo quando ti fermi, e ne osservi uno ad uno, prendendoli in mano.

    Dal flusso di coscienza di Joyce, alla vita misurata con cucchiaini da caffè di T.S. Eliot fino a Uno Nessuno e Centomila di Pirandello, si potrebbero scomodare tutti i grandi letterati che hanno fatto la rivoluzione letteraria del 1900 per raccontare questo libro, ma non serve perché la sua necessità di esistere traspare e si sente in maniera forte e chiara. Sono storie che pretendevano di essere scritte e vomitate da un’anima sensibile, malinconica, romantica (nel senso ottocentesco del termine, non nella banalizzazione di oggi) ma soprattutto desiderosa di cercare una ragione ai grandi interrogativi dell’esistenza umana.

    L’immediatezza del linguaggio, la sua eleganza fluida e accattivante induce a leggere tutto di un fiato, ma quando arrivi al termine ti rendi conto che devi ricominciare perché ogni sassolino deve essere guardato con maggiore attenzione e vuoi riflettere sulle sue sfumature… così anche il lettore non porta a termine mai il suo ruolo e contagiato dall’animo dell’autore continua la sua danza perpetua e sospesa a celebrare il senso incompiuto della vita.

    Cinzia Galletto ¹


    1 Giornalista - Presidente del Premio Letterario Travel Stories Awards Gist - Salone del Libro di Torino

    Introduzione

    Il racconto è l’acquario, la vita reale gli oceani: parimenti la bellezza va ricercata e la perfezione vi deve esistere, nel grande come nel piccolo.

    Perché il racconto? perché poche pagine? perché spesso neanche un nome e neppure date o riferimenti storici? perché nessun titolo?

    Qual è la nostra grande difficoltà…? Immersi nell’oceano sconfinato - la vita, la realtà dalle mille sfumature e percezioni spesso incomprensibili - non siamo capaci di riconoscere ogni sua forma ed espressione: per questo il nostro agire è spesso limitato e approssimativo.

    Se invece osserviamo un acquario, ne restiamo attratti e cambiando ogni volta angolazione abbiamo una visione sempre diversa e affascinante. Infiniti riflessi della luce inondano questo frammento d’infinito con fluttuazioni mai uguali: ecco come il racconto - breve porzione del mondo intero - prende vita, vicino ai bisogni della nostra interiorità e in modo sempre differente, ma compiuto. Tutto ciò anche se il racconto, come l’acquario, è sempre lo stesso.

    Quando pensiamo a un viaggio, sappiamo sempre che alla fine ci riporterà a casa. La cosa più importante non sarà quindi il suo inizio - l’idea di dove andare e il suo perché - o la conclusione, in quanto scontata. Rimarranno il suo scorrere, le mille sensazioni e le immagini impresse nella nostra memoria che faranno di esso un’esperienza unica e probabilmente irripetibile.

    Allo stesso modo il racconto può anche non avere un finale particolare, o la classica morale come nell’antichità. È il percorso che anima i personaggi a distinguerlo e a dare a chi legge quegli attimi di meditazione che ne faranno - negli intenti dell’autore - un momento di riflessione su cosa ci portiamo dentro e a cui spesso non riusciamo a dare voce.

    Le storie vivono dentro di noi, non c’è bisogno di collocarle in modo preciso e univoco.

    Poiché il tempo che conosciamo è soltanto un limite - una non-creazione della nostra mente - lo scorrere delle epoche non può vestire la creatività umana (fantasia) con le forme di un solo momento storico e limitare così la libertà del pensiero, di chi scrive come di chi legge.

    I personaggi sono immersi nell’ombra, allo stesso modo delle creature marine nelle profondità degli oceani; quando vengono evocati da chi scrive, tornano in superficie e si muovono nel loro ambiente: la luce dà loro nuova vita e nuovi colori, per poi tornare dimenticati negli abissi, come nell’inconscio di ognuno.

    Prima di aver letto un racconto, il suo titolo ci offre solo una visione parziale che non è la nostra e che forse non lo sarà neanche dopo aver chiuso l’ultima pagina; oppure ci anticipa troppo presto qualcosa che dobbiamo scoprire o maturare durante la lettura.

    Siamo noi a modellare la narrazione ogni volta che lo rileggiamo, anche dopo molto tempo: ora siamo quel personaggio, ora l’altro, quello ci ricorda un momento particolare della nostra vita, quella donna una vecchia amica, l’altro noi stessi tanti anni fa.

    Possiamo essere noi a dare il titolo a ciascun racconto e forse sarebbe sempre diverso ogni volta che lo rileggiamo.

    "… Del mondo si può dire che appare, ma non che è. L’apparizione può durare molto a lungo secondo una determinata scala temporale e molto poco secondo un’altra, ma alla fine il risultato è lo stesso. Tutto ciò che è legato al tempo è momentaneo e non ha realtà."

    (Sri Nisargadatta Maharaj)

    il Tempo,

    misura e arbitro di tutte le cose umane

    la Musica, sua figlia prediletta,

    unica Arte assoluta

    A chi mi conosce

    e a chi lo crede.

    1.

    Il rumore cadenzato delle ruote sulla strada era il segnale che l’alba aveva da poco infranto l’oscurità notturna. Come per magia i primi bagliori imbiancavano i battenti delle botteghe già aperte e le donne, spalancate le finestre, ricoprivano i davanzali con le lenzuola della notte; le loro piccole dimore si riempivano della buona aria umida del mattino e ci si salutava con l’augurio di una giornata favorevole. Coi mormorii della vita che ricomincia, il Corso della città si svegliava; lui era già per strada, pronto al buongiorno dei molti che lo conoscevano.

    Se la pioggia bagnava il lastricato, lo invitavano per un pezzo di pane o un bicchiere di latte caldo da dividere coi propri figli. Guardavano con tenerezza materna quell’adolescente già troppo cresciuto che girava tutto il giorno spingendo quel carro, anche se molti non capivano: era difficile comprender e il suo amore per quel lavoro. Gli stessi ragazzi di tutte le età, coi quali aveva vagabondato fino a poco tempo prima per le viuzze del centro, si divertivano a chiamarlo coi nomi più disparati… capitan Ramazza, Sagginello… Alcuni persino gli lanciavano palle di carta o di stracci, e lui per gioco gliele ritirava, obbligandoli poi a buttarle nel suo bidone.

    Pulire le strade da quello che gli altri lasciavano cadere spesso con noncuranza, o per abitudine, o solo per disturbare le passeggiate dei signori, lo faceva sentire diverso, dandogli l’impressione di essere padrone di ciò che vedeva intorno a sé. Come tantissimi altri era nato nel cuore della città, ma quei tantissimi non facevano caso al gioiello che ogni giorno avvolgeva le loro esistenze anonime: per loro era normale vivere quelle strade e quelle piazze, le stesse che per moltissimi altri nel mondo rimanevano solo il sogno di un viaggio da fare almeno una volta nella vita. Per lui ogni angolo, mattone o finestra cantava una canzone antica, della quale lui portava nel sangue la melodia: le parole invece, fatte per l’intelletto e la conoscenza, non erano per lui affatto necessarie.

    Lo affascinava ascoltare lingue diverse, spesso totalmente incomprensibili; ogni strada era per lui una specie di Babele: si fermava a bocca aperta ad ascoltare, provando ad afferrare qualche parola, e i turisti dopo un attimo d’imbarazzo ridevano con lui e gli regalavano una moneta. Ma quello che leggeva nei loro sguardi era ciò che lo faceva sentire importante e parte del tutto intorno a lui.

    Chiunque tirasse fuori un foglio e un lapis diventava oggetto di grande curiosità; ogni schizzo e impressione delle attrattive della città destavano in lui interesse e ammirazione: era felice che qualcuno volesse rendere reale un’impressione, per quanto istantanea e personale. Pittori, semplici turisti che volevano avere un ricordo, studenti… Magari avesse potuto dar loro qualche consiglio… in fondo conosceva a memoria ogni via, ogni pietra, persino il formarsi delle ombre sui muri al passar delle ore. Trovava divertente che tutti avessero il naso per aria, a contemplare i doni del passato, mentre lui doveva per forza guardare sempre in terra per rimuovere i rifiuti del presente… Anche le carrozze che spesso abbandonavano le solite scie di escrementi erano nella sua immaginazione parte di quell’atmosfera che la sua città regalava a ogni persona che vi passasse almeno un giorno; si sentiva tra gli attori di quel miracolo e ogni angolo pulito in più lo rendeva felice.

    e f

    Era ancora molto piccolo quando sua madre morì e per fargli ricordare l’anno gli avevano detto che era morta poco dopo il re Umberto. Questa frase lo avrebbe accompagnato per tutta la vita e si sentiva orgoglioso di poter accostare sua madre a una persona così importante; ma erano due entità parimenti lontane nei suoi ricordi, e questo lo rattristava. Con la sua esuberanza sembrava non aver bisogno di una carezza o dell’affetto di una madre; ma forse si era solo creato quella difesa che ogni essere vivente usa per non mostrare il bisogno di ciò che in realtà gli manca.

    Non potendo assicurargli un’istruzione, suo padre voleva che andasse a bottega da un fabbro o che imparasse un mestiere qualsiasi che avrebbe potuto dargli un futuro; ci sarebbe sempre stato bisogno di due buone mani e il pane non sarebbe mai mancato. E invece, vivace e curioso come era, non riusciva a stare più di un mese chiuso tra le stesse quattro mura; una sottile insofferenza lo prendeva dopo aver passato troppo tempo a fare cose che non lo interessavano e che imparava troppo in fretta. Preferiva correre per le vie a osservare il mondo, giocare coi suoi coetanei e sperimentare comunque quella giovane vita che poco o nulla gli offriva per il futuro.

    La strada sembrava essere la sua vita, conosceva ogni recesso di quel suo universo e i negozianti lo salutavano con un misto di cordialità e timore per il gruppo di piccoli e spensierati vagabondi che si portava dietro. Specialmente il venditore di caldarroste, che con l’arrivo dell’autunno offriva la sua mercanzia all’ultimo angolo del Corso, veniva preso da una certa agitazione appena li vedeva in lontananza: quante volte in silenzio gli avevano svuotato il braciere dopo che si era assopito per un bicchiere di troppo, aiutato dall’imbrunire del tardo pomeriggio: un pover’uomo non può neanche difendersi dal freddo che subito questi piccoli mascalzoni…! Una sera particolarmente buia sparì addirittura un intero sacco di marroni, anche se non fu facile trascinarlo di nascosto verso casa…

    e f

    Alla fine decise che fare lo spazzino sarebbe stato ciò che poteva farlo felice: non avrebbe temuto né il freddo né la pioggia, né tantomeno la fatica. Era un’alba piovosa quando gli dettero il suo carro e gli attrezzi del mestiere; non gli importò che il pastrano grigioverde e il bidone fossero visibilmente già vecchi e logorati dall’uso: una nuova vita si apriva ai suoi occhi di adolescente, aveva un compito e lo avrebbe portato avanti. Suo padre aveva pregato per mesi la famiglia del notaio dove era stato a servizio di intervenire presso la municipalità; in fondo glielo dovevano: aveva dedicato loro tutta la sua esistenza e la malattia certo derivava anche dalla vita grama che gli avevano imposto. Ora che doveva passare gran parte della giornata in un letto poteva contare su quelle giovani braccia per tirare avanti e un bicchiere di vino quando lo stomaco glielo permetteva.

    Il giorno che lo vide in divisa, quasi in posa militaresca nonostante il pastrano di diverse taglie più grande, gli venne un sorriso: pensò, lungo e magro come era, a quanto somigliasse alla scopa che brandiva orgoglioso.

    Gli inverni per strada erano lunghi e le giornate a volte sembravano non finire, nonostante la luce calasse presto dietro le colline; calzare i grossi scarponi di suo padre era la sua sola difesa contro l’inclemenza della stagione. I suoi colleghi più anziani, quando il freddo si faceva insopportabile, si nascondevano per ore nelle mescite: alla fine del giorno erano più i fiaschi svuotati che i sacchi raccolti dalle strade. E se la pioggia non dava tregua, a lui non restava altro che togliersi gli scarponi fradici prima

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