Lo Chef Della Polonia
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Il mio ruolo nella Interpol può sembrare di rilievo, ed ancora di più dopo aver ricevuto due medaglie all’onore: la Medaille d’Honneur de la Police Nationale (Medaglia d’Onore della Polizia Nazionale) e la Croix d'Honneur du Policier Européen (Croce d’Onore della Polizia Europea) ma, nonostante i miei odierni successi, il mio inizio non può essere definito del tutto glorioso.
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Lo Chef Della Polonia - Juan Moisés De La Serna
CAPITOLO 1. MEMORIE
KRAKÓW (Cracovia)
Quello che sto per raccontare, è esattamente il frutto dei miei ricordi. La storia più incredibile che io abbia mai vissuto, nonostante faccia parte del corpo di Gendarmerie Nationale (Polizia Nazionale Francese) da più di trent’anni. Alcuni di voi potrebbero pensare che sia esagerato ma, per non dimenticare di includere nessun dettaglio, mi sono affidato al mio taccuino, che porto sempre con me quando partecipo ad un’investigazione ufficiale.
Il mio ruolo nella Interpol può sembrare di rilievo, ed ancora di più dopo aver ricevuto due medaglie all’onore: la Medaille d’Honneur de la Police Nationale (Medaglia d’Onore della Polizia Nazionale) e la Croix d’Honneur du Policier Européen (Croce d’Onore della Polizia Europea) ma, nonostante i miei odierni successi, il mio inizio non può essere definito del tutto glorioso.
Fui uno studente dell’École Nationale de Police (Scuola Nazionale di Polizia) e, a dire il vero, ero uno dei migliori, dato che con soli diciotto anni ero riuscito a superare brillantemente sia le prove fisiche che gli esami d’ingresso. La parte più semplice per me devo ammettere che, però, fu l’esame di lingua straniera.
Quando l’esaminatore mi chiese in quale lingua avrei voluto essere valutato, gli risposi:
―Posso sostenere la prova in inglese, spagnolo o italiano. Mio padre era Professeur d’Université de Histoire médiévale nella Université Bordeaux Montaigne (professore di storia medievale nell’Università Montaigne di Bordeaux), con passione per le lingue romanze derivanti dal latino e, in particolare, per il ramo italo-rumeno e iberico; mia madre, invece, lavora come interprete nel Consulat britannique en Bordeaux (Consolato britannico di Bordeaux). Capirà, quindi, che mi sento sufficientemente preparato per sostenere un semplice colloquio.
―E, invece, per quanto riguarda l’arabo e il tedesco? –chiese evidentemente sorpreso.
―Conosco la lingua araba, ma mi è difficile scriverla; ho cercato di imparare il tedesco, ma la sua pronuncia così marcata mi solletica la gola quando cerco di parlarlo.
―Però, lo conosce? –chiese di nuovo sorpreso
―Solo alcune parole, ma non ho molta scioltezza in questa lingua, è proprio per questo che non l’ho inclusa nella mia presentazione precedente.
<<<<< >>>>>
Mi dovrete perdonare se, ogni tanto, divagherò o, come diciamo in Francia, "tourner autour du pot". Continuando la narrazione, dopo aver passato quelle prove, riuscii ad entrare nell’ École Nationale de Pólice, dove mi sarei dovuto formare per un anno e a cui sarebbe poi seguita la pratica, mentre continuavo la mia istruzione per diventare ufficiale di polizia, passo necessario per potermi convertire poi in Gardien de la Paix (Guardiano della Pace).
La mia esperienza lavorativa si prospettava tranquilla, ma non appena arrivai al piccolo commissariato che mi avevano assegnato, iniziai a distinguermi; in meno di un mese ero stato spostato al Commissariat et Bureaux de Police de Bordeaux (Commissariato e Ufficio di Polizia a Bordeaux), affinché potessi fare uso del mio potenziale, proprio come era stato detto da uno dei superiori.
Era così alta la considerazione che avevano di me che ben presto mi assegnarono mansioni che non corrispondevano affatto alla categoria di apprendista alla quale appartenevo, per esempio correggere le missive destinate a commissariati di altri Paesi, o presenziare ad interrogatori di persone straniere.
Le mie abilità comunicative, per l’aggiunta, avevano fatto sì che rapidamente venissi considerato un contatto con l’estero nei lavori di coordinazione, quando era richiesto l’intervento di un corpo straniero nella detenzione di qualche membro di una delle molteplici mafie, tra le quali la più conosciuta in Francia che era la mafia marsigliese
.
In alcune occasioni viaggiava all’estero quando un detenuto doveva essere spostato, per fare da interprete alla scorta e controllare che non ci fosse nessun problema amministrativo nel trasferimento.
Un giorno, fui inviato a Krakow (Cracovia), una delle città più importanti della Polonia e molto vicina al confine con la Repubblica Ceca e la Slovacchia.
Non sapevo molto di questo Paese, solamente che si trovava nell’area dell’Est Europa e, certamente, che era entrata sotto l’occupazione tedesca nella Seconda Guerra Mondiale, venendo poi liberata dagli alleati. Non avevo mai avuto il desiderio, però, di viaggiare fino a lì e conoscere quelle terre; preferivo i paesaggi bagnati dal Mar Mediterraneo e che riuscivo a godermi nella stagione estiva, di cui apprezzavo inoltre le lingue e culture
Però, ora mi trovavo proprio lì, appena atterrato al Krakow lotnisko Jana Pawla II (aeroporto di Cracovia, Giovanni Paolo II), rivolgendo lo sguardo ovunque e tentando di indovinare il significato dei cartelli. Per mia fortuna, in quel luogo potevo parlare in inglese, e riuscii quindi velocemente a chiamare un taxi per accompagnarmi all’hotel in cui avrei alloggiato.
Mi era stato detto di agire con discrezione, che si avrei dovuto prender parte ad una riunione di alta sicurezza e che, solamente un’ora prima dell’inizio, avrei ricevuto un messaggio con l’indirizzo dell’incontro.
Pensai che le misure di sicurezza che mi stavano dicendo di adottare fossero esagerate per quello che era il trasferimento di un semplice prigioniero. Avrebbe potuto occuparsene qualsiasi altro collega, ma questo succedeva per être la cinquième roue du carrosse
(essere l’ultima ruota del carro). A volte, dovevo occuparmi di questioni interessanti ma, in altre occasioni, non lo erano affatto.
Avrei dovuto pernottare in un hotel in periferia, vicino all’autostrada per rendere più semplici i miei spostamenti verso qualsiasi parte della città, in qualunque posto fosse stato l’appuntamento. L’hotel era peculiare, con stanze minuscole in cui tutto sembrava fosse misurato al millimetro e me ne accorsi perché, per esempio, aprendo la porta del bagno rimanevano solo alcuni centimetri di distanza dal letto, ed il televisore era stato messo vicino al soffitto appoggiato su una mensola.
Una stanzetta piccola, completamente ricoperta di moquette che rendeva l’ambiente claustrofobico, che si aggiungeva all’unica finestra esistente che si affacciava sulla parte posteriore dell’hotel, un grande cantiere in cui si stavano costruendo alcuni edifici e in cui gli operai iniziavano a lavorare ogni mattina esattamente alle sei in punto.
E, pour couronner le tout (per coronare il tutto) il tempo era insopportabilmente caldo, tanto da dover lasciar aperte la porta e la finestra durante la notte per far sì che passasse una leggera corrente e poter cercare di dormire tranquillamente.
Quelle temperature erano qualcosa di cui nessuno mi aveva avvisato, nemmeno l’infallibile motore di ricerca in Internet, che assicurava che la temperatura massima estiva sarebbe stata di diciannove gradi.
La prima cosa che dovevo fare al mattino appena sveglio era infilarmi in doccia. A mezzogiorno mi aspettava la seconda e, prima di dormire, l’ultima della giornata. Doccia di acqua fredda, come se mi fossi trovato nelle Isole Canarie in piena estate.
Dal mio arrivo, il termometro durante il giorno non aveva accennato a scendere al di sotto dei trenta gradi, qualcosa che, a parere della receptionist, era inusuale; mi prestarono un ventilatore affinché potessi rendere più sopportabile la mia permanenza in quella minuscola stanza. Infatti, l’aria condizionata era installata ma, essendo le temperature così alte un’eccezione, solo era stata predisposta per il riscaldamento invernale.
Il tempo passava e quando chiamavo in Francia mi dicevano di essere paziente, che le date stavano per essere decise; nel mentre, ingannavo il tempo passeggiando per la città e scoprendone i luoghi storici.
A dire il vero, non riuscivo a capire nulla per quanto riguardava la lingua, nemmeno la parte scritta: erano delle parole in cui, chiaramente, mancavano delle vocali. Di alcune, dopo averle visto varie volte, riuscii ad indovinare il significato come per esempio ulica