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INFIDEL - Da Al Qaeda ai talebani tra Jihad e Sharia - Il terrorismo di matrice islamica spiegato agli infedeli
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INFIDEL - Da Al Qaeda ai talebani tra Jihad e Sharia - Il terrorismo di matrice islamica spiegato agli infedeli

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La riconquista dell'Afghanistan, ad opera dei Talebani nell'agosto 2021, ha fatto riemergere con prepotenza questioni geopolitiche mai sopite dando vita a nuovi scenari ed assetti globali. Termini come Jihad e Sharia sono diventati di uso comune nella comunicazione quotidiana di informazioni.

Il libro offre gli strumenti per una più facile comprensione degli aspetti basilari dell'Islam nonché della evoluzione del terrorismo di matrice islamica e delle azioni per limitarne la diffusione e contenerne i danni.

Un testo, scritto con semplicità e chiarezza da chi quotidianamente opera nel campo dell'antiterrorismo, utile per potersi orientare nella galassia jihadista e comprendere meglio gli eventi globali al fine di saperne cogliere e leggere le relative dinamiche presenti e future.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 1, 2022
ISBN9791220392211
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    INFIDEL - Da Al Qaeda ai talebani tra Jihad e Sharia - Il terrorismo di matrice islamica spiegato agli infedeli - Angelo Galantino e Domenico Carillo

    CAPITOLO I

    LA SITUAZIONE ATTUALE

    Nessuna conoscenza umana può prescindere dall’esperienza (John Locke).

    Al fine di comprendere un fenomeno, di qualsiasi tipologia esso sia, è necessario acquisire la conoscenza dei suoi aspetti peculiari nonché delle dinamiche che gravitano attorno ad esso.

    Prima ancora di addentrarsi in una serie di nozioni e disamine di aspetti che riguardano il fenomeno del terrorismo di matrice islamica, è indispensabile avere un punto di origine che si basi sull’esperienza storica fin qui vissuta.

    Ciò è comunque limitante, poiché si fonda su dati oggettivi contestualizzati alla situazione storico-politica attuale e che non possono tenere conto di eventuali evoluzioni future che possano condurre a nuove letture.

    Nello scenario attuale, la fine territoriale dello Stato Islamico ha portato il movimento a reinterpretare la propria natura originale che era fin qui basata su un approccio prettamente insurrezionale-clandestino principalmente nelle aree sunnite in Iraq.

    A questo si sono affiancate due linee d’azione: da un lato la delocalizzazione e i franchise in Afghanistan, Libia e in Africa, i cui attori principali sono i gruppi locali a cui si sono uniti i reduci fuggiti dal fronte siriano; dall’altro lato l’espansione all’interno dell’arena globale, inclusa l’Europa, in cui le azioni sono lasciate all’iniziativa individuale e delle cellule.

    La situazione europea appare connotata da una minore probabilità di attacchi diretti, effettivamente collegati allo Stato Islamico, nei Paesi europei dove la sicurezza è stata significativamente rafforzata.

    Contestualmente gli attacchi emulativi ispirati allo Stato Islamico rappresentano una minaccia potenzialmente in crescita.

    Avvalendosi della sofisticata ed efficace propaganda, gli jihadisti si rivolgono direttamente ai potenziali combattenti del jihad incitandoli ad agire nel Paese di residenza.

    È un quadro preoccupante in cui vi è una tendenza alla violenza del terrorismo nostrano ed in cui la concretezza del pericolo futuro dipende da come sarà recepito l’appello del Califfato ad aderire alla guerra di logoramento dei Paesi infedeli.

    Realisticamente i Paesi europei affrontano una minaccia terroristica concreta a causa dell’alto numero di foreign fighters, nonché della presenza di reti jihadiste sviluppate e della vicinanza geografica alle zone di guerra.

    Si può affermare che il terrorismo jihadista che accompagna la nostra epoca è la manifestazione violenta di una crescente radicalizzazione religiosa che coinvolge solo una parte marginale della società musulmana nel contesto di un fenomeno sociale consolidato.

    In seguito alla morte del Califfo Abu Bakr Al-Baghdadi³, le principali armi su cui il gruppo terrorista sta concentrando gli sforzi sono le cellule nascoste, i combattenti singoli, l’effetto emulativo, l’aumento della propaganda ed il reclutamento in tutto il mondo.

    Degli oltre 5000 foreign fighters europei partiti per combattere in Medio Oriente (di cui il 14% donne), mille sarebbero caduti in Siria ed Iraq e circa un terzo sarebbe sopravvissuto e tornato nel proprio Paese.

    Altri 2500 avrebbero trovato rifugio in Paesi terzi unendosi ai gruppi jihadisti locali (dall’Afghanistan alla Libia, dall’Africa all’Asia centrale).

    Infine, circa 800 sono detenuti nelle carceri curde in Iraq: tra questi sono molte le donne e i bambini.

    Questa condizione di prigionia ha sollevato ampi dibattiti in Europa e negli Stati Uniti sull’opportunità di limitare loro la possibilità di rientro nei Paesi di origine.

    Difatti, a ciò è seguita la decisione di molti Paesi europei di togliere loro la nazionalità in modo da non consentirne il ritorno.

    L’ascesa al potere dello Stato Islamico a partire dalla fine del 2014 è riuscita a far temporaneamente eclissare Al-Qāʿida dal panorama jihadista, almeno per quanto concerne quello prettamente comunicativo.

    Sebbene oggi lo Stato Islamico abbia perso parte della spinta mediatica e comunicativa oltre alla sua natura territoriale, la maggior parte dei social network e dei leader di Al-Qāʿida in Europa è riuscita a sopravvivere, dando inizio alla nuova battaglia per i cuori e le menti, che è appena all’inizio.

    I principali modelli organizzativi dell’attività del terrorismo islamista in termini di struttura, reclutamento e formazione, non appaiono cambiati in modo significativo ma si sono evoluti in maniera efficace.

    L’evoluzione del terrorismo di matrice jihadista in Europa si inserisce all’interno di un più ampio fenomeno sociale di natura ideologica, politica e religiosa.

    Esso continua a colpire i cittadini europei, provocando vittime e danni rilevanti, sia sul piano sociale che economico.

    Gli effetti del terrorismo devono tenere in considerazione l’entità dei fenomeni terroristici che sono in grado di provocare rilevanti ripercussioni in termini di sicurezza, reale e percepita, nonché tali da influire sulle politiche e sulle strategie di sicurezza nazionale e internazionale e finanche sui processi elettorali.

    Volgendo lo sguardo su quelli che possono essere definiti come jihadisti europei, i dati riportano un quadro in cui il 70% sono nati negli anni Ottanta e Novanta mentre un 20% è costituito da soggetti nati prima del 1980.

    Ciò evidenzia un elemento interessante poiché pone in risalto la presenza di una quota importante di uomini maturi unitamente ad una massa ben più giovane.

    Altro aspetto importante riguarda le donne che hanno svolto e svolgono un ruolo molto più attivo di quanto non sia stato posto in evidenza, rappresentando una minaccia crescente.

    Delle circa 650 partite dall’Europa per il fronte siriano ed iracheno, 21 hanno fatto rientro in Belgio e 28 in Francia.

    Un problema estremamente serio ed una potenziale minaccia alla sicurezza europea per il futuro è rappresentato dai bambini al di sotto dei dieci anni.

    Delle centinaia di bambini che avrebbero lasciato l’Europa, 16 sono rientrati in Belgio e 68 in Francia, altri sono detenuti in Iraq e Siria ed altri ancora si sono trasferiti in Paesi terzi con almeno uno dei genitori mentre della maggior parte non si sa nulla.

    Una considerazione a parte va fatta sulla questione relativa al possibile collegamento tra immigrati e terrorismo: dal gennaio 2014, 44 rifugiati o richiedenti asilo sono stati coinvolti in 32 complotti jihadisti in Europa.

    Tuttavia sebbene la maggior parte di questi soggetti si sia radicalizzata prima dell’ingresso in uno dei Paesi europei, i processi di radicalizzazione avviati dopo l’arrivo in Europa sono divenuti molto più comuni nel recente periodo.

    Complessivamente il lasso temporale tra l’arrivo in Europa e la partecipazione ad un’azione terrorista, di successo o sventata, è di 26 mesi.

    Focalizzando l’attenzione ed analizzando l’ultimo anno appena trascorso, noteremo che la problematica pandemica ha solo marginalmente influito nella programmazione dei gruppi jihadisti.

    Il 2020, infatti, ha mostrato la strategia dello Stato Islamico svolgersi lungo tre direttrici principali: rivitalizzazione dell’attività insorgente in Iraq e Siria, decentralizzazione in favore delle sottostrutture locali in Africa e in Asia, rilancio del conflitto asimmetrico in aree di crisi e teatri di jihad.

    La formazione ha mostrato, inoltre, un rinnovato dinamismo mediatico.

    Il 2020⁴ ha rappresentato per lo Stato Islamico una fase di riorganizzazione dopo l’anno segnato dal collasso territoriale e dalla scomparsa del leader storico Al-Baghdadi.

    La sconfitta in Siria ed Iraq ha ridotto in maniera determinante le capacità operative del gruppo in quei territori.

    Seppur indebolito, lo Stato Islamico è sembrato essere ancora in grado di:

    • Muovere i propri combattenti dal territorio siriano a quello iracheno;

    • Supportare finanziariamente le attività insorgenti sia con i profitti di attività criminali a livello locale (estorsioni, rapimenti e traffici illeciti), sia reimpiegando fondi raccolti attraverso il contrabbando di merci, petrolio, armi e droga;

    • Reclutare nuove leve, specie tra le fasce più giovani della popolazione locale e all’interno dei campi profughi.

    Utilizzando queste linee guida, fondamentali per la sua sopravvivenza, lo Stato Islamico ha quindi proseguito ed intensificato l’attività insorgente in Iraq, attraverso numerosi attacchi suicidi, omicidi e sequestri di persona.

    Tuttavia, la strategia corrente non sembra essere orientata a ricostituire uno Stato territoriale nell’area siro-irachena, bensì a consolidare una effettiva decentralizzazione dell’organizzazione nei vari Paesi di interesse e mantenendo la funzione di controllo e coordinamento a livello centrale.

    L’attivismo delle filiazioni locali è stato particolarmente evidente in Africa con l’affermazione dell’Islamic State West Africa Pro (ISWAP) e dell’Islamic State Greater Sahara (ISGS) nell’area della Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso e nella regione del Lago Ciad. In Mozambico, invece, l’Islamic State Central Africa Pro (ISCAP) è stato in grado di conquistare, seppure brevemente, delle aree territoriali, determinando un deterioramento delle condizioni di sicurezza ed un innalzamento della minaccia terroristica nell’intera area.

    In Asia, ed in particolare in Afghanistan, l’Islamic State Khorasan Province (ISKP) ha pianificato attacchi di elevato profilo.

    Al-Qāʿida, invece, ha mostrato un nuovo impulso mediatico con un utilizzo strategico del proprio impianto propagandistico, evidenziando la volontà di consolidare la propria base di consensi.

    Nel subcontinente indiano, ad esempio, hanno impiegato la rivista online Voice of Hind per incitare il jihad.

    La situazione europea degli attentati compiuti nel corso del 2020 ha confermato i tratti essenzialmente endogeni e non strutturati della minaccia jihadista nel vecchio continente.

    Ciò si è tradotto in attivazioni autonome di soggetti privi di veri legami con gruppi terroristici ma ispirati o influenzati dalle loro ideologie.

    L’attentato di Vienna del 2 novembre, alla luce di risultanze su contatti e collegamenti dell’attentatore, ha evidenziato il ruolo della regione balcanica come potenziale incubatore della minaccia terroristica in direzione di Paesi europei.

    In uno scenario globale condizionato dell’emergenza pandemica, vi è stato un generale incremento dell’attivismo estremista online che, tra le conseguenze, ha avuto quella di vedere un aumento delle azioni, sebbene con un numero considerevolmente inferiore di vittime.

    Ciò ha evidenziato la persistente capacità persuasiva e di istigazione del gruppo terroristico nonostante la morte del proprio leader e la sconfitta territoriale del Califfato.

    La propaganda jihadista e le minacce all’Occidente, condivise sulle piattaforme social, non hanno infatti conosciuto battute d’arresto.

    Lo Stato Islamico è ancora in grado di continuare ad incoraggiare il jihad ed a fornire istruzioni per la realizzazione di attacchi o a reclutare, addestrare, ed in taluni casi dirigere da remoto i propri seguaci.

    Gli attentatori si evidenziano, per lo più, come attori solitari che passano all’azione con modalità operative semplici, come dimostra l’alto numero di attacchi con un’arma bianca.

    Molti di loro, inoltre, erano già noti alle autorità di sicurezza, le quali spesso non sono state in grado di cogliere ed anticipare i segnali del passaggio all’azione.

    Vi è un altro aspetto da considerare, ovvero la sempre più evidente convergenza tra circuiti terroristici e criminali in grado di agevolare il reperimento di documenti falsi, armi ed ogni altro supporto per la realizzazione di progettualità terroristiche.

    L’Italia non è stata immune dalla propaganda jihadista.

    Non è mancata la diffusione, mediante il web, di articoli, video e vario materiale anti-occidentale.

    È alto il rischio che tali contenuti possano esercitare una ascendenza determinante in soggetti particolarmente influenzabili con il rischio che possano orientarsi verso azioni dimostrative o, nella peggiore delle ipotesi, verso atti di jihad individuale.

    Nel corso del 2020, sebbene non sia stata rilevata una produzione originale di propaganda jihadista in italiano, è stata comune la diffusione di materiale tradotto o sottotitolato nella nostra lingua e condiviso online avvalendosi di social network e piattaforme di messaggistica protette da crittografia end-to-end.

    È tornato anche a diffondersi un video sottotitolato del 2016, nel quale si invitano i lupi solitari a colpire gli infedeli, fornendo indicazioni sull’uso di armi da taglio e del TATP (perossido di acetone), così come la circolazione di manuali contenenti istruzioni per la produzione di ordigni di tipo artigianale e rudimentale.

    È evidente che il terrorismo di matrice jihadista che accompagna la nostra generazione è la manifestazione violenta di una crescente radicalizzazione religiosa che coinvolge una parte marginale della società musulmana.

    Il terrorismo, però, non è il problema bensì è la manifestazione violenta di un problema oggettivo che risiede nella diffusione dell’ideologia jihadista, che corre su un piano comunicativo efficace e coinvolge un numero importante di soggetti che possono rappresentare una minaccia seria e concreta alla sicurezza.

    È l’ideologia jihadista ad alimentare il fenomeno della radicalizzazione.

    Non si può avere un quadro cognitivo completo del mondo jihadista se non si conoscono alcuni elementari e fondamentali aspetti culturali, sociali e religiosi radicati nella loro quotidianità e plasmati nel DNA.

    Per comprendere determinate azioni, dinamiche ed ideologie sarà pertanto necessario fare un tuffo nel mondo dell’islam inteso come religione avulsa da qualsiasi dinamica socio-politica.

    CENNI SULL’ISLAM

    La religione dell’islam nacque nel settimo secolo dopo Cristo. Essa fu fondata da Abū l-Qāsim Muhammad ibn ʿAbd Allāh ibn ʿAbd al-Muṭṭalib al-Hāshimī (Maometto), che nasce a La Mecca nel 570 e muore a Medina nel 632.

    Maometto dichiarò di aver visto l’angelo Gabriele che, secondo i suoi racconti, continuò ad apparirgli per ventitré anni fino alla sua morte, giorno in cui l’angelo gli rivelò le parole di Allah stesso.

    Le rivelazioni dell’angelo sono raccolte nel Qur'an⁵, il libro sacro per i musulmani, che lo considerano l’ultima rivelazione di Allah. Va evidenziato che il pensiero arabo è acronico, immutabile poiché la sua evoluzione è ferma al taqlid cioè alla chiusura del lavoro interpretativo del Corano e della Sunnah, operato nel XIII secolo con la cristallizzazione della visione delle quattro

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