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Laboratorio Rojava: Confederalismo democratico, ecologia radicale e liberazione delle donne nella terra della rivoluzione
Laboratorio Rojava: Confederalismo democratico, ecologia radicale e liberazione delle donne nella terra della rivoluzione
Laboratorio Rojava: Confederalismo democratico, ecologia radicale e liberazione delle donne nella terra della rivoluzione
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Laboratorio Rojava: Confederalismo democratico, ecologia radicale e liberazione delle donne nella terra della rivoluzione

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About this ebook

La seconda metà degli anni Dieci passerà alla storia per ciò che sta accadendo in Medio Oriente dove, respingendo gli attacchi delle bande fasciste dell’Isis e resistendo alle aggressioni dell’esercito turco, la regione curda del Rojava si sta organizzando su basi completamente diverse rispetto a quanto è possibile osservare nel resto del pianeta.
In questa zona, infatti, la democrazia è davvero un fenomeno partecipato dal basso nell’ambito di una società antirazzista e multietnica, l’attenzione ai temi ecologici riveste un ruolo di primo piano nella prassi collettiva e la liberazione delle donne è un fatto ben più profondo rispetto a quanto la retorica delle “guerrigliere con gli occhi verdi” sia solita dare in pasto all’opinione pubblica occidentale.
Nello stesso tempo, nel Rojava, qualunque ideologia reazionaria modellata sull’esempio ottocentesco dello stato-nazione è respinta come nemica dello spirito anticapitalista che anima il processo di trasformazione.
Gli abitanti del cantone rivoluzionario definiscono il nuovo sistema «confederalismo democratico», implementando le riflessioni del leader curdo Abdullah Ocalan, prigioniero in Turchia dal 1999, e rendendo concrete le politiche che altrove si limitano soltanto a parlare di libertà o di uguaglianza.
Laboratorio Rojava è il primo studio completo dedicato alle trasformazioni in corso nel Kurdistan siriano: la storia straordinaria di una lotta in grado di vincere e di affermarsi a dispetto di ogni probabilità.
LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2022
ISBN9788867183371
Laboratorio Rojava: Confederalismo democratico, ecologia radicale e liberazione delle donne nella terra della rivoluzione

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    Laboratorio Rojava - Michael Knapp

    PREFAZIONE

    Come può il Medio Oriente liberarsi dal caos? di Cemil Bayık

    Nella storia dell’umanità il Medio Oriente ha svolto un ruolo preminente, ma oggi è noto per lo più come regione di conflitti. È possibile risolvere una volta per tutte i suoi secolari problemi, così che le sue grandi potenzialità possano dispiegarsi di nuovo? Per rispondere a questo interrogativo serviranno grandi sforzi e sacrifici, ma innanzitutto bisogna mettere fine ai massacri e al caos continuo. Il Medio Oriente di oggi è espressione di conflitti globali, ma anche la creazione di un Medio Oriente pacifico potrebbe avere ripercussioni globali.

    Fu infatti in Medio Oriente che settemila anni fa ebbero origine le classi sociali e il patriarcato. Il sistema di potere e di dominio sorto nell’antichità ha portato a un sistema che ha piegato e alienato l’umanità, causando una vasta gamma di problemi sociali con cui oggi il mondo si trova a fare i conti: massacri, carneficine, sofferenza e spargimenti di sangue, e anche la distruzione della natura, la nostra base ecologica. Questo processo storico inveterato e distruttivo non è solo alla base dei conflitti attuali, ma ha ridotto allo sfascio le società del Medio Oriente. Il modello millenario di potere e di dominazione è, di per sé, la causa delle tensioni, degli scontri e dei conflitti di oggi, come quelli tra israeliani e palestinesi, tra curdi e turchi, tra curdi e arabi, tra curdi e persiani, nonché delle lotte degli assiri, degli armeni e degli altri gruppi del Medio Oriente perseguitati per motivi etnici o religiosi, inclusi i loro contrasti interni. Tutte queste società bramano di liberarsi dalle discordie che le opprimono.

    Cercare una via d’uscita

    Nel corso della storia, per questi problemi sociali sono state proposte due soluzioni: da una parte i governanti hanno provato a espandere e a stabilizzare la loro egemonia, in apparenza per riuscire a risolvere meglio i problemi, ma con il risultato principale di consolidare l’assoggettamento dei popoli e di accrescere i problemi anziché alleviarli.

    Dall’altra parte le forze di opposizione hanno sfidato il sistema egemone e hanno organizzato lotte e rivolte coraggiose. Tuttavia nessuna di queste ha portato a una vita libera e giusta, a un mondo emancipato, poiché il loro obiettivo era soltanto di prendere esse stesse il controllo dello Stato. In Medio Oriente, la fonte di tutti i problemi sociali è la mentalità di dominio e di statalismo; sostituire semplicemente un potere egemone con un altro non può risolvere i dilemmi di oggi, perché è proprio questa mentalità che li ha generati. Le forze della modernità capitalista che si battono per la supremazia nella regione non sono in grado di reprimere le agitazioni sociali; né lo sono i despoti locali, né gli islamisti che sono emersi dal caos (in parte in conseguenza delle proteste) e che ora cercano dominio e potere per loro stessi.

    I governanti del Medio Oriente hanno esercitato un controllo pervasivo, decidendo sul modo di vivere della gente, sui legami familiari, il sistema di genere, le relazioni tra le diverse etnie. Mantengono il potere con l’inganno, soffiando sul fuoco del nazionalismo e del settarismo religioso. La regione ha assistito a questo processo più e più volte, ed esso non ha fatto altro che aggravare i conflitti.

    Proporre una soluzione

    Un approccio diverso potrebbe prevedere l’organizzazione democratica dei popoli della regione in Comuni, al di fuori delle istituzioni statali. Se nel corso della storia lo Stato si è espanso a spese della società, corrompendola, allora l’alternativa è rafforzare la società e ridurre il ruolo dello Stato. I vari popoli della regione non si disprezzano l’uno con l’altro, se non quando lo Stato ha fomentato di proposito i rancori. La coesistenza tra popoli diversi fondata su basi etiche è possibile.

    Lo Stato è più che una mera istituzione politica: si è insinuato nella coscienza della gente come una mentalità, cosicché l’idea di sviluppare un nuovo modello politico per il Medio Oriente, un modello che risani i mali sociali, appare impossibile. La consapevolezza è tuttavia l’unica forza in grado di mettere in atto un modello politico. Una mentalità che rimane irretita dallo Stato egemone non riuscirà mai a risolvere i problemi sociali della regione; di contro una mentalità etica che si batta per la libertà ha davanti a sé prospettive immense, perché è radicata nel modo di vivere comunitario. Con nuove basi etiche e una trasformazione della coscienza, la regione può superare il disastro attuale e costruire una società nuova. Altri in Medio Oriente hanno affrontato queste complessità, ma i curdi, con la loro lotta per la libertà, sono molto vicini a raggiungere una soluzione alternativa praticabile.

    Il ruolo di avanguardia dei curdi

    Il popolo curdo ha imparato attraverso l’esperienza storica, che fondare uno Stato non può alleviare i malesseri sociali, perciò ha abbandonato questo obiettivo. Oggi ai curdi non interessa accrescere il proprio potere e fondare uno Stato, come non interessa saccheggiare e sfruttare; essi hanno piuttosto l’obiettivo di una vita emancipata. Lo Stato-nazione tenta di reprimere questi tentativi, di addormentare le coscienze della gente, di immobilizzarla. Il risultato è che in ogni società che è, o è stata, governata da uno Stato, il malessere sociale aumenta. Lo Stato è lo strumento attraverso il quale i problemi creati dall’uomo vengono utilizzati per soffocare il senso di umanità dietro la facciata della legge.

    I curdi tendono a una società nella quale ogni persona sia organizzata, ossia preparata ad aver voce in capitolo su tutto ciò che riguarda la propria vita, compresa l’attività politica. La storia ha dimostrato che lo spettacolo democratico, nel quale i votanti eleggono periodicamente i loro rappresentanti, non può fare davvero gli interessi del popolo. Consapevoli di questa realtà, i curdi costruiscono una forma alternativa di democrazia. Alla sua base ci sono le Comuni, che rappresentano sia la vita collettiva, sia il sistema amministrativo. Poi ci sono i consigli del popolo, attraverso i quali i cittadini prendono le decisioni. Questi consigli non costituiscono uno Stato; sono piuttosto un’espressione della società. Un sistema indipendente basato su queste strutture sarà istituito dentro i limiti geografici dello Stato attuale, ma al di fuori del suo dominio politico.

    In pratica i curdi fonderanno tante associazioni della società civile e tanti gruppi di solidarietà quanti ne serviranno per sviluppare ulteriormente la consapevolezza dei cittadini riguardo alle loro responsabilità. Assumersi la responsabilità significa riconfigurare la vita sociale attraverso Comuni e consigli che, come le associazioni della società civile, sono autonomi: possono prendere iniziative, ma sono anche responsabili e complementari le une con gli altri. Questo autogoverno popolare si chiama Confederalismo democratico, o Comunalismo democratico. «Democrazia», si riferisce alla sostanza, ai valori e alla qualità di questo sistema, mentre «Confederalismo» indica la collaborazione tra unità autonome e rappresenta le relazioni dialettiche tra di esse. Il Rojava è il luogo dove questa forma di organizzazione sociale è oggi realizzata in maniera più compiuta, ma essa può essere considerata la ricetta per uscire dalla difficile situazione del Medio Oriente e per costruire una vita essenzialmente comunitaria, sia qui che altrove. Grazie a essa i curdi hanno ottenuto una rivoluzione di libertà: rafforzano la società contro lo Stato e danno nuova forma alla loro vita.

    La mentalità della rivoluzione del Rojava

    La mentalità della rivoluzione presuppone l’individuo libero, il cittadino libero, in una vita democratica in comune; di contro, lo Stato gerarchico considera individuo e società come opposti. I governanti hanno sempre sostenuto che la gente ha bisogno di un capobranco; la rivoluzione del Rojava risponde a questa falsità affermando che le persone possono vivere in uguaglianza in regime di autogoverno.

    Questa rivoluzione ha compreso che per migliaia di anni le persone hanno deciso da sole riguardo alla propria esistenza, che l’autogoverno è esistito in ogni fase della storia, che l’umanità potrà realizzarsi solo attraverso l’autogoverno e che la sottomissione di una società e dei suoi individui da parte di uno Stato è una forma di svilimento che separa le persone dalla loro natura essenziale.

    Uno dei cardini di questa rivoluzione è quello di creare una realtà sociale umana, attraverso l’autogoverno popolare e l’autorganizzazione della vita, in quella che chiamiamo «Autonomia democratica». Tale autonomia è indipendente dagli Stati che tracciano i loro confini attraverso terre abitate. Se uno Stato riconosce l’eterogeneità che costituisce una società e permette libertà di opinione, allora l’Autonomia democratica si può realizzare in relazione con questo Stato; altrimenti quando lo Stato rifiuta i diritti sociali, come accade oggi, la società si ricostruirà per conto proprio. L’Autonomia democratica è stata costruita e continua a vivere in Rojava, grazie a un’iniziativa interamente dal basso, che continua a mostrare al mondo una terza via.

    Costruire la vita giusta

    Il sociologo Theodor Adorno ha osservato che all’interno di una vita sbagliata non può esserci una vita giusta. La rivoluzione in Rojava punta a costruire la vita giusta, che scaturisce dalle fondamentali capacità creative dell’umanità. In questo contesto il superamento della mentalità del sistema gerarchico-statalista, così profondamente radicata nelle coscienze, acquista un significato speciale. Liberarsi dal sistema gerarchico-statalista e dalla sua incarnazione attuale, la modernità capitalista, è un prerequisito indispensabile perché le persone possano ridiventare umane ed espandere la loro esistenza sociale.

    Si deve evitare tutto ciò che l’umanità e la società sono state costrette a ingoiare dalla modernità capitalista; tuttavia non basta solo evitarlo perché l’alternativa che la rivoluzione costruisce è la vita stessa. Per raggiungere questo obiettivo, l’istruzione è stata scollegata dal sistema statalista-gerarchico (o quantomeno si cerca di farlo) e trasformata nella più importante di tutte le attività sociali. Separare l’istruzione dal sistema statalista-gerarchico e da gerarchia e appartenenza etnica è un compito basilare e indispensabile: in questo senso, la rivoluzione del Rojava rappresenta una rivoluzione del pensiero, della stessa coscienza.

    Nel corso della sua storia la modernità capitalista ha generato malattie incurabili. Oggi cerca di massimizzare il profitto persino a spese della salute. Al suo posto, noi offriamo una nuova filosofia di vita e una nuova prospettiva che costruendo istituzioni al di fuori di tale sistema, rimette al centro l’essere umano.

    In questo sistema alternativo l’economia, parola il cui etimo si riferisce all’«amministrazione delle cose domestiche», deve essere liberata dalle grinfie dei governanti e dal dover dipendere da loro. Per diecimila anni l’economia locale in Medio Oriente ha fornito i mezzi di sussistenza alla sua gente, in particolare il cibo; oggi l’economia deve di nuovo essere sussunta nella società. Gli assiomi economici della modernità capitalista si basano sulla ricerca del profitto; la nostra rivoluzione li supera e sviluppa invece un’economia che vada a beneficio della società. Mentre il capitalismo ha prodotto un’immensa povertà globale, in Rojava cerchiamo di mettere in pratica un’economia sociale. L’autonomia economica, ovvero il ripristino del controllo sociale sull’economia, è il compromesso minimo che deve essere fatto tra lo Stato-nazione e l’Autonomia democratica nel contesto della nazione democratica.

    La rivoluzione del Rojava affronta la questione economica con l’istituzione di un’industria ecologica, un mercato sociale, un sistema economico delle Comuni che non mira al profitto ma si pone al servizio della solidarietà sociale, un’economia democratizzata; nonostante i molti tentativi dall’esterno di affossare questo processo, si continua a metterlo in pratica. Lo Stato con le sue leggi permette solo una gamma limitata di attività economiche; di contro la nostra rivoluzione prova a organizzare la vita secondo le regole della natura sociale, come la moralità, e noi ci impegniamo a conseguire questo risultato. La moralità di una società riflette la sua natura e la storia della moralità va di pari passo con la storia dell’evoluzione sociale: la vita del diritto inizia e finisce col sistema statale. Avere la capacità di trovare soluzioni è in accordo con la moralità e l’allontanarsi dalla moralità è la fonte dei problemi sociali. Perciò la rivoluzione del Rojava conta sulla moralità per risolvere i problemi del sistema gerarchico-statalista e anche eventuali nuovi problemi.

    La rivoluzione non dà alcuno spazio alla legge, sapendo che essa è direttamente connessa allo Stato ed è il mezzo con cui esso interviene contro la società e l’individuo e attraverso il quale tenta di legittimarsi. nel creare l’Autonomia democratica possiamo coesistere con lo Stato-nazione; chiediamo solo un riconoscimento legale nell’ambito di una nuova costituzione che ribalti la negazione oggi in atto. La nostra lotta politica costringerà gli Stati a riconoscere che essi potranno continuare a esistere solo secondo la formula «Stato più democrazia». Oggi il Rojava, lo Stato siriano e le potenze internazionali procedono tutti a tentoni in direzione di questa formula. Per noi il riconoscimento costituzionale dell’Autonomia democratica è la richiesta minima per una vita comune e condivisa. Se il regime non lo permetterà, allora la rivoluzione del Rojava ne trarrà la conclusione che l’unica strada possibile per conquistare una vita libera sarà attraverso il percorso già in atto in Rojava.

    La difesa della vita

    Il Rojava conduce una lotta legittima per difendere l’Autonomia democratica e tutti gli aspetti della vita per la quale lavoriamo. La mentalità che ha dato avvio alla rivoluzione e che l’ha guidata sostiene la filosofia secondo la quale l’autodifesa è un compito necessario e decisivo. Per conseguire l’autodifesa non abbiamo fondato un esercito; abbiamo invece creato una forza indipendente di difesa insieme a tutti i membri della società: le YPG e le YPJ.

    Le YPG e le YPJ non intendono affatto sfruttare, conquistare o saccheggiare; sono invece organizzate per proteggere i valori, la vita e l’esistenza della società. Queste forze non stanno al di fuori o al di sopra della società: emergono dal suo interno, quindi non possono essere imposte con la forza. Processi di pensiero giusti portano a una giusta pratica. nonostante tutti i pesanti attacchi portati al Rojava dal suo interno e dall’esterno, nonostante le mobilitazioni, i blocchi, gli embarghi, le Unità di protezione del popolo diventano sempre più forti giorno dopo giorno. Dal momento che si rivolgono alla nazione democratica e non a un gruppo particolare, sono riuscite a contribuire alla sicurezza di tutti i gruppi etnici e religiosi della società. La rivoluzione considera le persone la sua forza più grande, anzi considera la socialità come precondizione per l’esistenza umana, e riesce così a difendersi e avanzare.

    La mentalità che ha condotto alla rivoluzione, e che continua a portarla avanti, non ritiene che il suo successo si limiti alle questioni militari e politiche. Sa bene grazie agli insegnamenti del passato e del presente, che la distruzione del sistema attuale e la costruzione di un nuovo sistema non possono venire dai medesimi modi di pensare. nel Ventesimo secolo le rivoluzioni popolari sono state assorbite nelle lotte di liberazione nazionale e nel sistema del socialismo reale perché mancavano di una cultura progressista trasformatrice. Una società politica e morale ha il compito di costruire una vita etica ed estetica che rispecchi la libertà, l’uguaglianza e la democrazia.

    La rivoluzione della Nazione democratica

    La nostra rivoluzione ritiene che il paradigma dello Stato-nazione sia la causa dei problemi attuali in Medio Oriente e presenta come alternativa il concetto di nazione democratica. La rivoluzione nel Rojava ha generato la mentalità della nazione democratica ed è in grado di dare inizio a nuove rivoluzioni. Questa mentalità nuova non ritiene che la separazione della nazione dallo Stato sia una regressione, né ritiene che una nazione debba essere costituita da membri di uno stesso gruppo etnico.

    La nazione democratica è una «nazione di culture condivise», senza alcun riferimento a genere, religione, ideologia o etnia. Quello che conta piuttosto, è che la società funziona politicamente e moralmente in accordo con la natura dell’essere umano. La rivoluzione del Rojava non è una rivoluzione di soli curdi: i curdi possono avere un ruolo preminente, ma non conducono la rivoluzione con un atteggiamento nazionalista. I consigli del popolo, il Movimento per una società democratica (TEV-DEM) e gli slogan del tipo «Siria democratica, Kurdistan autonomo», riflettono un atteggiamento inclusivo verso tutte le popolazioni che risponde all’eterogeneità della società.

    In termini diplomatici la rivoluzione del Rojava è assediata da ogni parte, quindi è di fatto isolata. Perfino il KDP, che incarna la modernità capitalista curda, ha provato a indebolirla insieme alle organizzazioni politiche a esso associate. Il Rojava però è ancora in piedi, la sua rivoluzione si sviluppa e guadagna efficacia attraverso la diplomazia. La giusta coesistenza tra gruppi diversi è stata elevata a filosofia di vita.

    La rivoluzione delle donne

    Il fatto che la rivoluzione del Rojava metta le donne in primo piano garantisce allo stesso tempo la sua sopravvivenza e la sua sostenibilità. Il sorgere del patriarcato fu un fatto storico strettamente legato all’emergere e allo svilupparsi di sistemi di dominio centralizzato. Tali sistemi centralizzati però, sono la negazione della vita. La modernità capitalista che ne rappresenta l’apice, offre nient’altro che distruzione agli esseri umani e alle altre forme di vita.

    La sua distruttività è evidente oggi nell’incombente catastrofe ecologica e nella devastazione della biosfera già in atto. Il pensiero egemonico degli uomini e la loro pratica hanno creato un sistema che minaccia l’esistenza dell’intero ecosistema, umanità inclusa. Questo sistema è un’espressione del patriarcato: le donne invece costituiscono il modello democratico di una civiltà che supera la sua brutalità e violenza. Senza dubbio nessun sistema può esistere senza gli uomini, ma in questo caso le donne hanno assunto un ruolo decisivo.

    La mentalità della rivoluzione del Rojava riconosce l’idea che la coesistenza comune debba basarsi sulla vita. Le rivoluzioni del passato non hanno avuto successo perché si sono bloccate su questo punto, faticando sotto l’egemonia del pensiero patriarcale. Tuttavia in seguito alla crescita della consapevolezza delle donne, esse si impegnano per la prima volta in tutti gli aspetti della vita; poiché le relazioni di genere imposte dal patriarcato e dai sistemi dominanti sono state rifiutate, è in atto una vera rivoluzione che mette le donne al centro della vita. I loro diritti, un tempo negati non solo come rivendicazioni borghesi, ora vengono ripristinati.

    Oggi le donne difendono la rivoluzione con zelo e anche le settantenni impugnano le armi per essa, perché la rivoluzione costruisce un ordine sociale orientato alle donne. Il movimento delle donne si rifà esplicitamente alle formazioni sociali prestatali, che erano egualitarie. Le donne non saranno più al servizio di alcun sistema, a meno che in esso non abbiano ruoli attivi e paritari. In Rojava le donne stesse costruiscono attivamente il nuovo sistema; questo fatto da solo distingue quella del Rojava da altre rivoluzioni.

    Comprendere la rivoluzione

    Ogni pratica deriva dalla consapevolezza. In Rojava si tratta chiaramente di costituire una vita nuova, un nuovo paradigma, un nuovo sistema sociale. L’universalismo della rivoluzione è il motivo principale per cui il sistema gerarchico-statalista la attacca, mettendo in campo tutte le sue forze dalla più piccola alla più forte. La guerra contro la rivoluzione in Rojava viene condotta sistematicamente, con attacchi a tappeto sostenuti dalla modernità capitalista, perfino attraverso i suoi servi curdi.

    La modernità capitalista non si armonizza con la società, motivo per cui la società non può più vivere con essa. Se questa condizione nonostante tutto continuasse, l’annientamento fisico sarà inevitabile. Le implicazioni della rivoluzione del Rojava per la costruzione di una vita nuova e di un mondo nuovo sono di ampia portata, paragonabili a quelle della Rivoluzione francese o russa. Anche se minacciata in modo terribile, essa rappresenta una grande speranza per il Medio Oriente e non solo. Con una forza che nasce da una prospettiva di vita ben lontana dal sistema gerarchico-statalista, la rivoluzione del Rojava è il vero mezzo attraverso il quale il Medio Oriente può liberarsi dal caos. La strada per assicurare il presente e il futuro, non solo del Medio Oriente ma di tutte le società, è quella di unirsi per aiutare questa rivoluzione a difendersi e ad avanzare verso il futuro.

    Febbraio 2014

    INTRODUZIONE

    Fino a poco tempo fa pochi osservatori avrebbero potuto prevedere, tantomeno ritenere possibile, l’emergere di una rivoluzione democratica nel nord della Siria. nella primavera del 2011 quindi in pochi si accorsero che il movimento di liberazione curdo aveva dichiarato di voler costruire una società attorno al concetto di Confederalismo democratico; nè furono in molti ad accorgersi che il Partito di unione democratica (PYD), parte del movimento, aveva istituito il Consiglio del popolo del Kurdistan occidentale (MGRK) quale ombrello partecipativo e democratico per popoli diversi e diversi attori politici. Sempre in pochi si accorsero di quando nel luglio del 2012 insurrezioni popolari liberarono dalla dittatura del Ba’ath, uno dopo l’altro, le città e i paesi del Rojava, in maggioranza abitati da curdi e istituirono un sistema democratico.

    Queste rivolte segnarono tuttavia l’inizio di una rivoluzione contemporanea di grande importanza. nel gennaio del 2014 i tre cantoni del Rojava, Cizîrê, Kobane e Afrîn, dettero seguito proclamando l’Autonomia democratica e crearono quindi «amministrazioni autonome democratiche» per garantire che questo sistema fosse inclusivo e pluralistico. Esso avrebbe costituito la «terza via», non collegata né al regime Ba’ath, né all’opposizione nazionalista e islamista.

    Poi fra il settembre del 2014 e il gennaio del 2015, le forze di difesa della rivoluzione hanno condotto una sbalorditiva resistenza contro lo Stato Islamico (ISIS) a Kobane e lo hanno sconfitto. Il mondo se n’è finalmente accorto. Oggi molti gruppi rivoluzionari, democratici, di sinistra, socialisti, libertari e per la difesa dei diritti umani sono consapevoli che nel nord della Siria esiste una regione libera nota come Rojava.

    Contro ogni previsione, nella Siria del Nord l’Autonomia democratica si è dimostrata efficace e realistica. nel 2015 la liberazione di Girê Spî (Tel Abyad), di Hesekê e della diga di Tishrin, assieme alla creazione delle Forze democratiche siriane e del Consiglio democratico siriano, hanno suggerito che tale sistema può essere un’alternativa praticabile per tutta la Siria.

    La guerra in Siria ha ucciso centinaia di migliaia di persone e molte altre muoiono ogni giorno; essa distrugge gli spazi urbani e rurali, l’infrastruttura del paese e l’ambiente naturale. Ha provocato la fuga di milioni di siriani ed è responsabile di buona parte dell’attuale «crisi dei rifugiati» in Europa. Eppure il Rojava liberato si è per lo più protetto da questa distruzione per mano dell’ISIS e di altre fazioni.

    nella repubblica turca, la rivoluzione del Rojava e la guerra in Siria sono in cima all’agenda politica. All’interno dei confini della Turchia vivono milioni di curdi, la maggior parte dei quali è vicina al movimento di liberazione e sostiene con vigore la rivoluzione del Rojava. I gruppi rivoluzionari, socialisti, di sinistra, libertari sostengono con crescente convinzione la rivoluzione e molti hanno avviato o approfondito relazioni con il movimento di liberazione curdo

    L’AKP e altri partiti politici tendono invece a sostenere, tacitamente o direttamente, gruppi salafiti-jihadisti quali l’ISIS, Jabhat Al-nusra e Ahrar-Ur-Sham, od organizzazioni nazionaliste-scioviniste quali la Coalizione nazionale siriana. Quando nell’ottobre del 2014 durante l’assedio di Kobane, i sostenitori della rivoluzione del Rojava hanno organizzato rivolte popolari diffuse, lo Stato turco e le sue forze controrivoluzionarie hanno reagito con durezza.

    Alle elezioni politiche del giugno del 2015 i cittadini che sostenevano un’alleanza democratica dei popoli si sono recati in massa alle urne, tanto da superare lo sbarramento del 10 per cento e dare al filo-curdo Partito democratico dei popoli (HDP) molti seggi nel parlamento turco. In quell’estate i massacri ad Amed (Diyarbakır) e a Suruç, al confine con Kobane, insieme a centinaia di altri attacchi, hanno aperto la strada a una guerra brutale contro i liberi cittadini della Turchia, i curdi, i democratici e le persone di sinistra.

    Il governo dell’AKP, per il timore che la crescente opposizione democratica di sinistra e la crescente forza della rivoluzione del Rojava potessero portare al crollo del suo potere politico, ha fomentato una campagna di odio e razzismo contro l’HDP e il movimento curdo, culminata il 10 ottobre 2015 nel massacro da parte dell’ISIS di 102 manifestanti per la pace. Questa campagna brutale ha contribuito alla vittoria dell’AKP alle elezioni anticipate del 1 novembre. Il governo è poi andato avanti con la distruzione sistematica di molti quartieri e città curde, come a nisêbîn (nusaybin), Sîlopî, Şırnak e Sur: un crimine di guerra da tutti i punti di vista. Solo nei seminterrati di Cizre sono stati massacrati circa 180 civili.

    La resistenza tuttavia cresce; questo insieme alla sopravvivenza della rivoluzione del Rojava è di ostacolo agli obiettivi di politica estera dell’AKP. Lo Stato turco sperava di giocare un ruolo decisivo nella politica del Medio Oriente con l’«asse sunnita», la sua alleanza con l’Arabia Saudita e il Qatar, ma questa speranza ha adesso perso terreno. Il coinvolgimento della Russia nella guerra in Siria ha contribuito a ostacolare l’influenza turca. Sostenere le forze rivoluzionarie democratiche in Rojava e in Siria potrebbe aiutare a sconfiggere la politica di guerra dello Stato turco nel Kurdistan del Nord.

    Intanto in Siria la proclamazione della Federazione della Siria settentrionale nel marzo del 2016 ha la possibilità quale «terza via», di spezzare il predominio del regime di Assad e delle forze nazionaliste-islamiste. La federazione ha unito i tre cantoni a nuove zone liberate dall’ISIS. Sempre più persone di diversa provenienza religiosa, etnica e sociale cominciano a organizzare la loro vita al di fuori dello Stato repressivo siriano. Intraprendono questo passo soprattutto di loro iniziativa, mentre le potenze reazionarie con alla testa lo Stato turco, ricercano la distruzione del Rojava.

    Il ruolo delle potenze regionali e internazionali è determinante. A partire dalla sconfitta dell’ISIS a Kobane all’inizio del 2015, i cantoni del Rojava e le Forze democratiche siriane hanno proseguito la cooperazione tattica sul campo di battaglia con gli Stati Uniti e allo stesso tempo hanno goduto di relazioni relativamente positive con la Russia. La sfida della rivoluzione del Rojava sarà mantenere le sue complesse relazioni con tali potenze, continuando al contempo a tener fede ai principi della rivoluzione.

    Nel maggio del 2014 siamo partiti per un viaggio in Rojava, per apprendere in prima persona come la gente del nord della Siria stesse mettendo in pratica la terza via. Volevamo sapere come avevano liberato il Rojava e organizzato la loro autodifesa, come avevano costruito una società basata sulla democrazia diretta e come funzionavano i processi decisionali attraverso i consigli del popolo. Volevamo sapere come era stata organizzata la vita economica delle Comuni nonostante l’embargo imposto dalla Turchia e in particolare volevamo sapere del ruolo decisivo delle donne nella rivoluzione del Rojava.

    Tutti noi eravamo attivi da anni in Germania sulla questione curda, ma questa opportunità di andare in Rojava ci eccitava come mai niente prima di allora. Per conto della campagna TATORT Kurdistan ci siamo recati prima a Silemani (Sulaimaniya) nel Kurdistan del Sud, poi da lì, via Mosul poco prima che venisse occupata dall’ISIS, a Til Koçer (Al Yayrubia). Abbiamo poi attraversato il confine verso Cizîrê, il più orientale dei tre cantoni del Rojava; nel corso di quattro settimane abbiamo visitato ogni parte di Cizîrê, comprese Hesekê e Serêkaniyê. In una seconda visita all’inizio del 2016, due di noi hanno visitato anche Kobane. Abbiamo intervistato circa 120 persone e altre 30 nel 2016 e preso parte a innumerevoli conversazioni. Ci spostavamo liberamente, nessuna porta era chiusa. Abbiamo dormito nelle case di attivisti e privati cittadini. Siamo stati messi a parte di conversazioni su questioni difficili e di autocritiche, come non succede di norma alla maggior parte dei giornalisti e degli altri visitatori. Siamo grati a tutti coloro che hanno reso possibile il nostro viaggio nell’Autonomia democratica e soprattutto agli attivisti e ai combattenti per la libertà sul campo, in particolare alle donne, cuore di questa rivoluzione.

    Questo libro rispecchia le nostre osservazioni sull’atmosfera politica trovata nel maggio del 2014 e all’inizio del 2016. non abbiamo pretese di «oggettività» così come definita dall’autorità egemonica della scienza. Queste pretese sono in effetti inestricabili dalla soggettività e sono spesso usate per nascondere lo scopo originale del ricercatore. Ognuno di noi proviene da differenti retroterra e differenti aree di interesse, ma condividiamo un approccio femminista, internazionalista, ecologico, di sinistra e libertario. Siamo sinceri e trasparenti riguardo la nostra solidarietà con la rivoluzione del Rojava, ma la nostra solidarietà non è del tipo che sorvola sui problemi e sulle difficoltà.

    Il tempo trascorso con le donne, gli attivisti e i combattenti in Rojava ci ha mostrato che gli eventi del luglio del 2012 e quelli successivi costituiscono senza ombra di dubbio una rivoluzione. Il paziente incoraggiamento rivolto dagli attivisti a tutti i membri della società alla partecipazione volontaria ai processi decisionali è un raro esempio di dedizione ai principi rivoluzionari. Milioni di volontari compiono lo sforzo grandioso di costruire una politica al di fuori dello Stato-nazione e, nonostante la guerra e l’embargo, plasmano con saggezza un ordine democratico fondato sulla giustizia sociale. La loro società diventa anche comunitaria in economia.

    La rivoluzione del Rojava ha visto parecchi gravi casi di violazione dei diritti umani, ma più della maggior parte delle altre rivoluzioni di sinistra nella storia, questa sottolinea la necessità di imparare dai propri errori. Gli attivisti in Rojava hanno studiato minuziosamente le rivoluzioni del passato di tutto il mondo e da subito si sono impegnati a non soccombere ai pericoli della gerarchizzazione e dell’autoritarismo.

    La terza via del Rojava potrebbe essere la sola soluzione al mare di conflitti, massacri ed evacuazioni forzate in cui annega oggi il Medio Oriente. Allo stesso tempo, essa è diventata un faro di speranza per chi resiste alla repressione e allo sfruttamento e lotta per la libertà, l’uguaglianza e una vita diversa. Il Kurdistan del Nord e la Turchia possono, anzi devono, diventare la prossima regione dove questa speranza può diffondersi: gli sviluppi politici in Rojava/Siria e in Turchia/Bakur sono tanto interconnessi adesso quanto all’inizio della difesa di Kobane nell’autunno del 2014. Se la rivoluzione passa il confine, ricordiamoci di questo legame!

    Anja Flach

    Ercan Ayboga

    Michael Knapp

    Maggio 2016

    PROLOGO

    Sulla strada per Til Koçer

    Nel maggio 2014 non era semplice attraversare il confine tra il Kurdistan del Sud (Iraq del Nord) e il Rojava. Si dovevano seguire i sentieri dei contrabbandieri e dei guerriglieri; oppure attraversare presso la città di Til Koçer (in arabo, Al Yarubiya).

    Il Governo regionale curdo (KRG, Kurdistan Regional Government) 1 aveva costruito un ponte di barche sul fiume Tigri presso la piccola città di Semalka. Il suo scopo non era però consentire il libero transito, bensì indurre gli abitanti del Rojava ad andarsene in modo che chi si era arricchito nel Kurdistan del Sud potesse stabilire una testa di ponte anche in Rojava. In seguito il KRG avrebbe aperto e chiuso arbitrariamente il varco di Semalka e ha anche scavato un profondo fossato per imporre l’embargo che schiaccia il Rojava da ogni parte [ vedi 12.3].

    Nel nostro viaggio siamo stati accompagnati da Zaher e Sardar, due curdi esuli da Silemani. Ci hanno spiegato che gli introiti petroliferi del KRG (che costituiscono uno straordinario 17 per cento degli introiti petroliferi dell’Iraq) hanno prodotto un’economia clientelare in cui nessuno lavora e dove una grande parte della popolazione vive di sussidi governativi. Migliaia di membri dei due partiti principali, KDP e PUK, ricevono un assegno mensile di circa cinque milioni di dinari (circa 3.800 euro). I combattenti peshmerga ricevono 700.000 dinari (circa 540 euro) e quelli della polizia 900.000 (690 euro). Chi è legato a uno dei due partiti al potere è a posto. A lavorare davvero sono bengalesi o filippini, oppure essi prestano servizio come domestici per gli ex-combattenti peshmerga. Spesso trattati in pratica da schiavi, sono mal pagati e persino sottoposti a sfruttamento sessuale.

    Il KRG non fa nulla per sviluppare l’economia locale, a parte il petrolio, così nei suoi territori non si produce molto altro. Le merci lavorate sono importate dall’estero, per la maggior parte dalla Turchia. Il KRG aspira a diventare una seconda Dubai, una repubblica importatrice che non produce niente e che vive di solo petrolio. Persino il pane e la frutta devono essere importati, nell’area che era nota nella storia come Mezzaluna fertile, la culla dell’agricoltura.

    A Silemani abbiamo incontrato alcuni rifugiati dal Rojava che ci hanno raccontato che per guadagnarsi da vivere si sono dovuti sottomettere al dispotismo del KRG. Azad e Derman, di quindici e sedici anni, sono venuti da Qamişlo e hanno lavorato per un anno in un cantiere edile di una ditta turca. Il loro salario era stato fissato per contratto in 2.000 dollari ed essi intendevano rispedire il denaro alle loro famiglie a Qamişlo, ma fino a quel momento non avevano ricevuto quasi nulla. Il KRG non ha un sistema di giustizia indipendente a cui potessero

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