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Mamma in polvere
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Mamma in polvere

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In un futuro non troppo lontano ogni famiglia possiede una Lio, una mamma in polvere. La si acquista al supermercato in comodi sacchetti: cucina, pulisce, bada ai bambini. A casa di Mara, però, Iside, la Lio di famiglia, comincia a comportarsi in modo strano: allo scadere dei sei mesi non si disfa, come avviene di solito, e soprattutto sembra provare dei sentimenti, compassione, paura… Insomma, sembra viva!
In un crescendo di avventure mozzafiato, tra inseguimenti, nonne esperte di arti marziali e colpi di scena, Mara sarà chiamata a proteggere la sua Lio da una multinazionale senza scrupoli e spingerà tutti i suoi familiari a guardarsi dentro, a ritrovare il senso dell’essere una famiglia e una comunità.
LanguageItaliano
PublisherCamelozampa
Release dateMar 9, 2022
ISBN9791280014801
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    Mamma in polvere - Pino Pace

    Capitolo 1

    Quando un sabato mattina Agata, la mia mamma-Bio, chiese una Lio, papà non batté ciglio. Quello stesso pomeriggio andammo all’ipermercato e ne prendemmo una. Andammo tutti, come succede solo nelle grandi occasioni: mamma, papà, Berenice, che ha dieci anni, e Michele, che ne ha otto.

    Era un momento importante: allora la Lio non ce l’avevano tutti, solo quelli che se la potevano permettere. Così conoscemmo Agnese, la nostra prima Lio.

    Le Lio si comprano al supermercato, in comodi sacchetti riciclabili. La pubblicità dice proprio così: comodi sacchetti. Tanto comodi non sono: pesano come una rete di patate, di quelle grandi. In compenso a prepararle ci vuole niente: si riempie la vasca da bagno con acqua tiepida, si versa il contenuto della busta, si mescola bene (o si accende l’idromassaggio) e dopo cinque minuti esatti ecco la mamma-Lio bella e pronta, già vestita e con la messa in piega. Si asciuga con l’asciugacapelli e vualà. Non è una mamma vera, quelle – le mamme vere – si chiamano Bio. Quelle in polvere invece si chiamano Lio, come a dire liofilizzate.

    Le mamme-Lio non sono delle semplici babysitter. Sono un po’ di meno, ma anche molto di più. È vero che non colpiscono per la loro intelligenza, in effetti sanno solo leggere fiabe, lavare i sederini (con i guanti), cucinare una decina di cose, scaldare il latte e mettere i piatti nella lavastoviglie. Non le aiuta l’espressione del viso, sempre un po’ spersa, come se guardassero oltre le spalle delle persone. E non le aiuta neanche quel sorrisetto da ebete che hanno sempre in faccia, da quando cucinano a quando puliscono sederini.

    Però è anche successo che alcuni papà si siano, diciamo, affezionati alle Lio… Pazzesco. C’è da dire che la similcarne è quasi del tutto simile alla carne vera, come consistenza e calore, anche se le Lio non hanno ossa, per cui stringere un polso di una Lio, o una spalla, non è come stringere quelli di una donna. E le Lio non sono neanche un po’ formose, anzi, davanti sono piatte come uno specchio e dietro quadrate come un comodino. Io comunque certe cose del cervello degli uomini non le capirò mai.

    Le Lio sono tutte uguali. Eppure sono tutte diverse. Non è facile da spiegare, ma se domandate a dieci famiglie che hanno le Lio, cinque diranno che si somigliano tutte, e cinque diranno che sono tutte diverse. O almeno che la loro è diversa dalle altre.

    Scegliere una Lio è facile, sui sacchetti c’è anche la foto. Delle Lio si può scegliere persino il carattere: c’è chi la vuole severa, chi mansueta, dolce, creativa, arrendevole. Ci sono le Lio basse e quelle alte, ci sono le bionde, le brune, le rosse, con i capelli di diversa lunghezza e acconciatura. Ci sono tutte le sfumature di pelle: da nero ebano a bianco ghiacciaio. Io non so come facciano a farle sempre con le facce diverse. Insomma, se le inventano dal nulla o copiano le facce della gente? In effetti ci sono delle Lio che somigliano a una vicina di casa, a una maestra o a una zia. Nonna Ida dice che sono tutte quelle telecamere che ci riprendono alla posta, agli incroci, nei supermercati.

    C’è qualcuno che riprende le facce della gente e mette i file nei computer, poi mischiano un po’ i tratti: gli occhi di una, la bocca di un’altra… e ci fanno le facce delle Lio. Magari nonna ha ragione.

    Quando c’è una Lio in casa, le mamme-Bio (e anche i papà, a quanto so. Ma non a casa nostra…) possono andare a lavorare, o al cinema la sera o a chiacchierare con le amiche. Oppure a fare tutto quello che alle mamme-Bio piace fare, senza però essere obbligate a farlo, tipo curare i fiori, andare a fare compere (e non la spesa) o cucinare qualcosa di ricercato, oppure andare al parco con i figli senza doverli sorvegliare. A quello ci pensa la Lio. Andare al parco con una Lio è pur sempre un segno di distinzione, anche se ormai se la possono permettere quasi tutti.

    Se invece i bambini vogliono solo guardare la televisione, le Lio hanno pure un telecomando incorporato per cambiare canale quando ci sono scene che i bambini non devono vedere.

    Inutile cambiare di nuovo canale, il telecomando delle Lio vince sempre.

    Le Lio non durano un granché, sei mesi al massimo, poi cominciano a perdere un orecchio, una guancia casca, un polpaccio si affloscia e cose così. Si racconta di alcune Lio a fine carriera che hanno fatto un passo più lungo, ad esempio per saltare una pozzanghera, e hanno perso una gamba; oppure hanno girato la testa e gli è cascata.

    Quando una Lio inizia a disfarsi, bisogna portarla al cassonetto della raccolta differenziata delle Lio, prima che cominci a puzzare. Chissà perché puzzano così tanto. Anzi, si sa. Lo sanno tutti. La MaVera, la multinazionale che produce e vende le Lio in mezzo mondo, lo fa apposta a farle puzzare. Così bisogna comprarne un’altra.

    Altrimenti potrebbero durare un anno, o tre, o per sempre. Almeno finché non prendono un acquazzone, oppure si rompe un tubo dell’acqua e si squagliano cercando di otturare la falla.

    Per quello si mettono i guanti quando lavano i sederi dei bebè, non per altro.

    Comunque non è un bello spettacolo, anche perché poi bisogna raccogliere in fretta i resti con la paletta, metterli in una busta e poi nell’apposito cassonetto della raccolta differenziata delle Lio. O scappare di casa per la puzza.

    «Mara!» (che sono io) grida Agata quando non ho tanta voglia di studiare. «Se non studi finirai a svuotare i cassonetti delle Lio!»

    Molti genitori disegnano questo futuro ai figli che non studiano, e davvero svuotare i cassonetti delle Lio è uno dei lavori più orribili al mondo. Per questo gli addetti allo smaltimento delle Lio hanno sempre le maschere antigas, gli stivali e le tute di gomma gialle che li coprono dalle caviglie alla punta della testa. La puzza di una Lio putrefatta ti si appiccica addosso per giorni, anche se la senti per pochi secondi.

    A me è successo solo una volta, ma non la dimenticherò mai.

    Depositare la Lio esausta nel cassonetto è obbligatorio (per chi non lo fa sono previste multe salatissime), ma ogni deposito costa. Molto poco, è vero, però alcuni, anche se magari non badano a spese quando comprano una Lio, poi non vogliono saperne di spendere un centesimo in più. Per principio. Non ci pensano neanche a infilare le poche monete necessarie a far aprire la botola ermetica del cassonetto.

    E quando la loro Lio comincia a perdere pezzi, la fanno salire in macchina, la portano in un posto fuori mano, magari di notte, e la fanno scendere. Poi ripartono. Tanto quelle sono programmate per non rivelare a nessuno né nomi né indirizzi.

    Ci sono pure quelli che, quando la scadenza è vicina, la abbandonano prima di partire per le vacanze. Non se la sentono di lasciarla in casa con il rischio – al loro ritorno – di ritrovare una poltiglia puzzolente, né s’azzardano a metterla nel box doccia, anche perché dopo devono raccoglierla con la paletta.

    Le Lio abbandonate vagano ai lati della strada per giorni. Senza naso, senza un orecchio o un braccio, in attesa di un acquazzone misericordioso che le riduca a una melma puzzolente sul selciato. Nessuno le guarda, nessuno le raccoglie, tutti pregano che non decidano di andare a squagliarsi nel loro giardino.

    Certo che ci si può affezionare a una Lio, noi siamo di quei pochi che le mettono persino un nome; gli altri si limitano a chiamarle Lio.

    In effetti a chi verrebbe in mente di battezzare il frigorifero, la lavastoviglie o il televisore?

    Le Lio vanno e vengono, anche le nostre, ma a me e i miei fratelli è sempre piaciuto tenere un ricordo, anche solo una fotografia.

    Agnese è stata la nostra prima Lio, l’abbiamo chiamata così perché somigliava a una nostra vicina con quel nome. Le abbiamo messo un nome con la A per caso, poi abbiamo deciso che le avremmo chiamate tutte con iniziali in ordine alfabetico. Dopo Agnese c’è stata Barbara, poi Cristina (che è tutta una storia a sé) e poi Donatella, Erica, Fernanda, Giorgia, Helena e Iside, quella che abbiamo adesso… Il nome glielo avevamo messo dopo una visita al Museo Egizio.

    Non ci eravamo accorti che era diversa.

    In effetti sembrava uguale a tutte le altre, lo stesso sorriso ebete e lo sguardo sperso, ma aveva anche un piccolo difetto di fabbricazione, se così si può chiamare. Quando ce ne accorgemmo, ormai, era troppo tardi…

    Capitolo 2

    Il sogno di Agata, la mia mamma-Bio, è fare la cantante.

    Ormai è tardi, lo sa anche lei, ma secondo me il problema è un altro: Agata non ha voce. Per cantare intendo, ché a strillare è bravissima. Secondo lei invece è il mondo che non va come dovrebbe. In un mondo perfetto Agata farebbe la cantante e non la casalinga.

    «Senti come starnazza quella» dice quando sente qualche cantante alla radio o in televisione, oppure: «Quella ha il padre che fa il discografico, non ci sono altre spiegazioni», oppure: «Con due tette così anch’io sarei in televisione, ma sono finte, si vede che sono finte» e cose così, tutti i giorni della settimana. E quando noi sbuffiamo lei dice:

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