Governare il caos - Riflessioni sulla complessità
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Governare il caos - Riflessioni sulla complessità - Jacopo Gualario
Prefazione
Si può governare il caos?
Nel corso della mia esperienza personale e professionale, nell’approcciarmi al caos nella forma delle minacce alla sicurezza, ho sviluppato la convinzione, peraltro generalmente condivisa, che la forma migliore per governarlo fosse prevenirne e mitigarne gli effetti.
Così, in giro per il mondo, ho trascorso gran parte del tempo a calcolare le probabilità del verificarsi di eventi negativi e le percentuali di rischio connesse a specifiche minacce, e a innalzare (fisicamente e mentalmente) difese contro il caos, immaginando che questo sarebbe arrivato dall’esterno come un’orda di barbari alle porte di Roma.
E, come tutti quelli che nei secoli hanno innalzato imponenti fortezze, mi sono spesso trovato di fronte all’ineluttabilità degli eventi, fossero questi imprevedibili o, più semplicemente, giudicati solamente potenziali e mai davvero reali.
Nelle Fortezze Bastiani in cui mi sono trovato, mille volte, ad aspettare Tartari che non sono mai arrivati, ho vissuto invece, di continuo, l’esperienza del disordine, manifestatosi nelle più disparate forme del conflitto fra ciò che è da ciò che dovrebbe essere, fra modello ideale e percezione della realtà circostante.
Come una barca nel mare in tempesta, mi sono trovato spesso sperso, senza riferimenti, in cerca di una guida o di una strategia per governare il caos che mi trascinava prepotentemente tra le sue gigantesche onde.
Accadde una volta che, a causa di un piccolo corso d’acqua che scorreva appena all’esterno, parte del muro di cinta di un’installazione collassasse, esponendo una buona parte del perimetro a rischi di violazione.
Quell’evento, di per sé quasi insignificante, aveva invece aperto una voragine nel confine fra ordine e disordine, creando un passaggio fra la dimensione interna ed esterna, fra ciò che era noto e (almeno apparentemente) sotto controllo e l’ignoto incontrollabile.
La metafora della Natura che abbatte il confine (ideologico prima che fisico) fra queste due dimensioni ha innescato una riflessione sul caos, sulla sua ineluttabilità e su quanto esso sia, in buona sostanza, ingovernabile.
La risposta alla domanda è quindi no, non si può governare il caos.
La lettura potrebbe concludersi già qui, se non fosse che questo è stato per me, e spero per chi vorrà condividere la riflessione, l’inizio di un percorso alla scoperta di una nuova consapevolezza sul mondo e sulle cause della nostra percezione di caos.
Perché, se è vero che non possiamo governare il mare in tempesta, possiamo governare la barca e ancor prima governare noi stessi che ne siamo al timone: la ricerca dell’ordine è un viaggio nell’interiorità che finisce al di fuori della propria sfera individuale, per approcciare una rinnovata umanità e superare i conflitti che generano la percezione del disordine.
Questo saggio è la narrazione di un viaggio durato diversi anni e che ha ricevuto una forte spinta dalla travolgente esperienza di isolamento nel corso della pandemia dei primi anni del secondo decennio del XXI secolo, ma non solo.
C’è dentro la ricerca di serenità nelle notti passate a fumare sotto il cielo stellato dell’Afghanistan sentendo in lontananza le detonazioni di un conflitto perenne; la difficoltà di una generazione senza certezze e la volontà di vivere oltre ogni complessità.
Ispirato dall’opera di Shakespeare, ho approcciato la riflessione pensando alla condizione del mercante Antonio che, come metaforicamente ognuno di noi, ha le proprie fortune per mare, e perciò soggette alle condizioni di quest’ultimo.
Ciò che ne è scaturito, senza pretesa alcuna, è un invito a una maggiore consapevolezza della dimensione umana e l’importanza della condivisione per il superamento del disordine, con l’augurio, per ciascuno di noi e per l’umanità, di sorti sempre più magnifiche.
Prologo
da Il mercante di Venezia, di William Shakespeare
ATTO PRIMO
SCENA I
Venezia — Una strada
Entrano Antonio, Salarino e Solanio
Antonio Di schietta fede, io non so perché mi sia così malinconico. Ciò mi contrista, e voi pure contrista, mi dite; ma in qual guisa io mi sia pigliato questo dolore, come io l’abbia trovato, in che consista, da che sia originato, è quel che non so ancora comprendere. — Son tanto malconcio dalla mia imbelle tristezza, che stento a riconoscermi.
Salarino La vostr’anima segue le agitazioni dell’Oceano; ella va dietro ai vostri bei vascelli che, colla loro superba alberatura, vogando sopra i flutti, sembrano i sovrani, o i primi cittadini del mare, e signoreggiano sulla folla dei minuti navigli, che offrono loro un umile omaggio passando, sospinti dalle loro ali di lino.
Solanio Credetemi, signore, se avessi una tanta ricchezza esposta a così fatti rischi, la maggior parte dei miei pensieri e delle mie affezioni errerebbe dietro alle mie speranze. Io sarei allora veduto in atto di svellere sempre manciate di erbe, e di gettarle all’aria per conoscere da qual parte spirassero i venti; o mi starei profondato in cogitazioni sulle carte geografiche per notare i porti e le strade; ed ogni oggetto che potesse farmi temere una disavventura per il mio carico, non mancherebbe certo di attristarmi.
Salarino Il mio proprio alito, raffreddando il brodo, mi causerebbe la febbre alla sola idea del danno che un violento uragano potrebbe produrre. Io non saprei vedere un oriuolo a polvere versare le sue sabbie senza pensare ai banchi di sabbia, alle secche, e senza fantasticare i miei vascelli naufraganti sopra di esse. Potrei io andare alla chiesa, e mirar le pietre del sacro edifizio, né immaginare le pericolose scogliere che, sfiorando soltanto i constati del mio caro naviglio, disperderebbero tutte le mie merci sui flutti, e vestirebbero delle mie sete le onde in furore; in breve, senza pensare che in un girar d’occhi potrei passare dalla ricchezza alla povertà? Dovrei io riflettere a tutti questi rischi e non sentire in pari tempo che una tale sventura, se mi accadesse, mi renderebbe assai tristo? Non ne diciamo altro: son sicuro che se Antonio è malinconico è perché ei pensa alle sue merci.
Antonio Credetemi, no: grazie alla fortuna, tutte le mie speranze non son poste sopra un solo vascello, né destinate per un luogo solo, e le mie ricchezze non si sobbarcano tutte alle venture di quest’anno.
Capitolo I
Ordine e disordine
In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto
Carl Gustav Jung
Nella storia del genere umano e delle società organizzate, il disordine – o caos, nella accezione filosofica più ampia – ha sempre rappresentato un aspetto fondamentale dell’agire dell’uomo in rapporto con l’ambiente circostante, caratterizzando la dialettica di ogni ambito. Numerosi filosofi, in diverse fasi storiche e con diversi esiti, si sono cimentati nel provare a definire il rapporto tra l’ordine e il disordine, nel tentativo di comprendere come questi due aspetti, ineluttabilmente legati e connessi tra loro, si interfaccino all’interno della realtà e nella dimensione dell’azione umana nell’ambiente che lo circonda.
Cos’è dunque il caos? La prima definizione che, istintivamente, possiamo dare è quella di assenza di ordine
; ma se dobbiamo attribuire una definizione per negazione, a partire dall’assenza di un altro elemento – quale appunto l’ordine – dobbiamo avere allora chiaro il concetto di ordine stesso.
Al di là dell’aspetto strettamente materiale, il concetto di ordine va astratto dalla dimensione puramente sensoriale della realtà che ci circonda, e ricondotto a una dimensione individuale, includendo in esso la conformità di ciò che noi percepiamo quali esseri razionali (hegelianamente parlando) nel nostro vivere e agire quotidiano con la nostra proiezione mentale, laddove viene strutturato ciò che definiamo realtà.
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