Le questioni anniane
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Le questioni anniane - Jacopo Rubini
ANNIO DA VITERBO IL GENIO E IL FOLLE
Annio fu una figura di teologo, di storiografo, ma soprattutto di uomo del tutto particolare: ormai, chi ha avuto modo di leggere il nostro primo lavoro [1] su questa eclettica e mirabolante personalità del XV secolo lo sa già a sufficienza. Già il suo ben noto Decreto di Desiderio, passato alla storia della filologia come uno dei più clamorosi e sfacciati falsi storici di tutti i tempi, sarebbe bastato a procuragli, come poi effettivamente avvenne, la fama di incallito falsario e brillante truffatore d’ingegni: questo bellissimo documento scolpito su pietra, infatti, fin dalla sua prima comparsa si sarebbe accaparrato gli odii e gli amori di alcune delle più illustri personalità del mondo accademico dell’epoca e dei secoli a venire, tirando in ballo nomi del calibro di un Erasmo da Rotterdam, il cui contributo alla crescita delle discipline filologiche è più che noto a chi si occupa di tali questioni; per chi non fosse dell’ambiente, basterà ricordare che il famoso teologo olandese ed autore dell ’Elogio della Follia ebbe un ruolo di primo piano e partecipò attivamente, influenzandone autorevolmente la direzione, a quella spinosa questione riguardante la traduzione filologicamente fedele della Bibbia nella sua versione di Vulgata: un testo semplicemente intoccabile per l’epoca. E tanto basti per il Decreto di Desiderio.
Il problema è che ad Annio non bastò. Nelle sue intenzioni, infatti, il Decreto non era che un microscopico falso inserito in quella trama di documenti artefatti ben più estesi ed audaci (tanto audaci da rasentare e in molti casi toccare pienamente la stupidità: ma si sa che i geni son sempre dei temerari!), i quali avrebbero costituito il nucleo del capolavoro della sua vita, un’opera storiografica semplicemente assurda e monumentale, in cui il teologo viterbese si prefisse di riscrivere daccapo la storia universale dell’intero globo terracqueo, collocando al suo centro (manco a dirlo) la sua amata Viterbo, forse la vera colpevole degli strali e della damnatio memoriae che lo colpiranno nei decenni successivi alla sua morte: si tratta delle sue Antichità, o meglio degli Antiquitatum Variarum Volumina XVII, spesso noti col titolo ben più semplice di Antiquitates Variae, appellativo che certo non rende il merito dovuto ad un’opera di smodata ambizione. A questo proposito, basti accennare al fatto che le Antiquitates usciranno in Roma nel 1489 per i tipi di Eucherio Silber, finanziate dai più potenti sovrani europei dell’epoca (i cattolicissimi Ferdinando ed Isabella di Spagna, ai quali l’opera è dedicata) e munite di privilegio papale decennale. Non faremo menzione poi (ma la facciamo lo stesso) del fatto che questo monumento del falso storico, che sono le Antiquitates, frutteranno al nostro buon domenicano nient’altro che la carica di maestro del sacro palazzo della curia pontificia, ossia di camerario apostolico, sotto il pontificato del controverso ma potentissimo Alessandro VI, il famoso papa Borgia. E sorvoliamo pure sul fatto che l’immenso lavoro di Annio influenzerà profondamente, facendone uno dei suoi più acuti sostenitori, un teologo e pensatore della levatura di Egidio da Viterbo, uno dei maggiori protagonisti del neoplatonismo cinquecentesco e dell’ordine agostiniano, di cui sarà nientemeno che Priore Generale.
Nessuno stupore, pertanto, se pensiamo che sia il caso di tirare fuori dall’oblio in cui sembra essere caduto senza rimedio il buon Nanni (questo era il suo vero nome) da Viterbo, nipote di macellaio.
LE ANTIQUITATES VARIAE
Ma cosa sono, di preciso, gli Antiquitatum Variarum Volumina XVII? Cosa furono queste Antiquitates patrocinate da papi e sovrani di Spagna, lette da filosofi e teologi, erette a monumento cittadino da nazioni e comuni, insultate da luminari delle Lettere ed infine confutate e poi gettate nel più irrimediabile oblio da filologi ed eruditi? Come l’intitolazione stessa dell’opera suggerisce, le Antiquitates di Annio sono un’opera storiografica (sebbene questa etichetta disciplinare risulti alquanto insufficiente nel rappresentare la smodata ambizione di questo folle testo, le cui tematiche spaziano dalla storia alla teologia, dalla filosofia all’antiquaria, dalla mitologia all’esoterismo, dalla geografia alla letteratura, dalla filologia alla fisica!) suddivisa in 17 libri, nel corso dei quali l’allora influente domenicano viterbese si propone di riscrivere e passare in rassegna l’intera storia post-diluviana dell’Europa d’allora, partendo dalle migrazioni bibliche di Noè e dei suoi figli, fino a giungere alla conquista dell’Etruria da parte dei romani, evento che, per Annio, chiude definitivamente i tempi del governo illuminato dell’antica sapienza ante-diluviana (incarnata dagli etruschi), per dare avvio al dominio laico
di Roma.
Da un punto di vista puramente cronologico, le vicende della narrazione prendono avvio al termine del diluvio universale, dopo il quale Noè (che da Annio è identificato con il latino e misterioso Giano/ Ianus) inizia a spostarsi con l’intento di colonizzare il mondo e dare nuovamente avvio alla stirpe umana, che dovrebbe ora essere illuminata dalla sacra sapienza che Noè tramanderà ai suoi discendenti e a lui direttamente trasmessa da Dio, in quanto suo prescelto per la salvezza dell’umanità e di parte della sua Creazione. Con questo intento, dunque, Giano/Noè si darà ad un’innumerevole quantità di peregrinazioni per l’intero globo terracqueo, punteggiandolo di città e villaggi da lui fondati e successivamente lasciati sotto la responsabilità di figli, parenti e reggenti dei tipi più vari. Tale attività (che, secondo Annio, si protrarrà per l’intera durata della sua pluricentenaria vita) lo porterà a divenire il padre (naturale in alcuni casi, putativo in altri) di praticamente quasi tutte le figure mitologiche dell’evo antico, siano esse greche o supposte tali, latine, siriache o egiziane: nulla fermerà la fantasia di frate Annio, spinto, in questa sua letteraria cavalcata, da un intento ben radicato nel suo animo e aggrappato a qualcosa di molto più reale. Infatti, nella mente di Nanni l’attività colonizzatrice di Giano/Noè si concentra in particolare nella penisola italiana e, ad essere ancor più precisi, nella sua parte centro-settentrionale, proprio dove si sviluppò storicamente lo stato degli etruschi: questo popolo impegnerà invero tutto lo sforzo storico, letterario ed immaginativo del domenicano di Viterbo, che lo rappresenterà come il più diretto discendente della schiatta noanica e come il legittimo detentore della sua religiosa sapienza e dei suoi diritti politici. Annio sostiene quindi che la mitica dodecapoli etrusca fosse appunto composta da quelle dodici città che furono primieramente fondate da Noè nella sua permanenza in Italia (e spesso ben prima di tutte le altre sparse per l’Europa) e che lo stesso Giano/Noè vi detenne per primo (trasmettendolo poi in eredità ai suoi successori) il titolo di larte lucumone, ossia di lucumone/governatore supremo dello stato etrusco, carica che, al suo scadere, veniva rinnovata presso il mitico fano di Volturna, maggiore tempio federale dello stato etrusco sito presso la maggiore città dello stesso: Tirrena, detta anche Volturna o Voltumna.
Ed è proprio qui che le intenzioni di Annio si fanno più esplicite e meno celate: perchè, attraverso un ambizioso gioco letterario fatto di citazioni autorevoli e di manomissioni di fonti antiche (come vedremo in seguito), il nostro folle frate sosterrà un improbabile assunto, che (forse anche o proprio grazie a lui) assumerà presto la forza e le dimensioni di un mito fondante, oltre che la forma priva di sostanza di una verità storica per secoli dura a morire e tra i cui lasciti ci troviamo a camminare tutti i giorni: ossia che Viterbo, città natia dell’autore e da lui immensamente amata, fosse proprio quella mitica ed antichissima Tirrena/Volturna, massima colonia di Giano/Noè, detentrice indiscussa delle sue prerogative politiche e sapienziali, capitale dello stato etrusco e quindi, sempre secondo gli assunti di Annio, di uno storicamente inesistente regno d’Italia. E questo è il fatto principale: tutta l’opera di Annio, quella monumentale serie di diciassette volumi fittamente scritti e commentati e che tanto avrebbero dato da penare ai filologi di mezza Europa, nient’altro furono, in fondo, che il tentativo di un patriottico frate di dare lustro a una Viterbo erede di glorie passate, ma ormai, al termine del Quattrocento, quasi dimentica di quelle glorie, frustrata da lotte fratricide che si trascinavano da 300 anni e politicamente messa in ginocchio da poteri troppo forti e da interessi troppo pesanti per le sue strette spalle. In fondo, pur nella loro immensa mole, questo furono gli Antiquitatum Variarum Volumina XVII: il dono (certo ardito) alla sua piccola patria e in un’Italia che sempre fu di piccole patrie, di un frate perdutamente innamorato della sua città, se è vero che, fino alla fine e prima della sua morte, continuò a fare richiesta al papa di essere nominato conservatore e restauratore delle antichità patrie (richiesta alla quale non sappiamo se ricevette mai risposta).
Questo, dunque, il nucleo delle Antiquitataes: si tratta, lo ribadiamo, dell’epopea di Giano/Noè, il quale, ripopolando il mondo attraverso la fondazione delle sue innumerevoli colonie, si rende il progenitore di molte tra le più antiche e celebri divinità del mondo antico, dalla Spagna fino alla Siria, passando per l’Italia e l’Egitto; tra queste colonie, la maggiore e più importante sarà Tirrena/Volturna, mitica città dello stato etrusco e sito del leggendario fano di Volturna, di cui molti autori antichi parlarono, senza mai giungere a risultati definitivi (raggiunti, forse, solo ai nostri tempi, con la sua probabile identificazione in Orvieto); e sarà proprio Annio a sfruttare questa incertezza e l’alone di mistero che da sempre circondò la città di Volturna, adoperandosi in ogni modo possibile al fine di fare di Viterbo la continuazione medievale della noanica Volturna e, quindi, renderla l’ideale faro di civiltà del mondo europeo di quegli anni, attraverso una sapienza che, se era stata tramandata da Noè e dai suoi successori attraverso le vicende e gli istituti di Volturna, doveva necessariamente essere il diretto lascito di Dio.
Ma in che modo e secondo quali criteri le Antiquitates si prefiggono di portare a compimento tale scopo? L’opera di Annio, così come i suoi fini, è assolutamente ambiziosa, ma, soprattutto, consiste in un lavoro decisamente oneroso per il frate viterbese, articolato in diciassette fittissimi libri: il contenuto di ognuno di essimè del tutto particolare e consiste (ad eccezione del primo, del secondo, del tredicesimo e del diciassettesimo, il quale costituisce il vero fulcro del nostro lavoro e di cui parleremo in seguito) in una serie di testi in latino di autori più o meno classici che il Nanni vanta come inediti e si gloria di aver riportato alla luce; ma questa è solo una minima parte del contenuto di ogni singolo libro, la cui superficie scrittoria è occupata per lo più dal commento di Annio stesso ai testi inediti di cui sopra, commento che, in realtà, rappresenta il vero corpo delle Antiquitates, che attraverso di esso e i testi che vi si accompagnano dipingono per Viterbo una illustre e mitica antichità che mai aveva realmente posseduto.
Ma andiamo finalmente a vedere nel dettaglio quali sono gli autori trascinati da Annio nella sua stravagante impresa:
Libro III: Properzio
Libro IV: Senofonte
Libro V: Fabio Pittore
Libro VI: Mirsilo
Libro VII: Catone
Libro VIII: frammenti dell' Itinerario di Antonino
Libro IX: Sempronio
Libro X: Archiloco
Libro XI: Metastene
Libro XII: autori vari sulla storia e pseudo-storia della penisola iberica
Libro XIV: Filone Alessandrino
Libro XV: Beroso
Libro XVI: Manetone
Come anche un non addetto ai lavori può notare, molti sono gli autori tirati in ballo dal nostro teologo, diversi dei quali estremamente noti (come ad esempio Properzio, Senofonte e Catone) e anche di lingua greca (e che però Annio riporta ovviamente nella sua versione latina); di ognuno di essi, il Nanni sostiene di essere venuto in possesso di alcune opere o frammenti inediti e di pubblicarne il contenuto, accompagnato da un più che consistente commento, proprio nelle sue Antiquitates: è superfluo far notare al lettore come nel corso dei secoli si sia giunti a dimostrare la totale falsità di questi millantati inediti, già in sospetto di non autenticità nel XVI secolo, a pochi anni dalla morte dello stesso Annio. Nel che ci sembra però un atto dovuto mettere in mostra le estreme cura, fantasia e laboriosità del frate viterbese nel dedicarsi anima e corpo ad un lavoro di fabbricazione letteraria di tale mole. In ognuno di questi libri, dunque, gli autori degli inediti ci svelano insospettati dettagli storico-mitologici sulle fasi più antiche del mondo, nonché sul ruolo principe di Viterbo (nel suo antico ed anniano nome ora di Volturna, ora di Tirrena, ma pure di Vetulonia, solo per citarne alcuni delle svariate decine!) nell'incivilimento dello stesso e della sua paternità nei confronti della tradizione politica e spirituale di Roma, che, nelle fantasie del Nanni, figura ora come figlia putativa della Città dei Papi, questi ultimi a loro volta autentici discendenti dei volturni lucumoni! Annio sarà di certo stato un bugiardo, ma certo non si potrà affermare che gli mancasse, al contrario del buon senso, una cinematografica dose di coraggio!
Per quanto riguarda i libri non compresi nella lista precedente, eccone i contenuti:
Libro I: indice generale degli altri volumi
Libro II: istituzioni anniane (overosia, alla maniera aristotelica, un libro riassuntivo in cui si enunciano i postulati di base irrinunciabili al fine della coerenza argomentativa dei volumi successivi)
Libro XIII: Chronografia Etrusca (trattasi di un interessantissimo libretto, in cui Annio, sulla base dei suoi inediti, stende una lista dei sovrani di Viterbo/Volturna in successione cronologica, da Giano/Noè fino alla conquista romana dell'Etruria intorno alla fine del IV secolo avanti Cristo)
Libro XVII: Questioni Anniane (di cui parleremo tra poco)
In questi diciassette voluminosi libri/commentarii (il cui ordine però – è bene specificarlo – non era in origine quello attuale: il presente ordinamento dei volumi venne approntato dagli stampatori nelle edizioni successive a quella del Silber, per fornire maggiore coerenza ed unità strutturale ai contenuti delle Antiquitates , i cui libri si susseguivano in origine in modo abbastanza confusionario) è tutto profuso lo sforzo del Nanni nel prendere in mano una Viterbo post-comunale sfasciata da lotte fratricide, ire