Io non credo al Diavolo
By Ilaria C.
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Io non credo al Diavolo - Ilaria C.
PREFAZIONE
C’è silenzio fuori, siamo in lockdown, non ho mai sentito questo silenzio nella mia vita.
Mi sembra di vivere come una persona che dopo un bombardamento guarda le macerie attorno a sé immersa in una calma innaturale.
Ebbene sì quel bombardamento è stata la morte di papà, improvvisa, dilaniante, troppo rumorosa.
E ora questo silenzio mi distrugge la mente creando un vuoto cosmico che non si lega a nessun punto di riferimento e chissà se è proprio in questi momenti di deserto dell’anima che si prova a ricostruire il puzzle della propria esistenza per dare un senso alla vita e ritrovare un modo per ripartire.
Tutta la mia vita sembra un film ed è una grande testimonianza di amore, di disperazione e di perdono.
Non può finire tutto così, devo trovare un modo per far rivivere la mia incredibile storia.
Accesi la televisione e per caso mi trovai ad assistere alla presentazione di un libro in cui l’autrice spiegava che il tempo riesce a far dimenticare ogni cosa,solo scrivere le sensazioni vissute permette di fermare il tempo e di renderlo eterno.
Sentendo ciò ho deciso di scrivere questo libro pur sapendo che avrei attraversato dei sentieri di lacrime e disperazione, ma anche di gioia.
Solo così avrei reso eterna LA MIA STORIA.
Non farò citazioni di nomi o riferimenti per rispettare la privacy delle persone che abbiamo incontrato nel nostro cammino e che poi si sono rivelate dei veri e propri strumenti di conoscenza.
Ciò che noi non volevamo vedere con i nostri occhi ci veniva proiettato in uno specchio che poteva materializzarsi in un parente, in un amico o qualsivoglia persona che ci abbia aiutato a capire.
1.
QUELLE PAROLE NON DETTE
Pronto, non ti sento, parla con calma, cosa dici, bloccato, ma cosa stai dicendo?
Sì, papà si è bloccato. Papà non cammina più, improvvisamente, vieni subito, vieni subito, penso sia un ictus
.
Ok, va bene! Cavolo, dammi il tempo di posare le cose e vengo, oh mio Dio!
risposi con l’angoscia che cresceva.
Sbrigati, io non ce la faccio da sola!
Era la telefonata di mia sorella alle 19.30 di un giorno di luglio dell’estate 2011. Mentre uscivo trafelata dalla macchina, di ritorno dalla palestra, stanchissima anche per il caldo asfissiante, arrivata sul pianerottolo suonò il cellulare.
Appena attaccato il telefono mille pensieri affollarono la mia testa, mia sorella ha esagerato, ora che succederà? Come affronteremo questa cosa?
Immediatamente scacciai questi pensieri che mi stavano facendo cadere in un panico totale e in 5 minuti fui da loro.
Entrai in casa e mio padre stava camminando nel corridoio con il deambulatore, non mi rispondeva, sembrava in un’altra dimensione.
Papà che succede? Perché non cammini?
gridai disperata.
Sì cammino, vedi?!Sto camminando
rispose papà con un filo di voce, ma senza fare un passo.
Mia madre gli faceva le domande ma lui non rispondeva, mia sorella sembrava presa da un’ansia incontrollata: chiamare il 118, aspettare che mio padre si calmasse. Ma calmarsi da cosa?Sembrava preso da una forza che gli annebbiava la volontà.
Arrivò il 118, un ictus era l’ipotesi più probabile.
Mio padre venne ricoverato e io fui presa da una crisi di pianto.
Sara,papà ha fatto i primi esami cardiologici e neurologici, ma non risulta nulla!
esordì mia sorella improvvisamente.
Ok aspettiamo, ho paura che sia qualcosa di grave!
e mi sciolsi in un pianto disperato.
La notte passò tra mille pensieri e insonnie varie.
La mattina seguente andai da lui, mia sorella continuava a ripetermi: papà chiede di te insistentemente, vai subito
.
Sì certo vado.
Mio padre era su una barella, in una stanzetta del pronto soccorso.
Papà come stai?
Lui non rispondeva, mi guardava e basta, o per meglio dire mi fissava, i suoi occhi erano vitrei.
Gli occhi di mio padre erano di un azzurro intenso,aveva 72 anni ma ne dimostrava molto meno,alto, brizzolato e con una corporatura robusta non dava certo l’idea di una persona malata.
Papà,papà, Rita mi ha detto che volevi vedermi.
Ma lui continuava a fissarmi senza proferire nulla.
Mio padre appariva paralizzato nel pensiero e nella parola.
Intanto iniziarono ad arrivare i primi risultati degli esami medici su mio padre.
Sara, è tutto negativo
esordì mia sorella.
Ah, ma sei sicura? Manca ancora qualche esame di cui aspettare l’esito?
No,li ha fatti tutti
e cadde il silenzio tra mia sorella e me, in quel silenzio c’erano molte parole non dette per paura, per vergogna, per disperazione.
Rita che facciamo? Non c’è nulla.
Non lo so, sono bloccata, non so più che fare, ma tu volevi ci fosse qualcosa?
Non risposi.
E tu Rita? Non è normale che una figlia senta questo?
Mia sorella e io ci guardammo con uno sguardo disperato. Rita aveva sempre dimostrato fin da piccola una spiccata curiosità per tutto, l’avevo sempre un po’ considerata una mangiatrice
della vita , con il suo fisico minuto di media statura sempre in movimento e i suoi occhi di un azzurro intenso molto simili agli occhi di mio padre.
Ebbene sì, eravamo deluse, volevamo trovare qualcosa
che non permettesse a papà di tornare a casa, una qualsiasi malattia invalidante.
Erano parecchi mesi che nostro padre era molto ostile, lo sentivamo estraneo anche se apparentemente non era successo nulla di particolare che potesse aver fatto nascere in noi questi sentimenti.
Beh, ripensandoci erano stati mesi di grandi litigate, mia sorella e io eravamo molto distanti, io non riuscivo a guardarla in faccia, dentro di noi si erano insinuate delle convinzioni che ci allontanavano ed eravamo completamente ignare dell’artefice di tutto ciò.
Sapevamo solo che nostra madre piangeva spesso,mia sorella e io avevamo un altro viso, eravamo brutte ma non nel senso classico della parola, i lineamenti erano deformati.
Intanto mio padre venne trasferito dal pronto soccorso in un altro reparto e sedato perché molto nervoso. Io tornai a casa.
Pronto, è successo qualcosa?
Era mia sorella al telefono,agitatissima.
Sara,papà è sedato ma sta delirando.
Sta male? Cosa dice?
No, i parametri sono buoni. Bestemmia, ci nomina, sembra avercela con noi con frasi brutte!
Rita, ma sta dormendo, è sedato… cosa c’entra? Perché ce l’ha con noi? Vengo subito!
Sembravamo proiettate in un film tragicomico.
Rimanemmo accanto al letto di mio padre per parecchio tempo e lui si agitava, bestemmiava.Dopo un po’ andammo via, tranquillizzate dal medico di turno che ci parlava di deliri normali.Noi, ignare, andavamo avanti pensando che il successivo ricovero in neurologia avrebbe portato a qualcosa di buono.Noi cosa intendevamo per buono
?Per noi o per nostro padre?
Erano questi i nostri stati d’animo, contrastanti, che però ancora non sapevamo affrontare e non ne parlavamo.
Mio padre in neurologia diede il meglio di sé, umiliava mia sorella con parole del tipo non vali niente, che ti ho fatto studiare a fare come medico
.
Papà basta, siamo in un ospedale e dobbiamo sempre dare spettacolo.
Mio padre rincarò la dose: Io dico quello che mi pare,sono circondato da uno schifo, ecco qui, siete due tentativi di figlie.Potevo fare un’altra cosa invece di crearvi!
Basta papà, ma cosa dici?
E con un tono impetuoso papà disse:E andatevene, tanto che state a fare qui, non valete niente, ho fatto due figlie di cui mi vergogno
.
Queste frasi pesavano come macigni.
Tutto questo poteva giustificare il nostro sgomento quando abbiamo visto mio padre camminare benissimo.
Mio padre doveva tornare a casa e quindi camminare, ma noi,nel nostro inconscio, tutto questo non lo volevamo. Non lo esprimevamo ma era così.
I comportamenti di mio padre erano diventati per noi la normalità nonostante ci facessero male.Ci ostinavamo a pensare che quello fosse sempre nostro padre e quindi continuavamo a giustificarlo.
2.
HO PAURA
Iniziarono in questo periodo le telefonate interminabili tra me e mia sorella.
Pronto Rita,oggi sono andata a trovare papà, ha tessuto le mie lodi, dice che sono la figlia migliore e che tu sei una criminale.
"Sara,con me fa uguale. Dice che tu non vali niente, che hai fallito, che sei invidiosa di me, ma papà non mi aveva mai detto queste cose di te, io cerco di controbattere