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Ramment/dando la vita
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Ebook169 pages2 hours

Ramment/dando la vita

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La storia di un Anima alle ricerca di sé. Attraverso questi racconti, consegna al lettore, senza fingimenti, spazi di vissuto intensi e a tratti difficili…. Procida, la sua isola selvaggia, magica e ricca di profumi, spesso le è sembrata una "prigione" da cui scappare, per poi ritrovarsi. Questo suo "Rammendare la vita" muove nel suo intimo emozioni che coinvolgono e parlano al cuore. Una donna in continua ricerca, tesa a un Nuovo che porti frammenti di Verità liberate, per dare un altro senso al quotidiano
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateFeb 8, 2022
ISBN9791220388115
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    Ramment/dando la vita - Lina Scotto di Fasano

    I.

    I RACCONTI DEL PETTINE

    IL PETTINE ‘SDENTATO’ …

    Ogni giorno, mi passa sotto gli occhi - alcune volte lo sfioro appena - ma trascorrono mesi, anni, senza avvertire la necessità di usarlo. Il cestino dove si trova è pieno di spazzole a ragno, torciglioni, eppure, puntualmente, è solo la sua vista a procurarmi vere emozioni. Mi viene da associare a esso il volto di mamma, un po’ crucciato, un’espressione mista a malinconia, che poi man mano mutava, lasciando trasparire un sorriso che esprimeva una sorta di fierezza, voglia di riscatto.

    Le immagini e le espressioni del suo volto, mentre mi parlava, si srotolano, dai ricordi, un po’ sbiadite ma imperdibili. Vissuti sofferti, impegnativi.

    Un piccolo pettine con poca dentatura diventa così testimonianza di un quotidiano fatto di grande disagio economico, dinanzi al quale mamma si ribellò, lottando con tutte le sue forze per venirne fuori. Osando, andando incontro al nuovo per poter offrire, alla nostra e alla sua vita, una realtà più degna di essere vissuta.

    Mi raccontò che la decisione di prendere in affitto la terra di Villa Maria, oggi residence La Rosa dei Venti, non giovò all’economia di casa. Il raccolto rendeva poco e ci si doveva arrabattare in tutti i modi per assicurare l’indispensabile per la famiglia. La terra era tanta, situata su di un perimetro difficoltoso da gestire, poiché al margine della costa. Il lavoro da svolgere era immenso e troppe volte, nei giorni di furiose mareggiate, il raccolto veniva distrutto dalla salsedine trasportata su dal vento.

    L’ affitto era di 90 mila lire l’anno e papà lavorava molti giorni nei poderi dei proprietari, senza compenso, per alleggerire la somma di quell’annata (come veniva definito il corrispettivo annuale). Mese dopo mese, la vita divenne sempre più difficile, fino a condurre la famiglia sulla soglia della povertà.

    Mamma, che si dava sempre un gran da fare, escogitò una soluzione: svolgere aumm’ aumm’³ un lavoro notturno, così da non sentire bofonchiare papà, che non avrebbe mai accettato una cosa del genere, troppo orgoglioso e maschilista per concepire una tale autonomia e collaborazione nel portare avanti la famiglia da parte di sua moglie. Così, appunto quasi di nascosto - grazie al fatto che in quel periodo papà la sera andava a dormire dalla madre anziana che non voleva stare sola - mamma lavava biancheria a una famiglia benestante che, come compenso, le procurava formaggio, pasta, olio, e altri beni di prima necessità e qualche lira come dono extra, per lei.

    Mi raccontò, una volta, di un incontro che la segnò molto nel tempo. Stava rincasando e le si parò davanti la moglie del proprietario di casa. Questa la osservò con fare investigativo e poi con tono sprezzante, di superiorità e di possesso, le si rivolse dicendo: Hè?! Ma, mo’ chesta vesta t’à sì fatta cu’‘i sorde d’’a terra mia?! ⁴. Mamma non rispose a quel suo affronto, ma di sicuro dovette mandar giù tanta amarezza. Quest’episodio, che mi riferì nonostante appartenesse oramai al passato, ferì tanto anche me.

    Ancora cerco d’immaginarmela, al solo chiarore della fioca luce del lume - non essendoci ancora in casa l’energia elettrica - stanca, dopo una lunga giornata di lavoro, con me piccina che la notte la trascorrevo tra smanie e pianti, continuare ancora e ancora a lavorare, non arrendersi mai e ricominciare.

    Tante sere, ripeteva sempre quegli stessi gesti: metteva a letto la sorellina, la più grande, portava in cucina la culletta di legno a dondolo, fissava due cuscini, uno da una parte e uno dall’altra che mi tenessero più ferma, legava una fettuccia abbastanza lunga alla sbarra, se la cingeva alla vita e, mentre sfaccendava sul lavatoio, con il movimento dei fianchi permetteva alla culla di dondolare e tenermi almeno un po’ tranquilla. Un’esperienza che mi ha sempre lasciata sconcertata…

    Ma un giorno, dinanzi alla grande difficoltà di non poter più passare nemmeno dal salumiere, presso il quale avevamo raggiunto un debito di circa 220 mila lire, si vestì di carattere e rivolgendosi a papà, con tono deciso, gli disse: «Puppì (Peppino)! O vaco pur’io a ffaticà o je te lasso! Capisce che simmo rimaste cu’ nu' pettine cu’ sule tre diente e nun ce stanno ‘e sorde ppe n’accatta’ uno nuovo? Chesta terra ce sta affamanno. Decide, mo’, che vvuò fa, si no, je m’ ne vaco!».

    Di lì a poco, per fortuna, arrivò una buona notizia. Una famiglia aveva bisogno di aiuto giornaliero, il compenso offerto era di 10.000 lire al mese, un’occasione così importante alla quale non si doveva rinunciare.

    La nuova piccola casa era situata al pian terreno, con un discreto appezzamento di terra da coltivare che, nella stagione di raccolta, avrebbe portato un altro introito. Tutto poteva ricominciare, e anche papà, così fermo e irremovibile, orgoglioso dei suoi principi, si sciolse, avvertendo che si poteva voltare pagina, che sarebbe iniziato un tempo di tranquillità.

    Ho ancora il ricordo di quel trasloco. Avevo circa due anni e mezzo, con delle ciabattine in una mano e quell‘altra stretta nella mano di mamma, ci si avviava verso la casa di Via Santo Ianni. La casa di sempre, da dove non si è poi più traslocati...

    In quel nuovo contesto, la vita della famiglia cambiò, ascette ’u sole, come diceva mamma. Avvenne, così, per noi quel tempo opportuno, che aggiusta le cose e al quale una piccola grande donna aveva creduto, con tutte le sue forze, riscattandosi.

    Anche per me, fu l’inizio di un’infanzia un po’ fuori dal comune, grazie ad una famiglia speciale, che viveva al piano superiore.

    ___________________

    ³ c.f.r. V.Parascandola Vefio pag 31: Di nascosto; sotto voce, più segno che parole, senza darle per intendere. Estens: in maniera che gli altri non se ne avveda. Se avvalgono le mamme per invogliare i piccoli restii a farsi imboccare.

    ⁴ n.d.r; E come dirle: "E brava! ti sei fatta i soldi nella mia proprietà, sfruttando i miei beni. Un modo di dire io sono la proprietaria e tu sei una semplice lavoratrice.

    L’ALTRA FAMIGLIA

    Di questa famiglia speciale, ogni suo membro era per me un importante punto di riferimento: Filippo, Geppino, Colomba, Zio Prete…

    Colomba, presenza impareggiabile, mi ha accompagnata, sostenuta, incoraggiata lungo il cammino non sempre facile dell’adolescenza; il suo ascolto accogliente, rispettoso, non lo potrò mai dimenticare.

    Con loro trascorrevo la maggior parte delle mie giornate.

    Finito il pranzo, fremevo per salire, non riuscivo a restare giù se non pochi minuti … sentivo quel bisogno di scappare e, appena pochi passi sotto il portico, via, veloce per le nere scale di lavagna. Bussavo e Colomba, aprendo il portoncino, mi accoglieva con quella solita espressione: Linuu’… ma m’ vuliss’ fa’ fernì r’ mangia' ?!.

    Ma io non mi scoraggiavo, capivo che non era poi un rimprovero ed entravo serena; mi sedevo attorno al tavolo e iniziavo a raccontarmi mentre loro mi stuzzicavano chiedendomi di come fosse andata la mattinata e mettevano in competizione il loro pasto con quello preparato da mamma. Ero contenta di quei momenti tutti insieme, che si concludevano condividendo la frutta o qualche cosa di dolce ... Aiutavo a sparecchiare, sistemavo ben bene tutte le stoviglie sul piano del forno a legna, ricordo era lastricato di mattonelle molto belle, originali, raffiguravano foglie d’acanto con toni di verde e bianco. Più tardi, sarebbe salita mamma a fare i lavori di riassetto della cucina.

    Da quando c’eravamo trasferiti, dalla casa di Via Rinaldi, mamma collaborava intensamente con questa mia famiglia speciale, prestandosi per il riassetto mattutino, il riordino della cucina nel pomeriggio, e poi il bucato a fine di settimana, operazione che richiedeva una lenta e faticosa procedura: l’acqua veniva tirata su dalla cisterna, poi si accendeva la fornace per riscaldarla e lentamente con ‘olio di gomito’ si procedeva. Nonostante la mole di lavoro, dal suo volto traspariva serenità.

    Spesso, mentre si affaccendava nei lavori della terra, liberava il suo spirito, cantando in modo stupendo pezzi napoletani come: Maruzzella, Reginella, Santa Lucia luntana, Lazzarella e tanti altri … ed io con una sorta di pudore mi appartavo per ascoltarla. Ero contenta di quest’aspetto della mia mamma, ma di sicuro mi mancava invece quella presenza che è tempo per sedersi, per ascoltarti, per raccontarti una favola, per abbracciarti. Ma oggi sono consapevole che anche a lei tutto questo è stato negato, le è mancato, e che quindi si è sempre data per tutto quel che poteva.

    Chissà perché, nonostante che in quella casa non si giocasse, né vi si trovassero cose originali per una bambina, ne ero particolarmente attratta, come un piacevole rifugio.

    Unica, memorabile per me, la dolce pausa pomeridiana, una tazzina di orzo con un goccio di nocino⁵. Era compito di Filippo, il capo famiglia, riempire d’acqua il bollitore in alluminio fin quasi all’orlo e, quando questa giungeva a ebollizione, versare ben nove cucchiai di orzo in polvere e poi girare, dolcemente e ininterrottamente, finché non avveniva una vera magia!

    Con quella manovra della sua mano, attenta e particolare, permetteva al liquido nero di bollire lentamente solo da un lato e di non fuoriuscire. Lui, soddisfatto, vigilava su questa procedura che avrebbe garantito alla bevanda un sapore più intenso. Filippo (detto ’u Direttore) disponeva sul vassoio le tazzine, in cui aveva versato il goccio di nocino con un cucchiaino di zucchero, e versava l’orzo lentamente, per non far emergere ’a posa: che profumo e che gusto! Una piccola significativa pausa pomeridiana.

    In quella casa ho anche fatto un’esperienza direi unica e anche un po’ fuori dal normale: la celebrazione della messa. Nel grande salotto, ricco di quadri, di poltrone e con un antico pianoforte, vi era un particolare armadio … Ogni mattina lo si apriva e, voilà, ecco apparire un piccolo altare - che Colomba aveva adornato con una preziosa tovaglia ricamata, ornata di pizzo, e poi ceri, fiori e tutto quanto occorreva per la liturgia.

    Ero stupita di una cosa così insolita, di sicuro quell’armadio fu realizzato appositamente per lui, Zio Prete, che stava in carrozzina. Aveva due ante e in basso una rientranza da permettere alla carrozzina di avvicinarsi al piano ove celebrare. In quel piccolo contenitore c’era proprio tutto, il tabernacolo con le ostie, il crocifisso in alto, ai lati piccoli vasi con i fiori, i candelabri con le candele, il leggio con il messale, ecc.

    A questa celebrazione spesso partecipavano alcune persone anziane del vicinato e a volte restavo anch’io, ma ogni tanto mi defilavo perché in quella messa in latino proprio non mi ci raccapezzavo, non capivo niente e, anzi, alcuni passaggi ... mi facevano sorridere.

    In alcune domeniche dell’anno, la celebrazione era una vera festa: un nutrito gruppo di giovani veniva ad animarla e, per la gioia de Zì Prete, si cantava, accompagnati dalle note del piano, quel pianoforte tanto amato che purtroppo però non riusciva più a suonare bene. La presenza di quei giovani gli regalava una rinnovata energia, e lui era perciò al … settimo cielo.

    Vi partecipavo sempre anch’io e per me era un giorno importante. Mi rallegrava poi il fatto che la signora Colomba, prima di congedare questi ospiti, offriva biscotti e cioccolatini e il compito di passare il vassoio era il mio e questo mi concedeva un cioccolatino in più …

    Colomba, sapeva dare valore a tutte le piccole cose, esaltandone qualità e capacità e inoltre a tutto quanto, in genere, non veniva, dai più, accolto, ascoltato, compreso! Per certi aspetti è stata colei che si è presa cura di me: ha colmato vuoti e portato serenità al mio spirito, alquanto tormentato.

    Tanti sono gli aneddoti, i proverbi, qualche racconto, che ancora serbo nel cuore e nella mente: pietre miliari di profonda saggezza.

    Un giorno, come facevo sempre, corsi veloce per la scalinata nera di lavagna per consegnarle un mio cruccio. Si avvicinava il carnevale e il non avere un piccolo costume per fare la nostra uscita in maschera mi rabbuiava un po’. Lei m’incoraggiò, mi spronò, affinché potessi rendere concreta un’idea che avevo avuto da mamma, offrendomi un pantalone di un cuginetto e suggerendomi di rattoppare, alla rinfusa, tanti pezzetti di stoffa colorata, recuperati dal vecchio baule riposto in cantina, così da farne un originale costume di Arlecchino.

    Di fronte alla mia titubanza, che fosse un lavoro

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