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La percezione della Gestalt: Riflessioni a partire dall'esperienza
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Ebook402 pages6 hours

La percezione della Gestalt: Riflessioni a partire dall'esperienza

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About this ebook

Il libro ha l’obiettivo di illustrare gli errori, i limiti e i problemi dell’ateismo – sempre più diffuso nella società attuale – e, successivamente, di offrire una panoramica del cristianesimo, proprio come razionale risposta ai dubbi e alle domande lasciate irrisolte dall’ateismo. È pensato per essere una guida per far riflettere su alcune questioni fondamentali in cui l’ateismo si rivela insufficiente, e per far avvicinare speranzosamente i lettori alla fede cristiana attraverso un rapporto concreto con la realtà, con il ragionamento e la riflessione critica.
 
LanguageItaliano
PublisherStreet Lib
Release dateMar 9, 2022
ISBN9791221308907
La percezione della Gestalt: Riflessioni a partire dall'esperienza

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    La percezione della Gestalt - Simone D'Aurelio

    Simone D'Aurelio

    La percezione della Gestalt

    Riflessioni a partire dall'esperienza

    UUID: edf75ea5-ee2d-4f40-8656-1e3bd61b1022

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Piccola premessa al lettore

    Introduzione

    CAPITOLO 1. I PROBLEMI DELL’ATEISMO

    1. Problemi filosofici legati alla persona

    2. Problema legato al mondo

    3. Problemi filosofici

    4. L’evoluzione e i problemi scientifici

    5. I dualismi dell'ateismo

    6. Le mie conclusioni

    CAPITOLO 2. UN SALTO NELLA STORIA

    1. Prove storiche di Jeshua di Nazareth

    2. Ipotesi su Gesù

    3. Elementi storici dei Vangeli

    CAPITOLO 3. IL CRISTIANESIMO

    1. Il pensiero cristiano

    2. L'essenza del cristianesimo

    3. I dualismi del cristianesimo

    4. Approfondimenti sul Messia

    Ringraziamenti

    Bibliografia

    Sitografia (video, articoli e altre fonti)

    Copertina realizzata dall'illustratore Davide Voltarel

    A chiunque sia in cerca della verità

    Piccola premessa al lettore

    Nel mio libro faccio riferimento a vari autori specialisti in diversi campi, e mi avvalgo anche di alcuni dati provenienti da diverse discipline (psicologia, archeologia, storia, filosofia…) ma presento anche delle mie opinioni: queste non sono oggetto di scienza, bensì frutto della mia visione. Tuttavia, invito tutti a sperimentare e ad approfondire, al fine di riflettere in prima persona sui temi qui proposti e trattati con differenti approcci. Sicuramente si potrà mettere in luce un orizzonte totalmente diverso nella vostra vita, che esce fuori dai classici stereotipi di questo secolo. Non ribadirò ancora la stessa considerazione durante la stesura, ovvero che le impressioni soggettive riportate non sono oggetto di scienza; tutto questo anche per assicurarvi una lettura sobria e scorrevole. Queste sono semplici opinioni, riflessioni e considerazioni del sottoscritto, che ho il piacere di condividere con voi, allo scopo di poter aiutare la crescita critica di ogni singolo e curioso lettore.

    Se questo libro sarà d’aiuto anche a uno solo di voi ne sarò enormemente contento e mi potrò dichiarare pienamente soddisfatto.

    Con affetto vi auguro una buona lettura.

    Introduzione

    In questo lavoro cercherò di affrontare una serie di problematiche strettamente collegate tra di loro. Inizialmente vedremo cos’è l’ateismo, cosa quest’idea intende comunicare e se ad oggi è pensabile in modo corretto; nel frattempo valuteremo anche i problemi ad esso connessi. Successivamente, dopo un’analisi di alcuni punti importanti, li rileggerò dal punto di vista cristiano, cercando di far percepire il contrasto e di mostrare le differenze tra i due diversi approcci alla vita e al mondo. Presentando il cristianesimo, illustrerò anche in che modo è organizzata la sua filosofia attraverso l’illustrazione di alcuni fondamentali punti.

    Il presente libro non può racchiudere tutto ciò che c’è da dire sul cristianesimo o sull’ateismo (non basterebbero probabilmente milioni e milioni di libri tutti insieme!), ma si focalizza su alcuni punti vitali, che sono di fondamentale importanza e che, anche se non sono numerosi, riusciranno a fornire al lettore un piccolo ma ben delineato scorcio su queste due filosofie.

    Tra ateismo e cristianesimo, ci sarà una parte del lavoro concentrata sulla figura di Cristo, sui suoi insegnamenti, sulla sua storicità, e anche sulla trasmissione dei suoi messaggi. Ho ritenuto necessario dedicare tempo e focalizzarmi anche su questo perché il lettore potrà in questo modo ritrovarsi proprio di fronte alla figura del Messia e comprendere meglio il senso del cristianesimo attraverso la sua Persona.

    1.I problemi di fronte al reale

    Oggi bisognerebbe rifare tutta la teoria della ragione, partendo dal lavoro effettivo della ragione così come si esercita nell'atto della scienza della realtà. [1]

    Claude Tresmontant

    Non potevo trovare frase migliore per iniziare questo lavoro: il nostro modo di pensare, di ragionare e di formulare ipotesi, si deve confrontare sempre con il piano della realtà, ed è quindi proprio sul nostro atteggiamento verso il reale che si basa ciò che noi pensiamo e il modo in cui facciamo filosofia. Il problema sul quale si gioca la partita sta proprio in questo: per prima cosa, possiamo accettare ciò che vediamo e percepiamo (e dunque le nostre esperienze) come qualcosa di vero? Se rifiuto la realtà – per la maggior parte o integralmente – perché devo fidarmi di un ideale che ho nella testa e che non ha nessun riscontro sul campo razionale e in tutti gli ambiti che conosciamo?

    La questione di fondo è che l’uomo si relaziona alla realtà e che quest’ultima è fondamentalmente l’unico sistema metrico disponibile con cui rapportarci a livello concreto; i nostri ragionamenti, i nostri modi di pensare, le nostre azioni si concentrano lì e, anche se vogliamo esercitarci a staccarci il più possibile dalla realtà, ci ritroveremo a fare i conti con essa, indipendentemente se lo accettiamo o no. La nostra intelligenza è fatta per rapportarsi con la realtà, e a valutarla per ciò che è: senza di essa non c’è modo di esercitarla. Escludere ciò che viviamo e vediamo ci lascia aggrappati soltanto all’inesistente, il che significa dire al nulla. Quindi la partita si gioca nel:

    - Decidere se accettiamo il reale.(l’oggetto in questione).

    - Capire se effettivamente stiamo valutando nella maniera corretta la realtà, per ciò che essa è (il soggetto e la sua capacità di comprenderla).

    Questa scelta è in realtà fondamentale per due motivi:

    «Il conflitto delle filosofie comincia con un conflitto di atteggiamenti verso la realtà; continua a livello dello statuto della ragione e diventa metafisico. Il conflitto della metafisica, da parte sua, raggiunge il livello delle antropologie. La storia della filosofia ce ne fornisce molti esempi». [2] Ogni scelta fatta in un verso o nell’altro innesca a cascata una serie di considerazioni, di importanza cruciale, per le nostre riflessioni, che nella filosofia è impossibile ignorare. Ma non solo, in realtà ci può fornire anche le soluzioni necessarie per poter dire se è possibile o no parlare di Dio: «La logica del problema dell'esistenza di Dio dipende dall'atteggiamento filosofico verso la realtà, il quale non è un atteggiamento qualsiasi». [3]

    La prima cosa da prefissare, quindi, è scegliere il metodo filosofico della nostra indagine, e quello che userò è quello del realismo che si contrappone all’idealismo. È una scelta fondamentale da compiere, senza la quale non si può avviare il ragionamento stesso. Idealismo e realismo sono due correnti differenti e, dato che questo lavoro è pensato per rivolgersi a un vasto pubblico, spiego adesso in via preliminare e a larghe linee cos’è il realismo e quali sono le differenze con l’idealismo.

    Essere idealisti significa, di fatto, partire dal pensiero per arrivare alle cose. È questa la via utilizzata da Cartesio, il quale nelle sue Meditazioni Metafisiche ha posto in dubbio qualsiasi cosa, fatta eccezione, appunto, per l’esistenza del suo stesso pensiero. L’elemento di partenza è dunque per un idealista il pensiero, mentre tutte le altre cose sono poste proprio in relazione a questo pensiero, in quanto vengono considerate come un qualcosa di percepito prima di un essere in sé che esiste fuori da me. La conseguenza di un simile approccio è la chiusura inevitabile nel pensiero: tutta la realtà finisce per essere ridotta a ciò che io in questo momento percepisco e non può darsi in altro modo rispetto a come io la percepisco, per cui il mondo sarebbe costituito di fatto solo da pensieri e rappresentazioni. Se l’unica certezza è il pensiero, infatti, come posso uscire dalla mia mente e provare davvero l’esistenza indipendentemente da me delle altre cose?

    Come spiega Gilson, «per poter dire che il pensiero è tutto, occorre realmente ammettere che al di fuori di esso non ci sia nulla; di conseguenza, occorre ammettere anche che non c’era nulla prima del pensiero e che nulla ci sarà dopo nel caso che il pensiero scompaia. In una parola, e in conformità con i dati del problema, per l’idealismo l’essere è in sé inseparabile dalla conoscenza, perché si riduce a essa.» [4] Ma si capisce bene come un simile atteggiamento non sia compatibile con la vita pratica, e infatti gli idealisti finiscono per cadere in contraddizione quando si ritrovano a dover per forza a uscire dal loro pensiero e affermare l’esistenza delle cose. Le modalità per uscire dalla gabbia del pensiero (proposte da Cartesio e dai tanti idealisti successivi) non sono risultate però mai convincenti, proprio perché fin dall’inizio l’essere del mondo si dà solo in quanto oggetto del pensiero.

    Vi invito ora a considerare il metodo realista che, al contrario, parte dalla posizione opposta: dalle cose al pensiero. Per un realista la prima cosa che si dà sono le cose così come sono mediante l’esperienza sensibile ed è proprio nella conoscenza e nell'analisi dell’oggetto che io posso rendermi conto del mio stesso pensiero. Quando si pensa non si pensa mai il nulla, ma sempre qualcosa, un oggetto dato fuori da noi, per cui, contrariamente a quanto riteneva Cartesio, il primo contenuto che appare al pensiero non sono io ma gli enti del mondo. Il punto di partenza all’interno della coscienza dell’essere sono le cose del mondo e, solo successivamente, come frutto di una riflessione secondaria e ulteriore, si arriva alla consapevolezza dell’io, intendendo con io il soggetto che quel mondo lo conosce. In questo modo, dall’ Io penso dunque sono di Cartesio, si passa al Le cose ci sono, dunque io sono. È questa la via scelta dal grande Aristotele e, dopo di lui, da tutta la filosofia cristiana a iniziare da Tommaso d’Aquino. Infatti, «la filosofia naturale e cristiana è filosofia realista: la conoscenza è nell’adeguamento del soggetto all’oggetto e non viceversa. [….] La filosofia naturale e cristiana è contemplazione della realtà. E, poi, sulla realtà osservata e contemplata sviluppa il ragionamento». [5] Non è il soggetto che crea la realtà e la manifesta a suo piacimento, che vive solo nella sua testa e decide cosa è quest’ultima, cosa va bene e cosa no, ma al contrario è la sua capacità di comprenderla che risulta fondamentale, è la realtà (oggetto) che si manifesta alla persona (soggetto).

    Inoltre, va anche sottolineato come è diverso anche il significato di metodo nei due diversi approcci. Nell’idealismo il metodo è sempre preso in prestito da altre scienze, come la matematica (per Cartesio) o la fisica (per Kant); invece per il realista il metodo non è mai imposto a priori, bensì va trovato nella realtà stessa. Il metodo realista è allora un metodo che si costruisce mentre si esplora la realtà, ed è un metodo che si accorda alla realtà così com’è ed è proprio di quella realtà e della filosofia stessa (non rubato da un’altra scienza completamente differente nei suoi obiettivi e nei suoi contenuti).

    Il discorso che si potrebbe fare in merito è naturalmente molto più ampio, ma per il fine della mia esposizione voglio far notare come il metodo realista risulti il migliore perché non nega il valore dell’esperienza, è il più compatibile con la vita pratica e il senso comune, e non entra in contraddizione con se stesso. Tra la scelta di partire dal pensiero per arrivare (non si sa come) alle cose, e quella di partire dalle cose per arrivare (in modo naturale) al pensiero, io scelgo di essere realista.

    Se accettiamo e ci incamminiamo per questa via, siamo a un buon punto di partenza da cui poi proseguire. Comunque, qualsiasi scelta venga fatta, il nostro modo di fare filosofia può diventare a cascata (se nelle condizioni giuste) una metafisica che poi a sua volta diventa antropologia. L’obiettivo che mi propongo è far concepire la filosofia cristiana come pensiero razionale, unico ed estremamente collegato alla vita umana poiché fortemente ancorato alla realtà percettibile. La non accettazione del reale in filosofia è un seme sterile, come lo è nell’atto pratico per il cristiano; è, per di più, semplicemente vagheggiamento, fantasia e in definitiva invenzione:

    «Se l’uomo ritiene che la realtà sia seria, trova altrettanto reale collocazione nel mondo; ma se l’uomo rifiuta la realtà, allora inventa se stesso. Ed è proprio questa possibilità di inventare se stesso ciò a cui la categoria della modernità ha sempre aspirato. Perché l’uomo, inventando se stesso, può illudersi di non aver bisogno di rimettersi a qualcuno, può illudersi quindi di non essere creatura». [6]

    Troviamo un esempio delle conseguenze della non accettazione della realtà all’interno della storia cristiana. I Farisei nelle visioni della Emmerick non contestano il Messia per ciò che Egli opera, né per quello che Egli insegna, ma lo contestano e lo vogliono mettere a morte perché non è quello che si aspettavano. In loro si genera, così, il conflitto tra il Cristo reale (che è di fronte ai loro occhi, e si presenta come umile, mite, caritatevole, aperto al perdono e al cambiamento, ma allo stesso tempo molto attento all’insegnamento e all’interpretazione della legge), e il Cristo ideale (che esisteva soltanto nella loro testa, percepito come un re-imperatore, che segue i loro insegnamenti e ciò che loro vogliono) [7] .

    La realtà così come si mostrava non andava bene e, nel momento in cui non è stata accettata, si è portata avanti la necessità di dover giustiziare il Messia. In questo caso si trattava di Dio in persona, figuriamoci sul resto delle cose come può andare. Anche nella Chiesa si può notare molto spesso questo tipo di deformazione; nuovamente possiamo citare la Emmerick, in merito a quanto ha visto e raccontato:

    [Gesù] vide l’indifferenza, la malizia e la perversità di numerose persone che si definivano cristiani; le menzogne dei sacerdoti indegni, i loro sacrilegi e le conseguenze che ne sarebbero derivate. Gesù vide, sotto le forme più disparate, gli scandali di tutte le epoche, dalla fondazione della Chiesa fino alla fine del mondo: perversione dello spirito, esaltazione, fanatismo dei falsi profeti, ostinazione degli eretici. Vide apostati, presuntuosi, dottori eterodossi, corruttori e corrotti che lo tormentavano e perseguitavano. Essi laceravano e si contendevano la tunica inconsutile della sua Chiesa; ognuno voleva il Redentore diverso da quello che si era offerto a noi per amore. Molti lo maltrattavano, lo insultavano e lo rinnegavano, gli passavano innanzi scuotendo il capo sdegnosi di fronte a lui, che tendeva le mani verso di loro per salvarli, ma essi proseguivano caparbiamente verso l’abisso da cui erano inghiottiti. Altri che pur non avendo il coraggio di rinnegarlo apertamente, simili al levita della parabola del Vangelo si allontanavano disgustati dalle piaghe della sua chiesa. [8]

    2.La Gestalt

    Vedendo le grandi Somme di teologia redatte nel Medioevo, o pensando alla quantità di libri scritti ogni giorno in favore o contro la fede, si è tentati di scoraggiarsi e di pensare che è tutto troppo complicato. Alla fine, vedendo i singoli alberi, non si vede più il bosco. Ed è vero: la visione della fede comprende cielo e terra; il passato, il presente, il futuro, l’eternità: e perciò mai esauribile. E tuttavia, nel suo nucleo è molto semplice. Il Signore stesso, infatti, ne ha parlato col Padre dicendo: Hai voluto rivelarlo ai semplici, a coloro che sono capaci di vedere col cuore (cfr Mt 11,25). [9]

    La copertina del libro ritrae proprio questa foresta innevata, che si dirada tra la nebbia: non potevo pertanto trovare parole e immagini migliori se non quelle del Papa emerito per aprire questo argomento. Effettivamente in questo scontro si mostra sia la concezione dell’ateismo sia quelle del cristianesimo nella loro essenza, nel loro nucleo, filosofico e strutturale. Adottare questo sguardo unitario vuol dire cercare di non guardare un singolo e unico elemento, bensì le colonne portanti, i principi, quelli che non possono cambiare in virtù della loro ragion d’essere. Analizzando questi punti focali, possiamo trarre le nostre conclusioni, staccare l’occhio dal singolo albero e ammirare la foresta innevata in tutto il suo splendore e capire meglio l’essenza immutabile di queste due entità.

    Anche il titolo è un forte richiamo a tutto questo; della percezione della Gestalt sul dizionario Treccani troviamo la seguente definizione: «Teoria psicologica contemporanea, sorta in Germania nel secondo decennio del sec. 20°, secondo la quale i fenomeni percettivi non possono essere spiegati sulla base di una giustapposizione o addizione di singole unità elementari (sensazioni), ma piuttosto globalmente nel loro organizzarsi in strutture ( Gestalten) secondo leggi ben determinate» [10] . Infatti, secondo la psicologia della Gestalt, ciò che percepiamo non è una somma di elementi, ma una sintesi della realtà. Nella percezione del mondo esterno, insomma, noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli sensoriali, ma percepiamo l’insieme, che è qualcosa di più e di diverso dalla semplice somma degli elementi. Basti pensare ad una semplice melodia. Quando la ascoltiamo non percepiamo le singole note ma il suo insieme. La percepiamo, cioè, nella sua totalità.

    È proprio da qui che vorrei partire perché le mie riflessioni filosofiche prendono avvio dalla percezione unitaria delle cose e dall’esperienza. Come per un’opera d’arte ci è difficile poterla giudicare se non vedendola nel suo complesso, così è anche la vita. Nella routine di tutti i giorni siamo sempre caratterizzati da obiettivi, desideri, abitudini, problemi; spesso in tutto questo ci manca la visione complessiva, viviamo in modo frammentario, passando di scenario in scenario, senza fermarci a considerare ciò che accade. Ma in questo panorama che passa velocemente, se si sposta lo sguardo in una direzione precisa, si può avere un vero giudizio sulla vita. Per fare questo dobbiamo partire dai presupposti giusti, analizzarla integralmente. Ma come collegare tutto? Da quali valori e presupposti partire? Dove siamo diretti? Come trovare una linea biologica nei suoi elementi? E, soprattutto, qual è il suo significato ultimo?

    Il mio pensiero nasce da un collegamento logico-esperienziale di tipo induttivo che è facilmente verificabile; per prima cosa solleva i profondi problemi dell’ateismo e in seconda battuta dimostra come la fede cristiana non sia un salto assurdo come quello supposto da Kierkegaard, bensì, proprio l’opposto: la fede nel rabbi Jeshua è la risposta naturale alla luce della nostra ragione ed è, soprattutto, un sistema biologico di pensiero perfetto, denso di significato universale e orientamento. Inoltre, è anche l’elemento fondamentale che ci permette di ampliare l’orizzonte del nostro logos e di vivere la vita al massimo delle nostre potenzialità, in accordo al suo intrinseco senso.

    La prima cosa di cui devo parlare, però, prima di guardare il cristianesimo è l’ateismo, che nel nostro secolo è sicuramente qualcosa di molto diffuso – se non in maniera dichiarata, quantomeno in maniera pratica. Una metà del libro circa approfondirà quindi in maniera dettagliata questa corrente di pensiero.

    Sembra che la prospettiva atea sia quella più razionale, e che al contrario la visione religiosa sia quella dei semplici creduloni, dei bambini o degli stupidi. Qui, vorrei dunque illustrare che l’apparenza inganna, anche a rischio di ricevere forti critiche. Ci sono alcuni cristiani che vivono poco la fede o approfondiscono in maniera alquanto sbrigativa i suoi concetti, oppure ancora semplicemente non li conoscono affatto e pensano che credere sia qualcosa di collegato alla fiducia, inteso come un processo fideistico dove la persona si butta, effettivamente sperando nell’aldilà di aver ragione. Sbagliato, nulla di più sbagliato: i dottori della Chiesa avevano sì fede, ma questa era ben collegata alla ragione, era una fede degna di essere vissuta, perché prima di tutto era piena di contenuti ed era un assenso della ragione stessa, e dell’essere umano in tutta la sua pienezza. Di fronte al nostro interlocutore si deve rendere infatti ragione del perché crediamo. La fede non è qualcosa di astratto, difficile da capire e da vivere, bensì si tratta di una fede ancorata alla verità, alla realtà e alla logica umana, quindi è il risultato di un percorso esistenziale e filosofico che porta all’incontro con Cristo. Fatti cadere questi primi stereotipi, adesso dedichiamoci con grande attenzione al pensiero ateo.


    [1] C. Tresmonant, Comment se pose aujourd’hui le problème de l’existence de Dieu, Éditions du Seuil, Livre de vie, Paris, 1971, p. 41 (traduzione a cura di Laura Paulizzi).

    [2] Abreu Freire Antonio, recensione a Comment se pose aujourd'hui le problème de l'existence de Dieu, in Revue Philosophique de Louvain, Année 1966, 82, pp. 327-329 (traduzione a cura di Laura Paulizzi).

    [3] Abreu Freire Antonio, recensione a Comment se pose aujourd'hui le problème de l'existence de Dieu, in Revue Philosophique de Louvain, Année 1966, 82, pp. 327-329 (traduzione a cura di Laura Paulizzi).

    [4] E. Gilson, Il realismo, metodo della filosofia, Casa editrice Leonardo Da Vinci, 2015, p. 130.

    [5] C. Gnerre, Qual è la vera fede cattolica?, Fede e cultura, 2012, p. 42.

    [6] C. Gnerre, Qual è la vera fede cattolica?, Fede e cultura, 2012, pp. 48-49.

    [7] P. Giovetti (a cura di), Gesù negli anni della vita pubblica. Secondo le visioni della beata Anna Katharina Emmerick raccolte dal poeta Clemens Brentano, San Paolo Edizioni, 2014. «I Farisei, che conoscevano le profezie di Simeone e avevano sentito i suoi insegnamenti al Tempio quando era bambino, erano caparbi e ostinati; avevano preso informazioni sulla sua famiglia: secondo loro era esageratamente modesto, troppo povero e disprezzabile. Essi volevano un Messia grandioso», p. 47-48. Ivi, «Quante volte li ho visti seduti a studiare i profeti e le antiche Scritture,e mai si sono voluti arrendere perché loro si aspettavano qualcuno di totalmente diverso e pensavano che il Messia dovesse essere loro amico e loro compagno,non uno come Gesù!», p. 211-212.

    [8] A. K. Emmerick, La dolorosa passione di nostro Signore Gesù Cristo. Secondo le visioni della beata Anna Katharina Emmerick, Editrice Shalom, 2015, p. 105-106.

    [9] Benedetto XVI, Chi crede non è mail solo. Viaggio in Baviera. Tutte le parole del Papa, Cantagalli, 2006, p.44.

    [10] Voce Gestalt in Vocabolario Treccani, htttps://www.treccani.it/vocabolario/gestalttheorie/.

    CAPITOLO 1. I PROBLEMI DELL’ATEISMO

    Breve introduzione all’ateismo

    L’ateismo di oggi cosa ci comunica essenzialmente? Da che presupposti parte? E come si interfaccia con la realtà dei giorni nostri?

    Prima di iniziare a parlare di ateismo e tentare di rispondere a queste domande critiche, bisogna precisare cosa significa ateismo – una definizione forse non così ovvia come si potrebbe pensare. L’ateismo in genere afferma la negazione del divino, l’inesistenza di Dio inteso come un altro Essere posto in maniera trascendente al di fuori del mondo. Il termine infatti viene dal greco senza Dio e, a differenza dell’agnosticismo (il quale afferma di non poter conoscere e quindi di fatto non prende posizione sulla questione), rappresenta uno stadio di consapevolezza dell’individuo il quale crede, è convinto, e ha fede riguardo al pensiero che Dio non esiste. Chi è ateo di solito ripudia anche la metafisica; spesso, pensando alla mia esperienza personale, posso dire che molti atei sono anche degli scientisti, i quali pensando che ogni tipo di domanda si possa risolvere esclusivamente con materie e metodi scientifici. Sugli interrogativi comuni (nel senso di universali), che sono le questioni più importanti della vita, tutto il gioco dell’ateo nella maggior parte dei casi si riduce a una sospensione di giudizio, a un assurdo, a un’astrazione soggettiva o a un semplice ignorare il tutto.

    Di nuovo, torniamo a precisare come l’ateismo non vada confuso con l’agnosticismo (anch’esso molto diffuso) che possiamo interpretare come resa nei confronti di questa domanda, reputando l’uomo non in grado di approfondire ciò che va oltre il fenomeno. Si può quindi parlare di un atteggiamento che denuncia l’impossibilità di arrivare a capire qualcosa di Dio – se c’è o non c’è – perché al momento non si ha personalmente sufficiente conoscenza al riguardo.

    Visti i due diversi atteggiamenti e modi di pensare, sembrerebbe chiaro che in entrambi i casi parlare di metafisica sia una follia, ma a guardare bene così non è. Ed è proprio in questo che si situa una delle più grandi contraddizioni dell’ateismo. L’ateismo dichiara di base l’unicità dell’essere (non c’è qualcuno dal di fuori che attua un disegno), eppure spesso finisce per affermare come all’interno della storia e della natura c’è una precisa evoluzione, un preciso schema, una tensione, un fine. Invece che porre questo orientamento all’esterno (con un Dio, un altro Essere), esso viene posto all’interno: per Darwin, ad esempio, è la natura stessa che diviene soggetto e, quasi fosse intelligente, agisce e fa ogni cosa. Ma il paradosso si coglie forse meglio analizzando l’ateismo marxista, per cui la natura e la storia sono spiegabili nei termini di una dialettica immanente che opera in modo infallibile e ineluttabile. L’idea di un progetto, di un senso e di un fine (propri del pensiero e della metafisica cristiani) restano allora intatti, cambia soltanto la presenza o l’assenza di Dio. Per questo, si può affermare che anche «Marx stesso ha optato per una certa metafisica, per una certa ontologia». [1]

    Per di più, la scelta dell’ateismo è essa stessa una posizione ben precisa rispetto alle domande classiche dell’uomo: la struttura del mondo e la sua origine, il senso della vita, oppure ancora l’essenza dell’uomo. Molte teorie (filosofiche, scientifiche, politiche) che affrontano queste domande escludendo Dio, e sono dunque atee, si spogliano delle nozioni religiose per rivestire altri contenuti. In sostanza, gli atei tolgono Dio ma riempiono quel vuoto presto con altri idoli a cui viene dato il compito di donare significato alla vita dell’uomo e al suo cammino nel mondo. Anche in questo senso, si può dire che paradossalmente l’ateo finisce per fare metafisica, ed è proprio questo a caratterizzare l’ateismo contemporaneo, pur nelle sue molteplici forme: non si accontenta di rifiutare delle risposte, pretende di offrirne di nuove. E, di fatti, è venuto a verificarsi proprio che:

    l’allontanamento di numerosi europei dalla fede cristiana, dall’Illuminismo in poi, non ha semplicemente avuto la forma di un a-teismo in senso negativo […]. Piuttosto, questo allontanamento è stato accompagnato dall’apparire di nuove dottrine che pretendevano di spiegare il mondo e l’uomo molto meglio e più fedelmente di quanto non avesse fatto il discorso religioso. [2]

    Di qui il proliferare di nuovi ismi (marxismo, scientismo, evoluzionismo) che non negano semplicemente qualcosa, ma aggiungono altri dogmi. Non a caso, con il trionfo della scienza nella società nel XIX secolo, «moltissimi intellettuali cedettero realmente – nel senso di una vera e propria fede – in quegli sviluppi tanto promettenti» [3] . Ecco che la fede resta, ma non è più rivolta a Dio e si dirige verso altri idoli.

    Inoltre, non è da sottovalutare un’altra verità più profonda legata all’affermazione dell’ateismo: l’autonomia totale dell’uomo (oltre a quella dell’universo). Andando avanti vedremo se questa interpretazione sotto una luce storica e filosofica è giusta, ma per il momento possiamo intanto vedere che l’ateismo deve per il suo status per forza affermare l’autonomia dell’uomo. In fondo, si tratta proprio di questo: il risultato dell’ateismo porta inevitabilmente a vedere l’uomo come un soggetto indipendente, totalmente autonomo, in quanto non deve rendere conto a nessuno di superiore a lui. E, del resto, togliendo Dio dall’universo, è l’uomo (in quanto creatura più sviluppata) a potersi ergere a padrone della natura e del cosmo. Con il termine autonomia intendiamo, quindi, la capacità di amministrarsi da sé, di essere a livello morale, giuridico e personale in grado di darsi tutte le direttive giuste, e anche le risposte, oltre che la strada da seguire, si pensa quindi a sua volta a una certa maturità completa dell’uomo che c’è già a priori in questo caso.

    Si afferma che l’uomo è totalmente autonomo così come il mondo, dichiarato come l’unico essere, arrivando a fare come abbiamo detto in precedenza della pura metafisica: « Il Marxismo insegna formalmente, dogmaticamente che il mondo è increato, auto creatore, eterno, infinito nel tempo e nello spazio; è una posizione metafisica[4]

    Ma la parola autonomia – ben diversa dalla parola libertà – non ha necessariamente un senso positivo: «autonomo. Ecco la parola magica del nostro tempo. È questo che l’uomo moderno vuole a tutti i costi: essere autonomo. Vuole essere come Dio». [5] Così afferma il porporato Brandmuller, sottolineando non soltanto la diffusione nel mondo attuale del desiderio (lecito o meno) di voler essere autonomi, ma anche proprio il tentativo dell’uomo nel pensiero ateo di voler sostituire Dio e di diventare qualcosa che in fondo non è.

    Se Dio c’è l’uomo non è autonomo, se Dio non c’è per inverso non può che esserlo e allora, solo così, il ragionamento dell’ateismo può essere considerato giusto. Anche perché si genera un conflitto esistenziale irrimediabile: stare dall’una o dall’altra parte porta a ragionare in modi totalmente opposti. In effetti, le scelte individuali e collettive hanno un peso enormemente diverso proprio sul modo stesso di intendere la vita e approcciarsi al mondo. In base a come pensiamo Dio, cambia inevitabilmente, come appena visto, la concezione che abbiamo di noi stessi in quanto esseri umani. Per esempio se l’ateismo interpreta la totale autonomia dell’uomo, il cristianesimo (e quindi l’affermazione dell’esistenza di un Essere superiore) invece volge in maniera opposta: l’uomo, pur essendo dotato di libertà, è fatto a immagine e somiglianza di Dio, è da lui dipendente.

    Un esempio fondamentale è il peccato originale, che consiste proprio nel tentativo dell’uomo di svincolarsi da Dio, di riconoscersi come soggetto ontologicamente sufficiente. Adamo ed Eva provano infatti a sfidare Dio, violando il suo divieto, nella convinzione di diventare come Dio. Da ciò si capisce bene come per il cristianesimo la libertà – quella di mangiare o non mangiare il frutto proibito, quella di nascondersi o assumersi le proprie responsabilità – non sconfina mai nell’autonomia totale. L’uomo non è un servo, è libero, eppure ha comunque un signore. Come sottolinea Brandmuller, «il peccato è anche in contraddizione con la vera essenza dell’uomo, con conseguenze autodistruttive [….] Essa consiste nel fatto che evidentemente l’uomo, non appena è stato creato da Dio, non ha voluto riconoscere la sua dipendenza e da essa si è voluto emancipare» [6] . L’ateismo, tentando di fare a meno di Dio, si comporta quindi esattamente come Adamo. Tuttavia, se Adamo è stato punito per il suo peccato e ha riconosciuto con vergogna e umiliazione l’ingenuità del suo pensarsi autonomo e svincolato da Dio, viene da chiedersi: come vive l’uomo di oggi senza Dio?

    Se pensiamo alla storia umana, in effetti, troviamo alcuni risultati: i molteplici esempi pratici ci mostrano come, sotto l’influsso di una libertà secolare e astratta, sotto una camaleontica moralità che cambia a seconda dei regimi politici militari ed economici e delle correnti filosofiche del tempo, l’uomo non trova mai una vera quadratura, gira all’infinito all’interno di questo tondino, così come nella ricerca di senso, significato, e di una vera realizzazione oggettiva, e si alternano idee e regimi. Approfondiremo meglio questa questione andando avanti con il discorso, ma per il momento voglio soffermarmi su una domanda che si configura di fatto come un dilemma: esiste Dio, oppure l’uomo è autonomo?

    Da qui partiremo per addentrarci di più nel cuore del problema. Vedremo dunque insieme: che tipo di ragionamenti propone l’ateismo? E in che punti si arena?

    Al termine di questo lavoro mi auguro che qualunque lettore non si senta più così a disagio nel poter professare la sua fede. Magari, il cristiano potrà anche avere nuovi strumenti per difendere razionalmente il suo pensiero e chiedere piuttosto all’ateo di dare prova ragionevole del perché continua a non credere.

    Per iniziare vorrei condividere alcuni pensieri sulle difficoltà oggettive in cui versa l’ateismo. Esso presenta molte criticità che spesso non sono note al grande pubblico; alcune di queste sono state individuate in maniera formidabile da alcuni grandi filosofi e in particolare voglio farvi focalizzare su queste tre grandi tematiche:

    1 Problemi legati alla persona (ciò che siamo)

    2 Problemi legati al mondo (ciò che ci circonda)

    3 Problemi filosofici (ciò che viene pensato)

    Non parliamo di un solo problema, ma di un insieme di problemi collegati: nella visione atea a presentare disfunzionalità è un blocco, un’unità organica. Poi come vedremo più avanti si ripresenta anche in modo comune nella formulazione del pensiero.


    1. Problemi filosofici legati alla persona

    Com’è possibile che abbiamo il pensiero intrinseco di Dio in noi? Al di là delle influenze più o meno forti che viviamo, se Dio è un concetto falso o non possibile perché se

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