Socrate a cavallo di un bastone: I bambini, il gioco, i mondi intermedi e la messa in scena come pratica della verità
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Alfonso M. Iacono
Alfonso Maurizio Iacono, professore di Storia della Filosofi a nell’Università di Pisa, collaboratore del manifesto, è autore di molti libri tradotti in varie lingue.Per i nostri tipi ha pubblicato Tra individui e cose, 1995; Le domande sono ciliegie (con S. Viti), 2000; Per mari aperti. Viaggi tra filosofia e poesia nelle scuole elementari (con S. Viti), 2003; Storia, verità e finzione, 2006.
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Socrate a cavallo di un bastone - Alfonso M. Iacono
Esplorazioni
Alfonso Maurizio Iacono
Socrate a cavallo di un bastone
I bambini, il gioco, i mondi intermedi
e la messa in scena come pratica della verità
manifestolibri | Esplorazioni
© 2022 manifestolibri La talpa srl
Via della Torricella 46
00030 – Castel S. Pietro RM
ISBN 979-12-8012-473-9
www.manifestolibri.it
info: book@manifestolibri.it
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Indice
Prefazione
Ringraziamenti
Riferimenti bibliografici
I Socrate a cavallo di un bastone
II Bruegel il Vecchio Giochi di bambini
III Abbandonarsi alla finzione
IV Che cosa sono i mondi intermedi e perché hanno a che fare con i bambini
V Entrare in scena. I giocattoli, i bambini, gli adulti
VI Dove nascono i mondi intermedi
VII I bambini giocano nei mondi intermedi
VIII Le molteplici realtà, l’apprendimento, la cooperazione
IX Entrare in scena e cooperare
X Attraversamenti e passaggi
XI I mondi intermedi e la casa dei sogni
XII I bambini, il teatro e il fare finta
XIII Imitazione, Fantasia, Memoria
XIV Sul rapporto tra copia e originale
XV Don Chisciotte e i burattini
XVI Per (non) concludere
A mia figlia Arianna, a mia figlia Elena
e a mio figlio Giorgio
Prefazione
Questo non è propriamente un libro sui bambini e sul gioco e non tratta direttamente di emozioni, è piuttosto una riflessione che, partendo dai bambini e dal gioco, si interroga sul rapporto che il fingere, inteso come un dare forma mettendo in scena, intrattiene con la verità e le sue pratiche.
Tutto cominciò quasi per caso. O forse no. Il mio amico Sergio Viti, maestro alle elementari di Tonfano in Versilia, mi portò dai suoi alunni a discutere di filosofia. Con Sergio avevamo fatto insieme battaglie politiche e civili ma poi ci ritrovammo, sempre con le stesse idee di fondo, come insegnanti, io all’università, lui alle elementari. Ma non erano solo le idee che ci univano, era anche la passione di insegnare, che io scoprii piuttosto tardi, lui l’aveva da sempre. Sono passati molti anni da quel giorno nella classe di Sergio. Insieme con i suoi bambini di allora abbiamo pubblicato Le domande sono ciliege (Manifestolibri, Roma 2000) e poi, con un’altra classe, Per mari aperti (Manifestolibri, Roma 2005). Da quegli incontri ho imparato tantissimo, forse più su noi adulti che sui bambini. Mi sono reso conto che Hegel aveva torto quando affermava che i miti di Platone non esprimono la sua vera filosofia, ma ne rappresentano una volgarizzazione. Le sue narrazioni allegoriche, i suoi mythoi appunto, producono un senso che non può essere colto interamente dalle sue astratte analisi concettuali. Le une e le altre colgono e afferrano parti di mondo i cui sensi non sono riducibili gli uni agli altri. Insomma, tutti i linguaggi sono traducibili e, nello stesso tempo, irriducibili l’uno all’altro. Tra l’uno e gli altri vi sono sempre scarti che ne impediscono la corrispondenza.
Del resto, come ben sapevano Hofmannsthal, Wittgenstein, Calvino, ma anche Heidegger, tra linguaggio e mondo non vi è corrispondenza.
La ricchezza filosofica non sta nel possedere il logos senza il mythos, ma nel possederli entrambi nella loro diversità. Il mito della caverna offre sempre e in modo inesauribile del senso perché la narrazione, la comprensione e l’interpretazione non si corrispondono mai in modo definitivo. Inoltre, la tradizionale assimilazione del bambino al primitivo e al folle, anche quando è animata da buone intenzioni, rivela sempre l’atteggiamento coloniale dell’adulto quando ha a che fare con la diversità e l’alterità che tende a considerare per ciò che non è, per il loro essere la semplice espressione della non adultità. Se la conoscenza implica, come deve implicare, che l’altro deve essere compreso nella sua alterità e il diverso nella sua diversità, allora, come aveva capito Merleau-Ponty, questo vale per i bambini rispetto ai quali dobbiamo sempre far sì che le relazioni di potere non si trasformino in stati di dominio (Foucault). Questo vale tanto per i genitori quanto per gli insegnanti.
I bambini fanno filosofia con altri mezzi, così come ci mostra Luca Mori nei suoi viaggi tra le scuole italiane dove è andato a rifare i mondi con loro. In Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia (ETS, Pisa 2017) Luca Mori riprende la Repubblica di Platone ma spingendola meravigliosamente più in là, fin dove possono spingersi i bambini che non hanno superato i dieci anni nell’immaginare ipotesi utopiche e politiche, nel rifare, appunto, il mondo.
I bambini apprendono a costruire i mondi intermedi, imparano a entrarvi e ad uscirne e lo fanno soprattutto attraverso il gioco e la messa in scena. Lo abbiamo visto e vissuto da genitori con i nostri figli quando erano bambini. Ma noi adulti siamo debitori del nostro stesso essere stati bambini, perché ciò che viviamo come naturale, l’entrare ed uscire in mondi di senso che costruiamo con gli altri in modo cooperativo e sociale, lo abbiamo appreso in quel mondo diverso che è l’infanzia e abbiamo aiutato i nostri figli ad apprenderlo. Non a caso torniamo a ricordarla quando siamo vecchi, perché la distanza di tempo può diventare memoria solo quando la diversità del nostro essere stati bambini viene da noi accettata come una struggente, meravigliosa, irreversibile. ma familiare alterità. Mi ha sempre dato da pensare il frammento di Eraclito che suona così: ho indagato me stesso
. Mi piace pensare che ciò significhi la nascita della memoria del nostro essere stati bambini che comincia a formarsi e a premere nella nostra mente man mano che passano gli anni e noi accettiamo quella diversità e alterità del passato che è stata la nostra infanzia come qualcosa di vivo proprio mentre sappiamo che non c’è più e non tornerà e allora sappiamo che quel bambino che ben conosciamo e che alberga nella nostra testa siamo noi che, essendo cambiati, restiamo noi stessi.
Ringraziamenti
Un grazie a Sergio Viti che mi ha fatto scoprire questo affascinante gioco della filosofia con i bambini, a Massimo Apolloni, alle alunne e agli alunni delle V elementari del Comune di Pietrasanta, che hanno fatto con noi Le domande sono ciliegie (Manifestolibri, 2000) e Per mari aperti (Manifestolibri, 2013); a Luca Mori che è andato molto più avanti di me in questo gioco; alla Fondazione S. Carlo di Modena, al suo direttore Carlo Altini che ha preso a cuore questo tema, a Stefano Suozzi e a Emma Nanetti, e così pure a Luciana Rocchi che ci ha creduto. Giacomo Brucciani è stato il mio più caro lettore critico e, insieme a lui, Matteo Marcheschi. Grazie inoltre a Viktoria Tchernichova, Silvia Baglini, Roberto Maragliano, Giovanni Mari, Silvano Tagliagambe, Giovanni Taglialavoro. Da Andrea Nuti ho appreso cosa i Romani intendevano per Ludus. Enrico Campo sta giocando con me ai mondi intermedi. Marco Bascetta e Stefano Petrucciani c’erano al tempo di Le domande sono ciliegie e Per mari aperti, e così pure Simona Bonsignori che mi ha incoraggiato a fare questo. Con Gianni Paoletti ho riflettuto su quasi tutto. Con Carlo Perfetti e la sua scuola di riabilitatori neurocognitivi ho discusso a lungo di mondi intermedi e ora che Carlo non c’è più, continuo con i suoi allievi e le sue allieve. E così pure ne ho discusso con Ugo Morelli, Carla Weber, Vittorio Gallese, Manlio Iofrida, Mario Neve, Franco Natili, Giuseppe Civitarese, Matteo Bensi, Federico Batini e Giuseppe Burgio. Con Antonella Galanti, andata via troppo presto, in rapporto al tema dell’apprendimento e molto di più. Pino Varchetta, mi ha portato con sé a parlarne. Con Massimo Paganelli, Renzo Boldrini e con Roberto Scarpa ho appreso la realtà di una messa in scena. Con Andrea Camilleri ho giocato a teatro tra Galilei e il suo cannocchiale. Aldo Giorgio Gargani, con la sua generosità affettiva e intellettuale, ci credette. Infine, grazie a mia moglie Carla Masolino che mi parla di Psicoanalisi infantile.
Riferimenti bibliografici
Alcuni dei temi di questo lavoro erano stati anticipati in scritti che qui sono stati modificati:
Questo è un gioco? Metacomunicazione e attraversamento di contesti, in AA.VV., Bateson, a cura di Marco Deriu, Bruno Mondadori, 2000, pp. 183-194.
Gli universi di significato e i mondi intermedi, in
A.G. Gargani
e
A.M. Iacono
, Mondi intermedi e complessità, ETS, Pisa 2005, pp. 5-39.
Imitazione, fantasia, memoria. Vico e la costruzione dei mondi intermedi, in «FOR Rivista per la Formazione», n. 87, Aprile-giugno 2011, pp. 18-20.
Il mito come vera narrazione, in AA.VV., Variazioni su Vico, a cura di G. de Luca, ETS, Pisa 2012, pp. 119-128.
I bambini giocano nei mondi intermedi, in «Educazione sentimentale», n. 16, 2011, poi in «Riabilitazione neurocognitiva», VIII, n° 3, dicembre 2012, pp. 124-132.
Giochi di bambini dentro e fuori la caverna, «Iride», 72, vol. XXVII, maggio-agosto 2014, pp. 325-337.
La casa dei sogni, in AA.VV., Filosofare, Filosofia con i bambini, Fondazione S. Carlo di Modena, Artebambini, Bologna 2014, pp. 15-26.
I
Socrate a cavallo di un bastone
Vi sono bambini che fanno i cavalieri e vi sono bambine che fanno le mamme. O forse dovrei usare l’imperfetto: vi erano quelli che facevano i cavalieri e quelle che facevano le mamme. I bambini giocavano così. Oggi giocano così? Non saprei. Come si configura la differenza di genere? Non so in quali vesti essa si mostri nel tempo nostro. Pensarla nei panni del bambino che fa il cavaliere e della bambina che fa la mamma non sembra più appropriato perché riflette un mondo e una società che stanno forse (ma devo sottolineare ‘forse’) scomparendo. Il fatto è però che di sicuro la differenza di genere resta e continua a mostrarsi all’esterno in tutte le forme e i modi possibili. Ma questo mostrarsi muta nel tempo e riflette il modo in cui l’universo dei bambini imita, nella divisione dei ruoli, quello degli adulti.
Comunque sia, già nel mondo antico i bambini facevano i cavalieri e le bambine facevano le mamme. Fra i tanti giochi, che in fondo non erano per niente diversi da quelli di oggi, i bambini dell’antica Grecia sapevano stare insieme. Fanciulle e fanciulli giocavano alle noci e agli astragali, ai birilli, a nascondino, a mosca cieca, ma soprattutto amavano i travestimenti.
«Travestirsi è, sicuramente, uno dei giochi più affascinanti per un bambino: camuffarsi e inventarsi nuove identità e avventure gli consente di sbrigliare in maniera costruttiva la sua fantasia […] Un mantello, una tunica, scelti tra gli indumenti di colori vivaci, erano sufficienti a rendere felici per ore e ore i ragazzi»¹.
I bambini amano stare al posto di un altro, amano usare le maschere, amano creare sostituti. I bambini imitano gli adulti.
«La vita dei grandi è spesso imitata dai più piccini, e i fatti della vita adulta tramutati in gioco. Un piccolo vede il padre cavalcare maestosamente un baio e subito prende una canna o un bastone, se li mette tra le gambe e corre al galoppo, fa giravolte e impennate, proprio come un adulto»².
Il bastone fra le gambe è l’antesignano dell’hobby horse (cioè di quel bastone che ha testa di un cavallo) e del cavallo a dondolo. Anche Socrate, ci riferisce Valerio Massimo, cavalcava un bastone per far divertire i suoi bambini ed era così sicuro di sé che non arrossì di vergogna allorché lo sorprese Alcibiade il quale si mise a ridere³. Valerio Massimo sente il bisogno di riferirci che è tale la sapienza di Socrate da non provare vergogna quando Alcibiade lo scopre sopra un bastone che sostituisce un cavallo. Ma perché avrebbe dovuto arrossire di vergogna? Per il fatto che stava dentro un mondo altro, il mondo dei bambini, un mondo che non era il suo, un mondo dove cavalcare un bastone ha senso perché fa parte del gioco della sostituzione. Un bastone è come un cavallo; un bastone è un cavallo. Lo è dentro il mondo dei bambini, i quali sanno benissimo che il bastone non è un cavallo, ma sanno anche che, se si mettono d’accordo fra loro, lo può diventare. Alcibiade ride perché Socrate, l’ironico Socrate che mette in difficoltà i sofisti, che è capace di bere nei simposi senza mai perdere il controllo di sé e senza mai lasciarsi prendere dal sonno, si trova, agli occhi del suo amico che lo sta guardando, in uno scenario che non è quello che normalmente condivide con lui. Socrate ha fatto irruzione nel mondo dei bambini e sta giocando con loro, spogliandosi delle sue vesti di adulto, pur restando adulto. Vi è un contrasto tra il suo essere adulto e il suo stare dentro il mondo dei bambini, il quali imitano nel gioco gli adulti. Socrate imita gli adulti come se fosse un bambino, pur essendo e restando adulto, e questo viene avvertito da Alcibiade come qualcosa di contrastante. E se ha ragione Luigi Pirandello nell’affermare che il comico è l’avvertenza del contrario⁴, allora si comprende perché la situazione di Socrate che sta a cavallo di una canna susciti il riso di Alcibiade⁵.
Gli adulti che entrano nel mondo dei bambini sanno, quasi senza saperlo, che questo è un mondo altro rispetto al loro, un mondo intermedio che ha origine da quello che ora sta imitando e da cui, imitandolo, se ne differenzia. Socrate, cavalcando un bastone, entra nella cornice del gioco dei suoi figli. Il riso di Alcibiade segnala per contrasto il confine tra il mondo degli adulti e quello dei bambini dove un padre è entrato per condividere il gioco dei bambini. Socrate sta, in tal modo, al posto di sé stesso, proprio perché è capace di stare al posto di un altro.
L’antichità conosce le bambole. Le bambine del mondo antico imitano le mamme, fanno le mamme, stanno al posto delle mamme, sapendo di essere sé stesse, bambine che giocano e giocando costruiscono mondi. La differenza di genere nasce assai