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Sherlock Holmes: aneddoti sulla vita di Niccolò Paganini
Sherlock Holmes: aneddoti sulla vita di Niccolò Paganini
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Sherlock Holmes: aneddoti sulla vita di Niccolò Paganini

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Musica - saggio (663 pagine) - La storia del più grande violinista di ogni tempo, tra gli aneddoti, le curiosità, le cronache raccontate da Sherlock Holmes al suo amico Watson


Moltissimi sherlockiani si sono chiesti, nel corso degli anni, quali fossero gli aneddoti sulla vita di Niccolò Paganini con i quali Holmes intrattenne Watson per più di un’ora, in un pomeriggio d’agosto di fine Ottocento, in compagnia di una bottiglia di buon vino. Finalmente il mistero è svelato: i curatori di questo testo, infatti, sono venuti in possesso del manoscritto originale del volume di appunti nel quale il detective ha raccolto, ad uso del suo inseparabile amico, quelli e molti altri racconti sulla vita del grande musicista. Lo stile di Sherlock Holmes è asciutto e senza fronzoli, ma la quantità di dati è impressionante, mentre la qualità delle riflessioni in esso disseminate conferma, se ce ne fosse bisogno, l’acume e la competenza del primo – e unico – consulente investigativo del mondo.


Stefano Guerra: Segretario dell’associazione Uno Studio in Holmes, che ha contribuito a fondare nel 1987. Baker Street Irregular; Socio della John H Watson Society. Autore di numerosi articoli pubblicati in tutto il mondo. Medico, neuropsichiatra infantile e psicoanalista, si è occupato per oltre trent’anni dell’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili. Docente di Igiene Mentale e Neuropsichiatria Infantile, ha ricoperto per alcuni anni anche l’incarico di dirigente scolastico. Attualmente in pensione, si dedica esclusivamente agli studi holmesiani, alla pratica sportiva, al volontariato e al teatro. Per Delos Digital ha pubblicato, con Enrico Solito, “La Grande Enciclopedia di Sherlock Holmes – Baker Street dalla A alla Z”.

Vera Mazzotta. Pianista e docente di pianoforte nella sezione ad indirizzo musicale di Vicovaro (RM). Dopo i Diplomi di Pianoforte e di Musica da Camera presso il Conservatorio Santa Cecilia (RM), ha conseguito con lode il Biennio Specialistico ad Indirizzo Interpretativo presso il Conservatorio Perosi (CB), ottenendo numerosi riconoscimenti in Concorsi nazionali ed internazionali. Autrice di diversi articoli di didattica musicale e del libro “Giocando con la Musica per promuovere l’inclusione”. È docente Formatore e Autore Musicaascuola INDIRE. Socia delle Associazioni John H Watson Society e Uno Studio in Holmes, ha pubblicato articoli riguardanti la musica e lo Stradivari di Sherlock Holmes sia in italiano sia in inglese e, per Delos Digital, l’ebook “Wilma Neruda. La violinista che conobbe Sherlock Holmes”. È laureata con lode in Filologia classica.

LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateFeb 22, 2022
ISBN9788825418910
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    Sherlock Holmes - Vera Mazzotta

    1. Prefazione

    Stefano Guerra e Vera Mazzotta

    Questi appunti di Sherlock Holmes ad uso del Dottor Watson ci sono stati affidati dal nostro comune amico Enrico Solito che, come sanno tutti gli sherlockiani, ha avuto la fortuna di ricevere in eredità un vecchio baule, di proprietà di Watson, pieno di manoscritti del Buon Dottore, dei quali sta curando da tempo la progressiva pubblicazione. Nello stesso baule il nostro amico ha trovato questo testo, scritto di suo pugno da Holmes, della cui cura e revisione Enrico non si sarebbe mai potuto occupare, pieno di impegni com’è. Ma il testo è troppo interessante per privare gli appassionati della sua lettura e così gli è venuto in mente che avremmo potuto occuparcene noi.

    Noi, dal canto nostro, ci siamo limitati a tradurre il testo holmesiano, ad aggiungere qualche nota a commento e ad inserire un paio di paragrafi di nostre considerazioni in merito ad argomenti che, essendo rimasti attuali fino ai nostri giorni, hanno avuto necessità di integrazioni rispetto a quanto poteva essere noto a Holmes quando ha ultimato la sua raccolta. In appendice abbiamo aggiunto qualche aneddoto trovato da noi, che Holmes, nel momento in cui ha concluso il suo lavoro, non poteva ancora conoscere.

    Speriamo che le lettrici e i lettori si divertano quanto noi nello scoprire quanto è stato scritto e raccontato su questo personaggio straordinario, grati a Sherlock Holmes per l’ennesimo lavoro minuzioso di indagine da lui svolto.

    Ma da dove nasce questo testo? Qual è la storia della sua redazione?

    Sherlock Holmes, in The adventure of the cardboard box (L’avventura della scatola di cartone), in un anno imprecisato, tra il 1885 e il 1891, intrattenne Watson per un’ora davanti ad una bottiglia di Bordeaux, raccontandogli aneddoti sulla vita di Paganini, mentre aspettava l’arrivo di un telegramma, cruciale per la risoluzione del caso che stava affrontando. Molti, nel corso degli anni, si sono chiesti quanti e quali fossero questi aneddoti che avevano incuriosito Watson tanto sulla vita di Paganini quanto sulla singolare circostanza che Holmes fosse così informato sulla questione. Non c’è dubbio che la figura di Paganini per un violinista dilettante come Holmes – probabilmente bravo, ma sempre un dilettante! – rappresentasse un modello irraggiungibile, un ideale assoluto e anche, in linea con quanto avvenuto quando era ancora vivo, un personaggio mitico. Holmes non l’ha potuto ascoltare di certo, poiché è nato una quindicina di anni dopo la morte del Musicista, ma ha sicuramente respirato l’aria di leggenda che continuava a circondarlo.

    Al di là degli aneddoti sulla sua breve ma intensissima vita e di quelli nati dall’ammirazione incondizionata per il suo talento, su Paganini erano sorte tante storie, molte di fantasia, che attribuivano la sua abilità a cause soprannaturali o che lo vedevano impegnato nelle situazioni più improbabili.

    Holmes aveva già un buon repertorio di questi racconti al tempo di CARD per poter intrattenere così a lungo Watson, ma evidentemente ha continuato a raccogliere informazioni nel tempo, con la sua proverbiale meticolosità, e a raccoglierle nei suoi schedari. Ha sicuramente potuto consultare i molti libri e studi che si sono occupati di Paganini descrivendone l’originale creatività, intrecciata con la vita, piena di eventi incredibili, e che si sono sforzati di svelarne i segreti che lo hanno reso unico. La prima monografia, scritta quando il musicista era ancora vivo, La vita e l’opera di Paganini come artista e persona (1830), del professore dell’Università di Praga Yu. M. Schottky, è diventato il punto di partenza per molti ricercatori, poiché si basa su un’autobiografia e su materiali documentari forniti al professor Schottky dall’artista stesso. Il libro, ricco di preziose notizie di prima mano, conteneva anche molte imprecisioni dovute all’interpretazione soggettiva di alcuni fatti, cosa che ha comportato numerosi errori nelle pubblicazioni successive. Contemporaneamente, furono pubblicate due edizioni di tutt’altro genere: una descrizione della vita quotidiana del violinista, eseguita dal suo segretario, il tedesco Georg Harris, nel libro Paganini nella sua carrozza e stanza, nel tempo libero, in società e nei suoi concerti (1830) e Note fisiologiche su Niccolò Paganini, scritto dal suo medico personale F. Bennati (1831). Oltre alle opere biografiche, ne apparvero immediatamente altre dedicate alle questioni del suo stile esecutivo e della tecnica violinistica, come il testo di K. Gur Sull’arte di suonare il violino di Paganini (1830). Infine, non va dimenticato il libro del biografo italiano D. Conestabile La vita di Niccolò Paganini da Genova (1851), fondamentale ricerca che non ha ancora perso il suo valore scientifico e che ha influenzato tutta la successiva letteratura sul compositore.

    Da queste biografie sono tratte tutte le citazioni prive di ulteriori riferimenti.

    A un certo punto, intorno al 1920, da quello che si può desumere dalla datazione delle fonti, Holmes ha deciso di farne una raccolta sistematica, suddivisa per grandi temi, e di donarla a Watson, in memoria di quella amichevole conversazione.

    La maggior parte degli aneddoti sono pertanto storie a sé stanti, non correlate tra loro. In alcuni casi, Holmes ha trattato l’argomento in modo più completo, o con un’introduzione oppure ordinando i fatti in una successione precisa. Talvolta, raramente, si è lasciato andare a qualche considerazione personale, mantenendo tuttavia lo stile di scrittura asciutto e concreto che gli conosciamo – che ha caratterizzato certamente tutta la sua produzione saggistica – e che lo differenzia da quello di Watson, più incline a divagazioni estetiche o ad abbellimenti.

    Ne è venuto fuori una sorta di zibaldone paganiniano, in cui le storie vere si intrecciano con le fantasie, la realtà con la leggenda, mantenendo, in fondo, l’identità di Paganini irriducibile ad una sola e confermandone la natura intrinsecamente proteiforme.

    2. Nota del Dottor J.H. Watson

    Sherlock Holmes non finisce mai di stupirmi. Tutta la nostra vita in comune è stata, in fondo, caratterizzata dalla mia meraviglia di fronte alla sua capacità di applicare l’intelligenza alle situazioni più disparate. Non sono solo le sue straordinarie abilità nell’uso della logica, della riflessione, della deduzione, ma anche la qualità e la profondità delle sue conoscenze in campi diversissimi tra loro che lo rendono capace di trarre conclusioni inaspettate di fronte ad enigmi che per la maggior parte degli investigatori si rivelano inesplicabili. Quando Holmes studia un fenomeno, per interesse professionale o anche per semplice curiosità personale, lo fa con una tale dedizione, un tale impegno, una tale accuratezza che raramente si può trovare qualcuno che possa stargli alla pari. La sua monografia sulle ceneri dei tabacchi, ad esempio, non ha eguali negli annali della criminologia scientifica, al pari dello studio sui caratteri delle macchine da scrivere.

    Nel caso in questione, Holmes ha usato i suoi metodi di ricerca e classificazione sulla storia di un personaggio famoso a lui particolarmente caro, una persona, come lui, del tutto fuori dal comune, controverso, fuori dagli schemi, ma talentuoso al limite dell’incredibile. Non solo un modello, per lui musicista dilettante, come virtuoso del violino, ma anche, e forse soprattutto, uno spirito affine, tormentato e dolente come egli è stato in molti momenti della sua esistenza. E questa ricerca, così approfondita ed estesa, non l’ha realizzata solo per sé, ma anche per me, per dare concretezza e sistematicità alle tante osservazioni casuali e improvvisate delle quali mi aveva fatto partecipe in infinite occasioni, a partire da quel caldo pomeriggio di agosto, dal quale tutto cominciò. Un regalo inaspettato e sorprendente, ma non per questo meno gradito, che raccoglie tutte le storie e gli aneddoti, veri o inverosimili, su Niccolò Paganini che Holmes ha raccolto durante la sua vita e che, in parte, mi ha raccontato nei nostri sereni momenti di pausa, tra un’avventura e un’altra.

    Nonostante la ricchezza delle informazioni e, conseguentemente, la quantità di pagine riempite, lo stile di scrittura di Holmes resta quello che lo caratterizza: asciutto ed essenziale, privo di quei fronzoli e di quegli orpelli che, invece, a me piacciono tanto e che il mio amico mi ha sempre rimproverato. La sua presenza come narratore è più che discreta, quasi non percepibile, tanto egli si limita nei commenti e nelle osservazioni personali. Ma la quantità di dati è impressionante, derivanti da letture, da esperienze personali, da racconti indiretti, da deduzioni. Difficilmente credo si possa ritrovare una rassegna tanto articolata e onesta.

    Io sono un po’ incerto sul da farsi. Vorrei pubblicarla, perché ne riconosco il valore storico e documentale, ma temo che difficilmente potrei trovare un editore disposto a rischiare per un testo che si rivolge evidentemente a un pubblico tanto selezionato: a differenza di testi popolari comparsi sul medesimo tema, infatti, il lavoro di Holmes non gioca sulla facile seduzione tipica del testo banalmente scandalistico, ma propone al lettore una visione critica dei fatti, approfondita, complessa e contraddittoria, chiamandolo non tanto ad aderire a una tesi precostituita, quanto a formarsi una sua libera convinzione.

    Penso che, per ora, lo archivierò tra i miei ricordi più cari, in attesa che lo stesso possa trovare tempi migliori per essere reso pubblico e per poter essere apprezzato nel suo reale valore.

    Londra, febbraio 1921 John H. Watson, M.D.

    Immagine

    Portrait of young Niccolò Paganini (France, private collection). Autore sconosciuto, public domain, via Wikimedia Commons.

    3. Infanzia e gioventù

    Genova

    Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica Signora del mare.¹

    Questa città, dominatrice dei mari, pittoresca agli occhi di un inglese, è Genova: palazzi barocchi circondati da bellissimi giardini cedono il passo alle abitazioni poverissime, affastellate una sull’altra delle stradine strette del porto. Come tutte le città portuali, Genova fu abitata da genti provenienti da ogni parte d’Italia, sin dai tempi di Paganini, ma dal 1869 fu anche sede di una nutrita colonia di connazionali che vi hanno portato il nostro passatempo preferito, il calcio.² Oltre a quella che era stata l’abitazione di Colombo, nel vicolo di Gattamora, nella zona di via del Colle, ci sono tre case di pietra rosa. In una di queste, spicca la statua della Vergine, illuminata come un quadro di Rembrandt. Qui, al numero 38, in un piccolo appartamento di tre stanze, nel vicolo in cui si diceva che andassero a danzare le Streghe,³ nacque e visse Niccolò Paganini sino al suo trasferimento a Parma.⁴

    Nascita di Niccolò

    Niccolò è stato figlio della sua era, si disse,⁵ un’era che ci sembra lontana ma non lo è affatto. L’era in cui i troni vacillarono, gli eserciti devastarono il continente e l’Italia divenne suddita dell’Impero francese. Lo sconvolgimento politico fu accompagnato dalla rivoluzione nell’arte: la musica di Beethoven, Schubert, Berlioz, Chopin, Schumann, Liszt e Wagner. Forse, già sentendo i fremiti della Rivoluzione, nacque Niccolò Paganini, a Genova, il 27 ottobre 1782, secondogenito di Teresa Bocciardo e Antonio Paganini,⁶ di professione ligaballe al porto, ossia imballatore. L’anno di nascita era il 1782, tuttavia, a causa della tendenza di Niccolò di volersi ringiovanire a fini matrimoniali, molte cronache, nonché le prime biografie dettate da lui stesso, hanno per molti anni riportato come data di nascita quella del 1784. Nonostante la modesta estrazione, Antonio godeva di una certa disponibilità economica dovuta ad una più redditizia attività: il prestito di denaro. La tradizione, invece, ce lo ricorda dedito al gioco del lotto, antichissimo in Italia. Si diceva che Antonio fosse stato capace di dare numeri fortunati agli amici ma mai a sé stesso.⁷ In ogni caso, è più probabile che fu il prestito di denaro a fargli acquisire proprietà e disponibilità e lo stesso farà Niccolò per arrotondare i proventi dei suoi concerti. La tradizione ci parla di due genitori dilettanti di musica: Teresa, pur essendo semianalfabeta, era conosciuta per la sua bellissima voce, Antonio, invece, perché sapeva suonare il mandolino tanto che, nei registri di Napoleone, compare come teneurs d’amandolines. Antonio Paganini pare vivesse l’insoddisfazione di non aver mai raggiunto la vera fama con la musica, avido, violento e dai modi rudi:

    …coi suoi modi villani e spesso brutali, non aveva ritegno alcuno con quella creaturina. Guai se sbagliava in qualche cosa! Gli cacciava certi urlacci che lo sbalordiva: e meno male avesse fatto sempre colla voce, ma spesso, per quel suo carattere focoso, collerico, ad ogni piccolezza, te’, gli dava pedate, scapaccioni, come se fossero stati zuccherini. E un uomo di così strano procedere era capace di suonare il mandolino in modo da incantare?… Caro lettore; sì; sembra una cosa impossibile, eppure Antonio con tutto il suo caratteraccio, con i suoi modacci da orso, avea un sentimento squisitissimo pel bello, si sentiva trasportare per la musica e suonava tanto bene da avere intorno a sé, ogni volta che si faceva sentire, un numeroso uditorio.

    Come ogni genio che si rispetti, la nascita di Paganini fu annunciata da una serie di segni. Fu Teresa a predire al piccolo Niccolò la sua futura gloria.

    Il Sogno di Teresa

    Ci sono molte versioni di questo sogno, probabilmente perché passò di bocca in bocca, raccontato prima dalla stessa Teresa e, in seguito, da coloro che avevano ascoltato il suo racconto, variato e arricchito nei particolari dalla donna stessa. In una versione, un angelo avrebbe volteggiato posandosi sulla testa del bambino, in un’altra, non sarebbe stato un angelo bensì l’apparizione di Gesù stesso a cui la donna aveva chiesto la grazia, una terza versione derivò dalla mescolanza di entrambe, arricchita da voci e dicerie. Teresa, in trance, avrebbe visto un teatro tenebroso ed oscuro ma pieno di persone. Il solista era Niccolò, grande, che suonava una musica trionfante. Ma chi era il venerabile Maestro che dirigeva l’orchestra? Sembrava Tartini, ma in ogni caso la sua figura che dirigeva un coro di voci angeliche sprigionava ed irradiava ovunque la sua luce. Ma, nascosta oltre il palco, dietro Niccolò stava anche un’altra figura ostile con una chitarra in mano. Alta, magra, vestita di rosso, con due corna sulla fronte controbatteva ad ogni nota con la sua chitarra: il diavolo! Teresa, allora, si accorse che il teatro era avvolto da fumo nero come la pece e stava bruciando. Ma da quanto tempo? Sotto i piedi del diavolo vide un drago che, certamente, era responsabile dell’incendio. Soffocata dal fumo, la donna perse conoscenza quando, all’improvviso, la nebbia rossa che aveva avvolto il teatro venne dispersa e di fronte al suo viso comparve un Angelo che la prese tra le braccia: fu allora che ella chiese la grazia per il suo Niccolò. Immediatamente le sue preghiere vennero accompagnate dal coro angelico che sentì cantare le parole musica, gloria, amore, oro. Un terremoto scosse quindi l’aria. Teresa cadde.

    – Niccolò – gli disse un giorno mentre lo prendeva sulle ginocchia – tu sarai un grande musicista. La notte scorsa mi è apparso un angelo di una bellezza radiosa; mi ha detto di scegliere un desiderio da realizzare; l’ho pregato di farti primo tra i violinisti, e l’angelo me l’ha promesso.¹⁰

    Le sue preghiere furono ascoltate. Se questo fu uno stratagemma materno per far crescere nel piccolo l’idea di una predestinazione o realmente un sogno, non lo sapremo mai, ma certo Niccolò rimase impressionato da questo racconto che, ovviamente, al pari di altri, venne ripreso dalle cronache e riscritto: Teresa, donna insoddisfatta a cui piacevano i viaggi, i gioielli, le parrucche e gli abiti che non avrebbe mai potuto avere, per raggiungere i suoi scopi, consacrò suo figlio a Satana che le era apparso in sogno.

    Il talento di Niccolò

    La vocazione di Niccolò fu la musica e solo la musica, l’unica arte capace di riempire la sua anima di gioia. Paganini stesso raccontò¹¹ che, a cinque anni, nulla gli lasciava una sensazione di gioia come l’ascoltare quello scampanio di campane che solo in Italia si può sentire, o di profonda melanconia come il sentire i suoni profondi dell’organo che lo commuovevano fino alle lacrime. Tra le tante storie che si raccontano per riempire i vuoti dell’infanzia di un tale genio, ve n’è una particolarmente piacevole.

    Antonio Paganini, nonostante il caratteraccio ed i modi ruvidi, quando suonava sembrava trasfigurarsi e il piccolo Niccolò, che allora non aveva più di cinque anni, metteva da parte la paura dei modi collerici del padre, per ascoltarlo. Tra i brani che amava ascoltare v’era una barcarola che Antonio cantava accompagnandosi con il suo mandolino. Fu dopo una di queste sue esibizioni familiari che Teresa decise di prendere il coraggio a due mani per far osservare a suo marito che anche il loro piccolo Niccolò sembrava molto portato per la musica.

    – Da cosa lo deduci? – chiese Antonio alla donna.

    – Non vedi che quando tu suoni ti sta con gli occhi sempre addosso? Inoltre, tutte le arie che tu suoni, ebbene, lui le conosce tutte, della barcarola, poi, non sbaglia una nota.

    Antonio allora chiamò il bambino che se ne stava vergognoso e tremante in un angolo. La madre, prendendolo per mano, gli chiese di cantare per suo padre l’amata barcarola. Un po’ titubante e con la voce tremante, iniziò:

    In agil gondola

    Spinta dal vento

    Nel mar lanciandomi,

    lieto, contento,

    Passo del vivere

    Qualche ora anch’io,

    E duolo e triboli

    Allora oblio…

    e piano piano, cantò tutte le strofe della barcarola senza sbagliare né il testo né la musica.

    – Niccolò, vorresti imparare a suonare il mandolino? Te lo insegno io…

    Il bambino, contentissimo, abbracciò la mamma, tanta era la gratitudine per avergli consentito di imparare l’arte verso la quale provava così grande attrazione. E fu così, si racconta, che in capo a un anno, tra qualche carezza e molte percosse e punizioni, il bambino imparò a suonare il mandolino.

    Niccolò e il violino

    Una nevicata aveva coperto Genova e il suo porto. Molti si erano rintanati in casa per fuggire il freddo ma molti altri non avevano rinunciato ad andare a teatro a sentire Paisiello e Cimarosa. In casa dei Paganini si festeggiava il compleanno di Niccolò e Antonio, pieno di ambizione, aveva deciso di esibire i progressi di suo figlio. Tra gli amici di Paganini vi era un tale Pietro che di professione faceva il sarto ma si dilettava anche sul violino e spesso accompagnava Antonio. Dopo che i due amici ebbero suonato, Niccolò si esibì con il suo mandolino. Le lodi piovevano da ogni parte per questo bambino di soli sei anni che già mostrava tanta musicalità. Pietro si accorse che il bambino era particolarmente attratto dal violino che egli aveva lasciato sul tavolo, così chiese al piccolo se non gli sarebbe piaciuto imparare a suonare anche quello strumento. Così il piccolo cominciò a prendere qualche lezione dall’amico del padre.

    In realtà, questa bella storia contraddice quanto raccontò Paganini stesso, ossia che inizialmente fu il padre che era di orecchio disarmonico, ma appassionato per la musica, a dargli i primi rudimenti anche di violino

    A sette anni ebbi le prime lezioni di violino da mio padre che non aveva molto orecchio, ma aveva una grande passione per la musica. In pochi mesi fui capace di eseguire qualche pezzo a prima vista.

    Fin da questi primi momenti, Niccolò si identificò con il suo strumento: prendere l’arco in mano faceva scorrere in lui come una corrente elettrica che lo vivificava, lo rendeva più forte a dispetto delle sofferenze e delle privazioni:¹² i suoi stessi nervi vibravano come le sue corde: un aspetto interessante, se si pensa che questa fu la sensazione stessa che lasciava agli ascoltatori più sensibili.

    Ma i modi del padre erano rudi, violenti ed autoritari: affinché Niccolò studiasse senza distrazioni era solito chiuderlo nell’angusto spazio della cantina anche per 12 ore di seguito e, ovviamente, quando questo non accadeva, lo puniva severamente.

    Al biografo Schottky disse:

    – Non si può immaginare un padre più severo di lui, quando non gli sembravo abbastanza diligente, con la fame egli mi costringeva a raddoppiare i miei sforzi, così che ebbi molto a patire fisicamente e la mia salute cominciò a risentirne.

    Era questa l’educazione a cui venivano sottoposti gli Enfants Prodiges: carezze e moine ma anche punizioni severe ed esercizi continui pur di farlo esibire sulla tavola, al dessert, come una statua in mezzo alle torte per gli amici che frequentavano la loro casa non signorile ma neanche sprovveduta dell’indispensabile.

    Immagine

    Casa natale di Paganini. Cartolina del 1910, autore sconosciuto, public domain, via Wikimedia Commons.

    Le privazioni, le punizioni, la fame, i ritmi di studio, il rigore, erano comunque inutili visto il precoce talento e una certa propensione ad apprendere da solo:

    io stesso ero entusiasta del mio strumento e studiavo incessantemente per scoprirvi posizioni del tutto nuove e non ancora udite, il cui accordo facesse stupire la gente.¹³

    Sembra di vederlo, quel bambino smunto, correre a piedi nudi tra le strade tortuose rimuginando melodie e ritmi intrecciati a idee fanciullesche.

    Nel 1786 su Genova si abbattè una gravissima epidemia di morbillo. Niccolò e sua sorella Angela si ammalarono. La piccola morì. Niccolò anche sembrava morto. Venne avvolto in un sudario e portato al cimitero. Fu Teresa ad accorgersi di alcuni movimenti delle dita: morte apparente determinata sicuramente dalla grave infiammazione cerebrale. Con i soldi risparmiati dal funerale il padre gli acquistò il primo violino. Seguì la scarlattina e la polmonite per la quale fu curato con un salasso e si indebolì a tal punto da dover interrompere studi e viaggi. Niccolò era trattato come un’attrazione da circo e spesso i bambini dei vicini facevano a gara per ascoltarlo suonare ma, nel quotidiano, veniva deriso per il suo aspetto malaticcio e chiamato spassuia che, in dialetto, significava scopa. L’educazione severa su un carattere sensibile non giovò al suo rapporto con il padre con il quale spesso ebbe a manifestare atteggiamenti ribelli.

    Compagni di gioco¹⁴

    Il cielo italiano di maggio ha un fascino che noi, nati nel nord, non possiamo comprendere. In Italia il mese di maggio è il mese della rinascita, il sole comincia a splendere e a scaldarsi e i campi a coprirsi di colori a noi ignoti e ovunque si vedono volti felici e abbronzati per il ritorno della primavera e bambini che sciamano ridenti e rumorosi. Per questo, un bambino solitario, seduto a guardare il mare, certamente era uno spettacolo che facilmente si notava. Il bambino era magro, gracile, dalla carnagione chiara e pallida e i capelli ricci e neri, aveva circa dodici anni e fissava la distesa marina con lo sguardo più strano che mai si fosse visto. Le sue espressioni erano cangianti come i riflessi dell’acqua, ora il suo sguardo era orgoglioso e duro, ora trionfante, ora felice e poi, improvvisamente, triste.

    La voce argentina ed allegra di una bambina interruppe i sogni

    – Cattivo, Niccolò, ma dove ti sei nascosto tutto il pomeriggio? Ti ho cercato ovunque!

    E prima che potesse anche articolare qualche suono, la bambina lo baciò affettuosamente e lo abbracciò, facendo cadere dal suo grembiule colorato fiori, mirtilli, bacche. Niccolò rispose all’abbraccio felice e, accarezzandole i capelli, rispose:

    – Sono sfuggito al controllo di mio padre e mi sono nascosto, Giannetta. Volevo starmene da solo a sognare un po’ di fronte al mare. Tu sai bene che questo è il posto preferito del tuo compagno di giochi.

    Giannetta non rispose ma, scuotendo la testa, disse:

    – Non è giusto che tuo padre non ti dia pace né notte né giorno: ti condurrà alla tomba! Mia madre dice sempre Giannetta, il tuo Niccolò non è affatto forte e vigoroso, questo studio folle del violino consumerà la sua anima mentre suo padre ci metterà il resto distruggendo il suo corpo.

    – Ma no! Non crederle. Io non morirò. Non subito. Non prima di essere diventato famoso, e comunque, non sono debole, guarda qui!

    Si alzò in tutta la sua altezza, sembrò farsi più possente, lo sguardo bruciava e uno strano sorriso sorse sulle sue labbra quando sollevò la ragazzina dal suolo tenendola sospesa per poi farla scendere dolcemente di nuovo a terra. Giannetta non disse una parola ma lo guardò di traverso, poi si sedette vicino a lui raccontandogli come al solito i suoi mille progetti infantili, allegra come sempre. Se per caso Niccolò si assentava da quelle chiacchiere, tornando ai suoi pensieri cupi, un bacio della bambina o il delicato tocco delle sue mani erano sufficienti per farlo tornare alla realtà. Circondati dal sole, dal mare dal blu intenso, dal vento, la fronte del bambino era corrucciata, piena di pensieri, mentre quella di Giannetta l’immagine stessa della Primavera.

    Quando si fece buio, i bambini tornarono insieme a casa, tenendosi la mano. Dopo aver percorso diverse strade, girarono in una piccola strada laterale, alla fine della quale sorgevano due case, fittamente ricoperte di viti.

    Giannetta abitava in una, mentre Niccolò in quella di fronte. Il volto cupo corrucciato di un padre severo aspettava il ragazzo, mentre la mamma di Giannetta attendeva ansiosa il ritorno della figlia che baciò teneramente, non appena la vide. I bambini si salutarono.

    Niccolò, con un profondo sospiro, entrò nella sua triste e minuscola camera. Aprì la finestra, trasse una scatola che aveva la forma di una piccola bara: era un vecchio violino. Lo contemplò con tenerezza e iniziò a suonare traendo suoni puri che si intrecciarono a formare una melodia commovente. Mano a mano questa nenia scivolava nella notte silenziosa, come galleggiando sospesa: persino le pareti sembravano risuonare e tremare. All’improvviso, da quei vecchi muri uscì un ragno, insolitamente grande e splendidamente segnato con una croce sul dorso

    – Benvenuta, mia Croce d’Argento. – disse il bambino.

    Niccolò allungò la mano e, come se lo avesse fatto altre volte, l’animaletto gli corse incontro. Lo pose allora sulla testa del suo violino dove rimase aggrappato con le sue zampine mentre da quello strumento si sprigionavano miriadi di suoni diversi.

    Niccolò suonò fino a che il suo braccio, ormai stanco, non iniziò a fargli male: il sole già faceva capolino. Il ragno, rimasto immobile sino ad allora, si rianimò. Niccolò lo rimise sul davanzale da cui scivolò di nuovo nel rigoglio della vite e di nuovo una sensazione di grande solitudine invase la sua stanza. Il bambino amava teneramente la sua piccola Croce d’Argento che, ogni sera, diventava unica fedele compagna e ascoltatrice.

    Era arrivata all’improvviso alcuni mesi prima attirata dal suono del violino e, da allora, tornava ogni sera. Se Niccolò si fosse messo di nuovo ad immaginare toccando o solo sfiorando le corde del violino, avrebbe visto nuovamente Croce d’Argento far capolino e arrivare sino alla sua mano. Era una delle poche creature da cui si sentiva amato. Suo padre era un maestro duro, sua madre era morta.¹⁵ Certo, Giannetta lo amava, lo baciava, ma stranamente Niccolò si sentiva diviso tra lei e la sua compagna che viveva negli infissi della finestra. Giannetta, del resto, non amava i ragni e, anzi, diceva:

    – Sono streghe.

    D’altra parte, Croce d’Argento sembrava percepire l’astio della bambina e mai si faceva vedere quando lei era in camera di Niccolò ma il bambino sapeva che c’era, era lì e anzi, se si fosse avvicinato alla finestra con il violino, ne avrebbe persino percepito la presenza. Di solito Giannetta attendeva e ascoltava lo studio del violino, ma poi iniziava a parlare e raccontare. Un giorno raccontò a Niccolò di Mozart, di come a soli sei anni avesse già composto opere degne di nota.

    – Vedi, Giannetta, io allora non sono che un miserabile pasticcione messo a confronto con il suo genio.

    Un giorno, Giannetta non venne. Niccolò aveva un presentimento, non riusciva ad essere concentrato mentre suo padre gli faceva fare i più estenuanti degli esercizi.

    All’improvviso sentì la voce della mamma dell’amica che lo chiamava.

    Doveva correre da lei, la bambina bruciava di febbre. Quando entrò in casa, si avvicinò al suo letto: Giannetta era pallida, malata, ma Niccolò capì immediatamente cosa l’amica chiedesse. Nonostante fosse esausto dallo studio iniziò a suonare.

    – Per te, Giannetta, suonerò solo per te!

    Fu allora che il quartiere di Genova si fermò, ascoltando una delle melodie più commoventi, incantevoli, appassionanti, la ninna nanna più dolce che nessuno fino ad allora aveva neanche immaginato.

    La bambina sollevò il capo e con le ultime forze disse:

    – Ora so… io ora mi riposerò, dormirò ma tu non dovrai mai farlo. Tu devi risplendere. Tu sei destinato ad illuminare ogni cosa, a rischiarare il cammino delle persone, a brillare come nessuno prima di te. Viaggia, vai lontano da qui e ricordati della tua amica.

    Furono queste le ultime parole della bambina che, stremata, reclinò la testa sul cuscino e, dopo poco, morì, serena. Niccolò vegliò il suo corpo tutta la notte, ma la mattina dopo uscì presto. Quando tornò a casa, dalla sua camera poteva vedere quella di Giannetta, che piano piano si riempiva di fiori e candele.

    Un monaco pregava. Le ultime parole della bambina risuonavano nelle sue orecchie:

    – Vai lontano, viaggia…

    Chi lo tratteneva ora in quella casa? Ora era davvero solo. E quando ormai la disperazione stava per impossessarsi del bambino, sentì un tocco gentile sulla sua mano:

    – Oh, sei tu, piccola compagna, muta e fedele…

    La sua tristezza si tramutò in sorriso e decise di suonare un’ultima volta per Giannetta prima di partire con l’unica compagna che gli era rimasta. Si mise davanti alla finestra guardando la camera dell’amica: gli accordi cantavano più meravigliosamente e misteriosamente che mai, suoni ammantati di dolcezza e dolore al tempo stesso, fluttuarono verso la camera di Gianetta che sembrava sorridere; i fiori che la circondavano, le fiamme delle candele tremavano al passaggio del suono e il monaco lasciò cadere le mani giunte mentre magici, strani sogni passavano nella sua testa, quasi fantasmi. Quando il sole del mattino guardò nella minuscola stanza, trovò il piccolo violinista svenuto, a terra, con il violino tra le braccia. Sul riccio, saldamente aggrappata, la piccola Croce d’Argento, che pure era morta.

    Una storia singolare, questa, raccontata da Elise Polko, sulla quale vorrei fare qualche altra considerazione. La scrittrice mi pare abbia voluto, non senza poche libertà, fare un ritratto di un giovane Paganini ancora incorrotto e puro, del bambino che c’era stato prima del successo, prima della gloria e prima ancora che il suo straordinario virtuosismo macchiasse per sempre la figura del grande artista e impedisse che un bambino cresciuto in modo normale e con sentimenti normali potesse diventare anche una persona normale seppur fortemente dotata.

    Tuttavia l’accenno alla brutalità dei modi paterni fa ritenere che, come lo stesso Paganini pensava, molto del suo carattere fosse comunque dipeso da quella mancanza di affetto e cure nell’infanzia. È per questo che la morte del ragno non ha molte spiegazioni. Che l’anima di Giannetta fosse per un attimo passata nel corpicino minuscolo del ragno per consolare il suo amico? O, invece, in esso era passata l’anima della madre morta che in qualche modo vegliava così suo figlio? O, ancora, la morte dell’ultimo essere sulla terra da cui si sentiva amato, fu quello l’elemento determinante, insieme alle parole di Giannetta, per il suo andar via di casa per cercare fortuna? Di certo, Paganini deve aver ricordato la bambina con grande gratitudine da adulto, nel pieno dei suoi successi, perché fu lei ad ispirargli fiducia e coraggio in sé stesso.¹⁶

    Vogliamo Nicola

    Antonio Paganini spesso veniva chiamato per animare piccole feste e, poiché era noto che il piccolo Paganini studiava con il padre, quando si voleva un po’ di musica, si cominciò a dire:

    – Se vuoi, puoi lasciar venire Nicola.

    Che in breve tempo divenne:

    – Preferiamo avere Nicola.

    E, dopo non molto tempo:

    – Vogliamo solo Nicola.

    Il piccolo diavolo¹⁷

    Dopo la sua consacrazione a Satana, uno dei tanti racconti vuole che il piccolo Niccolò avesse cominciato a manifestare caratteristiche fisiche… diaboliche: dita adunche, pallore cadaverico, riccioli neri, lunghi e sempre scomposti, sguardo penetrante e il naso aquilino. Ma Niccolò ne andava anche molto fiero. Quando scalzo se ne andava per i vicoli suonando sul suo piccolo violino melodie agghiaccianti, nessuno dei bambini di strada osava avvicinarsi e, del resto, le mamme, alla sua vista, richiamavano i figli e chiudevano ogni finestra. Era il Diavolo. Secondo questa leggenda, il suo primo Maestro, Costa, gli organizzò un concerto in Duomo. Era il Diavolo, ma tutti accorsero per vedere cosa sarebbe accaduto quando fosse entrato nel luogo sacro.

    Paganini, malaticcio e ipersensibile… svenne… o meglio, il Diavolo, di fronte alle immagini, al Tabernacolo, all’incenso, svenne. Era la prova che tutti volevano:

    il DIAVOLO! Niccolò era, davvero, il Diavolo!

    Esordio diabolico

    Essendo diventato noto a tutti il grande talento del piccolo Paganini, fu organizzato di farlo esibire in teatro insieme al celebre tenore Luigi Marchesi. Era un onore esibirsi insieme a quello che era considerato uno dei più brillanti cantanti del tempo. Teresa era in ansia: chi avrebbe protetto il suo bambino dal suonare in quello che padre Ambrogio chiamava l’abitazione del diavolo? Tutto era pronto. Teresa, dopo aver acceso otto ceri in chiesa, pregò che tutto andasse bene, mentre Antonio, nascosto dietro le quinte, minacciava il bambino dicendo di non disonorare il nome che portava. Niccolò entrò e dal suo violino uscì la melodia di un canto famoso, amato: erano delle variazioni sulla Carmagnola, il canto di libertà nato nel 1792. Alcuni ritengono che il nome di questo canto derivasse dalla giacca di velluto con i bottoni introdotta a Marsiglia dai contadini emigrati da Carmagnola, altri che, nella parte musicale, derivasse da una danza di origine piemontese. In ogni caso, quella era musica del popolo.

    Le truppe rivoluzionarie francesi, di ritorno dall’Italia, lo diffusero a Marsiglia e poi a Parigi, dove divenne l’inno dei sansculotte, gli estremisti della rivoluzione che, con il loro testo vollero deridere Maria Antonietta e Luigi XVI con i soprannomi di Monsieur Véto e Madame Véto.¹⁸ Evidentemente questa melodia diabolica tante volte era stata cantata di fronte al bambino, così da rimanergli nell’orecchio. E Niccolò, quasi in trance, nelle sue variazioni mise in musica le urla del popolo, le minacce, la ghigliottina, gli uomini che chiedevano vendetta: la Rivoluzione francese. E fu un successo.

    – Bis! bis! – chiese il pubblico impazzito.

    E Niccolò suonò ancora e ancora tra le lacrime di mamma Teresa e lo sbigottimento di papà Antonio.

    Casa Paganini

    Hector Berlioz,¹⁹ oltre ad essere un compositore, fu un estroso giornalista. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali, fu avviato alla carriera di medico che, tuttavia, abbandonò per studiare musica in Conservatorio. A 27 anni, nel 1830, gli fu conferito il Prix de Rome con il quale ebbe la possibilità di studiare per due anni all’Accademia di Villa Medici, allora diretta da Horace Vernet… mio avo, da parte materna.

    Dopo neanche tre settimane dal suo arrivo seppe che la donna che amava e considerava sua fidanzata, Camille Moke, era stata invece promessa al costruttore di pianoforti Pleyel. Berlioz, allora, elaborò un piano, tanto romantico quanto assurdo, per vendicarsi. Lasciò l’Accademia per rientrare a Parigi. A Firenze si fece confezionare un abito da fantesca per farsi ricevere, così camuffato, in casa Moke. Con due pistole con due colpi ciascuna, uno per la ragazza, uno per la mancata suocera, uno per Pleyel ed uno per sé, era deciso a vendicare il tradimento! A Genova però si rese conto di aver smarrito il vestito da donna nel cambio di carrozza, ma trovò una sarta disponibile a confezionargliene un altro. La polizia, insospettita da questo gesto del francese, considerato un esaltato e per questo tenuto sotto controllo, gli rifiutò il visto per Torino rilasciandogli solo quello per Nizza. Il viaggio, la fame, il freddo e la stanchezza, contribuirono a riportare nel suo animo una certa razionalità. Berlioz si decise a scrivere a Vernet pregandolo di tenergli il posto e impegnandosi a rientrare e a non lasciare più l’Italia. Dopo aver trascorso alcuni giorni a Nizza, il compositore riprese il cammino per Roma passando di nuovo da Genova, città natale di Paganini, che allora mandava in visibilio i parigini. Che sorte avversa e maledetta era quella quella che gli impediva di ascoltarlo proprio a Parigi! Fu allora che decise di raccogliere notizie di Paganini, della sua infanzia, della sua casa, dei suoi studi dai suoi concittadini trasformandosi in un vero detective. Ma i genovesi, si sa, sono abbastanza chiusi e più attenti al commercio che non alle arti, pertanto parlarono a Berlioz di quell’uomo straordinario con una certa freddezza e diffidenza. Il compositore provò a chiedere dove fosse la sua casa natale ma non gliela seppero indicare. Del resto, a Berlioz non riuscì di trovare neanche un segno della nascita di un altro grande genovese, Colombo: allora, forse, non si trattava di una sua incapacità o mancanza di ingegno. Se i genovesi avevano dimenticato Colombo, per disinteresse o incultura, potevano aver ben dimenticato anche Paganini. Così Berlioz, deluso dall’ingrata Genova, se ne tornò a Roma dove rimase sino al 1832.

    Immagine

    Casa Paganini. Autore sconosciuto, public domain, via Wikimedia Commons. Dalibor 15 dicembre 1907.


    ¹. Francesco Petrarca, Itinerarium Syriacum

    ². Fu il medico e filantropo James Spensley, trasferitosi in città per assistere i marinai inglesi, a fondare nel 1893 il Genoa Cricket and Football Club.

    ³. Il Tempo 1953

    ⁴. Il palazzo, in occasione del centenario della nascita del violinista, ospitò una lapide che, in versi, lo ricordava. Tuttavia, poiché risultava particolarmente lesionato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, fu al centro di una lunga polemica che vide contrapposti innovatori e restauratori, tra gli architetti incaricati di mettere ordine al quartiere. Prevalse la fazione di coloro che ritennero meglio demolire tutto e così fu: il palazzo venne abbattuto nel 1971. Gli abitanti della zona del Colle, inferociti, tentarono di fermare lo scempio ma nessuno, a livello politico, mosse un dito per salvare una casa di interesse storico oltre che architettonico. A ricordo dello scempio, nel 1981, nelle vicinanze, fu innalzata la Colonna Infame.

    ⁵. Stratton.

    ⁶. Antonio Paganini sposò, ventiquattrenne, la diciassettenne Teresa Bocciardo nel 1777. Da questa unione nasceranno 6 figli, due dei quali moriranno in tenera età: Carlo, il primogenito che fu anche lui violinista (1778), Biagio, morto ad un anno di età (1780), Niccolò (1782), Angela (1784), morta a 2 anni, infine Giulia Nicoletta (1786) e Paola Domenica (1788).

    ⁷. Tibaldi Chiesa.

    ⁸. Bruni op. cit

    ⁹. Saussine

    ¹⁰. Gazette Musicale de Paris, 14 June 1835

    ¹¹. Bennati, Codignola

    ¹². Bennati

    ¹³. Schottky

    ¹⁴. Polko. Il racconto comparve anche in diverse riviste con titolo il primo amore di Paganini

    ¹⁵. Teresa morì mentre Paganini era in tour in Germania.

    ¹⁶. Chatterbox 1892

    ¹⁷. Il tempo 1953

    ¹⁸. Il soprannome deriva dall’abuso del diritto di veto che i sovrani perpetrarono a danni della Assemblea costituente

    ¹⁹. 11 dicembre 1803 – 8 marzo 1869

    4. Maestri e concerti

    However much Paganini the musician may have owed to his teachers, Paganini the violinist was self-made and self-taught.²⁰

    Primi Maestri

    Il padre di Paganini, ad un certo punto, fu costretto ad ammettere di non essere in grado di garantire al bambino l’educazione musicale che si meritava, pertanto lo affidò inizialmente a tale Servetto o Cervetto che sembra continuasse a ripetere al piccolo allievo:

    – Non alzare il terzo dito, non alzare il terzo dito.

    probabilmente riferendosi al suo modo di tenere l’arco.

    Contestualmente alle prime lezioni, il bambino fu spinto a suonare non solo in famiglia ma anche in funzioni religiose.

    Niccolò si esibì per la prima volta come solista il 31 maggio 1794 nella Chiesa di San Filippo:

    Fu in essa eseguito un armonioso concerto da un amabilissimo giovinetto d’anni 12, ch’è il Sig. Niccolò Paganino, allievo del cel. Sig. Giacomo Costa professore di Violino, che riuscì di universale ammirazione e gradimento.

    Il 1° dicembre dello stesso anno si esibì nella chiesa di Nostra Signora delle Vigne dove stupisce per la grande destrezza e maestria.

    Come anche attestato da questi articoli Paganini prese 30 lezioni in sei mesi da Giacomo Costa, Maestro del Duomo di San Lorenzo, del quale il maturo Paganini ricorderà che il modo di tirare l’arco non era naturale. Affermazione di non poca importanza, considerata la particolare postura che il virtuoso decise di assumere.

    Rolla

    Uno dei più importanti e noti maestri dell’epoca era il violinista Alessandro Rolla. Fu grazie alla sua direzione che il Teatro alla Scala di Milano divenne uno dei teatri più importanti e, come da noi Charles Hallé, fu colui che in Italia fece ascoltare le sinfonie di Beethoven. Anche il dodicenne Niccolò aspirava a studiare con lui, così, nel luglio del 1795 venne organizzato un concerto con lo scopo di raccogliere i fondi necessari perché Niccolò studiasse con il grande violinista: il concerto in cui Paganini si fece ascoltare come compositore, con le variazioni sull’aria piemontese La Carmagnola, cui ho già accennato.

    Quando il giovane violinista si presentò a casa di Rolla, questi era a letto malato per colpa dell’influenza, non certo propenso ad alzarsi per ricevere uno sconosciuto e, per giunta, alle prime armi sul violino!

    – C’è di là il ragazzo che vuole che tu gli dia lezioni.

    Mentre la moglie cercava di convincerlo a riceverlo, Paganini, che attendeva in anticamera, vide uno spartito aperto: era la bozza del concerto che Rolla stava componendo. All’improvviso risuonarono nella grande casa le note dell’assolo.

    – Cercavo di leggere il concerto…

    racconterà Paganini molti anni dopo.

    Rolla, sentendo il suo concerto suonato tanto egregiamente, sentendo superare con creatività, acume e musicalità ogni difficoltà tecnica che esso presentava, chiese chi fosse questo valente musicista e, alla risposta della moglie che era il ragazzo che voleva lezioni da lui, si alzò scendendo così di corsa da dimenticarsi di vestirsi del tutto: rimase ovviamente strabiliato, tanto che disse:

    – Poco o nulla potrà apprendere di più di una tale arte.

    E, invece di insegnarmi violino, mi consigliò di imparare il contrappunto dal maestro Ghiretti, napoletano, violoncellista di Corte, maestro di Ferdinando Paer. Difatti il Ghiretti mi insegnò il contrappunto solo per iscritto e si affezionò tanto a me che mi colmò di lezioni, ed io composi, sotto la sua guida, molta musica strumentale.

    L’incontro fu quindi rivelatore. Rolla mantenne negli anni stretto riserbo su quanto accaduto, ma sia tutti i racconti fatti da Paganini per vari profili biografici sia quanto raccontato dal figlio Achille erano concordi: Rolla aveva ben poco da insegnare a quel giovane ma, perché completasse la sua formazione, doveva colmare il vuoto nell’arte della composizione.

    Componevo della musica difficile esercitandomi continuamente nelle difficoltà di mia invenzione, difficoltà delle quali mi resi padrone.

    Il compositore

    Lo studio della composizione, unito al suo sfrenato desiderio di eccellere e di colmare la distanza esistente tra le sue capacità e quelle dimostrate da un altro genio precoce del passato, Mozart, resero Paganini un compositore di opere didattiche destinate ad altri. Niccolò studiò con Paer di cui si dichiarerà, in seguito, suo grato allievo,²¹ ma questi, successivamente, lo indirizzò al suo Maestro Gaspare Ghiretti²² che gli dava tre lezioni alla settimana di armonia e contrappunto. Le lezioni continuarono per sei mesi. Paganini ricorda che il contrappunto gli veniva insegnato colla sola penna, senza istrumento²³ il che, certamente potenziò il già preciso orecchio del ragazzo. Niccolò usava manierismi e trucchi nel far emergere le espressioni che erano talmente enigmatiche per l’insegnante che questi presto si rifiutò di continuare: Niccolò possedeva una sorta di altezzosa fiducia in sé stesso che esasperava il maestro.

    Un aneddoto in merito alla composizione riguarda gli anni in cui fu ospite della corte lucchese. Tra il 1805 e il 1807 era particolarmente noto in città un tale Galli, suonatore di corno inglese, a cui venne affidato l’incarico di scrivere, in poche ore e per la sera stessa, un brano di effetto per celebrare il carnevale del 1806. Entrato nel panico, Galli si confidò con Paganini che, sorridendo, lo rassicurò. In poche ore il brano per violino e oboe era pronto

    e venne eseguito la sera tra l’ammirazione generale.

    Paer ingannato²⁴

    La straordinaria capacità di Paganini di produrre effetti sul violino era tale da ingannare anche le orecchie dei musicisti più capaci, quali lo stesso Paer. Una sera, il violinista lo andò a trovare e i due suonarono insieme un brano per pianoforte con violino obbligato. Al termine, il vecchio compositore chiese al suo ex allievo se non volesse fargli il favore di suonare per lui sulla quarta corda, e Paganini disse:

    – Maestro, ma io vi ho accompagnato suonando tutto sulla quarta corda, non ve ne siete accorto?

    Paganini tra Genova e Livorno

    Genova fu scossa da moti rivoluzionari; combatté contro le truppe austriache patendo la carestia, il tifo, la sete; resistette per mesi e Paganini, allora diciottenne, si spostò in campagna a studiare. Genova capitolò il 4 giugno del 1800. La disfatta di Marengo consegnò tutta l’Italia a Napoleone e il 24 giugno i Francesi entrarono in città. La tensione era respirabile ovunque, così Paganini, seguito da suo padre, si spostò a Livorno. Grazie all’interessamento del console britannico, riuscì a tenere alcuni concerti in questa città per un pubblico incuriosito dagli annunci messi sulle riviste in cui prometteva di eseguire, a prima vista, qualunque musica gli avessero sottoposto. Come ebbe più volte modo di dire, per suo padre il violinista si stava rivelando un ottimo investimento economico. Non sempre l’accoglienza fu delle migliori: un musicista di tale livello e tecnica non sempre fu capito e, anzi, spesso fu osteggiato da associazioni musicali locali.

    Poiché, infatti le associazioni musicali cittadine non erano state interpellate sull’opportunità di far suonare il Genovese, decisero di manifestare il proprio dissenso nei confronti di quello che ritenevano un affronto, dando vita ad una sorta di sciopero.

    Il giorno del concerto la sala era piena di pubblico ma sul palco nessun orchestrale, salvo uno o due violinisti che, probabilmente, anche a causa della loro non spiccata capacità nel suonare, per non dire manifesta incompetenza, non erano membri di alcuna associazione musicale cittadina. Di fronte alla mancanza dell’orchestra, Paganini cambiò il programma, imbracciò il violino e intrattenne il pubblico per oltre tre ore.

    Il prete di Lucca

    Il 14 settembre del 1801, un Paganini diciassettenne arrivò a Lucca, accompagnato da suo fratello Carlo, finalmente svincolato dal controllo del padre, tirannico ed autoritario. In città si celebrava la solennità più sentita: Santa Croce.

    La festa celebrava la reliquia che, si diceva, fosse stata portata, via nave, dalla Terra Santa. Si trattava di un crocifisso ligneo, chiamato il Volto Santo, che si tramandava non fosse stato fatto da mano umana. La leggenda, sorta per spiegare un culto senza precedenti, raccontava che San Nicodemo, membro del Sinedrio e discepolo di Gesù che, assieme a Giuseppe di Arimatea, depose il Cristo nel sepolcro, si trovò di fronte all’impossibilità umana di riprodurre il volto del Messia. Tuttavia a distanza di poco tempo trovò la sua immagine già scolpita in modo miracoloso.

    Leggende a parte, questo crocifisso è certamente²⁵ la più antica immagine lignea dell’Occidente, da cui l’importanza per i lucchesi della Festa della Santa Croce, tuttora celebrata il 13 e 14 settembre. Probabilmente, anche Niccolò assistette alla suggestiva processione delle candele, che dalla chiesa di San Martino andava verso quella di San Frediano, portando lo stendardo della città e delle corporazioni insieme alla Sacra Reliquia.

    La processione, come un ruscello di fuoco, attraversava le strade tortuose addobbate con fiori, drappi e lanterne accese. All’alba i colpi di mortaio davano inizio alla fiera: mercanti, compratori, acrobati, maghi, astrologi e, ovviamente, musicisti si riversavano a Lucca pronti a suonare anche gratuitamente alle funzioni religiose per farsi conoscere dalla grande folla che questa festa richiamava.²⁶

    Un buon prete lucchese, l’abate Chellini, che ogni sera teneva un diario degli avvenimenti della città,²⁷ raccontò di aver assistito ad un concerto singolare.

    Fu un concerto assai lungo per un periodo in cui 7 minuti di musica erano considerati tantissimi: Paganini ne suonò 28!

    Il resoconto del concerto di un tal Paganini, giacobino genovese, parla di un giovane di grandi abilità senza criterio e giudizio musicale, che si limitava ad imitare con il violino il canto degli uccelli, le trombe, i corni rendendo l’esibizione una sorta di grande opera buffa che fece ridere il pubblico. Ovviamente, il fatto stesso che il pubblico fosse stato divertito da questa esibizione rafforzava nel Chellini l’inadeguatezza musicale del giovane che aveva scelto un luogo sacro per esibirsi in tale modo. Insomma, il giovanissimo Paganini sbalordiva già per il grande possesso tecnico, non disgiunto dal gioco musicale istrionico che allora appariva di dubbio gusto ma che non lasciava indifferenti.

    Quanto al giacobinismo e alle idee politiche, sebbene Paganini sia stato definito massone e carbonaro, tanto da essere persino oggetto di pedinamenti durante il suo soggiorno a Napoli soltanto perché era solito portare il berretto dei giacobini, fu tanto intelligente da non invischiarsi mai in questioni politiche e fu sempre pronto, anzi, a rendere omaggio al regnante di turno. Nel dicembre del 1801, Paganini ottenne la nomina di primo violino della Repubblica di Lucca.

    Il direttore scornato²⁸

    Questo racconto si riferisce alla permanenza di Paganini a Lucca. Una sera, il direttore dell’orchestra chiese al Genovese se non volesse prendere il suo posto. Era una trappola: quel direttore, infatti, era invidioso e cercava sempre di creare imbarazzo al talentuoso musicista.

    Paganini accettò di dirigere, ma l’avversario, di soppiatto, tagliò con un coltello tre corde del violino in modo che saltassero ai primi colpi d’arco, quindi si nascose in un angolo del teatro per godersi le conseguenze del suo tiro mancino. Il concerto iniziò e il violinista suonò il suo assolo in modo divino. Con audacia, proseguì nelle sue parti solistiche e in modo talmente geniale che il direttore pensò che avesse cambiato violino. Mentre Paganini accompagnava la melodia di una cantante, il direttore si avvicinò più che poteva: non poteva credere ai suoi occhi, effettivamente mancavano tre corde! Le corde erano saltate ma il violinista continuava a suonare con grazia come se ne avesse quattro! il direttore, quasi impazzito dalla rabbia, dalla meraviglia, allora urlò:

    – El suona su una corda sola!

    e svenne. Il concerto venne interrotto. Paganini fu applaudito con maggiore entusiasmo per quella prodezza. Egli, del resto, sin dalle prime note aveva capito il tiro che gli era stato giocato, ma non si perse d’animo e fu allora che, dicono, scoprì di poter suonare sulla sola quarta corda.

    Il Fiacre di Paganini

    Un giorno, Paganini si stava recando ad un concerto al Carlo Felice di Genova. Era in ritardo, così decise di prendere una carrozza di piazza, sollecitando il cocchiere a far presto. Giunto a destinazione, si apprestò a pagare la corsa secondo la tariffa ordinaria, ma il vetturino rifiutò, sostenendo che un grand’uomo come lui, capace di suonare su di una corda sola come se fossero quattro, avrebbe dovuto pagare almeno il doppio.

    – Molto bene, rispose Paganini, io vi pagherò il doppio quando voi sarete capace di portarmi a teatro guidando su di una ruota sola! ²⁹

    Un aneddoto simile, o lo stesso ampliato, si trova raccontato anche da altri giornali italiani, dove si dice che fosse Paganini stesso a raccontarlo ai suoi amici.³⁰

    Mi trovavo un giorno nelle vie di Vienna, e camminavo lentamente, senza scopo, quando fui sorpreso in un sobborgo da una dirotta pioggia. Per tornare a casa mia avrei dovuto fare una mezza lega di cammino per lo meno, l’unico mezzo era di prendere una vettura. Ne fermai successivamente tre o quattro, ma i conduttori, non comprendendo il mio linguaggio, continuavano la loro corsa e ricusavano d’aprirmi lo sportello. Finalmente ne trovai uno che mi comprese: egli era italiano. Nel salire volli andare d’accordo pel prezzo.

    Quanto richiedete per condurmi fino a casa mia?

    – Cinque fiorini, il prezzo d’un biglietto d’entrata pei concerti di Paganini.

    – Furfante che sei! Come osi tu pretendere cinque fiorini per una corsa così breve? Paganini suona sopra una sola corda, ma tu puoi fare camminar la tua vettura sopra una ruota sola?

    – Eh eh, signore, non è già così difficile come si crede il suonare sopra una corda sola, me ne intendo di musica, e al dì d’oggi ho raddoppiato il prezzo delle mie corse per andare a udire quel suonatore che si chiama Paganini.

    Cessai di contrattare. Il cocchiere mi condusse con coscienza, ed in meno di dieci minuti giunsi sulla porta della mia abitazione. Cavai dalla borsa cinque fiorini, ed un biglietto dal mio portafogli.

    – Prendi, ecco la somma chiestami – gli dissi – e dippiù un biglietto per andare ad ascoltar Paganini in un concerto che darà domani nella sala filarmonica.

    Infatti, il giorno dopo, alle otto della sera, la folla si accalcava alle porte della sala per udirmi. lo era entrato allora, quando un commissario venne a chiamarmi dicendomi:

    – Vi è alla porta un uomo in giacchetta, pressoché indecentemente vestito, che vuole entrare a tutta forza.

    Tenni dietro al commissario: era il cocchiere, a cui avevo dato il biglietto che gridava come un energumeno per entrare. Diedi ordine di lasciarlo passare, e, malgrado la sua giacchetta e le sue sconce scarpacce, lo feci entrare, speranzoso che si sarebbe perduto tra la folla. Ma, con mia grande sorpresa, quando mi presentai al pubblico, vidi dinnanzi a me il cocchiere, il quale produceva una grandissima sensazione pel contrasto che offrivano i di lui panni e la di lui figura colle ricche toilette ed eleganze delle dame.

    Ogni mio pezzo venne applaudito con entusiasmo: ottenni un vero successo, ma l’uomo dalla giacchetta aveva avuto un successo pressoché uguale al mio. Egli batteva le mani e gridava a metà d’un pezzo, quando tutta la sala se ne stava in silenzio. I suoi gesti, i suoi applausi, che avevano del delirio, lo facevano osservare del pari che la sua tenuta, la quale era alquanto ridicola. Ebbe fine il concerto e, grazie al cielo, senza alcun inconveniente.

    ll giorno dopo, appena alzato, vengono ad annunciarmi che un uomo chiedeva di parlarmi . Dissi di farlo entrare e, con mia sorpresa, ravvisai in esso il cocchiere dalla giacchetta.

    In sulle prime mi venne il ticchio di farlo gettare dalle scale, ma egli aveva un’aria così umile, che non ne ebbi il coraggio, e mi contentai di esclamare:

    – Diavolo! Che volete?

    – Eccellenza, mi rispose, vengo a chiedervi un servigio: sono padre di quattro figli, sono povero e sono vostro con patriota. Voi siete ricco, ed avete una reputazione senza pari; se voi volete, potete fare la mia fortuna.

    – Che vuoi dire?

    – Ebbene! Autorizzatemi a scrivere in caratteri maiuscoli, dietro la mia vettura, queste due parole: fiacre di Paganini.³¹

    Quando Paganini tornò a Vienna, immutato fu l’entusiasmo con cui fu accolto e la sua Campanella fu il coronamento di un concerto strepitoso. Mentre faceva i suoi teatrali inchini per ringraziare il pubblico si accorse che l’applauso più fragoroso veniva da un palco di fronte a lui da cui, poi, arrivò un bouquet di fiori.

    Paganini lo raccolse, alzò gli occhi. Era il cocchiere con la sua famiglia.

    Come finì la storia del cocchiere

    Non dimenticate, Watson, che anche il cocchiere era un italiano, popolo da qualcuno considerato avaro, ma forse io direi più risparmiatore. Ebbene, il cocchiere in quei tre anni che erano passati dal suo incontro col violinista, aveva fatto sfilare il nome di Paganini per tutta la città, suscitando curiosità e facendo una piccola fortuna. Il suo nome pare fosse Gaetano Melas, residente a Graben, ed il numero della sua vettura, con cui aveva trasportato turisti e curiosi raccontando del violinista, era stato il 197. Il suo fiacre fu venduto ad un ricco e benestante inglese per 50.000 franchi… E, caro Watson, un giorno vi porterò a vederlo con i vostri occhi.

    Immagine

    La carrozza, tratto da The Violinist, 1917.

    Una serenata³²

    Sebbene sia stato lo stesso Paganini nella sua biografia a raccontare come abbia iniziato a suonare su una sola corda alla corte di Lucca, circolavano ugualmente diversi racconti secondo cui questa pratica, che certamente lo aveva reso famoso, fosse resa più teatrale dalla sua messa in scena. Una sera, un nobile signore genovese chiese i servigi di Paganini e di altri suoi amici, Lea alla chitarra e Zefirino al violoncello, affinché facessero una serenata sotto le finestre della ragazza che amava. Al momento di iniziare, Lea e Zefirino si accorsero che Paganini aveva legato alla mano del suo arco un taglierino ma, alla richiesta di spiegare cosa volesse farci, si limitò a sorridere.

    Iniziò a suonare e all’improvviso si sentì il rumore secco della corda che saltava.

    – Niente paura, è certamente l’umidità della notte. – disse il violinista continuando a suonare sulle altre tre corde.

    Dopo un po’, anche il LA ed il RE saltarono. Era davvero incredibile! L’umidità della notte poteva aver fatto saltare ben tre corde? Il Signore cominciò a temere per la riuscita della serenata.

    Come avrebbe fatto a suonare su una sola corda?

    Era chiaro che non era certo l’umidità la responsabile del disastro quanto il coltellino con il quale, suonando, aveva inciso, di volta in volta, le corde. Il violinista rise, continuando imperterrito a suonare sul solo SOL, la corda più difficile.

    Perché lo aveva fatto?

    Non lo sappiamo, per noia, per prendersi gioco del ricco signore o magari perché la giovane dama che aveva assistito dalla finestra a quello spettacolo, la notte dopo, lo chiamò di nuovo a suonare, stavolta in privato, per lei.³³

    Livorno

    La sala era strapiena: Livorno tornava ad ascoltare il grande virtuoso che aveva conosciuto quando era poco più che un ragazzino. Stavolta, della veridicità dell’aneddoto abbiamo la prova, poiché fu lo stesso Paganini a raccontarlo a Germi.

    Il sipario si alzò e iniziarono urla e

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